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Autore: Fiorels    28/09/2009    6 recensioni
“Beh, se ti può servire, diciamo che hai la mia approvazione” dissi infine, consapevole di aver praticamente assunto quel ragazzo col quale mi ero sentita subito a mio agio. Cosa che tuttavia non si poteva certo dire di lui. Sembrava davvero che lo mettessi in imbarazzo nonostante avesse affermato il contrario ma mi convinsi che doveva essere stato il nervosismo e che si sarebbe sciolto dopo esserci conosciuti meglio. Doveva essere così. Quale altro motivo poteva averlo spinto a comportarsi in quel modo?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7

Capitolo 7

 

Tonight’s gonna be a good night

 

POV Kristen

 

Ma so che la sera tutto funziona

e che se cerchi una risposta forse ti arriva,
è l'atmosfera che ti trasporta.
Meglio la sera fuori dal mondo
mentre il mondo mi gira tutto intorno
tra me e me che penso a quello che mi aspetta in questa sera

che mi gusto senza fretta.

 

“Ciao” dissi sapendo già chi avrei trovato dietro la porta.

“Scusa il ritardo” rispose con un respiro un po’ affannato.

“Oh non preoccuparti”.

Restai a fissarlo per qualche istante, chiedendomi con quale delle sue tante personalità avrei avuto a che fare quella sera e augurandomi di trovare il coraggio di chiedergli spiegazioni.

“Allora, mi fai entrare o no?”.

Che stupida. Mi ero impalata a fissarlo lì sulla porta.

“Oh, scusa. Certo certo. Vieni pure!” lo incoraggiai facendo strada e chiudendo la porta dietro di me. Proprio in quel momento mia madre scendeva le scale e non potei sottrarmi agli onori di casa e alle presentazioni.

“Ah, mamma, questo è Robert. Ti ho detto che sarebbe venuto. Robert, lei è mia madre”.

“Piacere Robert, sono Jules” disse mia madre allungando una mano e sussurrando - tutt’altro che a bassa voce - “Non avevi detto che era così carino..”

Alzai gli occhi al cielo. “mamma…” riuscii a mormorare mentre lui si presentava educatamente.

“Il piacere è mio, signora Stewart. Ha davvero una bella casa” disse gentilmente.

“Oh, è anche un gentiluomo” continuò lei imperterrita.

Decisi di rompere quell’idillio prima che riuscisse a fare danni.

“Bene!” dissi modellando la voce in modo che mia madre potesse capire la mia irritazione. “Sarebbe meglio metterci al lavoro” dissi in fretta liquidando mia madre e incitandola ad andare in cucina.

Mi voltai a guardarlo stranamente imbarazzata e agitata. “Beh, la casa non è grandissima. Preferisci il salotto o la sala da pranzo?”

“Ehm, è indifferente..” sembrava nervoso.

“Ok, allora forse meglio la sala da pranzo. Andremo più comodi col tavolo” terminai incerta facendo strada.

“Ti spiace se fumo?” disse agitato prendendo una sigaretta.

“No no. Fai pure” lo rassicurai sperando che si calmasse un po’.

“Tu fumi?” chiese curioso.

“Di tanto in tanto. I miei non vogliono, ma li ho convinti che col lavoro che faccio ogni tanto ci vuole. E poi sarebbe stato impossibile nasconderlo.” Risposi svelta e continuai. “E tu? Fumi?” chiesi accorgendomi poi della stupidità della mia domanda. Ovvio che fumava!

Difatti inarcò un sopracciglio e mi guardò incuriosito.

 “Intendo, fumi abitudinariamente?” mi corressi.

“Ehm, non proprio” disse insicuro. “Solo quando sono nervoso”.

“Vedo” dissi accorgendomi che il ragazzo insicuro che avevo conosciuto stava tornando a galla.

Abbassò il volto e come una settimana prima fui costretta ad abbassarmi altrettanto per guardarlo negli occhi.

Mi trovai a consolarlo di nuovo. “Va tutto bene?”

“Certo!” rispose subito evitando il mio sguardo.

“Ok” sospirai.

Mi misi a sedere abbattuta sulla sedia mentre lo guardavo fumare nervosamente, un tiro dietro l’altro, nuvole di fumo sempre più piccole e prepotenti si affollavano una sopra l’altra creando una cappa pronta a disciogliersi dopo qualche secondo. Davvero non sopportavo quel suo atteggiamento. Forse non mi sopportava. Forse si aspettava qualcun altro, forse mi odiava. Tutto era possibile. Ma cosa gli avevo fatto? In fondo non ci conoscevamo per niente. Non sapevo niente di lui, e lui non sapeva niente di me.

