Love in Germany
Le storie
sui migliori amici sono tante e molteplici e la nostra non è
che sia
migliore o più emozionante, anzi, solamente è
qualcosa di unico e
speciale per me.
Io e Leon
eravamo amici da...Sempre. Lui si era trasferito dalla Germania a
cinque anni ed era diventato il mio vicino di casa, così da
allora
iniziammo a giocare insieme e crescemmo anche così. Io e lui.
Ma
procediamo con ordine.
Iniziò le
scuole elementari con me, era strabiliante, parlava due lingue
contemporaneamente e quando tornava dalle vacanze aveva sempre
quell'accento così strano, così tedesco.
Così
nei suoi confronti si scatenò in me una sorta
di...Incantesimo. Si,
ecco, mi affascinava, lui era il migliore, sapeva un sacco di cose,
anche a otto anni.
Durante
le medie le cose si fecero più dure, eravamo sempre io e
lui, ma
iniziavano a mettersi in mezzo il calcio, la danza, le pagine da
studiare e il suo trasferimento.
Okay,
si trasferì ad un kilometro di distanza, però in
ogni caso non ce
l'avevo più a portata di zampa la sera, quando non riuscivo
a
dormire.
Si,
dormivamo insieme, fino ai dodici anni o giù di
lì. Di solito ero
io a presentarmi davanti alla porta di casa con i lacrimoni salati
che pendevano dai miei occhi rossi. Janina, la madre di Leon, mi
apriva e mi dava un abbraccio affettuoso, prima di portarmi verso le
scale, dove Leon mi aspettava in cima. Non c'era neanche bisogno di
annunciarsi o farsi annunciare, lui semplicemente sapeva e io non ci
vedevo niente di anormale.
Quando
arrivavo mi guardava imbronciato, in genere mi presentavo verso le
dieci e mezza, massimo undici, di sera, l'ora in cui lui si metteva a
dormire, di solito stanco.
Aspettava
che salissi le scale e rimaneva immobile con la stessa espressione,
era il suo rimprovero silenzioso, una specie di patto che mi aveva
imposto dalla prima volta.
Poi
si alzava, lo seguivo in camera sua e chiudeva la porta. Di solito mi
propinava una frase del tipo “che hai combinato?”
oppure “che
succede?” e io rimanevo impalata, perché mi
dimenticavo quale
fosse il vero problema. Lui allora mi guardava male e si infilava nel
letto, dicendomi che forse in quegli anni mi aveva viziata
permettendomi di dormire lì.
Allora
(fino agli undici anni) iniziavo a piangere ferita e lui si scusava,
facendosi piccolo piccolo per farmi stare nel suo letto.
E
così tutto tornava alla normalità, l'equilibrio
tornava ad essere
equilibrato e io mi addormentavo tranquilla tra le sue braccia.
Già,
ma le cose nel tempo cambiarono, fino ad arrivare all'adolescenza,
periodo in cui la nostra vita cambiò completamente, colpa
del nostro
sviluppo mentale e non solo.
Leon
frequentava il liceo scientifico, quello bilingue, una cosa da
cervelloni per me che frequentavo un professionale ad indirizzo
turistico.
Ma
forse è meglio cominciare dalla genesi...
“Leon
perché non ci possiamo vedere?” gli chiesi,
sedendomi, pardon
stravaccandomi, sul mio letto.
“Te
l'ho detto, oggi ho gli allenamenti e poi ho da fare” mi
rispose,
sbuffando.
Lo
stavo stressando da venti minuti ma non avevo intenzione di mollare:
dovevo scoprire cosa aveva da fare.
“E
cos'altro devi fare?” gli chiesi, tranquilla.
“Da
quando sei così ficcanaso?” mi chiese e sentii
qualcosa che
rovinava a terra.
“Da
sempre e mi dispiace che tu non te ne sia accorto dodici anni
fa”
gli dissi, sarcastica.
“A
cinque anni non eri così rompiballe, altrimenti non ti avrei
mai
rivolto la parola” mi disse, con la voce sforzata.
Probabilmente
aveva raccolto ciò che gli era caduto.
“Guarda
che mi offendo. Immagina la tua vita senza di me! Che
noia...” gli
dissi, sempre scherzando.
Era
furbo, stava sviando il discorso su altro.
“Immaginati
la tua senza di me. A quest'ora saresti o in riformatorio oppure in
collegio, perciò ringrazia e non darmi del noioso”
mi disse,
mentre camminava da una stanza all'altra.
“Ma
non puoi stare fermo mentre parli con me? Sono la tua migliore amica!
Cos'hai da fare di così importante?” gli chiesi,
fintamente
indignata.
"Lo
dici tu di essere la mia migliore amica. Ma quando te lo avrei detto
con la precisione?” mi chiese, continuando a sviare il
discorso.
“Avevi
sette anni e io pure. Per il mio compleanno mi scrivesti un biglietto
che citava le seguenti parole: Ery sei la mia migliore amica con
affetto Leon tanti auguri” gli dissi, convinta. Le parole
erano
esattamente quelle.
Avevo
conservato ogni suo biglietto, da quelli scritti in classe a quelli
di tutti i compleanni e un giorno mi confessò che lo aveva
fatto
anche lui.
“Okay,
ist gut. Mi hai fregato” mi disse, aprendo l'acqua.
A
volte capitava che infilasse parole tedesche nelle sue frasi,
sconvolgendo la grammatica di entrambi le lingue.
