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Autore: Antinea    10/10/2009    2 recensioni
...sono contenta delle scelte che ho fatto, di essere giunta alla conclusione che il grigio non esiste e che nel Mondo ci sono solo due colori: bianco e nero. Il resto sono sfumature, che vengono facilmente coperte con una pennellata più pesante.
Se la tua felicità significa la dannazione di una delle persone che ami o di un qualsiasi altro essere che prova dei sentimenti, è giusto cercare di perseguirla ad ogni costo?

Nuova Fan Fiction sulla saga di Twilight (Stephenie Meyer).
Mostra una delle tante possibili pieghe che potrebbe prendere la vita, dopo la fine di Breaking Down.
Protagonisti della storia saranno Jacob, Nessie e alcuni dei Quileute, oltre ad altri personaggi già presenti nel libro o nuovi che faranno anch’essi da protagonisti o da spalle nella vicenda.
Volevo mettere anche i nomi degli altri ma per esempio nè Seth, nè gli altri indiani ci sono, quindi mi accontento solo del nome di Leah.
Buona lettura ragazzi e grazie per esservi soffermati su questa storia...
[Mi sembra giusto avvisare che dubito che ci sarà un continuo per questa storia. Grazie comunque per aver letto i primi capitoli]
Genere: Romantico, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black, Leah Clearweater, Quileute, Renesmee Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO SECONDO

Ricordi d’amicizia e rimpatriata non del tutto prevista

 

Nessie

 

Mi alzai di scatto dal letto, cercando di ricordare dove fossi.

Mi guardai intorno e riconobbi la stanza di mio padre, beh ormai la mia, a casa di nonna Esme.

Allora non l’avevo sognato, eravamo davvero tornati a Forks e questa volta ci saremmo rimasti parecchio.

Per lo meno fino a quando la mia crescita bloccata non avrebbe dato troppo nell’occhio e qualcuno non avrebbe chiesto dei miei genitori adottivi Bella ed Edward.

Avrei passato l’ultimo anno delle superiori nella stessa scuola che avevano frequentato fino a sette anni prima i miei genitori.

Sarei potuta stare tutto il tempo che volevo con gli zii e i nonni, magari avrei anche convinto i miei genitori a restare in questa casa, invece che nella casetta nel bosco.

Emisi uno strano gridolino soffocato di gioia, rigirandomi esultante nelle coperte.

Quando mi tolsi il lenzuolo dal viso, notai mio padre sulla porta che mi fissava con una faccia strana, stava cercando di non ridere.

Lo so papà, è dura constatarlo di persona, ma hai una figlia matta.

Mio padre scoppiò a ridere, il che era strano per lui, sempre controllato, anche davanti a sua figlia.

Tra un sussulto e un altro mi avvisò che la colazione era pronta.

Scesi dal letto con un balzo e aprii l’armadio.

Non indossai gli stessi jeans e la stessa maglia del giorno prima solo perché sapevo che avrei attirato su di me l’ira di mia zia Alice.

Afferrai un pantalone nero e una maglietta a mezze maniche, verde acqua e anonima, e li appoggiai sul letto. Corsi in bagno, cercando di dare un aspetto decente ai miei capelli.

Chiusi, lentamente, la mente a mio padre. Mi ero accorta che, se usavo un po’ di dolcezza, non si arrabbiava così tanto.

Jacob e gli altri sarebbero arrivati solo nel pomeriggio, ma io mi sentivo lo stesso agitata. Erano quasi tre mesi che non lo vedevo.

Mio padre aveva insistito nell’andare a fare un viaggio in Australia e così mi ero ritrovata a correre con  i canguri questa estate, lontana miglia e miglia da Jacob. Senza contare il fatto che ero cresciuta un altro po’ in questi mesi, il mio aspetto, adesso, era simile a quello di una diciassettenne matura.

E se per Jake ero cresciuta troppo? Infondo ero diventata più alta, magari mi avrebbe preso in giro perché ero diventata una spilungona.

Aspetta, 1,75, sono una spilungona così? E poi in due mesi ero cresciuta solo di 20 cm e lui era un bestione alto più di due metri...

