Anime & Manga > Ranma
Segui la storia  |       
Autore: Kuno84    25/09/2009    9 recensioni
Tutti conosciamo l'esito della battaglia finale contro Safulan. Ma se le cose fossero andate diversamente? Ranma avrebbe combattuto, avrebbe salvato Akane contro ogni evidenza, o più semplicemente si sarebbe lasciato soccombere alla pazzia?
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 2 
“Dopo la fine”

 


Akane era davanti ai suoi occhi, immobile, 
(morta) 
supina sul proprio letto, come in procinto di svegliarsi da un momento all’altro, 
(ma non si sarebbe alzata mai più) 
il volto sereno, candido, fresco, privo di turbamenti. 
“Ora hai visto?” 
Era troppo per lui. 
“Rispondimi, Ranma! Hai visto?” 
Troppo. 
“Ranma!” 
Il ragazzo ignorò l’interrogativo del padre, che continuava a scuoterlo per la spalla. Quest’ultimo, come rassegnatosi, allentò la presa mormorando un’ultima volta il suo nome. Approfittando dell’attimo favorevole, il figlio diede a Genma un violento strattone e riuscì a sottrarsi dalla sua portata.  
Spalancò la finestra e scappò via, balzando di tetto in tetto. Quando dopo un tempo indefinito – secondi, minuti? – toccò nuovamente terra, notò che anche il cielo pareva aver condiviso la sua furia. La quiete di prima era stata sostituita da un sommesso brontolio. Diverse nubi grondanti d’acqua avevano approfittato delle ultime ore per radunarsi in massa ed erano ormai sul punto di sgravarsi del loro peso. 
Ranma non ebbe il tempo di rendersene pienamente conto, che di fatto, goccia dopo goccia, una pioggia leggera cominciò a bagnare le strade. Ma a lui non importava. Riprese la propria corsa. Doveva assolutamente allontanarsi da casa Tendo o sarebbe impazzito. Sempre che non fosse già diventato folle. 
Eppure avrebbe giurato di averla vista. Camminare lungo il corridoio del piano di sopra. Entrare nella camera degli ospiti. Akane. 
Questo non era possibile. 
Perché lei era in camera sua. Nel suo letto. 
Come la sera prima e il giorno precedente e quell’altro ancora. 
Tentando di scacciare i ricordi, essi riaffiorarono alla mente ancora più violenti. Quel poco di ragione che avvertiva distintamente dentro di sé ricostruì con una cura spietata lo stato dei fatti. 
E ripensò una volta di più a Jusendo. Al suo scontro con Safulan. Ad Akane che, per salvarlo dai filamenti che uscivano dal corpo di quel moccioso tentando di inglobarlo al proprio interno, girava il Rubinetto della Fenice arrestando l’acqua della Fonte delle pozze maledette che dava forza alla sua mutazione. E infine al violento lampo di luce da cui il corpo della fidanzata era uscito rimpicciolito e completamente disidratato. 
Immagini che lo tormentavano sia da sveglio che nel sonno. Quand’era cosciente, almeno, poteva sforzarsi di scacciarle da sé. Una volta addormentato, al contrario, era del tutto succube e impotente di fronte a esse. 
Non poteva sopportarlo, per questo ormai si rifiutava di dormire. Volta dopo volta, era sempre più difficile riprendersi dall’illusione del risveglio, dalla speranza che si trattasse solo di un incubo, che Akane fosse pronta a strapparlo dal sonno con una violenta secchiata d’acqua, rimproverandolo accigliata che per colpa sua avrebbero fatto tardi a scuola. 
La speranza. Si era presa gioco di lui tante di quelle volte… 
Una di queste, già in Cina, a Jusendo, per mezzo della guida delle Sorgenti Maledette. 
Akane poteva essere salvata. Nulla di più semplice, aveva spiegato la guida. Sarebbe bastato usare la stessa acqua magica di Jusendo per invertire il processo di disidratazione prima che Akane chiudesse gli occhi ed esaurisse la propria energia vitale. Non c’era che da sconfiggere Safulan, dopotutto. 
La speranza. Non può forgiare la realtà a proprio piacimento. Rivide se stesso. Lui che vinceva. Lui che sparava un Hiryu Shoten Ha per spezzare il Rubinetto del Drago. Lui che si faceva investire dal getto d’acqua perché anche Akane ne fosse avvolta. E il corpo di Akane che tornava istantaneamente alla normalità. 
Eppure stavolta 
(“Ha… ha chiuso gli occhi!”) 
aveva agito troppo tardi. 
Ranma aveva perso. 
L’illusione si era dissolta. 
Ma non era che la prima. Ne erano seguite altre. E perfino sogni nei quali invece faceva in tempo a salvare Akane, così da rendere il risveglio ancora più amaro. 
Infine quest’ultimo miraggio. Il più crudele, perché stavolta era sveglio. E perché Ranma, a differenza delle esperienze precedenti, non riusciva in alcun modo a scrollarsi di dosso la sensazione che non fosse affatto tale. 
Al contrario, riflettendoci si sentiva sempre più convinto di essere lui nel giusto, non gli altri. E avvertiva un nuovo vigore, una nuova adrenalina scorrergli per il corpo, simile a quella che lo caricava nell’imminenza di un combattimento. Probabilmente era questo che doveva fare: combattere. Contro il suo vecchio. Contro chi non gli credeva. Perfino contro l’evidenza. Combattere era ciò che sapeva fare meglio. 
Tuttavia… 
Si chiese se potesse accettare a se stesso di recare ancora dolore alle persone cui teneva. 
Ripensò a quand’era entrato nella camera dei genitori quasi fuori di sé, convinto di trovarvi Akane. Si raffigurò il volto addolorato di sua madre. E quello sconvolto e ansimante di Ucchan, il viso bagnato di sudore come se avesse vissuto lei in prima persona i suoi incubi. 
La confusione si fece di nuovo strada nel proprio animo. Appena un attimo prima, si era sentito pronto a dare qualunque cosa pur di conferire un corpo al nemico invisibile che lo irrideva, così da poterlo affrontare apertamente. Adesso si domandava quanto veramente fosse alto il prezzo di una simile battaglia. 
Se fosse tale da coinvolgere anche loro. 
E se lui, anche in questo caso, sarebbe stato disposto a pagarlo. 
  
