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Autore: aki_penn    04/10/2009    6 recensioni
Si è sempre parlato di gente "sfigata" che vuole diventare bella ricca e famosa, ma a nessuno è mai interessato se qualcuno sta bene nel suo bozzolo da nerd con una catenella da gabinetto attaccata alla porta? Beh, mio fratello stava bene così. E finchè se ne è stato nel suo piccolo paradiso di 20 metri quadrati nessuno ha mai avuto da ridire (a parte mia madre ovviamente), ma poi è arrivata quella tipa , ed è cambiato tutto, a partire dalla catenella del wc,e a finire col cercare di farlo diventare una specie di latin lover! E io sapevo che avrebbe portato guai, io lo sapevo, ma figurati se qualcuno mi ascolta mai in questa famiglia!
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I miei venti metri quadrati' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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I miei venti metri quadrati

Capitolo Sedicesimo

L’alleanza delle Pettegole

 

 

Sbocconcellavo la mia brioche tenendola stretta con la punta delle dita, nascosta da un cappello fiorato con foggia da pittore, e un paio di grandi occhiali con gli strass. La maglia che indossavo, che gli si gonfiava all’altezza delle spalle mi arrivava fino a metà delle mani, il che era l’ideale per riscaldarsi nelle giornate d’inverno prenatalizie come quella.

“Sei imbarazzante con quel gilet zebrato Joyce” civettai più allegra del solito.

“Sai cos’è imbarazzante, Rachele?” ribatté Joyce piccato “il fatto di esserci seduti accanto al tavolo di Nikka e tuo fratello per poterne origliare i discorsi!”

Alzai le spalle con aria sognante, per poi incupirmi “Joyce, c’è una delle mie oche blu che ha i capelli castani, ne sai qualche cosa?” domandai perentoria.

“No” rispose Joyce con l’aria più colpevole del mondo. Feci un sospiro “Farò finta di crederci” ribattei. Alla fin fine mi interessava fino ad un certo punto dei capelli delle mie oche, e tornai a dare ascolto a Nikka poco più in là.

 

 

“Ho lasciato Alberto” proferì tranquillamente Nikka strappando la bustina del suo dolcificante. Mei era un po’ perplesso, neanche una parola su quello che era successo al Criminal, come se non fosse mai accaduto.

Era un dettaglio imbarazzante? Bene, Nikka lo cancellava.

“Quella roba è cancerogena” disse lui alludendo al dolcificante. Nikka alzò le spalle “Sempre meglio che ingrassare”.

Mei avrebbe voluto ribattere ma lasciò perdere, calandosi sul suo cappuccino e guardandola sottecchi.

Qualche tavolo più in là le sorelle Cumoli sorseggiavano silenziose l’una un tea, l’altra un cappuccino con latte di soia.

Emily scorreva veloce tra le righe del suo giornale economico, quando fu colpita da qualche cosa alla sua sinistra. Picchiettò con l’indice l’avambraccio della sorella invitandola a guardare nella sua stessa direzione.

“Jane? Quello che Joyce ha addosso, non è il tuo lupino?”.

Jane alzò un sopracciglio e storse la bocca orribilmente. “Me lo slarga!”urlò con un’evidente crisi di nervi.

Emily non fece molto caso alla sorella che in un nano secondo fu su Joyce prendendolo a borsate in testa. Rachele che con quel trambusto non riusciva più a seguire i discorsi fatti al tavolo accanto si alzò gli occhiali e guardò la ragazza col caschetto che le sorrise amabile, per poi alzare il suo tea in aria come per brindare e infilarci dentro il naso sospirando “Fortuna che domani è già Natale”.

Rachele appoggiò il gomito sul tavolo e morsicò l’asta degli occhiali da sole pensierosa, del tutto dimentica dei due fratelli che se le stavano dando di santa ragione dall’altra parte del tavolo. Alla fine, come trovando la soluzione, alzò le spalle con un sorriso e se ne andò senza pagare, ci avrebbe pensato Joyce.

Emily trangugiò il fondo del suo tea e si infilò in fretta la giacca seguendo l’esempio della ragazza blu, non si sarebbe di certo trovata un marito miliardario stando seduta al bar a bere il tea.

Del canto loro Mei e Nikka sembravano imperturbabili, se non fosse stato per una fugace e critica occhiata della ragazza, in direzione dei fratelli Cumoli, si sarebbe detto che i due non avessero notato nessun movimento sospetto.

Ma comunque il tutto non li turbò granché, dato che Mei continuò a zuccherare il suo cappuccino, e Nikka continuò a bere il proprio prontamente dolcificato.

Il ragazzo scribacchiò qualche cosa su un foglio illeggibile, più per le abbreviazioni che per la scrittura, che era precisa e tondeggiante, e si sarebbe adattata di più a una donna.

“Bene Mei” esordì tranquillamente con fare organizzato senza guardarlo , e sfogliando un giornale che parlava di trucchi e ricostruzione delle unghie “Sta sera ci sarà una festa, l’ultima festa dell’anno che organizzerò… si sa no, Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi no?” disse buttando lì un detto che le era venuto in mente sul momento, par dare effetto organizzazione. Era indecisa, cosa fare all’università? Scienze della comunicazione? Ingegneria manageriale? O moda? Ci avrebbe pensato ad agosto, dopo l’esame di maturità.

“Ma non c’è anche capodanno?” chiese mestamente Mei, per quanto ne sapesse, anche se lui l’aveva sempre passato con sua madre e parentela(con tanto di zio Michele già ubriaco un’ora prima della mezzanotte)la maggior parte dei ragazzi usciva a festeggiare con gli amici.

Nikka sospirò con aria di chi ripete la stessa cosa per l’ennesima volta “Mei, la festa di Capodanno la organizzerà il Luxury…” disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Tornò a rimescolare il dolcificante nella tua tazzina, mentre Mei beveva e la guardava sottecchi. Accanto a loro i fratelli Cumuli continuavano a sbraitare come due animali feriti e a darsele di santa ragione. Anche il barista era accorso preoccupato cercando di fermare i due e prendendo Jane per le spalle.

“Mi lasci! Sono in missione per conto di Dio! Mi sta slargando la maglia!!” urlò lei fuori di sé.

Nikka lanciò un’altra occhiata schifata “Questa famiglia Cumoli è davvero blasfema” brontolò tra sé sorseggiando il suo cappuccino.

“Allora cosa hai organizzato per sta sera?” chiese Mei spostando l’attenzione della ragazza dai due litiganti a sé stesso.

Nikka increspò le labbra e alzò gli occhi al cielo con uno schiocco di lingua pensieroso.

“Ho parlato con Ilaria Gandolfi, hai presente?” chiese lanciandogli un’occhiata complice “Quella che si è fatta una sesta di reggiseno in plastica” aggiunse. Mei annuì, non aveva idea di chi fosse, ma non gli andava di interrompere.

“Ha una casetta subito fuori città… e i suoi sono momentaneamente via per lavoro…quindi… è tutta per noi”spiegò.