Da quando mi facevo paranoie su cosa avrebbe detto Jake?

Non sapevo neanche se sarei riuscita a resistere, avevo una mattinata intera vuota, magari sarei scappata prima del ritorno dei miei familiari dalla caccia.

Tesi l’orecchio, silenzio dal piano di sotto, nessun ringhio.

Mio padre non riusciva più a sentirmi.

Chissà perché gli dava tanto fastidio che pensassi a La Push e a Jake.

All’inizio credevo che la sua ostilità fosse dovuta al fatto che Jacob fosse un licantropo, ma, mi dovetti subito ricredere, con Seth era la simpatia fatta persona.

Poi una volta avevo praticamente costretto Leah a parlarmi di mia madre e Jake.

Lei mi aveva raccontato turbata e arrabbiata solo un pezzo della storia, riassumendola in poche parole.

Jacob e mamma, prima che io nascessi, erano molto amici e a papà quella storia non era mai andata a genio.

Capii che c’era stata molto più di una semplice amicizia fra mia madre e il mio Jacob, ma quando chiesi al licantropo se fosse ancora innamorato di mia madre, lui sbottò in una risata così poderosa, che mi meravigliai quando scoprii che non mi aveva rotto i timpani.

Tuttavia, papà non aveva sempre trattato come un nemico Jake.

Ricordavo che prima erano abbastanza amici, poi da qualche tempo, mio padre era diventato iperprotettivo soprattutto nei miei confronti.

Mah, chi li capisce i genitori, neanche Leah sapeva spiegarmelo, anche se avevo il sospetto che l’indiana la sapesse lunga, ma non voleva dirmelo.

Leah...giusto, chissà che cavolo doveva dirmi di così importante da non potermene parlare per telefono. Erano più di quattro mesi che non la vedevo.

Quando era venuta al locale circa sei mesi fa e mi aveva annunciato che sarebbe tornata a La Push, per insegnare nella scuola della riserva, per poco non scoppiavo in lacrime davanti a lei.

Non ero ancora stata avvisata del nostro futuro trasferimento e sapere di essere allontanata dall’unica vera amica, che mi ero fatta in quei sei anni di vita, mi fece sentir male.

«Ci sono ancora due mesi, prima che parta Nes. Poi ci sentiremo per telefono», mi aveva detto, con aria dispiaciuta, anche a lei non piaceva il fatto che saremmo state così distanti.

«E come? Lo sai che non è la stessa cosa, con mio padre che controlla ogni secondo della mia vita. Non mi stupirei se avessi una cimice nel cellulare», avevo detto, sbuffando. Mi sembravano le battute di uno di quei film sentimentali, dove lui lascia lei per andare ad arruolarsi.

«E dai Nessie, non fare la bambina», mi aveva rimproverato, con un leggero tono acido.

«Però non è giusto. Voglio venire anche io con te», l’avevo guardata speranzosa, ma Leah si era messa a ridere.

«Oh, no no no», aveva detto, «non usare il tuo potere su di me, non esaudirò ogni tua richiesta», mi fece l’occhiolino.

«Verrò a trovarti spesso», aveva continuato a dire, «tanto Jake riesce a trovarvi ovunque voi andiate, mi trasformerò di nuovo e ci faremo una bella chiacchierata», mi sorrise.

Poi la guardai un attimo e mi accorsi di essere stata, come mio solito, una completa egoista.

«Ma, Leah, perché vuoi tornare a La Push? Non avevi detto che non ti piaceva stare lì?», la fissai confusa.

«Sì, però, sai, parlando con il mio analista...», la interruppi.

«Quel tipo mi sta sempre più sulle scatole», dissi a denti stretti.

Leah ridacchiò. «Non è stato lui a consigliarmi di tornare a La Push, se mi fai finire di parlare», alzò gli occhi al cielo, «capiresti anche tu».

Le feci cenno di proseguire, guardandola scettica.

