Chapter 5
Love
only matters, when it comes to the end (pt1)
All
I want is that you love me
as I am
La
sera dopo un concerto sono solitamente agitato e
il sonno arriva sempre con fatica. Ma questa notte, non credo proprio
riuscirò
ad addormentarmi.
Sono
sdraiato sul letto, nella mia camera
d’albergo, fissando il soffitto in cerca di chi sa quale
risposta.
Le
note di una canzone dei Led Zeppelin scivolano
piano nelle mie orecchie, ma non sono in grado di porvi attenzione.
Solo la sua
voce riempie la mia mente.
Una
parte di me ha continuato a sperare, che un
giorno, anche se lontano, l’avrei rivista.
Ma
questa parte era ormai tanto piccola da non
avere più realmente potere di persuasione in me.
Ritrovarla
su quel palco a pochi passi da me,
perdermi ancora una volta nei suoi occhi, assaporare il leggero tocco
delle sue
mani sul mio viso è stato come morire e rinascere in una
sola volta.
Ripenso
al testo di quella mia canzone che è la sua
preferita: l’ho scritta molti anni prima di incontrarla,
eppure sembra fatta
apposta per la nostra storia. Forse era scritto nel nostro destino.
Probabilmente
non riesco ad addormentarmi perché ho
paura: paura che quando mi risveglierò, domani,
scoprirò che è stato solo un
sogno e dovrò ricominciare tutto, senza di lei.
Quando
tornerò ad aprire gli occhi, potrei anche
scoprire che lei se n’è di nuovo andata. Che me la
sono lasciata sfuggire
un’altra volta, senza averle detto quello che davvero provo
ancora adesso per
lei.
La
serata è passata troppo velocemente. Non
c’è
stata nessuna occasione per parlare, mi ripeto, ma la realtà
è che nessuno dei
due l’ha davvero cercata.
Quando
passi un mese in un centro di
riabilitazione, hai molto tempo per leggerti dentro. Ed io ho scoperto
di
essere un codardo.
Non ho
avuto il coraggio di seguirla quando è
fuggita. Ancora oggi non ho avuto il coraggio di affrontarla.
Lei
è tornata. Il destino mi ha regalato un’altra
occasione, magari soltanto a breve termine, e sto buttando tutto a mare
per
paura.
Stringo
i pugni, lasciando fluire dentro di me la
rabbia. La scossa di adrenalina mi spinge ad alzarmi: resto seduto a
lungo,
elaborando un piano folle e irrazionale per poterla raggiungere, per
risolvere
i nostri problemi, per rendere per una sola volta nella mia vita le
cose più
semplici. Prima che sia troppo tardi.
If
I
ran away, I'd never have the strength
To go very far
Canta
Madonna nelle mie orecchie, riuscendo a
raggiungere una parte del mio cervello ancora attiva. Basta scappare,
scappare
non serve a nulla.
Se
continui a fuggire dai tuoi problemi, prima o
poi inciamperai e questi ti sommergeranno. Come mi è
già successo d’altronde.
Sospiro,
spegnendo l’mp3. Mi piego sul letto,
recuperando la mia chitarra acustica appoggiata al comodino. Ho bisogno
di più
chiarezza, quella chiarezza che solo la musica è in grado di
darmi.
Pizzico
piano le corde, senza seguire un motivo
preciso. Lascio scorrere l’indice su un filo teso dopo
l’altro, senza sentire
dolore alle dita, perdendomi in quello strano gemito.
Poi,
all’improvviso, un altro suono. Un rumore più
forte, poco melodico, ma al tempo stesso dotato di un suo ritmo.
Ci
impiego qualche secondo per rendermi conto che
qualcuno sta bussando alla mia porta.
Abbandono
Sylvester tra le lenzuola, scivolando giù
dal letto e toccando con i piedi nudi il pavimento freddo della stanza.
Pregando
che Migè non sia stato colto da un altro
attacco di coliche come l’ultima volta, mi avvicino
rapidamente all’ingresso,
stringendo un po’ gli occhi, per prepararmi al prossimo
cambiamento di
luminosità.