“Tu non fai mai feste a casa tua perché non è abbastanza grande o perché tua madre è sempre in città?” domandò Mei per pura e innocente curiosità. Nikka ghignò “Non faccio mai feste nel mio appartamento perché non voglio essere io quella a cui ruberanno il televisore e vomiteranno sul tappeto persiano ereditato dalla nonna” illustrò con amabile cattiveria. Mei si nascose dietro la sua tazzina ormai vuota, facendo finta di bere.

“Comunque dicevo, ci sarà un catering di tutto rispetto e ovviamente fiumi di alcol, lo so che è inutile dirtelo perché sei astemio, ma è lo stesso, dovresti provarlo un po’ di spumante ogni tanto sai? Poi manderò Vanessa e Millie a comprare delle lucine da esterno da mettere su quel cipresso così triste che c’è in giardino” illustrò massaggiandosi il mento.

“Come mai non ci vai tu? Non preferisci fare le cose di persona?” chiese Mei, che per quanto aveva capito, Nikka era una persona che voleva avere le cose sottocontrollo.

“Perché ho cose molto più importanti da fare, come per esempio comprare un vestito per sta sera!” trillò “Cosa ne pensi del raso?” aggiunse poi.

“Scivoloso?” rispose Mei dubbioso. Nikka non fece realmente caso alla risposta e cinguettò “E raso sia!” . Mei si guardò in giro, si chiese dove Nikka trovasse i soldi per i vestiti e anche per le feste.

“E chi pagherà tutta questa roba?” chiese lui perplesso. Nikka alzò le spalle “Ovviamente la Gandolfi, ha i soldi, che li usi no?” sbuffò innervosita dall’inutile domanda “E se te lo stai chiedendo, sì, tua sorella e Joyce si imbucheranno alla festa come fanno a tutte le feste. Sempre che Joyce sopravviva!” aggiunse infine dando un’occhiata sbieca alla sua destra. I fratelli Cumoli avevano smesso di picchiarsi e Jane aveva finalmente recuperato il suo amato lupino, lasciando il fratello mezzo nudo e con qualche manciata di capelli in meno.  

“Almeno non hai più quella pettinatura da nerd giapponese!” esclamò lei uscendo a passo di marcia. Il barista perplesso guardò il giovane seduto sul pavimento. “Nerd giapponese?”

Joyce alzò le spalle “Lasci perdere”.

“Comunque” ricominciò Nikka “parliamo di cose serie: sta sera ti troverai una ragazza! Intesi?”.

Mei annuì. “Mi è parso di capire che te ne eri trovata una al Criminal, Elena mi pare…” continuò pensierosa “E poi cosa è successo?”chiese.

Tu mi hai baciato idiota! Avrebbe voluto rispondere lui, ma pensò che fosse meglio  ripiegare su “Mi è venuto un mal di stomaco lancinante e fulminante, sono dovuto correre a casa subito”mentì annuendo per aggiungere gravità al racconto.

“Hai ancora dei problemi intestinali?” domandò Nikka guardinga. Mei alzò le mani in segno di resa “No, no, tutto sottocontrollo!” assicurò lui calmando le acque.

“Bene, non voglio dissenterie la vigilia di Natale!” ordinò perentoria. Mei annuì con fare militaresco.

“Torniamo a noi” trillò ancora lei incrociando le dita tra loro e protendendosi in avanti sul tavolo “Mettiamoci d’accordo…cosa fai?” chiese cospiratoria. Mei sbatté le palpebre perplesso e fece una smorfia dubbioso avvicinando il viso a sua volta a quello della ragazza “Cosa farò quando?”

Nikka sbuffò spazientita “Per rimorchiare una ragazza!”. Mei cadde dal pero.

“Ehm… ci parlo?” provò con l’espressione dell’interrogato che non ha studiato e tenta il tutto e per tutto.

Nikka sospirò e alzò gli occhi al cielo “Allora ascoltami bene Mei, non te lo ripeterò” fece lei stancamente, lui annuì compito.

“Devi cercare un contatto visivo ok? Scegli la ragazza che ti piace e la guardi, aspettando che lei ti noti in qualche modo. Poi ti avvicini cautamente, con fare tranquillo , non troppo deciso, come se fossi lì per caso. Non sei il maniaco dei giardinetti venuto a mostrare i gioielli di famiglia insomma!” esclamò in uno slancio vitale.

“Non c’è pericolo” commentò Mei pensando che mai se ne sarebbe andato in giro a mostrare i genitali agli estranei.

Vebbè, dicevamo, ti avvicini e trovi qualche cosa di stupido da dirle ok? Non di veramente stupido, non ti sognare di metterti a parlare delle tue troie e…

Trojan Hourse” corresse Mei tranquillamente. Nikka lo ignorò “Qualche cosa che ti permetta di attaccare discorso insomma! Poi continua il discorso, non credo sia il tuo caso, ma non parlare troppo di te, falle delle domande, le ragazze adorano parlare e credere che l’uomo le ascolti”, Mei si domandò se anche Nikka si crogiolasse nella sua attenzione.

“Poi dille qualche cosa che sembri un complimento ma che non lo sia del tutto del tipo : ma che begli occhi, assomigliano a quelli di una civetta!

“Le civette sono carine” ribatté Mei dubbioso sul senso della frase.

“Sono animali orribili, andrebbero sterminati tutti secondo me” commentò drastica senza il minimo cruccio. Mei del canto suo sentì lo stomaco chiudersi, come se fosse lui la civetta in procinto di essere sterminata.

“Offrile da bere… non è che ci voglia un gran sforzo, tanto è gratis, e dopo un po’ allontanati, ma controlla che ti guardi. Ti guarderà di sicuro se fai come dico io. E poi non sei male, e questo aiuta notevolmente!”. Mei annuì scolastico, ci mancava solo che lei gli chiedesse anche di prendere appunti.

“Se vedi che lei ti guarda ogni tanto torna e casualmente inizia dirigerti in un posto appartato e magari dille qualche cosa di carino… non smielato per piacere, non perché non adeschi, ma perché lo trovo ributtante!” sbottò facendo una smorfia.

“Non credo di essere un tipo smielato, piuttosto sto zitto” sussurrò mesto lui.

“Ringraziamo il cielo allora!” sentenziò lei sbattendo il pugno sul tavolo. “E poi, quando arriva il momento giusto la baci… ma solo con le labbra, non saltarle addosso stile assatanato”sbraitò.

“Ti sembro il tipo?” ribatté Mei un po’ offeso.

“Non si sa mai, meglio dirlo una volta in più che una in meno!”sentenziò lei tranquilla. “Poi ti stacchi e la guardi, e le dai un secondo bacio… e lì allora ci puoi mettere più impegno se ti va…” disse lei rimanendo sul vago.

A fine serata le chiedi se vuole un passaggio a casa… che automobile hai?” chiese diplomatica.

“Mia madre ha un’utilitaria, ma io non ho la patente” ammise deglutendo.

