Capitolo 7
Per un fatto di
fiducia
Lo
aveva già vissuto, tutto questo.
Lo
aveva già vissuto, anche se il ricordo era lontano, sfocato, come se non
appartenesse nemmeno veramente a lui.
Gridò
forte, non solo per il dolore. Gridò perché Diane potesse sentire, perché
capisse, perché si facesse prendere dal panico e abbandonasse la sua folle idea.
Non
ne sarebbe uscita viva comunque, ma il rituale sarebbe fallito e loro avrebbero
dovuto ricominciare da capo. I suoi compagni avrebbero avuto ancora tempo e alla
fine li avrebbero fermati...
“Non
ti ho sentito rispondere” sibilò Susy vicino al suo
orecchio.
“Ho
detto che NON LO SO! Siamo un’organizzazione a cellule, non conosciamo i nomi di
chi ci dà gli ordini! E se anche lo conoscessi, non ve lo
direi!!!”
Vero.
Ma nel suo caso era una menzogna. Conosceva bene chi stava sopra di lui,
conosceva nomi, vite private, tante, troppe cose che in una situazione come
quella sarebbe stato molto meglio non sapere.
“Non
me lo diresti...” fece eco Varga, atono “sono curioso di sapere cosa mi
risponderai tra qualche ora...Siamo solo all’inizio. Non ti ho ancora fatto
niente...”
Niente.
Ma il
sangue continuava a cadere sul pavimento in piccole gocce con un ritmico e
snervante rumore. Non si sentiva più tutto il braccio. Meglio. Così avrebbe
sentito meno dolore.
Dove
avrebbero conficcato il prossimo ago?
Quanti ce ne sarebbero voluti perché riuscisse almeno a
perdere i sensi e spegnere la mente?
Non
avrebbe mai parlato.
Mai,
di questo era sicuro. Una sicurezza così forte che gli faceva paura, perché
sentiva che per salvaguardarla si sarebbe lasciato
uccidere.
Ma
non voleva morire.
Non
così.
Che
avrebbe pensato Martin? Come si sarebbe sentito? E
Lois...?
Aveva
i brividi, stava tremando: avrebbe voluto evitarlo, ma non poteva impedire al
suo corpo quella reazione completamente involontaria. Non aveva mai avuto tanta
paura. Nemmeno nei suoi incubi. O forse solo in quel ricordo sfocato, quel
ricordo che magari non era suo.
“Via
libera!” risuonò forte la voce di Charles.
Ormai
gli importava poco o niente di svegliare il
palazzo.
Darren entrò portandosi John in spalla: il professore
aveva tra le mani un pupazzo di stoffa grande poco più di un pugno, con la testa
quasi staccata dal corpo e una polvere grigiastra che usciva dalla spaccatura.
“E’
stato quel cosino lì a far dare di matto a
Doe?”
‘O
Malley girò il feticcio a testa in giù: il contenuto si riversò per terra in un
mucchietto grigio e in mano gli restò solo il floscio involucro di
pezza.
“Non
è la grandezza che conta, dovresti saperlo. L’efficacia di un feticcio dipende
dal rito che ci hanno fatto sopra. Questo era così piccolo apposta perché non lo
vedeste...probabilmente si attivava a contatto, infatti era appeso sopra
l’interruttore della luce. Entrando al buio, sarebbe stato istintivo premerlo, e
il malcapitato avrebbe sfiorato il feticcio...” osservò John, ancora svenuto
sulle spalle dell’amico “...come infatti è avvenuto. Del resto, in questo
corridoio non c’è una sola finestra: era un gesto quasi
ovvio...”
“E
questa robaccia...“ Darren pesticciò la polvere con la punta della scarpa “ha
uno strano odore...”
“In
verità credo si tratti di residui d‘incenso. Perché un feticcio funzioni deve
avere un legame con chi ha effettuato il rito di costruzione. Guarda qua cosa
c’è dentro...”
Frugò
con le dita tra la stoffa ed estrasse un oggetto di rame chiaramente
familiare.
“Almeno siamo certi di trovarci nel posto giusto!”
Darren avanzò nel corridoio, passò in salotto e depositò
John sul divano.
“OH
CRISTO!” gridò Charles all’improvviso.
Il
professore corse verso la parete opposta, e sradicò letteralmente dal muro un
portafoto, quasi portandosi via anche il
chiodo.
“E’
LEI! E’ la matta!”
“Ehi?
Che ti prende?”
‘O
Malley imprecò a denti stretti, poi mostrò l’immagine al collega: ritraeva la
vittima insieme a Susy Locarno e ad un altro uomo, ripresi sullo sfondo di un
vasto selciato che spiccava per la fitta ghiaia
bianca.