Aperta
la porta, non sono sicuro che l’immagine
colta dal mio povero cervello stanco sia reale e non il frutto di
un’altra
illusione.
Forse
è soltanto un deja-vu: Elisa
è proprio davanti a me, un poco
tremante, insicura, con quello sguardo implorante, lo stesso che aveva
quella
notte di Maggio di un anno prima, quando era venuta a scusarsi per
azioni che
non avrebbe voluto commettere.
Ma non
è un semplice ricordo: il suo sguardo è il
medesimo, ma il suo volto è diverso, più maturo,
più deciso. Indossa ancora i
vestiti del concerto, coperta da un maglioncino nero troppo leggero:
per un
momento desidero rivederla con addosso i pantaloncini sbiaditi del suo
pigiama
e la sua canottiera di quel colore indefinito.
“Ciao
di nuovo” sussurra piano, la
testa piegata leggermente verso la spalla
destra.
“Buongiorno”
sorrido, dando una rapida occhiata al
mio orologio da polso che segna le 4 e mezza, minuto più,
minuto meno.
Le sue
guance prendono un po’ di colore, quando
ricambia il sorriso, imbarazzata “Scusa se sono venuta qui a
quest’ora. Ti ho
svegliato?” domanda, mordendosi un labbro.
Scuoto
la testa, rassicurandola: “No. Non riuscivo
a dormire” le confesso, osservando una ciocca di capelli che
le ricade
fastidiosa sopra ad uno dei suoi occhi a mandorla.
Come
se avesse intuito i miei pensieri, Elisa si
scosta indietro la frangia, con un gesto deciso: “Nemmeno io.
Forse perché,
come i fantasmi, non posso lasciare cose in sospeso”
Faccio
due passi indietro, spalancando la porta:
“Ti va di entrare?” le domando un po’
incerto, lasciandole libero il passaggio.
Lei
annuisce, senza parlare.
Quando
mi passa accanto il suo profumo torna a
colpire le mie narici, ancora più forte che quella sera
stessa. Allungo una
mano per accendere la luce nella stanza, ma Elisa mi ferma, sfiorando
la mia
mano.
“No,
aspetta” mi intima, ed io ubbidisco. La guardo
mentre si avvicina rapida alla finestra, scostando le tende.
La
luce del mattino si posa su di lei dolcemente,
quasi avesse timore di sciuparla.
“Così
è meglio, non pensi?” mi domanda con quella
sua adorabile ingenuità, mentre lascia scivolare lo sguardo
sui fiori colorati
del giardino.
“Certo”
le concedo, rimanendo fermo davanti alla
porta.
Potrei
restare anche ore immobile a guardarla,
senza bisogno di parole. Siamo stati lontani così tanto,
è come se desiderassi
riprendermi tutto il tempo perduto, tutto il tempo in cui non ho potuto
tenere
il mio sguardo fisso sui suoi capelli d’ebano, sulle linee
morbide del suo
corpo.
Intraprendente
come sempre, si sposta verso il
letto, accomodandosi sul bordo.
“Hei
Bellissima” bisbiglia alla mia chitarra, lo
stesso sorriso dolce che le avevo visto rivolgere alla piccola Olivia,
come se
sentisse che anche quell’oggetto di legno e metallo possiede
un’anima.
“Non
sei proprio cambiata allora” commento, andando
a raggiungerla. Mi siedo di fronte a lei, seguito dalla sua espressione
incuriosita.
“In
che senso?”
Allungo
le mani sullo strumento, mentre lei ritrae
per un riflesso involontario le sue. Fingo di non essermene accorto,
sollevando
la chitarra sul mio grembo: “Sempre convinta che il mondo sia
governato dal
gentil sesso. Bellissima? Il suo nome è Sylvester”
la informo, lasciando
scorrere le dita sulle corde “Non è una
lei”
La
mora scoppia a ridere, incapace di trattenersi:
“Non volevo offenderla. Cioè, offenderlO”
“E’
una chitarra molto permalosa, ma potrebbe anche
perdonarti” la rassicuro, prima di appoggiare lo strumento in
questione per
terra, contro il comodino.