  
Nabiki si morse il labbro, indispettita. Ormai il sonno non sarebbe tornato. 
La sua implacabile mente calcolatrice non aveva tardato a mettersi all’opera, quantificando il danno materiale e morale involontariamente inflittole dal giovane Saotome. Come avrebbe fatto l’indomani a scuola? Lei non era come Ranma, continuava ad andarci regolarmente tutti i giorni e, proprio quello successivo, avrebbe dovuto sostenere un importante compito in classe. Con tutto quel sonno perso, in quali condizioni l’avrebbe affrontato? 
Né si sarebbe potuta consolare con i soliti affari. Con Ranma trincerato in casa da giorni, ogni aria di profitto sembrava di colpo spirata via. Nessuna foto allettante, nessuna pretendente, nessun rivale. Tutte le persone che, per un motivo o per un altro, orbitavano intorno al ragazzo con il codino non si erano fatte più vedere. Come se non fosse sufficiente tutto ciò, perfino Kuno-chan si era misteriosamente dileguato nel nulla. 
Sciocchi, perché non capivano? 
La vita va avanti. Non si ferma per la tragedia di una persona, di una famiglia. Tutto scorre, e l’importante è non rimanere indietro. Cinico? Forse. Ma l’esperienza 
(“mamma…”) 
le aveva insegnato da tempo che questo era l’unico modo di affrontare il mondo: percepire la realtà circostante come un unico circolo vizioso di vita e di morte; ricordarsi che, anche quando tutto appare finito, c’è sempre un ‘dopo’. 
Le disgrazie… accadono, è inevitabile. Certo, quando aveva visto Ranma tornare a Nerima con sua sorella in quello stato, in quelle condizioni, Nabiki non si era sentita tanto disposta nei confronti di una simile filosofia: al contrario, era stata tentata per un attimo di aggredire il giovane incosciente con la treccia, di fargliela pagare personalmente per non aver saputo salvare Akane. Poi, poco a poco, l’adrenalina era calata, facendola di nuovo tornare in sé. 
Da quel momento, Nabiki Tendo non aveva più perso il controllo di se stessa. 
“Tieni.” 
La ragazza si scosse per un attimo dai propri pensieri, rivolgendo la sua attenzione al bicchiere che Kasumi le aveva appena offerto. 
“Cos’è?” Domandò oziosamente, nonostante potesse constatarlo da sola. 
“Del latte caldo.” Rispose con prontezza la sorella maggiore, come se si fosse preparata a dover dare una spiegazione. “Non c’è niente di meglio per riconciliare il sonno.” 
Nabiki le rivolse un sorriso furbo. 
“Se sei qui in cucina a pensare a me, forse dovresti piuttosto prenderne tu una tazza.” 
Kasumi ricambiò il sorriso con un altro più innocente. 
“Oh…” Accennò. “Io non ho bisogno di dormire molto. Sai che non ne sono mai stata capace.” 
“È vero. Al contrario, io rivendico il diritto di godere di tutte quante le mie ore di riposo.” 
“Sei sempre stata una dormigliona.” 
“Ma mai ritardataria.” Precisò Nabiki, sorseggiando il latte. “Non c’è nulla di male a dormire tanto, quando si è poi sufficientemente organizzati in modo tale da arrivare a scuola in perfetto orario. Al contrario di alcune persone di mia conoscenza.” 
“Beh, tu più di loro riesci a non lasciarti coinvolgere dalle numerose distrazioni di questo quartiere.” 
“Non è poi così difficile.” 
“Cielo, ricordo però che, quando frequentavo io la scuola superiore, il Furinkan non era un ambiente così movimentato.” 
“Se è per questo, non lo era nemmeno fino all’arrivo di Ranma.” Si lasciò scappare la secondogenita delle Tendo. 
“Non essere cattiva…” 
