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Autore: AnAngelFallenFromGrace    29/09/2009    3 recensioni
Si dice che a volte ritornano. E questa volta il proverbio è verità anche per Elisa e Ville. E' passato più di un anno da quando la nostra protagonista è fuggita dalle braccia di Ville, dalla Finlandia e dal suo sogno ormai in frantumi, con il cuore spezzato, lasciando dietro di sè lacrime e preghiere. Tutto sembra dimenticato, i loro sentieri appaiono definitivamente separati. Ma è davvero tutto come appare?
"Ho paura. Ho una paura tremenda di aver trovato l’unica persona giusta per me e di essermela lasciata sfuggire, come sabbia tra le dita. Voler cambiare il passato è un desiderio inutile, quanto doloroso. I rimpianti non servono a nulla, se non ha rovinare il presente."
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter 5

 

Love only matters, when it comes to the end (pt1)

 

 

All I want is that you love me

as I am

 

 

La sera dopo un concerto sono solitamente agitato e il sonno arriva sempre con fatica. Ma questa notte, non credo proprio riuscirò ad addormentarmi.

Sono sdraiato sul letto, nella mia camera d’albergo, fissando il soffitto in cerca di chi sa quale risposta.

Le note di una canzone dei Led Zeppelin scivolano piano nelle mie orecchie, ma non sono in grado di porvi attenzione. Solo la sua voce riempie la mia mente.

 

Una parte di me ha continuato a sperare, che un giorno, anche se lontano, l’avrei rivista.

Ma questa parte era ormai tanto piccola da non avere più realmente potere di persuasione in me.

Ritrovarla su quel palco a pochi passi da me, perdermi ancora una volta nei suoi occhi, assaporare il leggero tocco delle sue mani sul mio viso è stato come morire e rinascere in una sola volta.

Ripenso al testo di quella mia canzone che è la sua preferita: l’ho scritta molti anni prima di incontrarla, eppure sembra fatta apposta per la nostra storia. Forse era scritto nel nostro destino.

 

Probabilmente non riesco ad addormentarmi perché ho paura: paura che quando mi risveglierò, domani, scoprirò che è stato solo un sogno e dovrò ricominciare tutto, senza di lei.

Quando tornerò ad aprire gli occhi, potrei anche scoprire che lei se n’è di nuovo andata. Che me la sono lasciata sfuggire un’altra volta, senza averle detto quello che davvero provo ancora adesso per lei.

La serata è passata troppo velocemente. Non c’è stata nessuna occasione per parlare, mi ripeto, ma la realtà è che nessuno dei due l’ha davvero cercata.

Quando passi un mese in un centro di riabilitazione, hai molto tempo per leggerti dentro. Ed io ho scoperto di essere un codardo.

Non ho avuto il coraggio di seguirla quando è fuggita. Ancora oggi non ho avuto il coraggio di affrontarla.

Lei è tornata. Il destino mi ha regalato un’altra occasione, magari soltanto a breve termine, e sto buttando tutto a mare per paura.

 

Stringo i pugni, lasciando fluire dentro di me la rabbia. La scossa di adrenalina mi spinge ad alzarmi: resto seduto a lungo, elaborando un piano folle e irrazionale per poterla raggiungere, per risolvere i nostri problemi, per rendere per una sola volta nella mia vita le cose più semplici. Prima che sia troppo tardi.

 

If I ran away, I'd never have the strength
To go very far

Canta Madonna nelle mie orecchie, riuscendo a raggiungere una parte del mio cervello ancora attiva. Basta scappare, scappare non serve a nulla.

Se continui a fuggire dai tuoi problemi, prima o poi inciamperai e questi ti sommergeranno. Come mi è già successo d’altronde.

 

Sospiro, spegnendo l’mp3. Mi piego sul letto, recuperando la mia chitarra acustica appoggiata al comodino. Ho bisogno di più chiarezza, quella chiarezza che solo la musica è in grado di darmi.

Pizzico piano le corde, senza seguire un motivo preciso. Lascio scorrere l’indice su un filo teso dopo l’altro, senza sentire dolore alle dita, perdendomi in quello strano gemito.