“CAZZO!” escalmò Darren, strappandogli l’oggetto di mano,
colpito da bel altra cosa rispetto a quella che aveva attratto il professore “E‘
qui che li portano!...I residui sotto le scarpe delle vittime, Charles! Li hanno
uccisi qui!”
Gettò
il portafoto per terra, mandando il vetro in pezzi. Dietro la fotografia c’erano
il nome di un luogo, tre firme ed una data.
Susy
Locarno rideva. Nella sua risata c’era quella follia delirante che Spencer aveva
già visto una volta, la sola in cui gli era capitato di assistere
all’interrogatorio di un esoterrorista catturato dall’ordine. Non era mai
riuscito a dimenticare quell’espressione, perché era diversa da quella della
semplice pazzia: era come se nel suo sguardo ci fosse la certezza di vedere più
lontano degli altri.
Quel
giorno, ne era rimasto quasi affascinato, ma adesso era lui l’interrogato, era
lui che doveva rendere conto di qualcosa a quegli occhi folli, e in quegli occhi
vedeva benissimo fino a dove lei sarebbe stata capace di
spingersi.
“Non
farci perdere tutto questo tempo. Stai facendo aspettare una
ragazza...”
Varga
giocherellava con il secondo dei suoi lunghi aghi da
tortura.
Poi
ci fu un rumore come di vetri infranti proveniente dalla stanza
vicina.
Spencer tirò su la testa e cercò di recuperare la propria
lucidità.
“Vado
a vedere” dichiarò la donna, stringendo la pistola “Non vorrei che alla
signorina fossero venute strane idee...“.
Fu
allora che la porta principale venne sfondata: Varga si voltò di scatto e
estrasse un’arma, ma Darren fu più veloce. Il proiettile lo colpì al petto e
l’agente gli saltò addosso atterrandolo.
“Capo!” esclamò Spencer “non sono mai stato tanto felice
di vedere qualcuno!”
John,
nel frattempo, era corso verso la stanza in cui si era diretta la Locarno. La
donna si trovò circondata: da un lato ‘O Malley e Jeanine, entrati dalla
finestra, dall’altro Doe. Presa dal panico si mise a sparare all‘impazzata.
Confinata in un angolo, sconvolta da tutto quel baccano, Diane gridava come una
matta, e Charles dovette spingerla a terra con malagrazia per evitare che si
beccasse un proiettile. Doe, invece, si riparò tra la porta e una cassapanca, e
fu da lì che fece fuoco. Colpita alla testa, Susy Locarno si accasciò al
suolo.
“Un
morto, un prigioniero, una potenziale esoterrorista da sottoporre a valutazione.
Siamo stati bravi, no?” John ridacchiava col suo solito fare da bontempone, ma
aveva ancora l’aria un po’ sbattuta “Ehi, aspetto delle congratulazioni, capo!
Un tiro perfetto nonostante tu mi avessi appena dato in pasto ad un
feticcio!”
Darren non lo considerò: era impegnato ad ammanettare
Varga, che continuava a imprecare e a
maledirli.
‘O
Malley, invece, stava liberando Spencer.
“...F-faccia piano, professore...Fa un male
infernale!”
La
mano del ragazzo era letteralmente inchiodata al bracciolo della
sedia.
“Ci
penso io” intervenne provvidenzialmente Jeanine, con una cassetta del pronto
soccorso a portata di mano. Charles abbozzò un sorriso, ed estrasse dal taschino
della giacca una bottiglietta di Wiskey in
miniatura.
“To’,
butta giù” disse, stappandola “E’ meglio di un
antidolorifico”
Pochi
minuti dopo, una squadra dell’Ordo Veritatis li raggiunse sul posto: fecero
salire in macchina separate Jaspar Varga e Diane, e ripulirono la zona da ogni
indizio.
“Qual
è la copertura?” chiese Darren
“La
donna era un medico ciarlatano. Praticava la professione abusivamente proponendo
ai suoi pazienti terapie alternative pericolose. Osvald Samerson voleva
denunciarla e lei l’ha ucciso. Fate sparire l’amuleto dalle prove repertate.
Quanto alla clinica di Varga, si trattava del suo complice ed amante, che gli
procurava pazienti con la scusa del gruppo di aiuto. Lui è ancora latitante. Per
la ragazza, ci penseremo noi, se qualcuno dovesse cercarla. Auguriamoci che non
abbia capito abbastanza, e dopo qualche condizionamento psicologico potremo
rimetterla in libertà”
“Ricevuto. Il rapporto arriverà in giornata”
Era
quasi l’alba, e la ghiaia bianca luccicava in modo innaturale al primo
chiarore.
‘O
Malley prese Spencer sottobraccio e lo aiutò a raggiungere la
macchina.
“Questo posto...è oggettivamente bello” disse lui “e
soggettivamente sarà un altro dei miei
incubi”
“Già.
Ma è soggettivamente che puoi combattere gli incubi.