“Iniziamo” dissi con tono duro quando ebbe finito di fumare, ed aprii il copione. Spense subito il mozzone nel posacenere e si venne a sedere, di fronte a me. Sempre insicuro, quasi tremante. Possibile che gli facevo questo effetto?

Iniziammo a leggere dalla scena di biologia, ma c’era qualcosa che non andava. Lo sentivo diverso. Non c’era più quella connessione. Tutto sparito. Come se non fosse mai esistito niente. A quel punto esplosi. Dovevo sapere.

“Ok, ora basta!” scattai in piedi. “Che c’è che non va?” chiesi stufa.

Mi guardava sconcertato. “Non capisco” sussurrò incerto.

Non riuscii a trattenermi e senza nemmeno una pausa cacciai fuori tutto quello che mi era passato in mente in una settimana.

“Beh, è evidente che qualcosa non va. Ora, o io sto diventando matta, oppure tu sei affetto da disturbi di personalità multipla. Ma cosa ti ho fatto? Forse ti aspettavi qualcun altro? Forse ti metto soggezione? Perché ho l’impressione che con gli altri vai piuttosto d’accordo. E poi non mi hai rivolto la parola oggi, per non parlare dell’audizione. Sembrava che avessi visto un mostro. So di non essere una grande bellezza ma che cavolo, non penso di essere ripugnante. E poi stasera vieni qui, tutto nervoso, non dici più di quattro sillabe e ti metti a fumare. Insomma, se non vuoi la parte sei ancora in tempo.” Terminai la mia sfuriata con gran soddisfazione anche se ero consapevole che esporre le mie supposizioni in quel modo non avrebbe aiutato per niente: quasi sicuramente metà delle cose che avevo detto non avevano senso, soprattutto per lui. Comunque lo guardai seria per un istante interminabile in attesa di una sua risposta. Ma niente. Continuava a scrutarmi e pensai che come previsto non aveva capito niente. Sospirai abbattuta e alquanto in imbarazzo ma proprio quando mi misi a sedere, scoppiò a ridere facendomi saltare sul posto. Sgranai gli occhi mentre lo vedevo sbellicarsi dalle risate, del tutto incurante del mio sguardo incredulo. Ero ancora a bocca aperta, letteralmente, quando dopo 3 minuti buoni – che sono interminabili, e anche piuttosto irritanti, se stai fissando uno che si piega in due dalle risate -  si accorse di me e cercò di tornare serio, aiutandosi con una mano davanti alla bocca e tentando di soffocare un ghigno.

Avrei tanto voluto chiedergli spiegazioni, ma ero ancora immobile, troppo scioccata per elaborare un pensiero coerente. Così aspettai che parlasse lui.

Quando sembrò calmarsi del tutto finalmente aprì bocca.

“Scusami” disse ancora con il sorriso sulle labbra e tornò a concentrarsi sul copione.

COSA?!?! Tutto lì?! Quelle erano le sue spiegazioni? Mi stava facendo andare fuori di testa e proprio non riuscivo a sopportarlo.

“Tutto qui?” chiesi aspettandomi una risposta che non arrivò. Si limitò a scrollare le spalle. Ormai sembrava totalmente tranquillo, come se la mia sfuriata gli avesse tolto un pesante macigno dalle spalle, come se il mio imbarazzo avesse ripagato il suo ed ora non ce ne fosse più bisogno. Così continuai.

“Insomma, io mi metto in ridicolo esponendo le mie preoccupazioni,  alquanto sciocche aggiungerei, tu mi scoppi a ridere in faccia e tutto quello che sai dire è ‘Scusami’?”. La situazione mi sembrava ancora più assurda mentre la esponevo ad alta voce.

Fece di nuovo spallucce. “Beh, devi ammettere che era una scenata piuttosto comica” disse ridendo fra se e se.

Non potevo crederci! Si stava prendendo gioco di me! Non era possibile. Non ero diventata pazza. Quello che avevo notato era vero. Non avevo immaginato tutto. Non mi ero fatta i film in testa. Qualcosa che non andava c’era, e me l’avrebbe detto!

Così mi feci forza cercando di non sprofondare nell’imbarazzo.

