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Autore: Abigail93    04/10/2009    1 recensioni
«Ti odio!» esclamai, finalmente consapevole di averglielo detto in faccia. Mi guardò perplesso e sorpreso della mia reazione e si avvicinò a me.«Mi odi?» «Si esatto!» «Ma non mi conosci!» «Appunto per questo.» sbottai. Vi presento un mio racconto, ovviamente con i personaggi di Twilght. Bella costretta a trasferirsi vorrebbe tanto tornare indietro nella sua vera casa, dai suoi vecchi amici... ma quando ha la possibilità di fare tutto ciò, cambia idea. Perchè?... spero vi piaccia. Un bacione.
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bella2

  «Allora? Come è?»  Renèe era appena entrata  con tutte le mie valige in mano.

  «Stupenda!» esclamai aiutandola ad appoggiarle sul letto.

  «Come pensavo.» disse sorridendo e arruffandomi i capelli.

  «Mamma! Non ho più cinque anni.» protestai risistemandomeli.

Renèe si mise a ridere e incominciò ad aprire le due valige.

  «Renèe…» disse Marie «Lascia che si occupi Bells della sue cose!» la prese sotto braccio e la trascinò fuori dalla stanza.

Sorrisi divertita dall’espressione di Marie, e soprattutto perchè mi aveva chiamata Bells, poi tornai alle mie cose. Non le sistemai tutte perché avevo intenzione di fare un giro nel piccolo paese, così presi le cose essenziali, tirai fuori il mio portatile e lo misi nella borsa che portavo sempre con me. Renèe la chiamava la “Borsa di Mary Poppins” perché dentro c’era di tutto e di più. Sistemai qua e là in giro, occupai il mio piccolo bagno e alla fine prendendo la borsa corsi giù, infilai le mie All Star bianche che mi ero tolta all’entrata e mi precipitai davanti al salotto.

  «Vado a fare un giro!» dissi sorridendo.

  «Un giro? Ecco allora già che ci sei cerca una scuola.» disse Renèe un po’ agitata, ma non per me.

  «Oh, si ce ne una dopo la piazzetta, è l’unica. Ah! C’è anche il tuo corso. Tu basta che quando arrivi in piazza prendi la via dietro la chiesa e vai sempre dritta.» spiegò Marie felice.

  «Grazie Marie!...Ci vediamo dopo. Eh non farò tardi.» dissi anticipando Renèe.

Uscii di casa, superai il vialetto e mi avviai verso la piazzetta. Ci misi un po’ per arrivarci, e per ricordarmi bene la strada. Non ci venivo da un anno, perciò il mio senso dell’orientamento se ne era un po’ andato. Mi guardai intorno alla ricerca di qualcosa che potesse servirmi e trovai un indicazione abbastanza utile. Seguii il cartello piscina, finche dopo qualche via non mi ritrovai davanti ad un grande edificio pieno di finestre dove c’era un via vai di gente che entrava e usciva. Li seguii ed entrai in un piccolo atrio, con un bancone grande, delle panchine per sedersi e tante porte. Su una lessi segreteria e decisi di entrare. Intanto che aspettavo che arrivasse qualcuno, frugai nella borsa alla ricerca dei soldi nel caso decidessi di iscrivermi subito. E così fu perché quando arrivò una signora a chiedermi se avevo bisogno, quasi subito dopo mi ritrovai a compilare dei fogli per l’iscrizione in piscina. Avevo scelto il Martedì e Venerdì, durante l’orario di quelli più grandi. La signora mi aveva anche spiegato cosa dovevo fare. Non ho cinque anni! Pensai.

Quando finì la ringraziai e la assicurai che Martedì ci sarei stata sicuramente. Così uscii di fretta dalla piscina per ritornare in paese. Percorsi la strada di prima, ma più velocemente, non facevo caso alla gente che mi passava di fianco, d’altronde non avevo molto tempo. Quando arrivai in piazza, mi guardai intorno. E ora dov’era la scuola?. Mi avvicinai ad un gruppo di ragazzi, non era da me chiedere cose alle persone che non conoscevo, ma dovevo farlo per forza. Quando mi avvicinai a loro, mi sentii ancora più in imbarazzo di quanto già non lo fossi, mi fissavano curiosi e sorpresi.