Lei
decide di stare al gioco: “Che cosa dovrei
fare?”
“Rimangiarti
quella famosa frase” rispondo
semplicemente, per stuzzicarla. Per constatare se anche per lei
quell’anno
trascorso è come se non fosse mai davvero passato.
“Oh”
sospira, alzando le spalle “Allora temo di
essermi fatta un nemico. Non posso proprio rimangiarmi nulla. Le donne
governano
il mondo, affermare il contrario sarebbe una bugia”
Le mie
labbra si aprono in un sorriso di vittoria,
nonostante, ancora una volta, abbia perso la battaglia dei sessi. Ma
lei
ricorda, ricorda ancora.
“La
conservo ancora sai?” mormora d’un tratto, con
un tono diverso, non più ironico né pungente
“La maglietta che mi autografasti
quella notte. Non ho mai avuto il coraggio di disfarmene”
Ogni
segno di esultanza scompare dal mio viso.
Resto in silenzio, incerto su cosa rispondere, gli occhi bassi sulle
sue mani
che ricalcano nervosamente le decorazioni geometriche della coperta.
“Tu…”
aggiunge poi timidamente, forse facendo uno
sforzo su se stessa “Tu l’hai buttata
via?”
Sollevo
di scatto il capo, incontrando i suoi
occhi: “No” esclamo, quasi indignato dalla domanda
“Certo che no”
Elisa
rimane un attimo scossa dalla mia reazione ed
io, rendendomene conto, arrossisco:
“Io…scusa…”
“Scusarti?
Di che cosa?” mi rimprovera dolcemente
“Non devi scusarti. E’
così…difficile, non è vero?”
mi domanda poi, con una risata
nervosa “Mi sento molto più piccola di quanto
già non sia. Ma forse non è una
questione di età, anzi: se fossimo dei bambini tutto questo
non sarebbe
successo…”
C’è
così tanta malinconia nel suo sguardo: mi
sembra di guardare in uno specchio. Ma la sua sofferenza brucia
più di una
qualunque ferita ricevuta direttamente.
Forse
è un gesto puerile, ma tento banalmente di
cambiare argomento.
“Dovremmo
prendere qualche lezione da Olivia”
Lei
sorride, quasi involontariamente: “Lei avrebbe
tanto da insegnare. Mi ha fatto così piacere rivederla. E
rivedere tutti quanti
voi. E
Mi
siedo meglio accanto a lei, incrociando le
gambe.
“Anche
questo mondo ha sentito la tua mancanza. Ma
ho sentito che ti sei fatta valere anche lontano da qui”
“Hai
sentito?” inarca le sopracciglia, lanciandomi
un’occhiata che è un misto tra il divertito e
l’incredulo.
“Sì,
beh, io…” cerco di inventarmi una scusa su due
piedi, traballando sulle gambe di bugie troppo fragili “Linde
mi ha raccontato
qualcosa…cioè col viaggio e…”
Elisa
ha la pietà di fermare i miei deliranti
tentativi: “E con Arianna parlavi degli uccellini che
cinguettavano sugli
alberi e dei gatti che miagolavano ai passanti”
La
guardo spalancando le palpebre e arrossendo,
mentre un poco di risentimento mi invade: “Te lo ha
detto?”
Scuote
la testa e il suo sguardo disilluso, venato
di matura ironia, la rende ancora una volta troppo grande per la sua
età: “No,
non me lo ha detto lei. Ma quando mi ha confessato di essere rimasta in
contatto con Linde tutto questo tempo, ho capito che la stessa cosa era
successa con te” fa una piccola pausa, stirando le gambe,
perdendo lo sguardo
lontano, per poi riposarlo su di me “E in realtà
una parte di me l’ha sempre
saputo”
Continuo
a fissarla senza parole, senza capire
“Sì,
io sapevo” sembra che parli più a se stessa
che a me “Povera Ri, le persone nascondono la testa sotto la
sabbia, come gli
struzzi. Crediamo di fare la cosa giusta, e non vogliamo che nessuna
causa
esterna possa contraddire la nostra debole convinzione. L’ha
fatto lei, l’ho
fatto io. Ma le mie ragioni erano molto meno nobili”
“Quindi…”
domando, piegandomi su me stesso, ancora
più confuso “Tu sapevi…”
“No”
mi contraddice e al contempo contraddice se
stessa “Io non sapevo nulla. Non ho mai voluto sapere nulla.