“Vuoi dire che non c’era niente di vero in quello che ho detto?” chiesi sfrontata e a testa alta.

Improvvisamente cambiò espressione e soffocò una risata che stava per nascere. Dovevo averlo preso alla sprovvista, perché non rispose subito, si limitava a fissare il tavolo pensando probabilmente alle parole giuste con cui affrontare l’argomento.

Alla fine parlò. “Beh, non esattamente” Ammise.

“AH AH! Lo sapevo” pensai trionfante, ma dal suo sguardo capii che probabilmente avevo pensato ad alta voce…

“Cosa?” chiese subito.

“Cosa cosa?” ribattei io.

“Cosa sapevi?” chiese confuso da quello strano diverbio.

Si! Avevo pensato ad alta voce. Che idiota! Iniziai a rimediare..

”Beh, sapevo che c’era qualcosa che non andava” risposi sincera e vedendolo annuire continuai “Solo che ancora non so cosa…” conclusi sperando di ottenere le risposte che cercavo.

Finalmente iniziò a spiegarmi lasciandomi senza parole.

“Beh, tanto per iniziare, per il ruolo di Edward pensavo fosse imbarazzante anche solo presentarsi ai provini. Quando leggi la sua descrizione, cadi a terra. Nel senso che Edward è troppo bello per essere vero. Voglio dire, ti presenti alle audizioni e dici: "Hey! Penso di essere perfetto per questo ruolo!” disse tra lo sconforto e l’ironia.

“Non credi di esserti meritato il ruolo?” chiesi confusa.

“Non so se sono quello giusto”

“Questo lascialo decidere a Catherine” dissi cercando di consolarlo “…e a me” aggiunsi sperando che quel particolare lo avrebbe aiutato ad acquistare un po’ di fiducia.

“Che vuoi dire?” chiese alzando gli occhi.

“Beh, prima di te quel giorno e molti altri giorni prima avevo fatto audizioni con un mucchio di ragazzi, ma quando sei entrato tu ho capito subito che eri quello che stavamo cercando”. Mi sorrise e continuai.

“Non so se fosse perché eri nervoso ma avevi un modo di parlare, molto dolce e gentile, come se provenissi da un’altra epoca” non si perse il mio riferimento al copione e mi sorrise. Ricambiai e continuai. Sentivo che ero sulla strada giusta.

“E poi sembravi così…intimidito. Ed è davvero un’ottima sensazione. Prima di iniziare un film, bisogna essere intimiditi, impauriti. Credimi, io lo so.” Finii così il mio monologo e inaspettatamente alzò il viso e i suoi occhi incontrarono i miei, sinceri come la prima volta che li avevo visti.

“E poi c’eri tu…” disse sottovoce.

Non sapevo trovare un senso a quello parole, ma non ce ne fu bisogno. Mi chiarì tutto subito dopo.

“Sapevo che l’audizione era con te, ma non sapevo cosa aspettarmi” confessò. “Leggendo il copione pensavo che io avrei dovuto essere una roccia e tu estremamente vulnerabile, mentre invece, è stato il contrario.

Tu eri quella forte e io l’idiota che non sapeva che fare” sospirò affranto. Come poteva dubitare di se stesso così? Sentirlo parlare in quel modo insicuro e vederlo così vulnerabile mi chiarì le idee e non potei essere più felice di constatare che avevo fatto la scelta giusta e che tutte le preoccupazioni erano infondate.

“È questo che mi ha attratto di te” dissi fissandolo dritto negli occhi, sperando che dal mio sguardo carpisse tutta la sincerità con cui avevo detto quelle parole. Quando mi accorsi che ormai ci stavamo fissando già da qualche secondo, abbassai il viso e sciolsi il ghiaccio.

“Quindi tutto sommato, il tuo problema è solo un po’ di insicurezza…” dissi cercando di sdrammatizzare il tutto, ma la sua risposta mi prese alla sprovvista.

“Oh, è molto di più di questo” disse serio, con gli occhi ancora fissi sul mio viso.

Distolsi lo sguardo decisa a non cercare un senso a quelle parole e vedendo il copione ancora aperto a pagina 37 lo presi e gli diedi un colpetto in testa. “Bene!” dissi felice. “Ora che è tutto chiarito, possiamo cominciare”. Sorrise e scuotendo la testa divertito dal mio umore si concentrò sul copione e riprendemmo da dove avevamo lasciato.

