Tribute to Michael Jackson
Nick
Autore:
Karyon.
. Titolo: Promise (I’ll be there).
. Genere:
Introspettivo, poesia,
erotico.
. Rating: Arancione.
. Avvertimenti: One shot, what if…?.
. Canzone Scelta: “Dirty
Diana” estratto
dall’album Bad del 1987.
. Fandom: Harry Potter.
. Pairing: Sirius Black/Bellatrix Black in Lestrange.
. NdA:
In realtà la mia scelta era stata un’altra,
un’altra canzone, qualcosa di più
drammatico. Ma l’ispirazione è volata via e il
bisogno di energie mi ha portato
a consumare questa canzone. Ok,
forse
non è tra le sue più profonde, ma ha
una
sua vita se si capisce cosa intendo.
Sento sensualità e ricatto e passione sbagliata, tra le
parole; e quindi come
non usare questo pairing?
Per la
storia, due note temporali: il primo pezzo della storia è
ambientato ad un
ipotetico settimo anno di Sirius a Hogwarts; ovviamente, avendo Bella
otto anni
più di lui, non era possibile che i due fossero insieme a
Hogwarts, quindi è
una sorta di licenza personale, diciamo. La seconda parte, sotto la
pioggia,
ricorda la fuga di Sirius da casa sua, verso i 17 anni e un ipotetico
“what
if…?” tra i due cugini.
Promise
«
I’ll
be there »
Ehi, Baby do what you please.
I’m the thing that you need».
Fu
solo quando la professoressa McGranitt si avviò con
cipiglio severo e passo di marcia verso
il tavolo dei professori, fendendo la folla in due come un rasoio
affilato, che
lui osò alzare gli occhi.
Plumbei, scuri e tetramente luminosi tra la cortina
di capelli scuri e selvaggi.
Un ghigno di derisione scappò tra le labbra
sottili, tagliando il viso pallido e fine
«Ops…» sussurrò solo.
Un sussurro a malapena udibile e la Sala scoppiò; nella marmaglia di risa e
parole fuggite al
vento - uno sguardo solo, silenzioso e vibrante.
Degli occhi grandi – troppo grandi – profondi in
modo osceno, lo fissavano muti, lasciando scivolare discorsi troppo
antichi da
ricordare, troppo consumati da
rievocare.
Sirius ammiccò mentre si avvicinava, vestendosi
dell’indifferenza che – intrappolata nel corpo
– piegava occhi troppo avvezzi a
trasparire, per
dissimulare ancora. Tuttavia ci provò,
abbassando lo sguardo, velando lo specchio che poteva riflettergli
l’anima.
«Ciao, cugina» emise, condensando una singola nota
d’ironia che lei non poté che raccogliere.
Un ghigno di labbra rosse si aprì sul viso pallido di
un’ antica bellezza di memorie passate, circondato da una
chioma fluente,
intricata, profonda e odorosa come
steppe in pioggia.
Non respirò, ma l’odore filtrò come
veleno tra le crepe
della propria pelle, impregnando i muscoli, fin dentro le ossa;
rabbrividì e il
ghigno si allargò.
«Ciao cugino. Bello scherzo, degno
di te» sibilò Bella, sfiorandogli la
divisa mentre lo
superava.
Gli lasciò il vuoto addosso ma quel maledetto odore
lo sentiva dentro come un cancro intossicante
– sempre.
Sotto
la pioggia, i contorni si sfocavano.
Sotto
la pioggia, ritornava lei –
solo e
soltanto.
Scappava
quella notte, da un destino vuoto che avrebbe dovuto accoglierlo e
– invece –
lo aveva sputato miseramente. Fuori, nella notte, ancora una volta.
E
lei era lì.
La
lunga chioma protetta e celata da un lungo mantello scuro grondante
acqua, le
lunghe dita chiare a stringere quel pezzo di legno che dava tanto
potere.
E
gli occhi, grandi e scuri, che lo fissavano scappare via –
veloce - verso
qualcosa.
Sirius
si allontanò a grandi falcate dalla porta scura di Grimmauld
Place, fino a raggiungerla.
La camicia zuppa gli si era incollata al petto smagrito, i capelli
erano appiccicati
alla fronte e al collo come pellicola. Si fissarono per un lungo attimo
mentre
il silenzio si protraeva tra loro come una mano invisibile, poi lui
chiuse gli
occhi. Già, semplicemente.
Nel
suo sguardo c’era quella bestia che scivolava pigramente
appena sotto
superficie labile dell’iride.
Bestia
assetata di follia, di fame.
Non
voleva guardarla. Non voleva guardarla, per non guardarsi.
Dopotutto
erano due gemelli di sangue, imprigionati dall’odore, dalla
fame insaziabile e
divoratrice.