«Dicevo, mi sono resa conto che l’unico posto di cui parlavo con malinconia era proprio La Push e i ragazzi di lì. Non che non mi sia divertita in questi anni. Ho conosciuto gente nuova e visitato parecchie città, portafoglio permettendo, però non mi sono mai sentita al mio posto. Invece quando penso alla spiaggia, ai boschi, agli animali che popolano la mia terra...Dio ma mi senti? Sembro la brutta copia di Pocahontas, fra poco un colibrì comincerà a svolazzarmi tra i capelli».

Scoppiai a ridere e le afferrai la mano, facendole cinguettare l’uccellino nelle orecchie.

«Ha, ha, davvero molto spiritosa, signorina Cullen», disse, guardandomi di traverso.

«E come farai con il tuo lavoro?», le chiesi.

«Sai, dopotutto pensavo che il problema lavoro mi avrebbe impedito di commettere una stupidaggine come questa e invece è stata la questione più semplice da sbrigare», storse il naso, notai una nota di disappunto nella sua voce.

«Ieri pomeriggio ho parlato a mia madre della remota possibilità di un mio ritorno a La Push, sempre se avessi trovato un lavoro nelle vicinanze, e indovina un po’? Stamattina mi ha chiamato il vecchio Quil, dicendomi che si era appena liberata una cattedra come insegnante di spagnolo nella scuola della riserva», sbuffò, mentre io cercavo di trattenermi dallo scoppiare a ridere.

«Eh, scusa e del vecchio insegnante che ne hanno fatto? Seth mi aveva detto che era un tizio del Montana che era appena arrivato l’anno scorso», dissi.

«Lo so, per questo sapevo che non c’erano possibilità», fece rigirando la sua tazza di the tra le mani.

«E allora?», chiesi.

«Bah, che vuoi che ne sappia. Non mi stupirei se scoprissi che i ragazzi sono andati dal tizio del Montana a minacciarlo di morte, pur di farmi tornare. L’unica cosa che so è che per poco Seth ed Embry non si mettevano ad urlare come bambini quando gli ho detto che sarei tornata.

Scommetto che se fossero stati in forma canina si sarebbero fatti sotto», decise di assaggiare il suo the, poi incontrò il mio sguardo, da sopra la tazza, e scoppiammo entrambe a ridere all’idea.

Mi sembrava che quella chiacchierata fosse avvenuta solo ieri.

Chi mai avrebbe immaginato che dal nostro primo incontro saremmo diventate amiche. Da quel che ricordavo non avevo mai parlato con Leah, ne sentivo solo a volte l’odore a casa di nonno Charlie, quando lo andavo a trovare. E se le sue visite a Forks erano rare, evitava la riserva come se fosse un ghetto di appestati.

Sue, la madre di Seth e Leah, viveva ormai con mio nonno Charlie da più di cinque anni, e io e la ragazza non ci eravamo mai scambiate una parola, fino a quella mattina di quasi un anno fa.

Camminavo, a passo svelto, nelle strade di una città che conoscevo appena, curiosando nelle vetrine. Avevo marinato la scuola, come ultimamente facevo almeno una volta alla settimana, anche se i corsi erano cominciati da poco più di un mese.

Un ragazzo, sui diciotto anni, mi si era avvicinato, continuando ad insistere nel volermi offrire qualcosa al bar.

Con gentilezza, avevo rifiutato, ma visto che non desisteva dal suo sproloquiare molesto, avevo cominciato a lanciargli occhiate senza rivolgergli la parola.

A volte mi sarebbe davvero piaciuto avere la stessa capacità di mio padre nell’allontanare le persone con uno sguardo.

«Senti», all’improvviso sbottai, fermandomi e guardandolo dritto in faccia, furente, «non voglio neanche uno spillo da te, quindi fila a importunare qualcun altro».

Mi girai di scatto, con un movimento poco umano, e ripresi a camminare, più piano, ricordandomi che ero in mezzo alla gente.

Poco distante da me c’era un bar, mi sarei presa qualcosa lì.

Mi sentii afferrare per il braccio, all’improvviso.

Quel ragazzo voleva morire, beh, cavoli suoi io l’avevo avvisato.