Cattiva? Nabiki udì per un attimo se stessa, quasi fossero due persone diverse. E la Nabiki spettatrice non poteva fare a meno di chiedersi come potesse l’altra Nabiki Tendo, quella ragazzina che parlava alla sorella maggiore in maniera così saccente, dire cose tanto banali e insensibili. 
Come se… 
“Dico solo la verità.” Perseverò la Nabiki parodia di se stessa. “È lui che porta scompiglio. Ma la sua scenata di stanotte gli costerà cara: quando tornerà, gli presenterò un bel conto… e soprattutto la mia polaroid pronta a immortalare una certa ragazza col codino in abiti discinti.” 
“Sai che non sta bene.” 
“Sei la solita…” 
La solita? Già, erano entrambe le solite. 
Come se non fosse accaduto nulla. 
Proprio in quel momento, Kasumi si alzò in piedi. “Io penso piuttosto che, invece di aspettarlo, ora tornerai di sopra a dormire.” 
“Ma Kasumi…” 
Le due Nabiki sussultarono allo stesso tempo, quando la sorella maggiore accarezzò loro una spalla. 
A quel contatto, si sentirono di nuovo una persona sola. 
“Tanto vedrai che tornerà presto.” Sussurrò Kasumi. “Non c’è nessun bisogno che tu stia qui ad aspettarlo. Non preoccuparti.” 
Nabiki non ebbe né il tempo né la voglia di ribellarsi. Udì attentamente i passi di Kasumi uscire dalla cucina, accompagnati da uno scroscio proveniente dall’esterno, quindi finì di gustare il suo latte. 
Fuori pioveva. È piacevole, pensò, bere qualcosa di caldo mentre fuori piove. 
Quella Kasumi… a volte perfino lei finiva per sottovalutarla, ma in casi come questi dava il meglio di sé dimostrando di saper leggere nel cuore delle persone. In un certo senso, Nabiki era sollevata all’idea di non essere l’unica in famiglia capace di ciò. D’altronde, in loro scorreva lo stesso sangue. 
“Preoccupata, io?” Mormorò a mezza voce. 
Sì, Nabiki poteva tranquillamente ammettere di esserlo. Ma non preoccupata ‘per’ Ranma, semmai ‘di’ Ranma. Quel ragazzo con la treccia, che un giorno di pioggia primaverile come tanti altri era arrivato a stravolgere le loro vite così tranquille, costituiva tuttora il maggior ostacolo che si frapponesse tra la sua famiglia e una parvenza di ritorno alla normalità. 
Adesso ci mancavano anche le sue patetiche visioni. Si chiese quanto tempo ancora sarebbe occorso a Ranma per accettare il fatto che Akane fosse morta. E come mai non riuscissero ad ammetterlo del tutto nemmeno loro. 
(Forse perché i morti stanno sottoterra?) 
Anche nel loro discorso di pochi istanti fa, lei e Kasumi non erano riuscite a non parlare al presente, quasi che tutto stesse andando come al solito e Akane fosse ancora tra loro. Anche questo era colpa di Ranma. In fin dei conti, non è sempre colpa di Ranma? Lui si era rifiutato di far seppellire o cremare la sorella, la sorellina che dopotutto sembrava solamente dormire. In questo caso, la sua testardaggine, il suo non volersi arrendere stavano contagiando l’intera famiglia. Portandola lentamente alla rovina. 
Perché non accettare la realtà? Akane sembrava dormire. Però in lei non v’era traccia di respirazione, né di circolazione sanguigna: il suo corpo non si deteriorava – e loro ne conoscevano il motivo – ma tutto il resto indicava inconfutabilmente che sua sorella minore era morta. 
Nient’altro. Perché non poteva essere tutto così semplice? E perché la vecchia del Nekohanten aveva detto quelle cose…? 
Posando il bicchiere ormai vuoto sul tavolo, Nabiki si accorse che la sua mano tremava. 
  