 

Poi, all’improvviso, un altro suono. Un rumore più forte, poco melodico, ma al tempo stesso dotato di un suo ritmo.

Ci impiego qualche secondo per rendermi conto che qualcuno sta bussando alla mia porta.

Abbandono Sylvester tra le lenzuola, scivolando giù dal letto e toccando con i piedi nudi il pavimento freddo della stanza.

Pregando che Migè non sia stato colto da un altro attacco di coliche come l’ultima volta, mi avvicino rapidamente all’ingresso, stringendo un po’ gli occhi, per prepararmi al prossimo cambiamento di luminosità.

Aperta la porta, non sono sicuro che l’immagine colta dal mio povero cervello stanco sia reale e non il frutto di un’altra illusione.

 

Forse è soltanto un deja-vu:  Elisa è proprio davanti a me, un poco tremante, insicura, con quello sguardo implorante, lo stesso che aveva quella notte di Maggio di un anno prima, quando era venuta a scusarsi per azioni che non avrebbe voluto commettere.

Ma non è un semplice ricordo: il suo sguardo è il medesimo, ma il suo volto è diverso, più maturo, più deciso. Indossa ancora i vestiti del concerto, coperta da un maglioncino nero troppo leggero: per un momento desidero rivederla con addosso i pantaloncini sbiaditi del suo pigiama e la sua canottiera di quel colore indefinito.

 

“Ciao di nuovo” sussurra piano,  la testa piegata leggermente verso la spalla destra.

“Buongiorno” sorrido, dando una rapida occhiata al mio orologio da polso che segna le 4 e mezza, minuto più, minuto meno.

Le sue guance prendono un po’ di colore, quando ricambia il sorriso, imbarazzata “Scusa se sono venuta qui a quest’ora. Ti ho svegliato?” domanda, mordendosi un labbro.

Scuoto la testa, rassicurandola: “No. Non riuscivo a dormire” le confesso, osservando una ciocca di capelli che le ricade fastidiosa sopra ad uno dei suoi occhi a mandorla.

Come se avesse intuito i miei pensieri, Elisa si scosta indietro la frangia, con un gesto deciso: “Nemmeno io. Forse perché, come i fantasmi, non posso lasciare cose in sospeso”

Faccio due passi indietro, spalancando la porta: “Ti va di entrare?” le domando un po’ incerto, lasciandole libero il passaggio.

Lei annuisce, senza parlare.

 

Quando mi passa accanto il suo profumo torna a colpire le mie narici, ancora più forte che quella sera stessa. Allungo una mano per accendere la luce nella stanza, ma Elisa mi ferma, sfiorando la mia mano.

“No, aspetta” mi intima, ed io ubbidisco. La guardo mentre si avvicina rapida alla finestra, scostando le tende.

La luce del mattino si posa su di lei dolcemente, quasi avesse timore di sciuparla.

“Così è meglio, non pensi?” mi domanda con quella sua adorabile ingenuità, mentre lascia scivolare lo sguardo sui fiori colorati del giardino.

“Certo” le concedo, rimanendo fermo davanti alla porta.

 

Potrei restare anche ore immobile a guardarla, senza bisogno di parole. Siamo stati lontani così tanto, è come se desiderassi riprendermi tutto il tempo perduto, tutto il tempo in cui non ho potuto tenere il mio sguardo fisso sui suoi capelli d’ebano, sulle linee morbide del suo corpo.

Intraprendente come sempre, si sposta verso il letto, accomodandosi sul bordo.

 

“Hei Bellissima” bisbiglia alla mia chitarra, lo stesso sorriso dolce che le avevo visto rivolgere alla piccola Olivia, come se sentisse che anche quell’oggetto di legno e metallo possiede un’anima.

“Non sei proprio cambiata allora” commento, andando a raggiungerla. Mi siedo di fronte a lei, seguito dalla sua espressione incuriosita.

“In che senso?”