Né da lei, né dai
giornali, né da internet. Nella mia testa tu stavi bene,
felice, insieme alla
donna che amavi veramente”
Dopo
quella frase, un silenzio terribile cade tra
di noi, ma è solo un silenzio apparente, che non fa altro
che rendere la
situazione più insopportabile, mentre la stanza trema per la
tensione.
“Tu
non volevi tornare” sono io il primo a parlare,
e non c’è nota interrogativa nella mia
affermazione. Il dolore, in un sistema
malato di autodifesa, si tramuta passo passo in rabbia “Tu
non vorresti essere
qui”
Lei
rabbrividisce, stringendosi le spalle con le
braccia “Non è così. E’ molto
più…”
“Difficile?”
la anticipo, in un misto di scherno e
frustrazione “Non fai che ripeterlo”
Annuisce,
e poi scuote il capo: “Vorrei poter
trovare qualcosa di diverso da dire. Ma è davvero complicato
per me, Ville. Su
una cosa forse hai ragione, ero convinta che non sarei tornata. Non
sono pronta
per tutto questo. Non lo sarò mai”
Si
lascia andare ad un sospiro, scostandosi con un
gesto deciso la solita ciocca di capelli.
“Ci
sono storie che leggi nei libri, così
melodrammatiche da farti bagnare le pagine di lacrime. E poi accade
qualcosa,
nella tua stessa vita” i suoi occhi brillano, il nero
sovrasta i contorni
appannati della stanza “Che è molto più
di quanto avresti mai potuto
immaginare. Ma forse il nostro problema è sempre stato che
la nostra” si ferma
un attimo, insicura delle parole da usare
“storia…non è mai stata davvero
reale. E’ stato un sogno. E doveva finire”
“Questa
è una cazzata” la smentisco, alzando la
voce, senza riuscire a trattenermi “E’ sempre stata
una tua stupida idea, sin
dall’inizio. Come puoi dire che non sia stato vero quello che
c’è stato tra
noi?”
“Oh,
andiamo” ribatte, senza farsi intimidire per
un solo istante “La fan anonima e normalissima e la rock star
bella e famosa? E’
una cosa irreale, da film!”
“Ed
io sono solo questo?” ciò che mi esce dalle
labbra è poco più che un sussurro questa volta
“La rock star, il frontman di
una band? Pensavo di essere anche una persona. Credevo, o forse mi ero
illuso,
che fossi andata oltre quella facciata e che provassi qualcosa per me e
non per
l’idea di Ville Valo”
Si
morde le labbra, trattenendo il respiro per un
momento. Trattenendo le lacrime.
“Non
è quello che intendevo” mi dice con voce rotta
“Lo sai che…”
“Lo
so? No, non lo so” la interrompo bruscamente
“Ed è proprio quello che hai detto
adesso”
Elisa
scuote la testa, stringendo tra le dita un
lembo di coperta, fin quasi a farsi male. Poi si alza di scatto dal
letto,
spinta da un irresistibile impulso di scappare, ancora una volta.
So
già che non la lascerò andare, e forse lo sa
anche lei stessa, perché dopo pochi passi si ferma e resta
in piedi, immobile.
E’ rivolta verso la finestra, ma anche dal profilo del suo
corpo, dalle sue
spalle, riesco a capire che sta tremando.
“Non
era quello che intendevo” ripete ancora, e
ogni sillaba porta ancor più sofferenza.
Scivolo
anch’io giù dal letto e lentamente la
raggiungo. Le tocco la spalla destra e faccio scorrere piano la mia
mano lungo
tutto il suo braccio, fino a prendere la sua e costringerla a voltarsi,
con più
delicatezza possibile.
Non
oppone alcuna resistenza, ma tiene la testa
bassa, il viso rigato di lacrime.