“Bah!” sbottò lei irritata “Ma che razza di uomo è uno senza patente… vabbè, puoi chiederle se vuole prendere il taxi con te…

“Joyce conosce uno del servizio limousine…” azzardò più per informazione che per vera intenzione di ripiegare sul lusso.

“Mi pare eccessivo” commentò lei sottecchi.

Lo fissò “E’ tutto chiaro?” domandò. Mei alzò le spalle dubbioso “Direi di sì”

Nikka sorrise “Bene, la seduta è tolta! Ci vediamo domani sera alla festa, ti metterò l’invito con l’indirizzo sotto la porta, il caffè lo offro io” e fu così che si alzò si accese una sigaretta e se ne andò spavalda a passo veloce, da folletto.

Si appoggiò al bancone esibendo una carta di credito dorata, era tutta scena, dentro non c’erano più di una cinquantina di euro ma non aveva importanza.

“Pago due cappuccini” disse con aria di superiorità, ma la barista non parve darle grande importanza, stava infatti allungando il collo per vedere meglio fuori dal negozio.

“Che c’è?” chiese la ragazza infastidita mentre la donna prendeva la carta di credito e la passava nel macchinino apposito.

“Carino il tuo amico” fece distrattamente con un sorriso, Nikka sbiancò e guardò fuori , dove Mei l’aspettava con le mani in tasca dando le spalle alla vetrina.

La ragazza si voltò di nuovo a guardare la barista con le sopracciglia aggrottate e la bocca semi aperta.

“Ha anche un bel sedere” commentò allegra. “Ma…ma avrai cinquant’anni che diamine!” sbottò stizzita riprendendosi la carta di credito e andandosene mentre la barista le urlava dietro “Ne ho quarantanove!”

Nikka piombò accanto a Mei cercando di coprirgli il sedere col giubbotto “Copriti santo cielo” disse perentoria.

“Ma che c’è!” brontolò lui preso di sorpresa rischiando di sbilanciarsi da una parte.

Più tardi Mei si sedette guardingo al tavolo del pranzo, mentre Rachele dall’altra parte della tavola leggeva un giornale di moda di sua madre e la signora Pavesi lambiccava allegramente cantando tra le pentole.

La porta si aprì e ne entrò un provato e un po’ spelacchiato Joyce. Con una rapida occhiata Rachele ebbe modo di accorgersi che aveva di nuovo rubato il lupino alla sorella.

Ciao Joyce caro!” esclamò la signora Pavesi alzando per un attimo gli occhi dalla padella.

“Buon giorno signora!” rispose lui un po’ stanco andando a sedersi tra Mei e Rachele al tavolo quadrato della cucina.

“Da quando entri dalla porta e non più dalla finestra del bagno?” chiese la ragazza senza dargli tanta attenzione.

“Da quando sono entrato dalla finestra e tua madre è uscita dalla doccia, lei ha urlato, io ho urlato, lei ha urlato di nuovo e io sono caduto sul gazebo del signor Michelini”spiegò concitato.

“Deve essere stato imbarazzante” fu il commento distratto della ragazza per nulla impietosita.

“Non hai idea di che male mi facciano le costole” disse massaggiandosi la schiena rivolto a Mei, che gli regalò un sorriso solidale.

“Mi chiedevo se per caso andaste alla festa che Nikka organizzerà per domani sera” azzardò Mei guardingo mentre la signora Pavesi approdava in tavola con una pentola piena di spaghetti, sulla quale Rachele e Joyce si buttarono famelici. Mei aspettò educatamente il suo turno senza accapigliarsi e rigirandosi la forchetta nella mano destra

“Ovviamente no” disse tranquillamente sua sorella mentre inforcava una mano a Joyce che del canto suo reprimeva un grido stridulo, tutto sotto gli occhi distratti della signora Pavesi che sorrideva agli angeli.

“Non dico andarci con l’invito, intendo imboscarvi…”sottolineo Mei sporgendosi un po’ in avanti verso la pentola. Sua sorella parve pensarci “Beh, se la metti in questo modo…” disse lasciando la frase vaga,mentre arrotolava gli spaghetti alla forchetta.

“Beh, sì, credo che potremmo imboscarci…ma forse porteremo un paio di amici…perché?” domandò infine guardinga.

“Mi serve un passaggio, a quanto ho capito la festa non è vicinissima” spiegò semplicemente.

“Oh” disse solo. Scambio di sguardi tra i fratelli, la signora Pavesi si serviva dalla pentola e Joyce si studiava la mano colpita.

“A tuo rischio e  pericolo, ci andiamo con l’auto di Joyce, verde Irlanda con un enorme trifoglio disegnato sul tettuccio, l’apoteosi del trash… ci rimetteresti la reputazione” proferì tranquilla.

“Sei sempre a lamentarti! Che diamine ha la mia auto che non va! Dato che tu non hai la patente non dovresti lamentarti, è una vita che ti scarrozzo io ovunque!” sbottò Joyce colpito nel vivo.

“Da una vita? Ma se hai la patente da due mesi!”ribatté lei.

“Due mesi e venti giorni!”

“E hai già ridotto l’automobile come un carro di carnevale!!”sentenziò la ragazza blu sottolineando il tutto con una seconda forchettata. Mei alzò le spalle e si servì lasciandoli litigare in pace.

 

 

Era ormai arrivata sera mentre il signor Giovanni Cumoli si accingeva a sistemare tutti i numeri di un nuovo fumetto giapponese sullo scaffale. Lui preferiva quelli vecchi, invece nell’ultimo periodo venivano sempre fuori cose strane, i robot da guerra non erano più quelli di una volta, le storie d’amore non erano più quelle di una volta, le storie hard non erano più quelle di una volta e nemmeno i disegni erano più quelli di una volta, era decisamente cambiato il mondo, e ormai non c’era più la venerazione per i fumetti che c’era una volta, qualche studente di giapponese aspirante mangaka, Enrico, il tipo con gli occhiali, lui voleva trasferirsi in Giappone dopo la laurea, qualche vecchio amante di Tex, una certa Elena che leggeva gli shojo e un tizio biondo e grosso con l’aria da troglodita, com’è che lo chiamavano? Pallotti? Che a suo parere non sapeva neanche leggere i fumetti per il verso giusto e comprava quelli hard solo per le figure.

Il signor Cumoli di sicuro aveva passione, era un uomo minuto con un pizzetto radicato al mento fino dalla gioventù, si era sempre chiesto come aveva fatto a venirgli fuori un marcantonio di figlio se lui era un scricciolo, e sua moglie pure, ex moglie poi.

Abigail ogni tanto gli mancava, le telefonava, e lei gli rispondeva in inglese, avevano parlato in inglese per anni, poi lei aveva deciso di tornarsene in Irlanda e di sposare uno stupido Irlandese. Maledetti Irlandesi.

Si passò la mano tra i capelli e sospirò, ormai era Natale, non sentiva molto l’atmosfera in negozio, l’unica cosa vagamente natalizia era uno stupido albero di natale elettronico e ballerino che ogni tanto cantava con un vocione impressionante Jingle Bells.