Allungo le mani sullo strumento, mentre lei ritrae per un riflesso involontario le sue. Fingo di non essermene accorto, sollevando la chitarra sul mio grembo: “Sempre convinta che il mondo sia governato dal gentil sesso. Bellissima? Il suo nome è Sylvester” la informo, lasciando scorrere le dita sulle corde “Non è una lei”

La mora scoppia a ridere, incapace di trattenersi: “Non volevo offenderla. Cioè, offenderlO”

“E’ una chitarra molto permalosa, ma potrebbe anche perdonarti” la rassicuro, prima di appoggiare lo strumento in questione per terra, contro il comodino.

 

Lei decide di stare al gioco: “Che cosa dovrei fare?”

“Rimangiarti quella famosa frase” rispondo semplicemente, per stuzzicarla. Per constatare se anche per lei quell’anno trascorso è come se non fosse mai davvero passato.

“Oh” sospira, alzando le spalle “Allora temo di essermi fatta un nemico. Non posso proprio rimangiarmi nulla. Le donne governano il mondo, affermare il contrario sarebbe una bugia”

Le mie labbra si aprono in un sorriso di vittoria, nonostante, ancora una volta, abbia perso la battaglia dei sessi. Ma lei ricorda, ricorda ancora.

 

“La conservo ancora sai?” mormora d’un tratto, con un tono diverso, non più ironico né pungente “La maglietta che mi autografasti quella notte. Non ho mai avuto il coraggio di disfarmene”

Ogni segno di esultanza scompare dal mio viso. Resto in silenzio, incerto su cosa rispondere, gli occhi bassi sulle sue mani che ricalcano nervosamente le decorazioni geometriche della coperta.

“Tu…” aggiunge poi timidamente, forse facendo uno sforzo su se stessa “Tu l’hai buttata via?”

Sollevo di scatto il capo, incontrando i suoi occhi: “No” esclamo, quasi indignato dalla domanda “Certo che no”

 

Elisa rimane un attimo scossa dalla mia reazione ed io, rendendomene conto, arrossisco: “Io…scusa…”

“Scusarti? Di che cosa?” mi rimprovera dolcemente “Non devi scusarti. E’ così…difficile, non è vero?” mi domanda poi, con una risata nervosa “Mi sento molto più piccola di quanto già non sia. Ma forse non è una questione di età, anzi: se fossimo dei bambini tutto questo non sarebbe successo…”

C’è così tanta malinconia nel suo sguardo: mi sembra di guardare in uno specchio. Ma la sua sofferenza brucia più di una qualunque ferita ricevuta direttamente.

 

Forse è un gesto puerile, ma tento banalmente di cambiare argomento.

“Dovremmo prendere qualche lezione da Olivia”

Lei sorride, quasi involontariamente: “Lei avrebbe tanto da insegnare. Mi ha fatto così piacere rivederla. E rivedere tutti quanti voi. E la Finlandia. Mi è mancato tutto questo. Ormai era diventato un pezzo di me…”

Mi siedo meglio accanto a lei, incrociando le gambe.

“Anche questo mondo ha sentito la tua mancanza. Ma ho sentito che ti sei fatta valere anche lontano da qui”

“Hai sentito?” inarca le sopracciglia, lanciandomi un’occhiata che è un misto tra il divertito e l’incredulo.

“Sì, beh, io…” cerco di inventarmi una scusa su due piedi, traballando sulle gambe di bugie troppo fragili “Linde mi ha raccontato qualcosa…cioè col viaggio e…”

 

Elisa ha la pietà di fermare i miei deliranti tentativi: “E con Arianna parlavi degli uccellini che cinguettavano sugli alberi e dei gatti che miagolavano ai passanti”

La guardo spalancando le palpebre e arrossendo, mentre un poco di risentimento mi invade: “Te lo ha detto?”