“Ti
prego” la supplico “Guardami in faccia”
Sento
che non vorrebbe ubbidire alle mie parole, ma
reprime l’orgoglio e posa i suoi occhi grandi su di me.
Davanti
a quello sguardo inquieto e triste, sono io
a voler fuggire. Ma so che senza spiegazioni non si potrà
mai risolvere nulla.
Paura,
distanza, vergogna, fierezza. Quanti ostacoli
da lasciare indietro per rimettere a posto i tasselli di un puzzle.
“Io
sono un uomo come gli altri, forse solo più
spaventato e insicuro di altri, che ha incontrato una persona che ha
sconvolto
completamente la sua vita, le sue convinzioni, i suoi tabù.
Dopo essere stato
ferito più di una volta, ho abbassato le mie difese molto
prima di quanto avrei
potuto credere possibile, e tutto ciò che chiedevo era di
essere amato per
quello che semplicemente sono, per i miei difetti e non per il mio
nome”
Cerca
di ribattere, ma io la fermo, accostando un
dito all’angolo della sua bocca: “E non credo
davvero quello che ho detto, non
credo che tu sia rimasta attaccata alla fama, l’ho capito dal
nostro primo
incontro. Mi sono fidato dal nostro primo incontro. Ma tu non hai mai
davvero
avuto fiducia in me. E non c’è amore senza
fiducia”
Una
nuova lacrima scorre veloce, sfiorando la mia
mano che Elisa scosta con un gesto deciso.
“E
quando ho provato a fidarmi?” grida d’un tratto,
colpendomi il petto “Cosa è successo? Non posso
fidarmi di nessuno. Ogni volta
che cedo, sono respinta”
“Non
avrei mai voluto farti del male”
“Ma
lo hai fatto!” geme, scuotendo la testa “Con
quel bacio hai distrutto speranza e fiducia, in me stessa e in una
storia senza
futuro” Si allontana di nuovo, facendo qualche passo, avanti
e indietro: “Ed io
non ti incolpo di avermi tradito, non è stato quello il
problema. Io sapevo che
non avrei dovuto lasciarmi andare, che il tuo affetto era sincero, ma
che il
tuo cuore apparteneva ad un'altra. E forse è stato meglio
così, che arrivasse
così presto e che mi levassi di scena prima di perdere
completamente ogni
possibilità di scampo”
Si
muove troppo in fretta, non riesco a fermarla.
Si muove e parla così rapidamente da non avere quasi il
tempo di respirare: “E
pensavo di aver fatto la cosa giusta. Ho abbandonato il mio egoismo, ho
messo
davanti la tua felicità. E ho sofferto per un fottutissimo
anno. Per poi
scoprire che è stato tutto inutile”
Si
blocca all’improvviso, dandomi una spinta,
colpendomi con la forza di un dolore e una rabbia soppressi per
così tanto
tempo: “Io ti odio, ti odio per questo. Perché non
sei rimasto con lei? Perché?
Perché quando hai ottenuto finalmente ciò che
volevi te lo sei lasciato
scappare?”
Aspetto
che sfoghi tutta la sua collera, fin quando
le grida non si trasformano in pianto e singhiozzi, immobile,
accogliendo ogni
pugno ad occhi chiusi, moltiplicandolo nel mio animo, detestandomi
ancora per
averla fatta soffrire. Non riesco però a tacere a lungo: le
afferrò i polsi, la
attiro a me e la stringo, incurante delle sue proteste e i suoi
tentativi di
liberarsi.
“Perché
non era ciò che volevo davvero” le sussurro
all’orecchio, cercando di rassicurarla al contempo
“Anche io ho tentennato: ho
dubitato che la nostra relazione potesse avere un futuro. Tu eri
così giovane,
come lo sei anche ora, ed io non potevo rubarti la tua vita,
offrendotene in
cambio una piena di incognite, continuamente invasa da problemi e
interferenze.
E proprio quando ho ero più turbato è arrivata
Tarja, cogliendomi di sorpresa.