Lo scampanellio della porta lo ridestò dai suoi pensieri sulla gioventù bruciata, alzò la testa ed allungò il collo per vedere in controluce chi era entrato. Una donna bassa e grassottella, coi capelli raccolti in una crocchia e il vestito di lanetta con le frappe fece il suo ingresso stancamente, si fermò a metà del negozio e salutò “Giovanni… buona sera… pensi che sia possibile impedire al tuo figlio di andare in giro con quell’orribile gilet zebrato? È un pugno nell’occhio, addirittura peggio del pellicciotto arancione, oserei dire che minacci l’ordine pubblico… e poi dovrebbe smetterla anche di arrampicarsi sulle grondaie, rischia di farsi male…” spiegò tranquillamente compunta la signora Pavesi stringendo la pochette.

Il signor Cumoli sospirò “Nonostante sia d’accordo in pieno , soprattutto per quanto riguarda le grondaie , ma dubito sia possibile convincerlo…Arabella, piuttosto, credi che sia una richiesta possibile chiedere a tua figlia di smetterla di telefonare a Joyce di notte? A volte me lo trovo addormentato sul water…” fece lui appoggiandosi con le mani al bancone.

Arabella Pavesi sospirò “Sai che non smetterà mai di svegliarlo…”.

Ennesimo sospiro genitoriale sconsolato.

“E’ sempre un piacere chiacchierare con te , Giovanni caro, come sta Abigail?” domandò infine mentre si accingeva a uscire ed aveva già un piede oltre l’uscio.

“Abbiamo divorziato prima che ci conoscessimo… Mattia?” rispose lui tranquillo.

La signora Pavesi alzò le spalle “Morto, come al solito” disse con semplicità e uscì tirandosi dietro la porta che del canto suo fece risuonare lo scaccia pensieri.

Il signor Cumoli alzò gli occhi al cielo e si chiese come mai nessuno dei suoi figli amasse i fumetti.

Gioventù bruciata.

 

La sera della vigilia di Natale non ci mise molto ad arrivare, c’era chi la passava in famiglia e chi decideva di uscire. Mei aveva deciso di uscire, lasciando sua madre, zio Michele e altre decine di parenti a festeggiare in cucina.

Era pronto da circa venti minuti, quando decise di azzardarsi a farlo notare a Joyce e Rachele che si accapigliavano in corridoio.

“Forse faresti meglio ad andare in autobus, temo che qui ne avremo ancora per molto, e poi dobbiamo passare a prendere un amico” spiegò Joyce immobilizzando entrambe le braccia alla ragazza che del canto suo gli assestò un calcio. Mei uscì di casa scocciato con l’immagine di un Joyce dolorante, una Rachele in vestaglia,e uno zio Michele già un po’ brillo.

Scese le scale con le mani in tasca, trotterellando veloce e deciso. Ci avrebbe messo un secolo ad arrivare in quel maledetto posto, gli autobus, la sera, erano notoriamente più rari.

Si era messo le scarpe da ginnastica in vernice, sua madre le aveva pagate un occhio della testa, ma a suo dire erano bellissime, aveva risparmiato sul resto dei vestiti, i jeans erano immacolati (“Quanto odio gli strappi nei pantaloni , Mei caro, non li ho mai potuti soffrire, neanche quando andavano di moda, suvvia, anche zia Elda che ha il Parkinson saprebbe dare una rastrellata a un vestito e farci quegli sbraghi inutili. E poi ti viene freddo alle ginocchia!!” era solita dire la signora Pavesi).

La giacca era quella di pelle, l’unico capo di abbigliamento che gli piaceva, del resto non gliene fregava granché. Se ne fregava già abbastanza sua madre.

Come previsto il viaggio sull’autobus vuoto non fu breve, mentre nell’abitacolo c’era luce e fuori regnava il buio, sempre più spesso man mano che si avviavano verso la più estrema periferia.

Scese insieme al conducente che si voleva fumare una sigaretta, al capolinea, e augurò buon lavoro a quest’ultimo che lo ricambiò con un sorriso e gli indicò la strada giusta per la via che stava cercando. Non ci mise molto a trovarla, la musica era sparata a palla, e da una casa vicina giungevano diverse lamentele.

Era una villetta unifamiliare, distribuita su un unico piano, col tetto spiovente e le pareti intonacate di ruvido bianco. Individuò subito l’albero che Nikka aveva puntato e illuminato a dovere con delle lucine natalizie. Entrò con le spalle un po’ curve, le mani in tasca e lo sguardo un po’ truce.

Non era come la sua prima festa, forse dopo tute le angherie di Nikka e i baci di Elena era un pochino più rilassato, ma ciò non voleva dire che fosse diventato il re della scioltezza.

Entrò dalla porta principale, dalla quale sgorgavano giovani festanti con bicchieri di plastica pieni di spumante, dentro sembrava che tutti saltassero, qualcuno aveva rovesciato un vaso di murano, che giaceva a terra in mille pezzi. Sua madre ne aveva uno simile, si immaginò cosa sarebbe potuto succedere se lui o Rachele avessero organizzato una festa a casa loro cosa avrebbe potuto dire sua madre. Probabilmente la sua risposta sarebbe stata un infarto.

Riconobbe tra la folla qualche volto, qualcuno era in classe con lui qualcuno lo conosceva solo di vista.

Le pettegole se ne stavano appollaiate su una panchina in ferro battuto posizionata in giardino, e con le loro bevande analcoliche si dilettavano a dare un voto al vestiario di chi incautamente passava loro davanti.

Elena se ne stava abbracciata a un tizio, vicino alla porta che conduceva in cucina, e non avevano l’aria di voler chiacchierare.

Mei si faceva largo mestamente tra la folla cercando di non colpire e di non venire colpito da nessuno. Fu quando si girò indietro quasi ad accertarsi che la porta da cui era entrato fosse ancora aperta per facilitargli la fuga, che si sentì tirare per il colletto.

Mei!” trillò Nikka visibilmente alticcia e con un vestito di raso terribilmente corto. Mei deglutì.

“Non mi sono messa la biancheria!!” strillò civettuola stampandogli un bacio sulla guancia con un’insospettabile potenza e sparendo subito dopo nella folla lasciandolo basito.

Da dietro Nikka, con la sua sparizione, apparvero Vanessa e Millie che con la determinazione  di due bulldozer lo presero una per un braccio, e l’altra per l’altro spingendolo indietro.

“Vieni con noi Mei!” dissero melliflue, e probabilmente le loro intenzioni erano delle migliori, ma tutto quello che fece Mei fu stamparsi in faccia un’espressione di puro terrore. Si distolse dalla sua funesta sorte alzando gli occhi e vedendo una Rachele dallo sguardo serio scendere dalle scale del soppalco. Il vestito che portava non era uno di quelli fatti da sua madre, sembrava lo stesse redarguendo per la compagnia, come darle torto! Oppure semplicemente era un questa volta te la cavi da solo.

La guardò scorrendo le spalle e il praccio proteso mollemente indietro ad afferrare le dita di Joyce per trascinarselo dietro, quest’ultimo alzò un pollice in segno di solidarietà e gli regalò un sorriso a trentadue denti. Mei fece un sorrisetto, che subito svanì quando Millie si strusciò contro di lui col sedere.