No,
non voleva guardarsi.
«Vattene».
Bella
non ghignò, le labbra rimasero serrate e tinte di sangue e
profumate, mentre le
mani lasciavano sparire la bacchetta per protendersi verso di lui. I
tacchi
affondarono nel terreno quando si mosse, dissolvendosi nello scroscio,
poi due
dita sottili gli sfiorarono il collo.
Fu
un sussurro inudibile eppure il suo corpo lo sentì e la sua
pelle e le sue
ossa; fremeva di calore sotto la pioggia gelata e le sue labbra
sorrisero - ma
di un sorriso vero - quando lo
sguardo la avvolse.
Pioveva
ancora, quando se ne andò.
Col
suo profumo e le sue labbra di sangue e i suoi occhi di notte.
E
lui rimase con il pesante baule abbandonato nel fango, i vestiti zuppi,
un’immagine
negli occhi chiari e un sussurro – tra gli scrosci
– nelle orecchie.
She trapping me in her heart]
Musica
sensuale, ipocritamente dolce filtrante attraverso le pareti marce di
un locale
di terza categoria.
Decadenti
cadaveri in decomposizione di amori fugaci lì, nelle stanze
occultate da
splendenti porte lucide di vernice.
Un
tic-tac prodotto da un pendolo magico addossato ad una parete, scandiva
momenti
– attimi – d’intimità
temporanea rubata al tempo del mondo. Patetico, forse, o
forse malinconico, o forse reale.
L’attesa
nervosa era sfaldata – granello dopo granello – da
una sola, semplice promessa.
Sotto
la pioggia, quella notte.
Lei
con le labbra vermiglie, il mantello nero della morte; lui bagnato fino
alle
ossa, in fuga da un universo che mai lo aveva accettato.
Una
sola parola – una – un sussurro, scivolato al
cervello dall’aria intrisa
d’acqua, e non aveva retto.
Il
suo cuore, debole, non aveva potuto
ignorare.
Stupido
mille volte, si era buttato nel fuoco volontariamente.
«Fatti
trovare. Io ci
sarò».
Una
promessa sola ed eccolo, lì, tra le pareti fradice, un
pendolo troppo lento e
una musica troppo dolce.
Tic-tac.
Fu
al “tac” che qualcosa, in lui, si smosse. Sirius
sentì il cuore fremere e
l’aria riempirsi di qualcosa che stava aspettando ma senza
crederci, non fino
in fondo.
E
lei era lì.
Il mantello scuro
come la notte e le labbra
dipinte di sangue e lo sguardo famelico
di una creatura fantastica.
La
porta si aprì su pareti brutalmente bianche, bagnate della
luce chiara di un
pomeriggio assolato. Il letto rivestito di grigio sporco
dondolò, quando Sirius
vi si sedette.
Lei
attraversò la soglia di un passo – uno solo
– a piedi nudi, dopo che le scarpe
furono abbandonate in un angolo; le dita sottili, esangui, si chiusero
sui
fianchi snelli «Ora?», fece con tono insinuante ma
sottile come brezza
primaverile, sorridendo.
Ed
era un sorriso, vero, su labbra di sangue.
Sirius
alzò lo sguardo plumbeo, del colore del mare in tempesta, ma
non parlò. C’era
solo una parola che carezzava le sottili
labbra chiuse – «no,no» - ma qualcosa
scivolò, tra un battito e l’altro.
Voglia
che si inoculava lentamente nelle vene che andavano al corpo, che
riempivano il
cuore e inondavano il cervello; gli occhi spalancati gridavano un
desiderio che
non voleva provare, ma non poteva non farlo.
Troppo
forte, la smania s’impossessò degli arti, della
pelle, dei muscoli, facendogli
perdere il controllo.
La
voleva, lo sentiva.
Sapeva
che la voglia, appassita dall’appagamento, avrebbe lasciato
il posto ad un
dolce veleno che lo avrebbe corrotto dall’interno. Eppure non
gli importava.
Anche
la belva ruggiva in accordo e lei lo capì.
«Cambiare
idea adesso sarebbe meschino, non
trovi?» Fece Bella, mentre il mantello le scivolava
giù per le esili braccia.
Sirius
si scostò una ciocca corvina dagli occhi grigi che bevevano
quel corpo nudo e
superbo, poi ghignò, appoggiando la schiena al cuscino
spiegazzato «Sarebbe
stupido, anche».
[I’m the stuff
that you want…]
Sia
il suo corpo che la mente urlavano quelle parole di fumo che si
condensarono
lì, addosso a loro, quando la porta si richiuse ad
imprigionarli ancora
una volta.