Tra tutte le possibili torture a cui avrei potuto sottoporlo, decisi che gli avrei tirato un classico pugno. Piano, ovvio, rispetto a quello che avrei potuto fare con le mie capacità, ma un bel naso rotto non glielo toglieva nessuno. Così imparava a importunare le ragazze.

Puntai gli occhi a terra, per non distrarmi, un po’ di pressione in più e avrei potuto ammazzarlo.

Contai: 1, 2, 3...stavo per tirargli il pugno quando un odore di fiori e muschio, deciso e contemporaneamente dolce, mi annebbiò l’olfatto.

Il possessore di quell’odore si posizionò tra me e il mio punge ball, impedendomi di scaricare la rabbia.

«Ehi ti stavo cercando dappertutto», disse una voce di donna, che mi suonava stranamente familiare, «grazie mille per averle tenuto compagnia», la sentii dire.

Poi, senza tanti complimenti, la donna cominciò a trascinarmi via, afferrandomi per il braccio.

Aveva un  impermeabile marrone, col cappuccio alzato sulla testa, giusto, stava cominciando a piovere, mi sarei dovuta coprire anche io.

Sentivo il calore della sua mano attraverso l’impermeabile...aspetta, come faceva a trascinarmi via?

Entrammo in un locale, vidi il ragazzo allontanarsi, pronto a infastidire qualcun altro.

«Grazie», feci, leggermente imbarazzata.

«Oh, non l’ho fatto per te», disse una voce acida, «Jake mi avrebbe tormentato se non ti avessi aiutato. Abbiamo fatto sega a scuola oggi, vero ragazzina?»

Si sfilò il cappuccio e gli occhi scuri di Leah Clearwater mi squadrarono.

La fissai inorridita. Con tutte le persone che c’erano al mondo e che avrei potuto incontrare, proprio Leah mi doveva capitare?!

Cavolo lei detestava me e la mia famiglia.

Avrebbe spiattellato tutto a Jacob, a Charlie, a Billy.

Che ci faceva lì? Lavorava nelle vicinanze?

Aspetta, lei non doveva stare a Buffalo, nello stato di New York? Ero sicura che Seth mi avesse detto che sua sorella lavorava lì.

«E tu che ci fai qui?», ribattei acida, «non dovevi stare a Buffalo?».

Leah si irrigidì...bingo.

«Non oserai dirgli...», cominciò.

«Un segreto per un altro?», le tesi la mano.

La afferrò senza esitazione.

«Non ho altra scelta mi pare», si guardò intorno, in cerca di un tavolo.

Ne individuò uno, l’unico libero in tutto il bar.

«Bene», fece, «è stato un piacere», si allontanò velocemente da me e si sedette, cominciando a leggere il giornale.

Feci per uscire dal locale, ma poi decisi di fare dietrofront.

Raggiunsi Leah e mi accomodai nella sedia davanti a lei, incrociando le braccia al petto.

La Quileute mi guardò, io indicai con la testa fuori dal locale.

Il molestatore era fuori, vicino alla vetrina, sembrava che mi stesse aspettando.

Leah storse il naso.

«E’ dura essere una bellezza ultraumana», feci, cercando di incenerire con lo sguardo il tavolo.

«Forse avrei dovuto lasciare che gli tirassi un pugno e gli rompessi la faccia», disse Leah pensierosa.

«Anzi magari ti avrei dovuto aiutare», aggiunse leggermente divertita al pensiero.

«Bah», concluse, «passare un po’ di tempo in compagnia di una sanguisuga non mi ucciderà», alzò le spalle.

«Sono una metà sanguisuga», precisai, «spero solo di non puzzare troppo alla fine della giornata», dissi io.

Una anziana cameriera arrivò al tavolo tutta sorridente, chiedendoci cosa volevamo.

Presi una cioccolata calda, mentre Leah ordinava un the.

«Naturalmente offro io», feci con nonchalance.

«Ovvio ti ho appena salvato la vita da un orribile ragazzo, è il minimo».

Leah riprese a leggere il suo giornale, mentre io cominciai a guardarmi intorno, cercando di percepire i pensieri delle persone accanto a me.