  
La pioggia, adesso, batteva scrosciante. Un tuono deflagrò a poca distanza da lui. 
Come se fosse stato un segnale, qualcosa esplose anche dentro di sé, irradiandosi in ogni parte del proprio corpo. 
Ranma gridò. Calciò. Urlò. Colpì ripetutamente un nemico invisibile. Gridò di nuovo. 
Infine si arrestò, e lasciò che le ginocchia sprofondassero nel terreno melmoso. 
Ansimando, pregò di aver dato sfogo a tutto ciò che gli bruciava nelle vene. E invece l’istinto gli suggerì ancora un’altra via. 
Improvvisamente avvertì un nuovo irrefrenabile bisogno. Si slacciò il colletto della camicia bagnata fradicia, strappando nella foga una parte del tessuto. E fissò con rabbia il suo petto maschile. In quel momento, avrebbe sinceramente desiderato riavere su di sé la maledizione di Jusenkyo. 
(“Un uomo non piange!”) 
Avrebbe voluto farlo, anche di nascosto, tanto nessuno avrebbe riconosciuto le proprie lacrime in mezzo a quelle delle nubi nere. Ma le parole del suo vecchio gli rimbombavano nella mente e gli impedivano di cedere. 
Provando a distrarsi, Ranma si guardò intorno. Riconobbe il verde, l’odore dell’erba bagnata e la fila dei lampioni ancora accesi nonostante l’orario. Doveva essersi mosso a gran velocità – o chissà per quanto tempo – dato che si trovava nel bel mezzo del parco Shakujii Koen. 
Imprecò silenziosamente. Non c’era un solo luogo che non fosse ricco di memorie. 
“È qui che abbiamo avuto il nostro primo appuntamento.” 
La voce lo colse alla sprovvista, facendolo trasalire. Aveva abbassato la guardia a tal punto? Una figura familiare emerse dalle ombre, sostando sotto i raggi di un lampione, a pochi metri da lui. 
Rialzandosi da terra, Ranma la riconobbe subito. 
“Mi hai seguito.” 
  