Sirius
aspettò in silenzio, con il mondo in attesa, che lei si
avvicinasse lentamente a
sfiorargli i lunghi capelli sottili; dita leggere che carezzavano la
mente
sconvolta. Fu persino dolce – dolce – quando disse
«Ciao» e lui rispose «Ehi»
per poi protendersi a cancellare quel rosso, sulle labbra.
In
realtà non la vedeva davvero, quando erano lì,
alle prese col tempo; guardava
la sua pelle rifulgere della luce trasparente del giorno, sentiva la
voce
spezzarsi e annegare nel bisogno che aveva di lui.
Ed
era pelle, fiato, carne e labbra che si posavano delicatamente sul
collo e
gambe che stringevano i fianchi e denti che – a un certo
punto – schiudevano la
passione. Uno nell’altra a celebrare eredità di un
passato pesante, violentato
da un ideale ingiusto e crudele – che era vita – e
che era dimenticato ora, in
un solo momento di realtà.
Sirius
ansimò quando le strinse i fianchi, sentendo scivolare la
rabbia – e la paura –
e la delusione e la furia, ancora e ancora, in lei che non si spezzava
ma
accoglieva e curava con forza e decisione il suo animo squassato. E
gridò,
Bella, quando sentì quel grido salirle per la schiena
incuneata e per i nervi
tesi spasmodicamente e per i muscoli infuocati.
Fu
quasi pace poi quella che li accolse – spossati –
nella luce rossa del tramonto
filtrante dalla finestra spalancata. E silenzio, leggero, nei suoi
occhi
chiusi.
Con
un sospiro, Bella rotolò su un fianco a scorrere la delicata
linea del petto
chiaro che si alzava e si abbassava, ritmicamente. Poteva sembrare che
dormisse,
lì immobile, ma lei la sentiva – la belva che si
spostava dietro alle palpebre.
Sirius
aprì gli occhi lentamente
a fissarli sul
soffitto marcio di incuria. Lo
sapeva, lui, che era un momento, un momento da nulla, ed era
già andato via, evaporato
con il sole che ora scendeva a baciare la terra scurita.
E lo
sapeva lei, che già cercava con lo sguardo i vestiti
abbandonati come relitti
in un angolo, con la schiena bianca e sottile curvata sulle gambe
arcuate.
Un
attimo – da nulla – che era già andato.
Bellatrix
scivolò via pigramente, coprendo quel corpo orgoglioso che
sapeva di lui e
flettendo le labbra che avevano toccato ogni cosa, in una sola volta
ghignando.
«Tornerai?»
Ed era una domanda semplice, davvero, che sfuggiva via da occhi cupi e pesanti da portare.
Lei
sorrise ed era quasi dolce a vederla, poi silenzio.
La
belva, negli occhi, riposava per un istante ma mai morta, la pelle
ancora gridava
il suo profumo e le mani indugiavano – solo un attimo.
If you make me a star]
Poi
lo trovò e fu quasi un ghigno, quello che sfiorò
la mente di Sirius;
impercettibilmente, poggiò la pianta del piede sul freddo
pavimento, poi
l’altro, a mostrarle la schiena ampia e chiara.
«Lo
farai?»
Un
sussurro leggero attraversò la stanza, mescolandosi
all’aria fresca della sera.
Lei
ghignò, non vista, ed una luce percorse le iridi castane e
la belva si svegliò,
ruggendo.
Lui,
il suo odore, permeava tra i capelli lunghi come una fragranza
persistente,
annegandole i sensi.
Avrebbe
fatto di tutto per sentirlo – ancora.
«Sempre»
sussurrò e scivolò via, a piedi nudi; ed era
tenue come un’illusione, quando scomparve
per il corridoio e giù, per le scale, fuggendogli dalla vita
– di nuovo – per
poi ritornare in un solo istante, tutte le volte.
Sorrise
Sirius, quando fu fuori – tempo dopo – col cielo
scuro sulla testa e una voce
sensuale a vorticargli nella testa. Una promessa, una sola. E fu quasi
dolce a ricordarla.
N/A
Holà
popolo!
Allora,
questa cosa ha
partecipato al Contest “Tribute to Micheal Jackson”,
indetto da Only me,
che purtroppo è stato annullato. Nonostante ciò,
la giudicia ha comunque
redatto dei commenti.
Eccoli qui http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=8653849&p=4idm97867201.
Non sono del tutto
soddisfatta del lavoro
(anzi per niente) però la devo dedicare
ad un essere
:P
Alla
Kokò
che tanto rompe le scatole
ma poi scrive cose meravigliose, soprattutto sui due fanciulli qui
sopra (L).
Ah,
questa è per il suo
compleanno – ovviamente mostruosamente in ritardo –
ma tanto mi perdona, mi
perdona.
Auguri
in anticipo! (Per l’anno prossimo, s’intende).
Promise by karyon is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.