Per pochi attimi ho pensato che quello fosse un segno, un indizio per
farmi
capire quale piega doveva prendere la mia vita. E forse è
stato proprio così:
ma quel bacio a tradimento che il fantasma del mio passato mi ha
strappato
quella notte, mi ha spinto su una strada totalmente opposta a quella
che
pensavo. Con quel bacio ho compreso che, per quanto Tarja avesse un
posto
importante nel mio cuore, perché negarlo sarebbe una bugia,
quello che provavo
per te era diverso e molto più forte. Quel bacio mi ha fatto
capire ciò che già
sapevo, ma che non avevo il coraggio di affrontare: che ti amavo e che
eri
l’unica persona in grado di completare questo mio stupido
cuore malato”
Elisa
è ora immobile tra le mie braccia: ormai non
grida più, né cerca di divincolarsi, non ne ha
più le
forze. Continua a tremare e la sento così
fragile, ho la sensazione che se allentassi anche di poco la presa,
potrebbe
scivolare e infrangersi, come una statua di cristallo.
“Ma
tu sei scappata via prima che potessi spiegare
ed io sono stato così stupido da non provare a fermarti
davvero. Nella mia vita
ho scelto sempre la strada meno complicata e ho perso. E adesso forse
è troppo
tardi?” mormoro piano, stringendo più forte,
assaporando il suo profumo.
Non
c’è risposta alla mia domanda, solo un silenzio
assassino e assordante.
“E’
troppo tardi?” ripeto in un lamento, senza
riuscire a staccarmi da lei, senza riuscire a incontrare i suoi occhi,
per paura
di trovarvi ciò che più temo.
E’
lei ad allontanarsi, traendosi lentamente fuori
dal mio abbraccio. Allunga una mano per sfiorare il mio mento, posa le
dita sui
miei occhi, non mi permette di guardare il suo volto, cancella le
lacrime che
non mi sono nemmeno accorto di versare.
“Io
non lo so”
Sposta
la mano tra i miei capelli ed incrocio, alla
fine, le sue iridi di petrolio: “Pensavo che venendo qui
avrei trovato la
risposta, ma ho scoperto invece un’altra verità.
Hai ragione tu: è sempre stata
una questione di fiducia. Forse non sono capace ad amare. Io non sono
capace a
fidarmi di nessuno. E’ colpa mia”
“Non
era certo darti la colpa il mio intento. Io…io
ero arrabbiato, non volevo dire quelle cose…”
cerco di spiegarle, ma lei scuote
la testa.
“No,
hai ragione. E’ la verità. Se io fossi stata
in grado di fidarmi non sarei scappata via in quel modo, non mi sarei
nascosta
per un anno intero”
“E
adesso?”
Nessuno
di noi sa più cosa dire. Ci si da la colpa
a vicenda, ma non si raggiunge una soluzione. Non era così
che me l’ero
immaginato. No, non era così.
“Forse
dovrei tornare nella mia stanza” è Elisa
questa volta a rompere il silenzio, ma le sue parole portano nella
direzione
sbagliata.
“Ti
prego, resta ancora un po’ con me” la imploro,
sfiorando la sua mano “Non c’è bisogno
di parole, né di gesti. Voglio solo
averti ancora accanto, anche per poco”
Forse
mi sto facendo solo del male, ma non riesco a
sopportare l’idea di vederla uscire da un’altra
porta.
Sembra
tentennare per lunghi secondi, ma alla fine
acconsente, probabilmente solo per pietà. Ma non mi
interessa.
La
accompagno al letto, la guardo distendersi al
mio fianco in silenzio. Non la tocco, non la sfioro nemmeno,
né le domando di
girarsi nella mia direzione. Mi cullo ascoltando il suo respiro,
desiderando di
poter raggiungere almeno la sua anima. Pregando che quella non sia la
fine.
Hey
^^ Scusate il ritardo, è
stata una settimana strana!
Grazie
mille a chi ha letto
il capitolo precedente e soprattutto ad Ale e eupraxia per il commento.
Siete
dolcissime, come al solito!
Spero
che il capitolo vi sia
piaciuto! E se avete voglia di lasciare una recensione mi farebbe
davvero
felice!
Ci
siamo quasi!
Bacini