A pochi centimetri da lui passò sua sorella che scesa era arrivata fino al fulcro della festa, e lo fissò come se non lo conoscesse.

“Buona fortuna!” bisbigliò Joyce forse per non farsi sentire dalla ragazza blu che gli teneva le dita tra le sue senza stringere, ma riuscendo comunque a non perderlo mai.

E così come era sparita Nikka, sparirono anche loro nella folla danzante. A volte si chiedeva che razza di rapporto avessero quei due.

“Ti va di bere qualche cosa Mei?” chiese Vanessa avvicinandosi a lui cercando di fare la sensuale, cosa che non le venne molto bene. Era imbalsamata in un vestito interamente coperto di lustrini che le si attorcigliava addosso come edera. Del canto suo Millie con un vestito di lustrini più coprente sembrava una di quelle palle di specchi che si trovano in discoteca.

Mei, che fino ad allora si era fatto trascinare si risistemò sforzando di distendere tutti i suoi centottanta centimetri di altezza per darsi un minimo di tono. Si schiarì la voce ed elegantemente sciolse l’abbraccio delle due. “Ragazze scusatemi io devo andare…” doveva andare dove?dove poteva andare per liberarsi di quelle due piovre appiccicaticce e sbaciucchiose? “ …in bagno” terminò con l’unica stanza della casa che gli venne in mente.

“Veniamo con te” dissero in coro sbattendo le ciglia e guardandolo in mielose.

“Da solo” disse tra i denti in po’ irritato lasciandole lì e fuggendo tra la folla. Forse aveva bisogno di stare da solo, forse aveva bisogno davvero di andare in bagno.

Analizzò velocemente i pro e i contro di quella situazione, non era in un locale, quindi i bagni non erano segnalati da neon o altro, era in una casa e quindi lo spazio da esplorare era decisamente minore, escluse il soppalco supponendo che non potesse essere lì.

Ci mise meno di quanto pensasse, il bagno era dietro una porta bianca che si mimetizzava con il muro bianco, dalla quale usciva uno spiraglio di luce elettrica, spinse lievemente la porta con le dita, mentre una ragazza castana con un drink in mano lo spintonava per passare nello stretto corridoio. Mei soffocò un’imprecazione e mantenne l’equilibrio, non sopportava essere spintonato, e quelle feste erano un ricettacolo di spintoni.

Si fece avanti ed entrò nel bagno, che pur essendo di una casa grande non era certo una piazza d’armi.

Rimase sorpreso di trovare due ragazzi in mutande che si sbaciucchiavano sdraiati dentro la vasca, del tutto incuranti del suo ingresso. Mei si guardò in giro perplesso, poi si schiarì la voce per farsi notare. Il ragazzo, che indossava degli occhiali da sole si voltò verso di lui con aria scocciata e chiese “Saresti?”

Mei fece una smorfia “Io sono Mei” rispose con un sorrisetto irritato “e avrei bisogno del bagno”.

Anche la ragazza che era con lui, una biondina decisamente troppo magra e dall’aria sciupata lo guardò storto mentre il suo ragazzo rispondeva “Allora Nei, usalo se ti serve” per poi ricominciare a baciarla.

Mei!” corresse rendendosi poi conto che a quei due non poteva fregargliene di meno di come si chiamava e aggiunse “da solo. Avrei bisogno del bagno da solo!”

Il ragazzo con gli occhiali sbuffò e si accinse a uscire dalla vasca seguito dalla biondina “Non riesci proprio a farla se c’è qualcuno?” brontolò sbuffando, ma poi uscì dal gabinetto mentre la bionda gli cacciava un’occhiata risentita.

Mei corse alla porta e la chiuse a chiave, poi si sedette sul bordo della vasca.

Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Cosa fare? Ci voleva un po’ di cultura zen in quel momento, gli sarebbe stata utile, se non si sbagliava aveva sentito Joyce dire che Jane alle medie per un paio di mesi aveva fatto yoga. Si chiese se yoga e zen si somigliassero.

I suoi pensieri furono interrotti da dei rumori provenienti dalla finestra. Fuori c’era una ragazza alticcia che dava baci al vetro per indirizzarli a lui con le mani e le labbra spiaccicate contro la finestra.  Gli sorrise. Mei si alzò e tirò giù la tapparella chiudendola fuori. Si sentì un Ti amo ragazzo col giubbotto di pelle e un tonfo, segno che la ragazza era caduta per terra tra le piante sotto la finestra. Mei si risedette sul bordo della vasca incrociando gambe e braccia risentito. E che diamine!

Dove era andato a infognarsi anche quella volta!?! Nikka era ubriaca persa e andava a dire ai quattro venti che non si era messa le mutande, Rachele faceva finta di non conoscerlo, Joyce alzava i pollici e due arpie imbellettate gli si lanciavano contro, quella serata era iniziata nel peggior modo possibile.

Erano davvero migliori i tempi in cui stava a casa al computer o a spiare sua madre mentre ballava con Mister Manichino.  Era venuto lì per cosa? Perché Nikka giocava a fare D’annunzio, e a lui cosa diamine veniva in tasca? Una tizia che lo baciava attraverso il vetro?

Diamine lui era venuto lì per Nikka, a lui piaceva Nikka, non le sue stupide amiche di lustrini, e ne anche la tipa che baciava la finestra. Mise le mani a conca e ci appoggiò la testa. Doveva trovarsi una ragazza come diceva Nikka? Doveva proprio farlo? Per poi trovarsi in una vasca in occhiali da sole anni settanta e mutande?

Forse doveva provare a bere un poco, ma che diamine lo spumante gli faceva schifo, per non parlare della birra. Quella roba che aveva bevuto dalla lattina di sua sorella, davanti al gabinetto. Sospirò e si mise a guardare i sanitari, a studiarli e passarci le mani sopra.

Il coperchio del water era di quelli decorati, nello specifico da girasoli e sassolini gialli e arancioni.

Il tappo del lavandino era un poco incrostato dal calcare, ma per il resto era tutto impeccabile, in alto a destra il talco e diversi profumi chic.

Che fare uscire ed andare a casa, o rimanere a poltrire in un bagno. Da fuori bussarono “Allora incontinente,  hai finito? Rivogliamo la vasca!” sbottò poco garbato quello che probabilmente era il ragazzo con gli occhiali da sole.

Mei si alzò irritato e con poca cura girò la chiave ed aprì la porta. Diede un’occhiataccia al ragazzo e se ne andò a passo di mancia, mentre quest’ultimo commentava “Era ora!”.

In un nano secondo aveva deciso che nessuna delle due ipotesi prese in considerazione in precedenza era giusta. Se Nikka voleva che si trovasse una ragazza se la sarebbe trovata. Puntò al tavolo delle vivande e si verso in un bicchiere un liquore a caso. Sospirò e lo mandò giù tutto in una volta, cosa che gli fece fare una smorfia di disgusto, mentre sentiva la gola prendergli fuoco. Respirò forte e guardò il lampadario luminoso. Si passò le mani sulla faccia provato e prese un'altra bottiglia a caso riempiendosi il bicchiere fino all’orlo. Buttò giù anche quello come se fosse una medicina, mentre sentiva già lo stomaco  che si ribellava e un accenno della cena a tornare su da dove era venuta.