Chissà come mai ero riuscita a sentire i pensieri della mia compagna di banco l’altro giorno. Dovevo assolutamente allenarmi.

Sfiorai senza accorgermene la gamba di Leah sotto al tavolo e sentii i suoi pensieri.

Chissà quanto cazzo mi chiederà quello stronzo del mio analista adesso.

«Wuh bel linguaggio Leah, vai dall’analista?», Leah alzò lo sguardo su di me.

Non pareva stupita dal fatto che l’avessi sentita, più che altro era infastidita.

«Leggi nella mente come tuo padre adesso?», mi chiese, poggiando il giornale sul tavolo.

Feci spallucce. «L’ho scoperto qualche giorno fa, mentre ora ho capito che funziona solo se tocco quella persona». Le diedi un leggero calcio sotto il tavolo.

«Non lo dire però a Jacob o a Seth, preferisco conoscere prima meglio questo potere, mio padre potrebbe leggerlo nelle loro menti», aggiunsi.

«E come farai a nasconderlo a papà vampiro? », mi chiese scettica.

«Non ci penserò in sua presenza, o all’occorrenza, chiuderò la mente come fa mamma», dissi, cercando di mantenere l’aria seria, nonostante l’appellativo “papà vampiro” mi facesse sorridere.

La cameriera ci portò le nostre calde bevande e, chissà, forse quei ricercatori avevano ragione.

Le bevande calde davvero facevano sciogliere un po’ le persone, infatti, io e Leah cominciammo a chiacchierare del più e del meno.

Certo, dire che eravamo diventate delle grandi amicone e che la sera ci saremmo ritrovate in una taverna a bere birra e vino della casa era esagerato, però ci guardavamo meno spesso in cagnesco.

La settimana dopo ci rincontrammo nello stesso locale, senza aver preso precedentemente un accordo.

Da lì incominciammo a vederci più spesso e la ragazza si offrì più volte da cavia per la sperimentazione dei miei nuovi poteri.

Ecco come avevo davvero conosciuto Leah.

Niente di losco e profondamente licantropo come avevo intravisto nei pensieri di mia zia Rose.

Sentii bussare con forza alla porta. Sobbalzai.

«Renesmee, ti senti bene?», la voce preoccupata di mia madre, mi raggiunse da dietro la porta.

Da quanto tempo stavo in bagno a pensare? Forse era meglio quando c’era mio padre, almeno mi controllavo e non mi imbambolavo davanti allo specchio.

«Esco subito», dissi.

Uscii dal bagno e notai che sul letto non c’erano più i miei pantaloni, ma una gonna di tulle azzurro cielo e una camicetta bianca, a maniche a giro, con delle rusche davanti al petto.

Mia madre interpretò il mio sguardo.

«Alice», disse con un sospiro, «Dai, che se ti sbrighi riesci a mangiare la torta di mele di Esme ancora calda».

Nonna aveva fatto la torta di mele?! Perché non ero stata avvisata?!

Mi infilai i vestiti ad una velocità poco umana, sotto lo sguardo divertito di mia madre, e scesi di corsa le scale.

Nel salone c’era solo zia Alice, che mi fissò compiaciuta.

«Avevo ragione quel colore ti sta d’incanto», aveva detto trionfante.

Le sorrisi. Mi piaceva quando zia Alice mi comprava dei vestiti o creava lei stessa dei modelli per me.

Non ero come mia madre, che pareva morire ogni volta che la mia zietta le donava qualcosa, anche se dovevo ammettere che a volte Alice era molto petulante.

Mamma riemerse dalla cucina con una fetta di torta di mele fumante e un bicchiere di latte.

La ringraziai e mi sedetti vicino al tavolo per consumare la mia colazione.

Zia Alice riprese a disegnare il modello di un abito su un foglio, mentre mamma prese il suo libro preferito, per rileggerlo per l’ennesima volta.

Cime tempestose, quando avevo detto a mia madre che l’avevo trovato di una noia mortale, per poco non le veniva un infarto, naturalmente per modo di dire.