  «Scusate…» dissi con voce ferma cercando di nascondere l’imbarazzo. «Dove si trova la scuola superiore?» non c’era motivo di aggiungere i dettagli che ero nuova. Non c’era molta importanza, non li avrei rivisti, sembravano dei ventenni e passa.

  «Si, basta che segui la strada grande vicino alla chiesa e la trovi.» rispose una ragazza spiegandomi con dei gesti.

  «Grazie.» e me andai. Seguii le sue indicazioni e dopo venti minuti, di alberi e ville, trovai un edificio con un grande parcheggio. Un piccolo cartello indicava che quella era la scuola di Forks. Attraversai il parcheggio ed entrai, secondo il cartello piccolo vicino all’entrata della scuola, in segreteria. Appena entrai, fui presa dalla sensazione di disagio e sorpresa, apparte la stanza che non era molto grande, ma non trovai nessuno.

  «Cerchi qualcuno?»

Mi girai a vedere chi era, e mi trovai di fronte un ragazzo alto e molto bello. Aveva i capelli bronzei e lucidi, gli occhi, invece, erano di un bel verde chiaro. Era magro, e portava una felpa color panna su dei pantaloni scuri.

  «Si, dovrei iscrivermi.» tanto da tutte le parti mi devo iscrivere. Pensai.

Annuì e si guardò intorno anche lui. «Vieni…» disse dopo qualche secondo, e mi guidò dentro ad un'altra stanza dove dietro ad una scrivania si trovava un signora di mezza età, con un grosso chignon fatto male e degli occhiali rotondi e grandi. Faceva ridere, sembrava messa li apposta.

  «Sii?» chiese con voce stridula e secca.

  «Dovrei iscrivermi.» mi trattenni a stento dal ridere, e notai che non ero l’unica. Anche il bel ragazzo di fianco a me.

  «Si, come ti chiami?» continuò e sul cartellino davanti a lei, lessi che si chiamava Giovanna Servi.

  «Isabella Swan.»

  «È il nome completo?» domandò ancora.

  «No. Sarebbe Isabella Marie Swan.» risposi sospirando. Era così importante saperlo?

Annuì e mi consegno dei fogli e una penna. Non so quanto tempo ci misi a compilarli tutti, ma quando finii glieli consegnai velocemente. Lei mi ringraziò sempre con quella vocina tanto divertente e mi augurò un «Buona fortuna!» per la scuola.

Attraversai il parcheggio velocemente, siccome cominciava a diventare buio, e mi strinsi forte alla giacca. Ma non feci in tempo a percorrerlo tutto che…

  «Hey, ragazzina

No! Ragazzina no! Lo odio quel nome. Mi girai, con un espressione infuriata e guardai, con mia sorpresa, quel bel ragazzo male.

  «Non sono una ragazzina!» protestai. Hai iniziato con il piede sbagliato, Ragazzino!

  «Lo so, hai la mia età.» rispose sorridendo e avvicinandosi a me.

  «Come fai a saperlo?» chiesi.

Lui scrollò le spalle indifferente.

  «Incredibile, hai guardato i fogli della mia iscrizione?» ecco mi aveva fatta arrabbiare.

  «Una sbirciatina!» si difese mentre rideva.

Gli voltai le spalle e mi incamminai verso la strada.

  «Cosa stai facendo?» mi domandò raggiungendomi.

  «Cosa ti interessa? Non so nemmeno chi sei.» sbottai impaziente.

Lo sentii ridere e mi innervosii ancora di più. «Ma tu ridi e basta?»

Tornò serio e mi squadrò dalla testa hai piedi. «Sei a piedi?»

  «Si.»

  «Vuoi un passaggio?»

  «NO!.» e me ne tornai sulla mia strada. Non mi voltai a vedere se era andato via o era rimasto li. Sapevo solamente che la strada di casa era molto lunga.

 

*

 

Il Lunedì successivo mi svegliai di soprassalto, per colpa di mia madre che continuava ad urlare il mio nome e per colpa della brutta dormita. Mi ero addormentata tardi e avevo passato la notte a rigirarmi continuamente nel letto. Mi alzai lentamente e guardai l’orologio.