C’è del bene e del male nella realtà da qualsiasi lato tu la guardi. Bisogna
solo imparare a spostarci, e guardare il lato giusto nel momento giusto. In
questo momento della storia, io credo che sia il nostro, il lato
giusto”
Era
mattino inoltrato quando i membri dell’Unità Culti e Crimini rituali ebbero
finalmente il permesso di tornarsene a casa. La prima ad andarsene fu Jeanine,
reduce ormai da due notti quasi in bianco. ‘O Malley, che non riusciva a
rinunciare all’occasione della compagnia femminile nemmeno in un frangente come
quello, la seguì a ruota pur di accompagnarla fino alla
macchina.
Seduto su una sedia, Spencer si guardava la mano bendata
con aria incredula, quasi sorpreso di essere vivo, e di essersela cavata solo
con quella ferita da poco. L’effetto del liquore gli dava un po’ alla testa, ma
andava bene così: troppa consapevolezza in quel momento gli avrebbe fatto male.
Per una volta, desiderava stendersi e chiudere gli
occhi.
“Dwight” lo richiamò la voce di Darren, brusca “Vieni
qui”
Spencer si alzò stancamente e si avvicinò al capo; ma
prima che potesse rendersi conto di ciò che stava accadendo, il destro del
collega lo colpì in pieno viso e gli fece perdere l’equilibrio, mandandolo lungo
disteso per terra.
“E-ehi!” esclamò, incredulo, con gli occhi spalancati
“Sei impazzito?!”
Darren non rispose. Lo afferrò per il bavero della
camicia, lo tirò su e lo appese al muro.
“La
prossima volta che ti azzardi a agire di testa tua, disobbedendo ad un mio
ordine preciso, ti mando all’ospedale” disse, fissandolo negli occhi con
un’espressione che non ammetteva repliche “Hai capito,
idiota?”
Spencer cercò lo sguardo di John, in cerca di supporto, e
lo vide beatamente svaccato alla sua scrivania, che ridacchiava divertito, come
se in quella situazione assurda non ci fosse nulla di cui discutere. Erano matti
entrambi?
“Ehi!” azzardò il ragazzo, afferrando con entrambe le
mani il polso di Darren che stringeva la sua camicia “non è legale che tu mi
prenda a pugni per...”
Non
lo fece finire di parlare: prima che potesse concludere la frase, si era beccato
un cazzotto sull’altra guancia.
“DARREN...TU...TU SEI UN GRANDISSIMO
BASTAR...”
Stavolta il pugno gli arrivò nello stomaco.
John
Doe scoppiò a ridere.
“Non
si disobbedisce ai miei ordini” scandì di nuovo il capo, impassibile “Hai
capito?”
Spencer deglutì. Ne aveva prese abbastanza, e la mano gli
faceva ancora molto male.
“S-si
signore” mormorò, rassegnato.
Darren parve soddisfatto. Raccolse le sue cose e lasciò
l’ufficio senza aggiungere altro.
Appena la porta si fu chiusa, Spencer si voltò a fissare
John, con uno sguardo letteralmente
atterrito.
“Mi
ha preso a pugni!” esclamò, spalancando le braccia in un gesto teatrale “e tu
non hai fatto che ridere! Qui dentro siete tutti matti!! Mi hanno quasi ucciso,
e lui non trova niente di meglio da fare che picchiarmi?”
John
si alzò in piedi, svagato, e prese a rassettare la sua
scrivania.
“E tu
perché non ti sei difeso?”
“D-difeso...?”
“Difeso. Darren era arrabbiato con te e ti ha tirato un
pugno: perché non glielo hai reso? Non ti ha mica ordinato di lasciarti
picchiare...Io e lui abbiamo fatto a botte per ragioni simili tante di quelle
volte che ho smesso di contarle!”
Spencer era
esterrefatto.
“Cioè...voi risolvete i problemi prendendovi a
cazzotti?”
John
si strinse nelle spalle.
“Non
sempre. Diciamo che a Darren non piacciono le chiacchiere. Come lo chiamate voi
psicologi? Linguaggio corporeo: è chiaro ed universale! Ma stai tranquillo, se
avesse avuto seriamente qualcosa da ridire su di te,
non ti avrebbe picchiato: ti avrebbe rispedito da dove sei venuto e festa
finita”
Spencer era senza parole.
“Ti
va un hamburgher? Di solito dopo un caso vado a festeggiare con Darren, ma come
vedi, oggi ci ha piantati...”
Un
hamburgher a quell’ora del mattino non era una buona idea. Ma tutto sommato non
gli dispiaceva l’idea che uno dei suoi nuovi colleghi lo stesse
invitando.
“Preferirei qualcosa di dolce!” sorrise “di molto dolce!”