La tranquillità che aveva raggiunto dopo quella strana chiacchierata era piacevole e fu estremamente facile concentrarsi sulle battute. Tutto era di nuovo naturale. Tutto era di nuovo semplice. Leggemmo il copione un paio di volte, senza interruzioni, concentrandoci sui personaggi, aggiungendo qualche battuta, improvvisando qualcosa. Procedevamo sulla stessa lunghezza d’onda, con una tale complicità da fare invidia a Stanlio e Olio, o Regis e Kelly o qualsiasi coppia con un buon affiatamento. L’unica differenza era che noi ci conoscevamo da due ore scarse. Mi sentivo bene.

Verso le undici, dopo aver letto il copione per la terza volta, guardammo entrambi l’orologio.

“Pausa?” chiedemmo all’unisono e scoppiammo a ridere.

“Vado a preparare un po’ di caffè” dissi stiracchiandomi per sgranchire un po’ i muscoli.

“Già fatto” disse mia madre trionfante entrando in salone e venendomi incontro con una teiera e due tazze. La adoravo.

“Wow! Che efficienza!” dissi aiutandola.

“E poi non dire che sono una palla” disse facendomi l’occhiolino.

Ma perché usava quel linguaggio? Voleva sembrare alla moda?

“Mamma” la interruppi strizzando gli occhi “Ti prego” feci una pausa “Quando fai così mi spaventi” conclusi alzando gli occhi al cielo mentre lo sentivo soffocare quella risata ormai anche fin troppo familiare. Mia madre mi guardò in cagnesco e con un risolino se ne andò.

Gli versai un po’ di caffè nella tazza.

“Grazie”.

Scossi la testa. “Continuiamo?” chiesi, ma sembrava distratto e di tutta risposta arricciò il naso e si concentrò su qualcosa che stava al mio polso.

“Questo cos’è?” chiese indicando il braccialetto rosso che avevo al polso.

“Oh, niente. Solo un regalo…” dissi pensando a Michael.

Annuì leggermente e con estrema lentezza. “Un pegno d’amore?” stuzzicò.

 “Qualcosa del genere”. Ma non si dava per vinto.

“Allora, lui dov’è?”

 “Beh, ora è a New Orleans, a girare un film”.

Sembrava sorpreso. “Ah, è un attore anche lui?”

“Già” annuii. “In realtà è così che ci siamo conosciuti, sul set di un film…” e così mi trovai a raccontargli la nostra storia, come ci eravamo conosciuti e come eravamo cresciuti insieme per poi innamorarci.

“Quindi è l’unico ragazzo che hai avuto?” chiese dopo il mio racconto in modo leggermente sfacciato.

Rimasi un po’ disorientata e alla fine risposi: “Beh, si…”

Mi sembrò tirare un sospiro di sollievo e notando che l’avevo visto cambiò subito argomento.

“Ah, ehm, così…tu reciti già da molto” non sembrava proprio una domanda ma risposi lo stesso.

“Si, beh, non è stato molto semplice”.

“Che vuoi dire?”

Iniziai a frugare nel passato mettendo un po’ di ordine.

“Come hai iniziato?” chiese incuriosito.

“Beh, in realtà la mia è una tipica storia hollywoodiana. Mi ha notata un talent scout durante una recita scolastica e ho fatto qualche piccola comparsa in un paio di film”.

“Primo lavoro?”

Mi misi a ridere a quella domanda. “Ehm, beh, per il mio primo lavoro ho fatto una ragazza che lancia un anello in Flinstones viva Rock Vegas” pensando alle mie parole scoppiai a ridere e lui con me.

“Ma dai!!” disse incredulo.

“Già..” confermai scuotendo la testa.

“E poi?”

“Ho iniziato a fare molti provini, tante audizioni, ma ero sempre scartata per il film da bambini perché…” feci una pausa “…beh, perché a quanto pare..ero troppo seria e per niente divertente” risi di nuovo e con un accenno mi esortò a continuare. “Proprio quando stavo per rinunciare, feci un ultimo provino. Non volevo nemmeno farlo in realtà, ero troppo scoraggiata. Ma mia madre insistette dicendo che sarebbe stato l’ultimo. Così mi presero per una piccola parte e, guarda caso, avrei dovuto interpretare un maschiaccio.