Scuote la testa e il suo sguardo disilluso, venato di matura ironia, la rende ancora una volta troppo grande per la sua età: “No, non me lo ha detto lei. Ma quando mi ha confessato di essere rimasta in contatto con Linde tutto questo tempo, ho capito che la stessa cosa era successa con te” fa una piccola pausa, stirando le gambe, perdendo lo sguardo lontano, per poi riposarlo su di me “E in realtà una parte di me l’ha sempre saputo”

Continuo a fissarla senza parole, senza capire

 

“Sì, io sapevo” sembra che parli più a se stessa che a me “Povera Ri, le persone nascondono la testa sotto la sabbia, come gli struzzi. Crediamo di fare la cosa giusta, e non vogliamo che nessuna causa esterna possa contraddire la nostra debole convinzione. L’ha fatto lei, l’ho fatto io. Ma le mie ragioni erano molto meno nobili”

“Quindi…” domando, piegandomi su me stesso, ancora più confuso “Tu sapevi…”

“No” mi contraddice e al contempo contraddice se stessa “Io non sapevo nulla. Non ho mai voluto sapere nulla. Né da lei, né dai giornali, né da internet. Nella mia testa tu stavi bene, felice, insieme alla donna che amavi veramente”

 

Dopo quella frase, un silenzio terribile cade tra di noi, ma è solo un silenzio apparente, che non fa altro che rendere la situazione più insopportabile, mentre la stanza trema per la tensione.

“Tu non volevi tornare” sono io il primo a parlare, e non c’è nota interrogativa nella mia affermazione. Il dolore, in un sistema malato di autodifesa, si tramuta passo passo in rabbia “Tu non vorresti essere qui”

Lei rabbrividisce, stringendosi le spalle con le braccia “Non è così. E’ molto più…”

“Difficile?” la anticipo, in un misto di scherno e frustrazione “Non fai che ripeterlo”

Annuisce, e poi scuote il capo: “Vorrei poter trovare qualcosa di diverso da dire. Ma è davvero complicato per me, Ville. Su una cosa forse hai ragione, ero convinta che non sarei tornata. Non sono pronta per tutto questo. Non lo sarò mai”

Si lascia andare ad un sospiro, scostandosi con un gesto deciso la solita ciocca di capelli.

 

“Ci sono storie che leggi nei libri, così melodrammatiche da farti bagnare le pagine di lacrime. E poi accade qualcosa, nella tua stessa vita” i suoi occhi brillano, il nero sovrasta i contorni appannati della stanza “Che è molto più di quanto avresti mai potuto immaginare. Ma forse il nostro problema è sempre stato che la nostra” si ferma un attimo, insicura delle parole da usare “storia…non è mai stata davvero reale. E’ stato un sogno. E doveva finire”

“Questa è una cazzata” la smentisco, alzando la voce, senza riuscire a trattenermi “E’ sempre stata una tua stupida idea, sin dall’inizio. Come puoi dire che non sia stato vero quello che c’è stato tra noi?”

“Oh, andiamo” ribatte, senza farsi intimidire per un solo istante “La fan anonima e normalissima e la rock star bella e famosa? E’ una cosa irreale, da film!”

 

“Ed io sono solo questo?” ciò che mi esce dalle labbra è poco più che un sussurro questa volta “La rock star, il frontman di una band? Pensavo di essere anche una persona. Credevo, o forse mi ero illuso, che fossi andata oltre quella facciata e che provassi qualcosa per me e non per l’idea di Ville Valo”

Si morde le labbra, trattenendo il respiro per un momento. Trattenendo le lacrime.

“Non è quello che intendevo” mi dice con voce rotta “Lo sai che…”

“Lo so? No, non lo so” la interrompo bruscamente “Ed è proprio quello che hai detto adesso”

Elisa scuote la testa, stringendo tra le dita un lembo di coperta, fin quasi a farsi male. Poi si alza di scatto dal letto, spinta da un irresistibile impulso di scappare, ancora una volta.

So già che non la lascerò andare, e forse lo sa anche lei stessa, perché dopo pochi passi si ferma e resta in piedi, immobile. E’ rivolta verso la finestra, ma anche dal profilo del suo corpo, dalle sue spalle, riesco a capire che sta tremando.

 

“Non era quello che intendevo” ripete ancora, e ogni sillaba porta ancor più sofferenza.

