Non
faceva proprio freddo, ma quella mattina aveva smesso di piovere dopo
quattro giorni consecutivi.
Mi
diressi verso il campo in cui si allenava Leon, con l'mp3 alle
orecchie ascoltavo “Angels”, una delle canzoni che
piaceva ad
entrambi e che ci ascoltavamo quando uno dei due era triste. Di
solito lo ero io.
Entrai
nel campetto e mi sedetti sugli spalti, mancavano si e no venti
minuti alla fine dell'allenamento.
Leon
era il portiere, il numero 1, anche in quello. Ogni giorno mi
chiedevo come facesse, io ero un disastro anche ad accudire il mio
coniglio nano. Quando glielo chiedevo puntualmente rideva e mi diceva
che non aveva una risposta a quella domanda, lui era semplicemente
così. E cavoli, lo era da sempre.
Mi
salutò dalla porta e io ricambiai con un gesto timido. No,
in realtà
avevo freddo ed ero rannicchiata, ma in entrambi i casi a lui
bastò
il mio gesto.
Fecero
un paio di rigori e ne mancò qualcuno, parandone,
però, più della
metà, perciò io ero fiera di lui per quel giorno.
Uscii dallo
“stadio” e aspettai che si facesse la doccia,
quindi passò più
di un quarto d'ora che passai fuori al freddo.
Quando
uscì mi sorrise e io ricambiai, nonostante il risentimento
per le
ossa congelate.
“Pensavo
non uscissi più. Sono quasi le sei” gli dissi,
avvicinandomi.
“Scusami...
Ma sai, sempre per la storia della doccia e dei ragazzi, mica sono
sempre l'ultimo per una scusa qualsiasi” mi disse, poggiando
la
sacca a terra e circondandomi in un abbraccio.
“Smettila
di fare queste battute o inizierò a pensare che sei davvero
gay”
gli dissi, accoccolandomi contro di lui. Lì faceva molto
meno
freddo.
“E
anche se fosse? Pensavo fossi mentalmente aperta” mi disse,
senza
lasciarmi andare.
“Io...Si,
beh, però... Cioè, no tu non devi...”
balbettai imbarazzata.
Non
volevo fosse gay. Tutti, anche Brad Pitt, ma lui no.
Lui
rise, prendendomi in giro.
“Ma
dai, è troppo bello l'universo femminile...” mi
disse, lasciandomi
andare.
“Nooo,
torna qui, che stavo bene lì” gli dissi,
prendendogli un braccio e
facendolo ridere.
“Se
non avessi la sacca ti prenderei anche in braccio, ma,
ahimè, ti è
andata male questa volta” mi disse, prendendo la sacca e
iniziando
a camminare verso casa sua.
“Aspetta,
stai andando a casa? Non andiamo da qualche parte?” gli
chiesi,
senza muovermi.
Lui
si fermò e si voltò.
“Ma
se stai congelando... Comunque come vuoi tu, se vuoi andare in giro
posiamo solo la borsa” mi disse, dandomela sempre vinta.
Camminai
verso di lui, senza riuscire a tenere il suo passo da gigante.
“D'accordo.
Vabbe' se mi fai la cioccolata calda e mi dai una coperta rimaniamo a
casa tua” gli dissi; lui rallentò il passo.
“Vedi?
Sei viziata” mi disse, scuotendo la testa. Io sbuffai.
“Va
bene, posso farmela io se proprio vuoi...” gli dissi e lui mi
arruffò i capelli.
Casa
di Leon non era tanto distante, almeno non mi sarei congelata del
tutto.
Lui
aveva la giacca pesante, era un autunno piuttosto freddo, ma io
ancora ero convinta di essere a settembre, mica al ventidue ottobre.
Aprì
la porta e un'ondata di calore ci travolse, facendomi tremare.
Qualsiasi
fosse la casa di Leon la sentivo anche un po' mia, forse
perché mi
era tutto così vicino e familiare.
“Poso
questa e ti porto la coperta” mi disse, sparendo su per le
scale.
Io
mi tolsi la giacca a vento e mi incollai ad uno dei termosifoni
verticali del salotto, veramente molto comodi se ti devi riscaldare
tutto il corpo.