“Scusa
ma ti fai il bidet mentre parli con me?” gli chiesi, schifata.
“Ma
come ti vengono? Le sogni alla notte? Mi sto bagnando i
capelli” mi
disse, ridacchiando.
Forse
avevo un po' troppa immaginazione, ma almeno sapevo far ridere.
“Ti
devi vedere con una ragazza, ammettilo” gli dissi, cercando
di
sembrare accusatoria.
“Beccato”
fu la sua risposta.
“Se
non esci con una ragazza perché mai dovresti farti i
capelli? Per il
calcio?” gli chiesi, sdraiandomi sul letto.
“Certo,
sono dell'altra sponda, non te l'ho detto? Non ho resistito ai miei
compagni che si fanno la doccia nudi” mi disse, ridendo.
Bleah,
che schifo.
“Evita
certe frasi e evita soprattutto di diventare gay, saresti
sprecato”
gli dissi, arricciando il naso. I suoi compagni di calcio erano tutto
ciò che non si poteva considerare bello e aitante.
“Ehy,
sei per caso attratta da me, best friend?” mi disse,
aggiungendoci
l'inglese questa volta.
“Non
lo avevi ancora capito? Mi sorprendi... In realtà ti trovo
particolarmente arrapante” gli dissi, scuotendo la testa.
Lui
scoppiò a ridere e io spalancai gli occhi, sorpresa.
“Una
dichiarazione più volgare non potevi farla” mi
disse, con quel suo
volgare che sapeva
tanto di secchione.
“Oh,
si che posso. Vuoi che te la recito?” gli chiesi.
“No,
per questa volta passo, davvero” mi disse e sentii la porta
di
camera sua chiudersi.
La
porta della sua camera faceva un doppio clack
che si riconosceva.
“Dai,
ci vediamo?” gli chiesi, lamentosa. Lui sbuffò.
“Okay,
se proprio non riesci a resistermi non posso che
accontentarti” mi
disse, aprendo una cerniera.
“Bene,
allora vengo alla fine dell'allenamento e poi prendiamo il
pullman”
gli dissi, sistemando il cuscino scomodo.
“D'accordo,
a dopo” mi disse.
“A
dopo amore mio” gli dissi, facendolo ridere.
Conclusi
la chiamata e rimasi a fissare il soffitto. Avevo due ore e mezza di
tempo, potevo permettermi di rimanere lì sdraiata.
Una
volta lo avevo baciato, Leon. Un bacio vero, con tanto di lingua. Per
me era il primo, ma lui non ne era sicuro perché ci avevo
costruito
su una storia particolarmente complessa, in modo da confondergli le
idee.
Avevo
le farfalle allo stomaco e mi dissi che era assolutamente normale dal
momento che era il mio migliore amico, ma una volta a casa non ne ero
così sicura.
Innamorarsi
di Leon sarebbe stato logico e lecito, far sfociare il tutto in un
grande amore sarebbe stato difficile e quasi impossibile.
Leon
era fatto così, aveva solo grandi storie d'amore che mi
facevano
stare sempre male, che mi facevano vivere in una parte secondaria
della sua vita e lo allontanavano sempre di più. Infatti io
le sue
ex le odiavo tutte. Anche se non tutte ce l'avevano con me.
In
ogni caso lui non aveva mai manifestato particolari gelosie nei
confronti dei miei ex, anzi, a volte mi consigliava anche di non
lasciarli stare perché erano delle persone valide. Usava
davvero
queste parole Leon.
Però
alla fine ero caduta nella trappola di Cupido, infatti mi ero presa
un gran bella cotta di lui, o comunque una gran bella cotta per le
attenzioni che mi dedicava prima di svilupparsi.
Già,
Leon era cambiato parecchio da quando era un ragazzino di undici
anni. Prima di tutto era un ragazzone alto un metro e ottanta, spesso
ma non grasso e con un viso che esprimeva tenerezza e incuteva
terrore a seconda del suo stato d'animo.
E
poi era bello. I suoi capelli biondi li teneva un po' corti un po'
lunghi, ma quando li aveva corti era particolarmente strabiliante.
C'erano volte in cui mi concedevo cinque minuti per contemplarlo.
Mi
alzai dal letto, imponendomi di non pensare a Leon e a quello che
avevo scoperto di pensare su di lui.
Mi
feci una doccia, arricciai i capelli lunghi e castani e poi decisi
come vestirmi. Siccome era ottobre puntai sui jeans blu scuro, la
maglietta rosa scollata e la felpa viola scuro di velluto. Poi per
completare le adidas bianche e viola.
Era
presto, così mi preparai un panino e guardai un po' la tv,
verso le
cinque mi lavai i denti e presi la giacca a vento.
Hola gente =)
Nuova ff originale, che ne pensate? Beh, l'ho iniziata ieri sera,
ancora non c'è una storia ben precisa sotto, ma solo qualche
idea qua e là.
Uhm...Posso consigliarvi di immaginarvi Leon come l'attore tedesco Leon
Wessel Masannek (attenzione a non guardare le foto di quando aveva
undici anni o giù di li... Non da molto l'idea di mega
ragazzone che invece è) mio "muso" (maschile di musa xDDD)
per questa fanfiction. Per ora lei porta il mio nome, Erika, ma non so
se continuarla a chiamarla così. Al massimo
modificherò.
Ah, me lo lasciate un commentino? Grazie
Erika <3