Scivolo anch’io giù dal letto e lentamente la raggiungo. Le tocco la spalla destra e faccio scorrere piano la mia mano lungo tutto il suo braccio, fino a prendere la sua e costringerla a voltarsi, con più delicatezza possibile.

Non oppone alcuna resistenza, ma tiene la testa bassa, il viso rigato di lacrime.

“Ti prego” la supplico “Guardami in faccia”

Sento che non vorrebbe ubbidire alle mie parole, ma reprime l’orgoglio e posa i suoi occhi grandi su di me.

 

Davanti a quello sguardo inquieto e triste, sono io a voler fuggire. Ma so che senza spiegazioni non si potrà mai risolvere nulla.

Paura, distanza, vergogna, fierezza. Quanti ostacoli da lasciare indietro per rimettere a posto i tasselli di un puzzle.

“Io sono un uomo come gli altri, forse solo più spaventato e insicuro di altri, che ha incontrato una persona che ha sconvolto completamente la sua vita, le sue convinzioni, i suoi tabù. Dopo essere stato ferito più di una volta, ho abbassato le mie difese molto prima di quanto avrei potuto credere possibile, e tutto ciò che chiedevo era di essere amato per quello che semplicemente sono, per i miei difetti e non per il mio nome”

Cerca di ribattere, ma io la fermo, accostando un dito all’angolo della sua bocca: “E non credo davvero quello che ho detto, non credo che tu sia rimasta attaccata alla fama, l’ho capito dal nostro primo incontro. Mi sono fidato dal nostro primo incontro. Ma tu non hai mai davvero avuto fiducia in me. E non c’è amore senza fiducia”

 

Una nuova lacrima scorre veloce, sfiorando la mia mano che Elisa scosta con un gesto deciso.

“E quando ho provato a fidarmi?” grida d’un tratto, colpendomi il petto “Cosa è successo? Non posso fidarmi di nessuno. Ogni volta che cedo, sono respinta”

“Non avrei mai voluto farti del male”

“Ma lo hai fatto!” geme, scuotendo la testa “Con quel bacio hai distrutto speranza e fiducia, in me stessa e in una storia senza futuro” Si allontana di nuovo, facendo qualche passo, avanti e indietro: “Ed io non ti incolpo di avermi tradito, non è stato quello il problema. Io sapevo che non avrei dovuto lasciarmi andare, che il tuo affetto era sincero, ma che il tuo cuore apparteneva ad un'altra. E forse è stato meglio così, che arrivasse così presto e che mi levassi di scena prima di perdere completamente ogni possibilità di scampo”

 

Si muove troppo in fretta, non riesco a fermarla. Si muove e parla così rapidamente da non avere quasi il tempo di respirare: “E pensavo di aver fatto la cosa giusta. Ho abbandonato il mio egoismo, ho messo davanti la tua felicità. E ho sofferto per un fottutissimo anno. Per poi scoprire che è stato tutto inutile”

Si blocca all’improvviso, dandomi una spinta, colpendomi con la forza di un dolore e una rabbia soppressi per così tanto tempo: “Io ti odio, ti odio per questo. Perché non sei rimasto con lei? Perché? Perché quando hai ottenuto finalmente ciò che volevi te lo sei lasciato scappare?”

 

Aspetto che sfoghi tutta la sua collera, fin quando le grida non si trasformano in pianto e singhiozzi, immobile, accogliendo ogni pugno ad occhi chiusi, moltiplicandolo nel mio animo, detestandomi ancora per averla fatta soffrire. Non riesco però a tacere a lungo: le afferrò i polsi, la attiro a me e la stringo, incurante delle sue proteste e i suoi tentativi di liberarsi.