Tra
un bicchiere di Wiskey e l’altro, ‘O Malley lesse il rapporto che Darren aveva
inviato all’Ordo Veritatis. L’amico stava seduto su uno sgabello con aria
svagata, fumando una sigaretta.
“Non
hai nemmeno accennato al fatto che Dwigth abbia violato una delle principali
regole dell’ordine...” commentò Charles, inespressivo, restituendogli il
foglio.
“Non
ne vedo il motivo. Tra tutte le cazzate che ha fatto, questa è stata forse la
mossa più intelligente che gli sia venuta in
mente”
Il
professore scosse la testa: c’erano alcune posizioni di Darren che proprio non
riusciva a capire.
“Ha
rivelato a due esoterroristi la sua identità” disse, parlando a mezza voce,
benché il locale fosse completamente vuoto “lo stavano torturando, e avrebbero
continuato a farlo. Chi ci dice che non avrebbe parlato? Che non avrebbe fatto i
nostri nomi, o peggio...? Nessun essere umano può essere veramente consapevole
di quale livello di sofferenza la sua mente può essere in grado di tollerare,
prima di cedere. E‘ stato stupido...”
“Al
contrario. E’ stato furbo. Se in quel momento non avesse attratto l’attenzione
di quei pazzi, loro non si sarebbero presi la briga di perdere tempo dietro ad
un inutile agente di polizia. Avrebbero pensato al loro rituale, prima. E noi
non avremmo affrontato un uomo e una donna in delirio, ma un... - come hai detto
che lo chiamavano? - ...beh, una creatura dell’occulto che non sarebbe stato
altrettanto facile nascondere agli occhi del mondo, ammesso e non concesso che
fossimo riusciti a distruggerla. Dwight ha preso tempo. Ha investito sul fatto
che lo avremmo trovato prima che fosse troppo
tardi...”
“In
sostanza, stai chiudendo un occhio perché ha contato su di te: per un semplice
fatto di fiducia?”
Darren fece un mezzo
sorriso
“Non
solo per fiducia: apprezzo chi sa trasgredire nel
momento giusto...”
‘O
Malley bevve un sorso e rimase in silenzio qualche
attimo.
“Dovrei denunciarvi...” disse poi, serio “...e se a
sbagliare fossi stato solo tu, lo farei”
Altro breve
silenzio.
“Sai che lo farei, Darren. Ti prendi troppe
libertà, e troppo spesso. Ma Spencer si è trovato sul campo per la prima volta,
e mi auguro che non commetterà errori la
seconda...”
L’amico spense la sigaretta, di versò un bicchiere e lo
bevve d’un fiato.
“Se
lo farà, vorrà dire che non te lo dirò” una pausa, un altro sorriso “Dwight non
è male”
‘O
Malley scrollò il capo, rassegnato.
“Già.
Non è male.”
<
mi
piacerebbe poterti raccontare come sono andate le cose da quando sono partito,
ma sai bene che non lo posso fare. Tra noi, non sarà mai concesso scriverci
delle normali lettere, come se fossimo due persone qualunque, che per una
qualsiasi ragione la vita ha allontanato. Sai, ho conosciuto una persona con cui
mi sono trovato a parlare di oggettivo e di soggettivo, e mi sono trovato a
difendere ragioni che non desidero difendere, perché credo di essere vivo per
combatterle. Tuttavia, a volte temo che il nostro ruolo, le cose che sappiamo,
ci portino a guardare con diffidenza tutto ciò che è inconscio, che è
irrazionale, che sfugge al nostro controllo. Sebbene sappiamo che anche i
sentimenti fanno in fondo parte di quella sfera che compete alla ‘realtà
soggettiva’. A volte...vorrei credere che nel subconscio umano non ci sono solo
mostri...che si può addormentarci senza avere paura...che la prossima volta che
dormirò, potrei semplicemente sognare te. Tu sostieni che io non ti ami. Può
darsi che sia vero, la psicologa, dopotutto, sei tu. Eppure, quello che io
oggettivamente vedo, è che in questo momento mi sto
rivolgendo a te, è che è te che ho pensato nel momento in cui ho avuto paura di
morire.
Sai,
penso che rimarrò qui a lungo. Penso che mi troverò una casa, che imparerò a
conoscere questa città, che imparerò a fare bene questo lavoro.
E
ogni tanto ti scriverò lettere che non ti potrò mai spedire, perché noi
apparteniamo ad un sistema di cose dove anche solo il tenerci in contatto
significa mettere in pericolo le persone a cui si vuole
bene>>
...
Spencer piegò in quattro il foglio, lo chiuse in una
busta, poi gli diede fuoco sotto la fiamma dell’accendino. La carta si
attorcigliò sfrigolando e sul pavimento rimasero solo piccoli frammenti
inceneriti.
Ci
soffiò sopra e li guardò spargersi per la stanza, come se fossero un mucchietto
di coriandoli.
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