“Il mio primo grande lavoro è stato Panic Room. Da lì in poi le cose sono andate meglio. Ottenevo ruoli sempre un po’ più importanti. Il primo ruolo da protagonista l’ho avuto in Speak, poi ho fatto un horror e poi,beh, per lo più piccole parti. Mi piace fare film indipendenti. Sai, quel genere di film con una trama strana, un po’ criptici, che nessuno va a vedere…” accennai una risata.

Annuì divertito.

“Poi ho avuto una parte in Into the wild”. A quel punto alzò il busto di scatto e come incantato disse: “Si, ti ho vista in quel film! Sei stata grande!” lo fissai con gratitudine “E poi, hai una bellissima voce”. disse e capii dal suo tono di voce che era sincero.

“Ehm…grazie..” fu tutto ciò che riuscii a dire.

“Allora ti piace la musica?” chiese.

“Oh si! Non riuscirei a vivere senza”

“Che genere ti piace?”

“Beh, un po’ di tutto ma soprattutto genere tra il punk e il rock”.

“Gruppo preferito?”

Sbuffai pensando alla risposta “beh è difficile da dire. Sono cresciuta coi Beatles, i Queens, quindi…”.

“Ascoltiamo praticamente la stessa musica” disse sorridendo

“E tu?”

“Oh, io sono un fan ossessionato di Van Morrison”.

Annuii.

“Ti piace?” continuò.

“Mmm, non sono una fan sfegatata, ma non mi dispiace” dissi sincera.

“Forse perché non hai ascoltato i suoi pezzi migliori. Un giorno ti porterò uno dei suoi album. Cambierai idea”.

“Ok” dissi.

“Suoni?” continuò con le sue domande. Mi sentivo una cavia da laboratorio, ma era piacevole parlare con lui e conoscerlo un po’ meglio, anche se fino ad allora non avevamo fatto altro che parlare di me.

“Beh, si, più o meno, ma solo per conto mio”.

“Cosa suoni?”

“Un pò la chitarra” dissi cercando di sembrare modesta. “E tu?” chiesi subito per evitare una nuova domanda che mi riguardasse.

“Anche io un po’”.

“Chitarra?”

“…e pianoforte”.

“Sei bravo?” chiesi cercando di spostare l’attenzione su di lui, ma fu inutile.

“Me la cavo” rispose e subito continuò. “Libro preferito?”

Sbuffai un po’. “East of eden” risposi pronta.

“Perchè?”

Per quanti sforzi facessi non riuscivo a fermare quel fiume di domande e tanto meno a non rispondere. Era più forte di me.

“Beh, è essenziale. Ci sono quattro generazioni e tu vedi crescerle, vedi i figli e poi i figli dei figli in un intreccio così…epico”. Notai che mi fissava con uno sguardo un po’ interrogativo. “Non so perché, ma è il mio libro preferito” dissi quasi per giustificarmi.

“Quando sei nata?” chiese subito.

Iniziavo un po’ a stancarmi della sua capacità di monopolizzare il discorso.

“Perché tutte queste domande?” chiesi infine.

“Credevo che lo scopo della serata fosse conoscerci meglio” rispose come se la mia domanda fosse stupida.

“In realtà lo scopo della serata era provare il copione…” gli ricordai.

“L’abbiamo fatto” disse subito soddisfatto.

“E quando abbiamo deciso che lo scopo fosse conoscerci meglio…?”

“Era sottinteso, Kris!”. Era la prima volta che mi chiamava così e non so perché ma sentirlo abbreviare il mio nome come due vecchi amici mi fece piacere.

“Ma in ogni caso stai monopolizzando il discorso, Rob!” risposi a tono e ridemmo insieme.

“Sul serio” continuai “Stiamo parlando solo di me. Già sai più di quanto sia lecito su di me e io non so ancora niente su di te”.

“Questo non è vero..” disse cercando di eludere i miei tentativi di ribellione.

“Il fatto che fumi non c’entra” risposi acida.

“Oh” soffocò una risata. Sospirai ancora incredula del rapporto che si stava pian piano instaurando tra noi. Era stato incredibilmente semplice iniziare a conversare, così naturale che non mi ero nemmeno accorta di essermi sposata sulla sedia accanto a lui. Quando l’avevo fatto? Forse dopo avergli versato il caffè? Forse durante una delle sue tante domande? Non riuscivo a ricordare, ma non importava.

“Avrai tempo per le tue domande” disse infine. “Ora rispondi”.

Era una guerra persa in partenza. Inutile cercare di ribellarsi.

