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Autore: Beatrix Bonnie    01/10/2009    4 recensioni
"Sono rimasta vedova da qualche mese. La morte di mio marito, che aveva ottantacinque anni, ha lasciato dentro di me un vuoto incolmabile. Forse è per questo che ho deciso di scrivere la storia della nostra vita insieme, un matrimonio decisamente fuori dal comune. In realtà, leggendo le mie memore, non solo conoscerete la storia della mia famiglia, ma anche il coraggio di molti eroi che hanno combattuto e sono morti al mio fianco. Ho scritto queste pagine non per orgoglio personale, per lucidarmi le medaglie o per dimostrare da che parte stava la verità.
Le ho scritte perché il mondo non abbia a dimenticare,
perché l'Italia abbia di nuovo i suoi eroi e i giovani qualcosa in cui credere."
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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- Questa storia fa parte della serie 'Historia docet'
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L'estate del '43


La guerra non la capivo. Avevo solo sedici anni quando fummo sfollati da Brescia per scappare alla guerra. Mio padre era ricco e perciò al posto di andare a finire in una vecchia casa di campagna, affittammo una villetta sul lago, a San Felice del Benaco. Sembrava quasi una lunga vacanza. In realtà mi mancavano le mie amiche di scuola perché i miei genitori, pur di non farmi correre rischi, mi avevano perso un insegnante privato. Ero la loro unica figlia, avuta in tarda età e con parecchie difficoltà: era naturale che fossero protettivi.

La villetta era poco distante dal lago, così d'estate potevo andare in spiaggia a prendere il sole e a fare il bagno. Ogni tanto incontravo anche qualche soldato fascista che mi sorrideva, visto che, per quanto fossi piccola e magra, ero comunque una bella ragazzina, con i capelli biondi e mossi e gli occhi azzurri (da perfetta razza ariana, cosa volevo di più?). Iniziai ad apprezzare gli sguardi che mi lanciavano. Fu durante la seconda estate da sfollati, quella del '43, che conobbi il mio primo fidanzato, Hans. Era un soldato altoatesino, biondo con i capelli a spazzola, completamente innamorato dell'ideologia nazifascista. Era convinto che Hitler e Mussolini fossero i migliori comandanti di tutti i tempi, perfino meglio di Giulio Cesare o Napoleone. Li considerava degli eroi. Io in realtà non sapevo cosa pensarne: la guerra non la capivo perché ero troppo ingenua e la politica non mi piaceva. Mi dicevo fascista perché lo era mio padre e tutti quei bei soldati in uniforme che mi sorridevano sempre. Ma in realtà fascista o comunista per me non faceva differenza. Gridavo “Viva il Duce” quando lo gridavano gli altri, salutavo le truppe che sfilavano per le vie di Brescia, sorridevo ai Bambini Balilla che, con quel loro marciare goffo e infantile, imitavano i soldati fascisti. Sostenevo che “assolutamente” i selvaggi dell'Etiopia dovevano essere sottomessi e diventare una nostra colonia, che gli ebrei erano tutti feccia e che meritavano di morire perché avevano crocefisso il Cristo, ma in realtà non sapevo davvero cosa volesse dire morire. Non avevo mai visto la morte in faccia e non ero mai stata realmente in pericolo: da vivere non ci mancava e la guerra era lontana, era quasi un gioco.

Ci conoscemmo verso fine giugno, io e Hans: lui aveva venti anni, io diciassette. Eravamo la coppia perfetta, tutti i nostri amici ci invidiavano: entrambi biondi, lui soldato fascista della divisione di Salò, io figlia di un ricco borghese. Ottenni perfino il permesso dai miei genitori di uscire la sera, anche quando c'era il rischio degli allarmi, perché tanto nessuna bomba cadeva dalle nostre parti. La sera andavamo in balera e facevamo sempre parlare di noi: la coppia perfetta, i perfetti ballerini, tutto rose e fiori. Ci nascondevamo dietro i cespugli a baciarci, per minuti interi, le labbra incollate, come se non potesse esistere niente oltre quei lunghissimi baci.

Luglio arrivò alla svelta e con il caldo arrivarono anche le novità. Gli Alleati erano sbarcati in Sicilia. Hans fu come in preda al delirio per qualche giorno. -Bastardi, bastardi americani!- strillava sempre e io per consolarlo: -Hai ragione, sono proprio bastardi.- Ma non sapevo che avessero fatto di male questi americani per meritarsi un tale appellativo e non osavo chiederglielo per non istigarlo. Così lo domandavo a mio padre. -Ma che hanno fatto gli americani per venir chiamati bastardi?- E mia mamma: -Ma, Irma, tesoro mio, non dire certe cose!- Ma il babbo non si faceva scandalizzare troppo. -Ci hanno sbarcato in casa, danno il potere alla mafia. Ma tu non ti preoccupare. Di' sempre “Viva il Duce” che va tutto bene.-