Leon
scese con una coperta di plaid e una sua felpa.
“Mettiti
la mia felpa e togliti la tua. Davvero pensavi potesse tenerti caldo
quello straccetto lì?” mi chiese, poggiando la
coperta sul divano
e porgendomi la felpa.
“Ehy,
non è uno straccetto” gli dissi, seccata, mentre
mi levavo la mia
felpa.
La
sua era più calda e più morbida, oltre ad essere
enorme.
Lo
raggiunsi in cucina, doveva aveva messo il latte a bollire e
preparava le tazze. Lo guardai all'opera per esaudire i miei
desideri: era sempre stato così.
“Dimmi
che vizi soltanto me” gli dissi, appoggiandomi al frigo e
guardandolo. Lui mi sorrise e aggiunse lo zucchero nella sua tazza.
“Ovvio,
sei l'unica bambina che conosco” mi disse, sogghignando e io
misi
il muso.
“Beh,
meglio che niente” commentai, incrociando le braccia al petto.
Lui
rise e si avvicinò a me, appoggiandosi anche lui al frigo,
ma
rivolto verso di me. Appoggiò la testa, inclinandola verso
sinistra
e mi accarezzò una guancia.
Rimasi
a fissarlo, senza sorridere, dispiaciuta della consapevolezza che
viveva in me nei confronti della mia cotta sovraumana.
Abbassai
lo sguardo e sospirai, forse aveva capito.
“Perché
aggiungi sempre lo zucchero alla cioccolata? È
già dolce di per se”
gli chiesi, cambiando umore, per non rovinarci il pomeriggio.
Lui
alzò le spalle e incrociò le braccia al petto.
“L'ho
sempre fatto, lo sai, no? Comunque voglio sapere che succede,
perché
sei triste?” mi chiese, guardandomi seriamente.
No,
forse non aveva capito.
“No,
non sono triste” affermai, guardandolo negli occhi, doveva
averne
la certezza.
Lui
mi abbracciò e mi sentii morire. Non gli avevo mai nascosto
niente.
A parte il primo ciclo, che poi scoprì un paio di anni dopo
prendendomi in giro per giorni.
“Certo
e io sono il Re della Cina” mi disse, dandomi un bacio sulla
testa.
“La
Cina non ha un Re, Leon. Al massimo un imperatore” gli dissi,
cingendogli la vita.
“Scusa
e cosa sarebbe un imperatore? Comunque non cambiare discorso”
mi
disse, alzandomi la testa, per guardarlo.
“Va
tutto bene...” commentai, abbassando di nuovo lo sguardo.
Decise
che forse era davvero meglio lasciar perdere.
Il
latte iniziò a bollire e lui si allontanò da me,
per metterlo nelle
tazze.
“Scusami,
ma sei sicuro che questa cioccolata si fa come dici tu? Io faccio il
the così, ma quello che compro alla crai” gli
dissi, prendendo la
scatola e leggendo tante parole sconosciute ed impronunciabili.
“Si,
di solito anche lì si fa girando il contenuto della bustina,
però
questa è diversa. Senti, non chiedermi, l'ha comprata mamma
e quando
l'ha fatta lei era venuta bene” mi disse, svuotando le
bustine
nelle tazze riempite di latte.
Mi
diede la mia tazza e per poco non mi bruciai, così prese un
vassoio
e le portò in salotto, davanti al divano e alla tv al plasma.
Mi
sedetti sul divano e mi disse di togliermi le scarpe e lui fece lo
stesso, poi prese la coperta e io mi ci accoccolai dentro, tutto quel
caldo mi piaceva.
“Io
te lo dico prima, a dicembre mi trasferisco qui. Va bene anche il
divano di pelle, tranquillo” gli dissi, prendendo la mia
tazza.
Sembrava davvero cioccolata calda, solo poco densa.
“Girala
con il cucchiaino. Comunque d'accordo, puoi prenderti anche il mio
letto, tanto io non ci sarò” mi disse, dandomi il
cucchiaino.
Io
rimasi immobile a fissarlo.
“E
dove sarai?” gli chiesi, ingenuamente.
Lui,
lievemente imbarazzato, accese la tv prendendo tempo, poi
sbuffò e
si decise.