“9 Aprile 1990” sospirai.

Sentii il suo respiro diventare incredulo. “Ancora non posso crederci che tu abbia solo 17 anni”.

“In che senso?” chiesi anche se sapevo di che parlava.

“Sembri molto più grande” semplificò le cose.

Quello che mi aspettavo. “Si, me lo dicono in molti”.

“E non solo fisicamente” continuò. “ora che ti conosco meglio…” notai come sottolineò la parola conosco per darle più enfasi.. “devo dire che sei molto più matura di molte ragazze della tua età”.

“Ho già sentito anche questa..” dissi un po’ seccata.

“Ti scoccia che sia così?” chiese probabilmente notando il mio umore.

“No, non proprio. è solo che...ho sempre l’impressione che la gente mi veda per quella che non sono” tirai un sospiro e abbassai il viso “è stupido, lo so”

“No” disse portando un dito sotto il mento per alzarmi il viso. “Non lo è..”. i miei occhi si persero nei suoi e in quel momento ero in un altro posto. Lontano da tutti. Il mondo girava intorno e non mi sfiorava. Niente poteva toccarmi. Ero persa in quegli occhi così limpidi e sinceri, catturata da quel dito che mi sfiorava, quando sembrò rendersi conto del suo gesto e si ritrasse improvvisamente.

Lo vidi passarsi una mano tra i capelli un po’ frustrato e con grande sorpresa mi accorsi che stavo facendo lo stesso.

“Prossima domanda!” dissi cercando di sciogliere la tensione.

Così andammo avanti per un bel po’, forse un’oretta o due: lui chiedeva e io rispondevo.

“Allora…spese di natale: organizzati o all’ultimo momento?”

“All’ultimo momento!”

“Regali di compleanno: sorpresa o devi saperlo?”

“Ehm, sorpresa”

“Cibo in scatola o torta di zucca?”

“Ma che razza di domanda è?” dissi con la voce un ottava sopra.

“Rispondi” canticchiò.

“Cibo in scatola” sbuffai rispondendo a quell’assurda domanda.

“Insalata o big mac?”

“Big mac! Decisamente!”

“Cioccolato o vaniglia?”

“Cioccolato”

“Latte o panna?”

“Panna”

“Zucchero o miele?”

“Zucchero”

“Natale o Halloween?”

“Natale”

Domande di ogni genere. Allergie, primo bacio, animali preferiti, libri, serie televisive, colore, cibo, taglio di capelli…non ne potevo più! Probabilmente rispondevo a caso. Avevo il cervello fuso e non potei controllare uno sbadiglio.

“Sarà meglio che ti lasci dormire. Chiamo il taxi.” disse  lasciando a metà una domanda che non avevo sentito.

“No davvero, non importa!” ero stanca, si, ma non volevo che andasse via. Era stranamente piacevole rispondere a quelle domande stupide e veloci.

“Kristen” disse il mio nome intero stavolta. “Sono le tre di notte” aggiunse calmo, prima di attaccare il telefono.

“Cosa?!?!?!” strillai e mi tappò subito la bocca con una mano.

“Sssssh! Non vorrai svegliare tutti!” bisbigliò togliendo la mano dalle labbra. Rimasi un po’ interdetta, ma ero troppo stanca per dire qualcosa che avesse senso.

“Ora va a dormire. Ci vediamo domani?” chiese speranzoso.

“Stesso posto stessa ora?” chiesi in risposta.

Annuì sorridendo e l’accompagnai alla porta.

“Beh allora a domani Kris” disse uscendo dalla porta.

“Notte!” risposi semplicemente mentre gli diedi una pacca amichevole sulla spalla e si allontanò.

“E domani sarà il mio turno!” gli dissi cercando di urlare abbastanza per farmi sentire da lui ma non troppo da svegliare tutto il vicinato.

Mi fissò, non capendo. “Per cosa?”

Ovvio! “Le domande” dissi trionfante e con “Notte” chiusi la porta dietro di me, mi buttai sul divano del salotto e pensando alla serata capii che quello era l’inizio di una bella amicizia, ne ero certa, e desiderai che la notte dopo sarebbe stata altrettanto piacevole. Alla fine mi abbandonai alle braccia di Morfeo.

 

So che prima o poi passerà stasera

e che tutto ritornerà com'era.

Sarebbe bello…

durasse almeno mezz'ora

 

   
 
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