E invece non andò tutto bene. Il 25 Luglio il Gran consiglio del Fascismo cacciò via Mussolini ed elesse Pietro Badoglio. Queste cose le seppi dalla radio perché ero stufa di venire a sapere tutto dopo gli alti. Anche se mi interessava poco, scelsi di tenermi informata su quanto succedeva in Italia, così almeno avrei avuto qualcosa di cui parlare con gli amici, perché ormai era quello l'argomento più discusso. Quella sera, a tavola, ripetei a mio padre quello che avevo sentito alla radio, “che finalmente quel fascista di Mussolini era stato cacciato. Gli italiani avevano fatto la scelta migliore.” Per poco mio padre non si strangolò con il boccone di carne. -Chi te le ha dette queste cose?- sbraitò alzandosi in piedi. -Io... io le ho sentite alla radio.- risposi titubante. Credevo che a mio padre facesse piacere avere una figlia che si interessava di politica.

-Quale radio ascolti?-

-Credo che si chiamasse 'Radio Londra'.-

-Radio Londra? Radio Londra?- ripeté incredulo. -Ascolti la radio del nemico?-

Da quella sera non ascoltai più la radio. Hans non si faceva più vedere da giorni e temevo che si fosse cacciato in qualche guaio. Venne una seria di Agosto, mentre noi cenavamo in silenzio. Si lasciò cadere su una sedia e si prese la testa fra le mani. Aveva la barba sfatta di qualche giorno, il volto smunto, le mani sporche e la bella divisa da soldato tutta infangata e strappata. -Hans, amore, che hai fatto?- gli chiesi avvicinandomi a lui, che mi cacciò via con un gesto della mano. -Mussolini, Mussolini, mi hanno preso Mussolini.- mugugnò in frasi quasi incomprensibili. Alzò lo sguardo e mi fissò per qualche secondo. -Ich liebe dich, Irma.- detto questo si alzò e uscì di casa. Non lo rividi per un mese.

La nostra vita riprese come sempre. Dei subbugli che seguirono la cacciata di Mussolini mi disinteressai completamente. Avevo già fatto un errore quella volta che avevo ascoltato radio Londra e preferii ignorare quello che avveniva fuori dalle mura di casa. Al primo di settembre ripresi le mie lezioni con l'insegnate privato e tutto sembrava andare a meraviglia. Cosa importava a me che ci fosse la guerra?

Quando rividi Hans era il nove di settembre. I suoi occhi erano tornati luminosi e il suo sorriso splendente. Mi baciò a lungo, come se non fosse successo nulla in quell'ultimo mese che non ci eravamo visti. -Non devi temere niente, ora. I nemici hanno fatto firmare all'Italia l'armistizio, ma non devi temere, non è ancora finito come pensano quegli imbecilli.- Non capivo quello che mi diceva, ma ero contenta che stesse bene e che fosse tornato da me. Non mi importava nulla di quella sua stupida politica. -Ora me ne vado per un po', ma questa volta tornerò da vincitore. Vado a liberare Mussolini.- E sparì di nuovo.

Ma io ero stufa di aspettare. Era vero che mi ero ripromessa di non ascoltare più la radio, ma temevo di perdere nuovamente Hans. Tutte le sere mi nascondevo in camera ad ascoltare le notizie, ma non provenienti quella del nemico, io ora ascoltavo “Radio Monaco”. Non dimenticherò mai quando sentii per la prima volta la voce di Mussolini, il 17 settembre, che annunciava la prossima costituzione dello stato fascista. Mi ero lasciata coinvolgere dalla politica fin troppo: ero incredibilmente felice del ritorno di Mussolini, e questa volta non solo perché ciò mi avrebbe riportato il mio Hans. Non sapevo come, ma il fascismo mi era entrato nelle vene; ora ero diventata una fervida sostenitrice di Mussolini, quasi mi avesse stregato la sua voce alla radio. Condividevo lo stato di febbrile eccitazione del mio fidanzato, mi bruciava nel cuore il desiderio di manifestare la mia nuova fede. Ma ero solo un'ingenua, non sapevo cosa volesse dire 'fascismo'.

La mia gioia toccò le stelle dieci giorni dopo, quando seppi che la Repubblica Sociale Italiana si sarebbe insediata a Salò, così vicino a dove eravamo alloggiati. Quello stesso giorno tornò Hans. -Te lo avevo detto amore mio, che sarei tornato da vincitore!- mi disse abbracciandomi con vigore. Era tutto meraviglioso: avevo di nuovo il mio fidanzato, ero fascista e sembrava che la guerra potesse finalmente continuare per il verso giusto. Ma non avevo fatto i conti con un fattore molto importante: gli italiani erano stanchi di combattere inutilmente.

   
 
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