  «COSA?» gridai. Era tardissimo, tra venti minuti iniziavano le lezioni e io dovevo ancora lavarmi.

Scesi giù di corsa a prendermi solo una brioche.

  «Bells, devi mangiare di più!» mi rimproverò Renèe

  «Sono in ritardo!» e scappai di sopra a vestirmi e lavarmi i denti.

Quando finii il tutto corsi fuori di casa, ma solo dopo essere passata davanti all’Audi di Renèe mi ricordai che la strada era lunga e non avevo nessun mezzo di trasporto. Ritornai in dietro correndo e quasi non inciampai negli scalini di ingresso.

  «Mamma, mi devi accompagnare!» dissi senza fiato.

Mi guardò confusa e mi lanciò le chiavi della macchina.

  «Dai mamma!...Lo sai che l’ultimo esame c’e l’ho domani.» la rimproverai.

  «Hai comunque il foglio rosa!» osservò «Dai, io sono ancora in pigiama e non riusciresti ad arrivare in tempo lo stesso. Soprattutto se non ti sbrighi!»

Sbuffai e la fissai sbattendo il piede destro.

  «Va bene! Va bene.» disse e senza neanche cambiarsi, si mise la giacca e le scarpe e mi accompagnò a scuola.

Riuscii ad arrivare nella classe di inglese giusto in tempo, grazie alla piantina della scuola. Il prof non era ancora arrivato, ma appena entrò tutti i posti si occuparono, tranne uno al centro vicino ad una ragazza. Il professore… Germandi, così lessi sul suo registro, mi guardò con un sopracciglio alzato e mi indicò il posto.

  «Sei la nuova ragazza…Isabella Marie Swan?» domandò. Bè bastava il cognome! Pensai.

  «Si.» risposi. Lui annuì e si mise a sfogliare dei fogli.

La ragazza era molto bella, aveva dei capelli castano scuro e lucidi corti. Assomigliava ad un piccolo elfo.

La guardai di nuovo, il viso era ben truccato, gli occhi marroni le risaltavano per la matita nera. Indossava dei pantaloncini corti a palloncino che le arrivavano fino a metà coscia e si intonavano con il gilet che portava sopra ad un dolce vita nero. Sotto i pantaloncini aveva le calze nere e hai piedi, le ballerine. Al collo aveva una lunga collana bianca.

Notai solo dopo un po’ che mi fissava anche lei, così distolsi lo sguardo e tirai fuori un quaderno per prendere appunti.

Ogni tanto mi giravo a guardarla, ma per poco.

Non sapevo cosa fare durante l’ora, oltre che prendere appunti, ma per fortuna passò in fretta.

Quando suonò la campanella dell’ora successiva guardai l’orario e la piantina, per avviarmi in palestra. Appena arrivai, mi avvicinai alla professoressa e gli diedi il mio nome. Lei se lo segnò sul registro e mi fece accomodare sulle panchine, dicendomi che per la volta successiva avrei dovuto portare la tuta. Notai che anche i miei compagni non erano il massimo a giocare, ma se la cavavano. Io invece odiavo quasi tutti gli sport, tranne nuoto. 

Suonò la campanella, così ritornai in palestra a prendere la mia borsa e mi avviai a lezione. Attraversai il corridoio e girai l’angolo.

Sfortunatamente andai a sbattere contro qualcosa… No! Contro qualcuno. E questo qualcuno mi prese per le braccia per non farmi cadere. Molto gentile! Pensai.

Riconobbi il bel ragazzo che mi reggeva in piedi. Era quello della segreteria, di cui non sapevo il nome.

  «Ma ciao, ragazzina» e sottolineò ancora quella bella parola che odiavo tanto.

  «Ciao….. Mmm…No aspetta! Non so come ti chiami! Andrea?...No no.. Era Leonardo…. No!. Mmm aspetta forse è Cristian. Naaa… è….. Levati dai piedi! Ecco si questo è il tuo nome.» e mi spostai da lui.

  «No! Mi sa che non ci hai azzeccato! Mi dispiace.» e ridendo attraversò il corridoio.