Chiuse gli occhi e si strinse nelle spalle. Se doveva trovare qualcuna doveva bere, non è che ci fossero molti altri metodi, se l’alcol ti faceva sentire leggero allora era quello che gli serviva, ma più che altro si sentiva nauseato.

Si guardò in giro, gente che ballava saltellando sul posto, gente seduta per terra, in cucina si intravedevano due che si sbaciucchiavano in modo poco decente sdraiati sulla lavastoviglie. Un tavolino sfondato e qualcuno che ballava sulle poltrone, il pavimento era bagnato di liquidi sconosciuti.

Si chiese chi potesse essere quella pazza di Ilaria Gandolfi, disposta ad accettare quella guerra tra le sue mura gli sfuggì un pensiero sussurrato “Ma chi diavolo permetterebbe che si facesse questo in casa propria?” sbottò con ancora il bicchiere in mano.

“Oh, lei” cinguettarono alle sue spalle, istintivamente si girò e parecchi centimetri più in passo trovò una piccoletta con l’occhio vispo e i capelli dal taglio sbarazzino, che lo guardava con occhi vivaci e molto truccati. Mei la guardò, poi si voltò a guardare la ragazza che gli era stata indicata.

Era sdraiata, piaggiata più che altro, sopra un divano bianco e macchiato dall’aria costosa, a pancia in giù profondamente addormentata con la bocca un po’ aperta e una lattina di birra in mano. Aveva i capelli tinti di un rosso fuoco e per quello che si poteva vedere un seno quasi imbarazzante. Gli sembrava di aver sentito Nikka parlare di sesta di silicone, ma non era sicuro di ricordarlo per bene.

Si voltò di nuovo verso la ragazza bassa che aveva parlato “Non ha una bella cera eh?” fece, lei ghignò “Affatto, e domani mattina quando si accorgerà in che stato è ridotta la sua casa sarà ancora peggio”.

Mei annuì e buttò giù faticosamente un altro bicchiere di qualche cosa di non ben descritto. Sarebbe stato male se lo sentiva, già iniziava a sentir girare la testa, e per di più temeva di aver mischiato troppi alcolici diversi. La ragazza sorrise e si versò del gin, poi lo guardò alzando il bicchiere di plastica “Alla goccia?” chiese.

 Mei si disse che rispondere no grazie, sto già male, non sarebbe stata una gran mossa a quanto gli aveva detto Nikka , quindi si affrettò a riempirsi il bicchiere e a brindare. Sentì tutto il liquido scendergli in gola e strinargliela, non beveva così velocemente neanche l’acqua, figurarsi il gin che effetto doveva fare.

La ragazza era piccola, non come Nikka, ma era diversi centimetri in meno di lui, doveva essere più piccola, non era all’ultimo anno per quello che ne sapeva.

“Devo supporre che tu non sia un suo amico…”fece lei allegra versandosi un altro bicchiere, Mei esibì il suo vuoto fingendo indifferenza.

Pensò a quello che gli aveva detto Nikka, domande “Come ti chiami?” era una domanda stupida, ma almeno non era strana, insomma, il nome bisognava saperlo no?

“Alsazia” ammise con un sorrisetto strano e dondolandosi come una ragazza del coro.

“Geografico” commentò Mei annuendo. Lei sorrise “I più simpatici mi soprannominano Sazia”continuò tranquilla.

“Davvero simpatico” continuò lui senza sapere cosa dire “E tu?” chiese lei.

Mei

“E’ più stupido del mio” ridacchiò. “Oh, è un soprannome, mi chiamo Federico in realtà”. Alsazia annuì “Carino”. Mei annuì imbarazzato senza sapere cosa dire, lei invece sembrava assolutamente a suo agio senza nessun problema a trangugiarsi un altro bicchiere alcolico.

Chebegliocchiassomiglianoaquellidiunacivetta” disse tutto d’un fiato, senza lasciar capire nulla, gli sembrava una tattica estremamente idiota.

“Eh?” chiese lei. “Niente” si affrettò ad aggiungere lui “è l’alcol che parla, non sono io” spiegò rigido.

Lei rise ignara della macchinazione che vi stava dietro “Che buffo!” se non altro tutto quell’alcol non la rendeva troppo perspicace. “Altro brindisi?”

Mei fece un sospiro stanco di chi sta per fare un grande sacrificio. “Vada per il brindisi!”

Poco lontano sedute su una panchina tre ragazze erano intente in ben altri affari “Santo cielo! Che vestito si è messa la millefoglie? Sembra una mongolfiera glitterata! E neanche la sua amica vestita uguale è un granché! Io darei a entrambe un tre come voto sul vestiario”sentenziò irritata una ragazza coi capelli lunghi e mori, in contrasto con la pelle del viso a dir poco cadaverica.

“Io direi anche tre meno!” rincarò la dose la sua amica con occhiali spessi e capelli quasi arancioni.

“Io darei un quattro, ma solo perché il vestito è di marca” commentò Emily seduta tra le due.

“Sì, sai forse hai ragione” disse la mora , poi guardò Emily incuriosita “ma scusami tanto, tu chi sei? Non ti ho mai visto a scuola” domandò accorgendosi solo allora che aveva passato tutta la sera a parlare con una sconosciuta.

“Oh”Emily si ripropose in un gesto civettuolo e disse “Io non sono più alle superiori, sono la sorella di Joyce non so se avete presente? Faccio economia finanziaria all’università”spiegò con un sorriso.

“Chiunque conosce Joyce, come dire… si è fatto notare… e poi lo so che sei sua sorella ma quel pellicciotto è davvero orribile, gli darei un due!”

“Oh, io gli darei meno uno! Lo so che è orrendo! E non è nemmeno di marca!”sentenziò Emily visualizzando il vestiario del fratello mentalmente.

“Un altro drink?” chiese la rossa, o meglio, l’arancione a Emily, notando il bicchiere vuoto dell’amica.

“Oh, no grazie, sono astemia, se non rimango lucida come faccio a trovarmi un miliardario?” spiegò gentilmente mentre la sua interlocutrice rimaneva a bocca aperta e guardava l’amica.

“Ma, ma… è quello che pensiamo anche noi, come fai a raggiungere gli intenti, come trovarsi un miliardario o carpire tutti i pettegolezzi se non rimani lucida!”, ci fu un abbraccio generale, e sbocciò così un nuovo inaspettato amore.

“Potresti venirci a trovare in mensa nelle pause pranzo! ci sono un sacco di pettegolezzi che ti interesserebbero tantissimo!” esclamò la ragazza diafana al settimo cielo.