“In
Germania. Lo hanno deciso i miei, così, perché
dicono che siccome
ci sono le vacanze di Natale sarebbe bello che passassi un mese
intero con i miei nonni. E visto che i miei primi cinque Natali
tedeschi non li ricordo, mi vogliono spedire là”
mi spiegò,
mentre girava la sua cioccolata.
“Vai
via un mese? Non ti bastano le vacanze estive per
abbandonarmi?”
gli chiesi, iniziando a girare il liquido.
Lui
si voltò a guardarmi e scoppiò a ridere.
“Ma
se sono stato via solo due settimane” mi disse, poggiando il
cucchiaino sul vassoio.
“Ma
che centra! Le due tue e le due mie fanno un mese di lontananza. E
poi quando hai una tipa mi abbandoni sempre” gli dissi,
abbassando
la voce pian piano e soffiando nella mia tazza.
“Ma
se tu vai in vacanza non è colpa mia. E poi non è
vero che ti
abbandono, ma di certo ho meno tempo da dedicarti” mi disse,
semplicemente.
Già.
Il punto era che non volevo che avesse meno tempo per me.
“Quindi
perché tu possa passare del tempo con me, devo farti una
dichiarazione d'amore?” gli chiesi, sarcastica.
“Ma
no, me l'hai già fatta oggi al telefono,
tranquilla” mi disse,
scoppiando a ridere.
“Ti
ho detto che sei arrapante, non che ti amo alla follia. Ma se ti
basta, beh, meglio per me” gli dissi, ridendo anche io.
Succedeva
sempre così, non avremmo mai preso sul serio le frasi
maliziose.
Anche se avevano un fondo di verità.
“Certo
che mi basta. Sono un maschio, noi pensiamo sempre al sesso,
no?”
mi disse, assaggiando la cioccolata e imprecando perché si
era
bruciato.
“Oh,
giusto. Ma tu non hai niente in comune con gli altri ragazzi. Il tuo
QI è troppo alto per metterti al loro livello,
perciò non puoi
nasconderti dietro a questi stereotipi” gli dissi, scuotendo
la
testa.
“No,
cavoli, una bella ragazza l'apprezzo anche io, cosa credi. Forse non
in tua compagnia, anche perché non mi sembra il caso,
però i miei
ormoni funzionano benissimo come quelli degli altri” mi
disse,
serio, guardandomi.
Io
lo fissai sorpresa, poi scoppiai a ridere.
“Sarà
meglio! Non avevo dubbi che funzionassi correttamente, anche
perché
non era quello che intendevo. Aspetta. Ma tu lo hai già
fatto?”
gli chiesi, sgranando gli occhi.
Lui
si voltò a guardarmi spaventato.
“Perché
me lo chiedi così?” mi chiese, senza cambiare
espressione.
“Perché
non me lo hai detto! Ma uffa, io ti dico sempre tutto” gli
dissi,
bevendo la cioccolata.
“Non
è affatto vero. Ad esempio prima non mi hai detto che cavolo
ti
prendeva. E comunque si, l'ho fatto, un po' di tempo fa se devo
essere del tutto sincero” mi rispose, tornando a bere la sua
bevanda.
Ma salve! Ed eccoci qui con il
capitolo secondo (Matteo) no xDDD non è la bibbia...Lungi da
me! xDDD
Oh grazie tante a cino
nero per
aver messo la fanfiction tra le seguite, mentre ora rispondo ai
commenti:
ELiVANOV_91: Grazie *_______* spero che sia abbastanza presto, in ogni caso mi fa piacere che tu l'abbia trovata scorrevole =) sappi che i prossimi 2-3 capitoli sono già pronti, quindi non avrò problemi ad aggiornare =) al prossimo cap se vorrai lasciarmi un altro commentino! ^^
EmoAlex: Amore *-* tu hai in anteprima anche io resto della storia, quindi devi dirmi assolutamente che cosa ne pensi!!! Sai che ci tengo ù.ù e spero tu non fraintenda le parole dei miei piggi (personaggi)
Grazie a tutti quelli che la leggeranno, me lo lasciate un commentino? Anche solo un consiglio! ;)
Erika <3