Tornai in classe velocemente e un po’ nervosa, cercai di non travolgere nessun altro, e appena arrivai mi sedetti all’ultimo banco. Così non avevo nessuno vicino…

  «A saperlo ti accompagnavo io.» disse una voce familiare di fianco a me.

Ecco, proprio non avevo nessuno vicino.

Mi girai e me lo ritrovai, di nuovo, seduto alla mia destra e davanti a se sul banco aveva appoggiato un portatile. Scossi la testa incredula e mi girai intorno per vedere se c’era qualche altro posto libero. Ma ,purtroppo, erano già tutti occupati.

Sbuffai. «Sei insopportabile, ti trovo ovunque.» dissi acida.

Rise e mi guardò serio. «Non è una scuola grande!»

  «Ma dai! Pensavo fosse il contrario.» dissi sarcastica.

Rise di nuovo e si girò verso il banco davanti a se per accendere il portatile.

  «Te lo richiedo un'altra volta… Tu ridi e basta?»

Mi guardò confuso. «Ti da fastidio?»

Non risposi e mi girai dall’altra parte imbarazzata. Non era il ridere che mi dava fastidio, era lui.

Facendo finta di niente tirai fuori anche io il mio portatile. Notai che mi fissava.

  «Sei tu che mi fai ridere.» continuò lui.

  «Comunque non so chi sei.» osservai.

Non mi rispose, ma non ero sicura che il motivo era perché il professore richiamò la classe all’attenzione, ma dovetti stare attenta perciò aprii la pagina di word e presi appunti.

Non ci potevo credere, me lo dovevo ritrovare pure in classe. E non sapevo neanche come si chiamava. Dovevo scoprirlo a tutti i costi, giusto per sapere chi era, niente di più.

Mi giravo spesso a guardarlo, e non ero l’unica. Ogni volta che mi giravo verso di lui, ovviamente senza farmi notare, credo, lo fissavo dubbiosamente. Avevo tante domande da fargli, ma non potevo, non sapevo chi era, ed erano domande un po’ personali. Potevo fargliele, ma sicuramente mi avrebbe detto con quel suo tono ironico ma allo stesso tempo serio , di farmi gli affaracci miei. E ovviamente aveva più che ragione.

Oh! sono un idiota! Sto qui a pensare a lui quando potrei benissimo anche non farlo. Mi creo problemi inutili. Pensai. Scossi lentamente la testa e tornai alla lezione, lessi gli appunti sul quaderno e decisi di iniziare da capo, avevo scritto tante cazzate. Ecco a furia di pensare a lui. Ragazzino inutile.

Quando suonò la campanella chiusi il portatile e mi girai verso di lui, ma si era già alzato e stava uscendo dalla classe. Infilai velocemente il portatile nella borsa e lo rincorsi. Ma per mia sfortuna inciampai in una gamba di un banco. Lo vidi girarsi per il rumore che avevo combinato e gli volai addosso. Ma mi fermò giusto qualche secondo prima che riuscissi a travolgerlo.

Le mie solite figuracce. «Scusa!» gli dissi arrossendo e guardando in giro, stavano ridendo quasi tutti.

  «Sei un disastro ragazzina!» e rise di nuovo.

  «Già…. Senti..»

  «Scusa ma devo correre a lezione. Ci vediamo.» mi interruppe andandosene.

Lasciai correre e andai alla lezione di italiano.

Le prime cinque ore passarono in fretta, senza intoppi e con mio sollievo non lo vidi di nuovo. Durante quelle lezioni guardando bene l’orario per la prima volta, scoprii che il Lunedì e Giovedì avevo il pomeriggio, fortunatamente solo di un’ora, siccome era laboratorio. Meglio così il giorno dopo potevo fare tranquillamente l’ultimo esame della patente. Già, l’esame! Mi ricordai colpendomi la fronte con la mano. Tirai fuori i libri della patente e cominciai a ripassare, facendo i test. Presi un foglio e risposi alle domande.

Prima domanda: Se il semaforo diventa giallo cosa devi fare?. Ok cerano varie alternative per rispondere, come: se sono sotto accelero, o potrei passare lo stesso tanto ce la faccio. Ma sicuramente quella più sensata era che mi dovevo fermare e fregarmene se qualcuno dietro di me mi suonava il clacson. Lasciai perdere.