“C’è qualche ragazzo ricco?” si informò subito Emily. La ragazza mora ci pensò “Mah, in realtà a parte Lombardi non mi viene in mente nessuno, ma credo che la ragazza che ha dato questa festa abbia un fratello!” disse pensierosa. Emily sorrise “Ottimo!”

“Tornando a noi” esclamò la rossa rimettendo l’attenzione delle amiche dove doveva stare ovvero al pettegolezzo “Anche questa sera Isabella Gigli ha tradito il suo ragazzo, e lui continua a non credere che lei sia una ragazza dai facili costumi, intanto gli sta crescendo una foresta amazzonica di corna sulla testa…” disse.

“Oh, poverino! È ricco?” si lasciò commuovere Emily. La rossa occhialuta la liquidò con una mano, come per dire lascia perdere è povero in canna.

“E tra l’altro, chi diamine erano quei due che sono passati prima? Lei con gli occhiali da sole di notte,i capelli talmente ossigenati da sembrare bianchi, ubriaca fradicia prima di entrare, e lui con quella pettinatura da ananas e una granita in dicembre?” chiese.

“Non ne ho idea, rispose l’amica, dici che ci sia dietro uno scandalo? Comunque alla maglietta rosa del ragazzo darei un quattro e mezzo…

“Indaghiamo” esclamò la rossa convinta.

Poco distante Joyce e Rachele uscivano dal garage di famiglia e lo richiudevano tranquillamente.

“Cosa ci manca?” chiese lei tranquilla , mentre lui estraeva un foglio dalla tasca dei jeans , su cui stava scritta una lista “Allora, fare una foto a Isabella Gigli mentre bacia un altro e mandarla al suo ragazzo,fatto, se non crede alle pettegole  crederà alle foto, fare i baffi col pennarello indelebile a Livio Urbini mentre dorme, fatto, chiudere in bagno quell’idiota di Elena … perché hai dovuto aggiungere idiota, ce l’hai con lei perché è andata con tuo fratello?” , Rachele grugnì in risposta, “Vabbé, comunque fatto anche quello, tagliare i capelli a Luca Ghini , fatto, è pronto per arruolarsi, dovevi vedere com’era carino, poi…hai davvero scritto bucare le tette alla Gandolfi? Ma non si può!” esclamò Joyce perplesso.

“Sono di silicone!” ribatté lei stizzita. “Ma non puoi lo stesso!” replicò lui. Rachele sbuffò di fronte all’evidenza.

“Allora andiamo a casa, recupera Eddy , io ti aspetto in auto”disse andandosene con andatura un poco barcollante. Non andò molto lontano perché Joyce si appoggiò a lei ed entrambi finirono contro il muro.

“Spostati , mi schiacci” disse stancamente, una delle poche volte che era così fiacca che le era difficile pure essere brusca con Joyce, cosa che invece normalmente le veniva abbastanza bene. Pensava che si sarebbe spostato, ma non si mosse di un millimetro. Fece forza con la mano perché si allontanasse, ma non ebbe l’effetto sperato “Spostati Joyce” chiese senza guardarlo in faccia.

Si rese conto che non avevano più otto anni e che tutte le volte che lei lo picchiava era solo perché lui glielo permetteva. Deglutì e alzò lo sguardo “Mi lasci andare?”. Per tutta risposta lui appoggiò le labbra sulle sue, Rachele spostò di poco il viso.

“Voglio andare a casa Joyce, non mi baciare” disse , mentre lui si decideva spostarsi, lui le lanciò uno sguardo strano “Posso dormire da te sta sera?”domandò in un sussurro.

“Neanche per sogno” rispose lei riacquistata la solita strafottenza “E vai a recuperare Eddy, sta per piovere”.

Joyce la guardò mentre si allontanava, poi riaprì il portellone del garage e vi entrò lasciandolo aperto.

Alsazia si era alzata sulle punte e gli aveva stampato un bacio scherzoso sulle labbra, avevano parlato, e forse era sembrato anche divertente, merito dell’alcol, anche se aveva la bruttissima sensazione di dover rimettere da un momento all’altro.

“Vieni di là?” chiese lei con un sorrisetto complice, lui sorrise a sua volta, era carina, era carina e voleva imboscarsi con lei “In garage?”

“In garage” confermò lui mentre lei lo prendeva per mano e lo conduceva via tra la ressa.

Hello Mei”esclamarono da dietro di lui, si girò e vide un vecchio Eddy con la sigaretta in bocca e una birra in mano che gli faceva l’occhiolino. Mei non rispose e spinse via Alsazia verso il garage.

“Conosci quel vecchio?” chiese lei perplessa.  “No” si affrettò a rispondere lui, con l’aria più colpevole del mondo. Alsazia ridacchiò, credendogli, la birra fa notoriamente miracoli.

Ridacchiò, mentre nel buio del retro si inciampò nei gradini che portavano in garage, Mei la prese al volo, sorprendendo più di tutti se stesso per i suoi riflessi.

“Perché ti chiamano Mei?”chiese lei quando furono completamente al buio. Si risparmiò di dire che era il soprannome di suo padre e che lui l’aveva ereditato alla sua morte, portare il nome di un morto forse non era troppo sexy.

“E’ il nome del primo programma per pc che ha progettato mio padre”spiegò. “Figo, quindi tuo padre è una specie di hacker?” domandò allegra.

“Più o meno”rispose un po’ incerto. Era, era un hacker. “E tu perché Alsazia?”

Lei alzò le spalle nel buio “Credo che piacesse a mia madre” rispose con semplicità, prima di tirarselo addosso, Mei pensò a quello che gli aveva detto Nikka… bacio con le labbra… ma poi pensò che non gliene fregava niente di quello che avrebbe detto Nikka in quel momento, forse era l’alcol, forse lei era carina, e non aveva alcuna intenzione di cascare nella romanticheria. E a Mei andava bene così. Piegò un po’ le ginocchia ed entrambi si appoggiarono a uno scaffale pieno di cianfrusaglie tipiche da garage.

Sentì la sua mano infilarsi tra i capelli e chiuse gli occhi mentre si baciavano, non ci volle molto per capire che ciò che stonava in tutto quello era una fastidiosa luce elettrica che si era accesa proprio sopra la loro testa.

Mei si scostò da Alsazia e guardò alle sue spalle mentre lui arricciava il naso infastidita e lo tirava per il collo del giubbotto in pelle.

Mei!” esclamò Nikka sulla cima dei tre gradini sui quali Alsazia si era inciampata poco prima, sembrava decisamente più sobria di quando l’aveva vista alla sua entrata alla festa, e teneva stretto per la cravatta un ragazzo che poteva sembrare un cagnolino da passeggio.

Nikka lo guardava sbalordita con la bocca lievemente aperta e le sopracciglia aggrottate, forse lui era un po’ sporco di rossetto, ma non era nulla di così disdicevole, non stava mostrando i gioielli di famiglia a nessuno e non aveva neanche un impermeabile giallo.

Nikka si avvicinò sempre con la stessa espressione in bilico sulle zeppe da dodici centimetri almeno e le mani sui fianchi, mentre il ragazzo con la cravatta rimaneva impalato sulla porta perplesso.