“Perché non era ciò che volevo davvero” le sussurro all’orecchio, cercando di rassicurarla al contempo “Anche io ho tentennato: ho dubitato che la nostra relazione potesse avere un futuro. Tu eri così giovane, come lo sei anche ora, ed io non potevo rubarti la tua vita, offrendotene in cambio una piena di incognite, continuamente invasa da problemi e interferenze. E proprio quando ho ero più turbato è arrivata Tarja, cogliendomi di sorpresa. Per pochi attimi ho pensato che quello fosse un segno, un indizio per farmi capire quale piega doveva prendere la mia vita. E forse è stato proprio così: ma quel bacio a tradimento che il fantasma del mio passato mi ha strappato quella notte, mi ha spinto su una strada totalmente opposta a quella che pensavo. Con quel bacio ho compreso che, per quanto Tarja avesse un posto importante nel mio cuore, perché negarlo sarebbe una bugia, quello che provavo per te era diverso e molto più forte. Quel bacio mi ha fatto capire ciò che già sapevo, ma che non avevo il coraggio di affrontare: che ti amavo e che eri l’unica persona in grado di completare questo mio stupido cuore malato”

 

Elisa è ora immobile tra le mie braccia: ormai non grida più, né cerca di divincolarsi, non ne ha più  le forze. Continua a tremare e la sento così fragile, ho la sensazione che se allentassi anche di poco la presa, potrebbe scivolare e infrangersi, come una statua di cristallo.

“Ma tu sei scappata via prima che potessi spiegare ed io sono stato così stupido da non provare a fermarti davvero. Nella mia vita ho scelto sempre la strada meno complicata e ho perso. E adesso forse è troppo tardi?” mormoro piano, stringendo più forte, assaporando il suo profumo.

Non c’è risposta alla mia domanda, solo un silenzio assassino e assordante.

 

“E’ troppo tardi?” ripeto in un lamento, senza riuscire a staccarmi da lei, senza riuscire a incontrare i suoi occhi, per paura di trovarvi ciò che più temo.

E’ lei ad allontanarsi, traendosi lentamente fuori dal mio abbraccio. Allunga una mano per sfiorare il mio mento, posa le dita sui miei occhi, non mi permette di guardare il suo volto, cancella le lacrime che non mi sono nemmeno accorto di versare.

“Io non lo so”

 

Sposta la mano tra i miei capelli ed incrocio, alla fine, le sue iridi di petrolio: “Pensavo che venendo qui avrei trovato la risposta, ma ho scoperto invece un’altra verità. Hai ragione tu: è sempre stata una questione di fiducia. Forse non sono capace ad amare. Io non sono capace a fidarmi di nessuno. E’ colpa mia”

“Non era certo darti la colpa il mio intento. Io…io ero arrabbiato, non volevo dire quelle cose…” cerco di spiegarle, ma lei scuote la testa.

“No, hai ragione. E’ la verità. Se io fossi stata in grado di fidarmi non sarei scappata via in quel modo, non mi sarei nascosta per un anno intero”

 

“E adesso?”

 

Nessuno di noi sa più cosa dire. Ci si da la colpa a vicenda, ma non si raggiunge una soluzione. Non era così che me l’ero immaginato. No, non era così.

“Forse dovrei tornare nella mia stanza” è Elisa questa volta a rompere il silenzio, ma le sue parole portano nella direzione sbagliata.

“Ti prego, resta ancora un po’ con me” la imploro, sfiorando la sua mano “Non c’è bisogno di parole, né di gesti. Voglio solo averti ancora accanto, anche per poco”

Forse mi sto facendo solo del male, ma non riesco a sopportare l’idea di vederla uscire da un’altra porta.

Sembra tentennare per lunghi secondi, ma alla fine acconsente, probabilmente solo per pietà. Ma non mi interessa.

La accompagno al letto, la guardo distendersi al mio fianco in silenzio. Non la tocco, non la sfioro nemmeno, né le domando di girarsi nella mia direzione. Mi cullo ascoltando il suo respiro, desiderando di poter raggiungere almeno la sua anima. Pregando che quella non sia la fine.

 

 

 

 

Hey ^^ Scusate il ritardo, è stata una settimana strana!

 

Grazie mille a chi ha letto il capitolo precedente e soprattutto ad Ale e eupraxia per il commento. Siete dolcissime, come al solito!

 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto! E se avete voglia di lasciare una recensione mi farebbe davvero felice!

Ci siamo quasi!

Bacini

  
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