Seconda domanda: Cosa fai se c’è un pedone che deve attraversare?. Ma che domande idiote. Sicuramente mi fermo, anche se il pedone non ha messo giù il piede dal marciapiede.

Terza domanda: Quando si può sorpassare in strada? Quando ovviamente ci sono le linee tratteggiate, o anche quando dalla mia parte la linea al centro è tratteggiata e dall’altra è una linea continua.

Continuai con queste domande ridicole finchè l’ora di pranzo non arrivò, e da qui in poi era la parte peggiore da affrontare. Non conoscevo nessuno, apparte quel ragazzino tanto fastidioso, ma probabilmente lui aveva i suoi amici, per fortuna.

Mi avviai in mensa, era bella grande per essere una scuola piccola con pochi ragazzi, faceva impressione. Soprattutto perché non erano tutti ammucchiati i ragazzi, ma il contrario siccome i tavoli erano ovali, con posti da sei persone e tutti sparsi in giro. L’unico problema è che erano tutti pieni, pur essendo in pochi.

Andai al bancone per prendermi qualcosa da mangiare, pur non avendo fame, ma secondo mia madre dovevo mangiare anche controvoglia. Decisi di prendere una mela e una bottiglietta d’acqua.

Poi mi girai verso la mensa e sbuffando guardai in giro alla ricerca di un posto libero, ma notai un'altra cosa, alcuni ragazzi uscivano dalla porta di vetro che dava su un giardinetto, ci andai anche io, magari avrei trovato un posto.

Quando uscii, notai che il giardinetto era vicino al parcheggio e intanto che mi guardavo in giro avvistai una panchina e mi ci andai a sedere. Tirai fuori il libro per l’esame della patente e ripassai mangiucchiando la mela. Riuscii a ripassare solo per un po’, perché fui distratta da una sagoma scura, che si trovava non tanto lontana da me. Alzai gli occhi dal libro e seguii il profilo di quella sagoma, anzi di quella persona, seduta da sola su una panchina sotto un albero. Mi misi a ridere, cosa voleva nascondersi dalla poca luce che rifletteva il sole ricoperto dalle nuvole?. Mi guardai in torno, gli altri ragazzi erano tutti a giocare con il cibo (a tirarselo addosso) o a leggere, poi mi alzai e mi avvicinai a lui.

  «Pensavo non mi sopportassi.» disse quando gli fui quasi vicino, senza neanche guardarmi perché stava leggendo dei libri.

  «Ho, una domanda da farti.» dissi ignorandolo.

  «Perché ti interessa tanto? Non eri tu quella che diceva di starti alla larga?.... Vedo che allora non vuoi che ti stia alla larga.» mi guardò con la coda dell’occhio sogghignando.

No, non mi aveva colta nel sacco. No, non aveva per niente ragione!.

  «Bè, non potrei sapere il nome di una persona, che ti parla e che te la ritrovi da tutte le parti?» risposi acida e guardandolo torvo.

Alzò la testa, ma non per guardare me, per guardare dall’altra parte. «Fratellone?» sentii gridare dall’altra parte del giardino. Mi girai a vedere chi era e sorpresa! Era la ragazza che avevo avuto come compagna di banco in prima ora. In effetti ci assomigliava,e dovevano avere anche la stessa età.

  «Arrivo!» urlò in risposta. Mise via i libri e si alzò. Wow, così vicino sembrava ancora più alto.

Mi allontanai da lui un po’ e guardai per terra. Lo vidi abbassarsi per guardarmi da vicino, così alzai lo sguardo. Mmm, non era male!

  «Bè, ci vediamo… Ragazzina» e sottolineo l’ultima parola ridendo.

  «Mi chiamo Bella.» Ecco il mio nome glie l’avevo detto, ora volevo il suo.

Mi guardò stupito e sorpreso. Poi si guardò intorno a disagio e sospirò. Abbassò la testa fino ad arrivare a sfiorarmi la guancia e il mio cuore, senza motivo andò a mille. «Mi dispiace… Ma resterai delusa ancora una volta.» sussurrò al mio orecchio. E toccandomi leggermente con la mano i capelli, se ne andò.

  
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