“Che cavolo fai?” esclamò mollandogli uno schiaffo sulla guancia.

Fece più male, così inaspettato.

“Cosa c’è che non va?” strillò stizzito coprendosi la parte lesa con una mano. Alsazia l’aveva mollato e guardava la vicenda con gli occhi sgranati senza capire.

Nikka pestò i piedì e scappò fuori mentre la lampadina del garage si fulminava con un crepitio. Fuori nel frattempo aveva cominciato a piovere a dirotto.

Mei fece uno scatto e la raggiunse sotto la pioggia afferrandola per un braccio e lasciando Alsazia da sola al buio insieme all’uomo di Nikka.

“Che diamine fai?” urlò ancora mentre la pioggia lo bagnava completamente.

“Ho fatto quello che volevi tu! Mi sono trovato una ragazza! Non è abbastanza carina per te? Vuoi scegliermela tu?” rincarò strafottente e arrabbiato.

 “Sei un’idiota! Sei davvero un’idiota!”strillò lei di rimando con le lacrime agli occhi. Poco lontano le pettegole ed Emily riparate sotto un ombrello viola a pois non si perdevano una parola.

Il trucco di lei si stava iniziando a sciogliere, lasciandole due grosse scie nere sulle guance. Mei allungò le mani fino al suo viso con l’intento di toglierlo del tutto, ma il risultato fu di peggiorare le cose, facendo un orrendo mischione tra mascara e fondotinta.

“Non sei così bella senza trucco… e poi sembri finta, ti sciogli quando piove” disse andandosene. Pochi metri più in là, al margine del giardino rimise tutto quello che aveva mangiato e tutto l’alcol che aveva bevuto, un po’ per l’inesperienza, un po’ per la rabbia.

“Se non fosse stato per il rigurgito finale sarebbe stata una sorprendente uscita di scena!” esclamò allegra la mora, le altre due annuirono per poi dare la loro attenzione a Pallotti che correva nudo per il giardino ubriaco fradicio.

 

“Perché cavolo hai un’auto verde Irlanda? Fa schifo” sentenziai con la mano tesa fuori a bagnarsi con la pioggia.

“Penso che prima di criticare il verde della mia auto dovresti pensare ai tuoi capelli blu!” ribatté Joyce.

“Ah sì? Vogliamo parlare allora del tuo pellicciotto arancione?” continuai.

“Su ragazzi! È inutile prendersela coi colori!” disse dal posto dietro il vecchio Eddy cercando di fare da paciere.

“Zitto tu!” dicemmo in coro io e Joyce. Il vecchio Eddy sbuffò.

“Non ci vengo più alle feste con voi, la prossima volta rimango a casa a litigare con mia moglie!”blaterò mentre Joyce si fermava per farlo scendere all’Irish.

“Siamo arrivati Eddy” disse con un sorriso. Lui scese bestemmiando poco cortesemente. Joyce ripartì in mezzo alla pioggia più fitta.

“A cosa devo la guida pacata di sta sera?” domandai tranquilla allungando le gambe sotto il cruscotto. Joyce alzò le spalle con un sorrisetto saputo “Ho superato la fase ultra velocità che si ha, appena presa la patente…”rispose navigato.

“Allora tra un po’ passeremo alle curve con il freno a mano suppongo”lo punzecchiai.

“Può darsi” rispose lui sereno tirando il freno a mano per curvare a tutta velocità e parcheggiarsi davanti al portone di casa mia. “Pensavo di darmi al rally sai” continuò.

“Sarebbe carino, così la smetteresti di far rischiare la vita a me in strada” ribattei non troppo arrabbiata ma neanche troppo contenta della mossa da stuntman.

Non scesi subito rimasi un attimo in silenzio a pensare, poi proferii senza guardarlo “Vuoi salire allora?”

Fammici pensare” rispose lui con aria mefistofelica. Sbuffai “Sali idiota!” mi slacciai la cintura e scesi. Joyce aveva a mo’ di sciarpa una fune di lucine natalizie prese da chissà dove.

“Cereali?” chiesi quando entrammo in casa bagnati fradici. Lui annuì “Però li voglio con la birra” alzai le spalle, che ci facesse quello che voleva con quello stomaco che si ritrovava.

Aveva appena afferrato il cibo quando la porta si aprì con un botto rivelando un arrabbiatissimo Mei.

“Che è successo?” chiesi brusca, non più del solito, ma brusca.

“Nikka mi ha tirato una sberla e devo vomitare” disse senza guardarmi  e puntando direttamente al gabinetto nel quale si chiuse.

Alzai le spalle “Potere alle donne” proferii tranquilla decidendo di annegare pure io i cerali nel dolce liquido ambrato, come insegnava Joyce. Ero già brilla, ma andava bene così.

“Ci ubriachiamo?” chiese lui.

“Io sono già ubriaca” risposi tranquillamente “E se ci mettessimo anche dei marshmellon oltre ai cereali e la birra, come sarebbe?”

 

 

Ebbene sì un nuovo capitolo. Avevo un sacco di commenti da fare su quello che ho scritto, ma sono le 11 e 15 e non connetto più tanto bene, unica curiosità per chi ha letto Il Potere delle Pesche, la coppia che a un certo punto criticano le pettegole sono Delfina (occhiali da sole anche di notte) e Marco (granita e chioma idiota), piccolo cameo che mi sono permessa, mi piace pensare che i miei personaggi si possano sfiorare anche da una storia all’altra. Ah, poi ho voluto introdurre il signor Cumoli, è inutile, ma li avevate già conosciuti tutti, e ho voluto presentare anche l’ultimo genitore. Infine, premettendo che non amo indirizzare l’immaginazione di chi legge con foto eccetera, per chi si vuole fare un po’ di fatti miei la festa me la immagino come quella del video musicale di The Middle dei Jimmy eat world, però con la gente vestita. Mi piace anche la canzone tra le altre cose! La parte che mi piace di più del video sono i due che si baciano nel frigorifero, mi fanno morire dal ridere, ci sono anche in questa festa, non ne ho parlato ma me li sono immaginati!!

Grazie mille a chi ha commentato, TheDuck(molto piacere di conoscerti! In realtà a me D’annunzio non fa impazzire ma l’ho portato all’esame di maturità perché trovo che si distingua da tutti gli altri… XDè l’unico per cui provo antipatia, gli altri non mi trasmettono nulla, e venni linciata!!per Joyce e Rachele chissà…),Novembre(sul 27 gennaio sono rimasta parecchio in dubbio sul mettere la lemon o meno, ma sono parecchio imbarazzabile e non ce l’avrei fatta, ma se ti interessa più che altro è consistita in insulti e gomitate!!) e DarkViolet92(grazie mille per il sostegno, sono felice che tu abbia apprezzato il mio capitoletto dedicato al signor Pavesi!!).

Grazie ancora a chi ha messo la storia tra le seguite e preferite, ovviamente anche a chi ha letto, spero vi possa piacere anche questo! buona notte (si adesso vado a letto!!)

 

 

   
 
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