  
Ukyo inclinò leggermente l’ombrello, attenta a non bagnarsi, e alzò gli occhi verso un cielo lievemente più chiaro di qualche minuto prima: si stava facendo giorno e i raggi solari premevano, pur non riuscendo a sopraffare le nubi. La ragazza distolse lo sguardo. Si voltò verso il ragazzo di fronte a sé e quindi in direzione del laghetto alla loro destra. Il picchiettio del fitto rovescio sulle acque creava uno strano gioco di increspature che, unito alla debole luce naturale e a quelle artificiali più consistenti, dava al luogo un’insolita aria cupa. 
“Sembra tutto così irreale, pare di trovarsi in un mondo fantastico isolato dalla realtà… eppure è proprio qui che un bel mattino soleggiato mi hai portato in barca, ricordi?” 
Ukyo avrebbe voluto che la memoria si arrestasse a quei dettagli, ma la mente era troppo lucida per scordare il resto: che Ranma l’aveva invitata al solo scopo di tallonare Ryoga e Akane, per mettere i bastoni tra le ruote al loro appuntamento. 
La giovane esperta di okonomiyaki si adirò con se stessa: alla fine, non aveva fatto che aggiungere un altro pensiero di Akane a una lista chiaramente già traboccante di suo. Si chiese come mai non si fosse trattenuta ma avesse stupidamente aperto bocca. Forse conosceva la risposta. Forse voleva solo che Ranma, una volta tanto, pensasse alla sua Ucchan. 
Probabilmente aveva sbagliato tutto fin dall’inizio. 
“Sì.” Esclamò lui d’un tratto, come in risposta ai pensieri della ragazza. Ukyo sentì il cuore accelerare il suo ritmo e tornò a guardare Ranma dritto negli occhi, mentre quest’ultimo continuava a parlare. “Ricordo ogni singolo dannato dettaglio. Perché è così facile, se poi non si può tornare indietro?! Aveva ragione lei, ha sempre avuto ragione! Ero e sono un enorme stupido! Uno stupido! Stupido!” 
Strinse i pugni con grande intensità. Non doveva essere la prima volta, notò Ukyo, trattenendo inavvertitamente il respiro. Le mani gli sanguinavano. 
“Non… non dire così, Ran-chan! Tu non hai colpa di niente!” Lo interruppe, enfatizzando il tono della propria voce come per convincerlo della verità di quelle parole. 
Ma non ebbe il coraggio di proseguire, di spiegargli che la colpa era tutta sua. Del suo egoismo, della vanità e della presunzione che le derivavano dal sentirsi la fidanzata carina. Se solo avesse pensato al suo bene fin da subito! Ma forse non era ancora troppo tardi. 
“Vattene, ti prego, Ucchan.” Mormorò Ranma, con un tono che le parve debole e spento. L’ombra del fiero combattente che conosceva. “Ho bisogno di stare un altro poco da solo.” 
Ukyo, per un attimo, prese in seria considerazione l’ipotesi di obbedire a quella richiesta. Ma l’esitazione svanì subito via. 
Cominciò ad avanzare, avvicinandosi lentamente al ragazzo con la treccia. 
“No.” Disse con fermezza. “La verità è che non devi restare solo, al contrario hai bisogno più che mai di qualcuno. E io… posso prometterti che… ci sarò sempre per te…” 
Ridusse ulteriormente la distanza che li separava e, portandolo a sé sotto il suo ombrello con la mano libera, lo cinse in un caldo abbraccio. 
Lui sobbalzò, ma Ukyo non si ritrasse. Mantenne ferma la presa, come per tranquillizzarlo, per rassicurarlo che andava tutto bene. 
Fidati di me, Ran-chan, pensava. Non sono forse sempre stata la tua migliore amica? E ancora prima il tuo migliore amico? Fidati, ripeteva. Io non ti abbandonerò. 
“Ucchan…” La voce di Ranma tremava. “Tu credi che stia diventando pazzo?” 
“Certo che no, Ran-chan! Certo che no!” Rispose lei tra le lacrime che non riusciva più a trattenere. 
  
  
Così accadde. 
Ranma Saotome lasciò cadere la sua maschera. 
D’un tratto, non v’era più traccia dell’insuperabile artista marziale, nulla era rimasto del ragazzo sbruffone e pieno di sé. Solo un essere umano disperato era colui che, abbandonando ogni resistenza, mandando al diavolo le parole del padre, e con sola testimone la pioggia che li circondava, accompagnò i propri singhiozzi a quelli della compagna d’infanzia, lasciandosi cullare dal suo abbraccio. 
“Aiutami, Ucchan… non voglio diventare pazzo…” Biascicava con la voce spezzata dal pianto. 
“Certo che no… stai tranquillo… tranquillo…” Ripeteva lei, come una nenia. 
  
  
Tranquillo, Ran-chan, io ti proteggerò, pensava la piccola Ukyo. Io ti salverò. 
Accentuò un altro poco la stretta, poggiando una guancia su una sua spalla. 
E vedrai che presto riuscirò a cancellare da te l’ombra di Akane…

 

   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Ranma / Vai alla pagina dell'autore: Kuno84