«Dove sono gli altri?», chiesi.

Non sentivo nessun rumore provenire da alcuna ala della casa.

«Sono usciti tutti a caccia», mi rispose mia madre, sorridendomi.

«E voi?», chiesi.

Mamma e Alice si guardarono con un leggero sorrisino sulle labbra e indirizzarono i loro occhi ambrati su di me.

«Ieri sera non sapevamo che fare e siamo scappate per una caccia notturna», zia Alice ridacchiò.

«Come mai sono andati così presto?», di solito partivano verso metà mattinata.

Mamma fece una smorfia, ma fu la zia a rispondermi.

«Chi viene oggi nel primo pomeriggio?», mi chiese divertita.

«Oh», feci io, sentii di nuovo una strana oppressione alla bocca dello stomaco. Mi era passato l’appetito, agitata come ero.

«Avanti alzati», mi disse Alice, all’improvviso, venendo a passo di danza verso di me con un metro.

«No, dai zia non ne ho voglia», possibile che fossi malata? Ma io non mi ammalo!

Zia mi alzò di peso e cominciò a prendermi le misure.

«Renesmee, ma che hai?», mi fece mia madre preoccupata all’aumentare delle mie palpitazioni, «non ti senti bene?». Cosa risponderle, non lo sapevo neanche io.

«No,  tutto apposto», dissi riprendendo un po’ di controllo, «è solo che...». Ma mi bloccai, il mio sguardo si posò sul disegno di zia Alice, un vestito molto voluminoso, sembrava quello delle principesse delle favole.

Mia madre seguì il mio sguardo e fissò il foglio scioccata.

«Zia», cominciai titubante, «mica quello è per me?», chiesi.

«Fantastico vero?», mi osservò felice, «Ho pensato che per il primo giorno di scuola ci volesse un vestito per bene, poi qui a Forks, figurati, sapranno già tutto di te. Naturalmente se vuoi fare qualche modifica, sono sem-».

Ero sconvolta.

«Alice», fece mia madre, con la sua voce che sembrava lo scampanellio di tanti campanellini, «credo che sia esagerato per Renesmee, immagino che sarebbe di più a suo agio con qualcosa di comodo».

«Non vorrai mica farle indossare un jeans e una maglia?», fissò mia madre sconvolta.

«Perché che hanno di male?», fece mia madre alzando un sopracciglio.

«Ma...»cominciò zia Alice, ma io la interruppi.

Mamma e zia avevano continui dibattiti per quanto riguardava l’abbigliamento. Tra tutti i membri della famiglia mia madre era l’unica che riusciva a ribellarsi agli ordini da stilista matta di mia zia, ma il più delle volte seguiva i suoi consigli.

Questa volta, però, c’era la mia reputazione di mezzo, ma come aveva potuto pensare zia Alice che avrei indossato un abito del genere?

«Zia, che ne dici di qualcosa di più...sobrio?», la guardai.

«Come questo?», mia zia mi mostro la bozza di un abitino.

Ad una prima occhiata sembrava solo una semplice gonna con una camicia a mezze maniche. La gonna era bianca con delle grosse pieghe e arrivava al ginocchio, mentre la camicia era rossa, con un colletto grosso, come quello delle camice delle uomini.

Credo di essere stata per qualche minuto con la bocca aperta, prima di parlare. «Non vedo l’ora di provarlo», dissi, con un sorrisone.

Dovevo avere davvero una espressione estasiata, perché la zia mi abbracciò stretta.

«Ah, finalmente qualcuno che apprezza il mio lavoro come si deve», mamma sbuffò.

Poi si allontanò da me e vidi il suo sguardo perdersi nel futuro.

«Sarai stupenda», fece poi all’improvviso, sorridendo soddisfatta.

«Come fai a saperlo?», le chiese mia madre, possibile che la zia ora mi vedesse? Alice ridacchiò.

«Edward è nero di rabbia e mi ordina di non creare mai più qualcosa del genere per te», ci rispose lei con aria dispettosa.

Scoppiammo a ridere tutte e tre, poi dei rumori provenienti dalla foresta ci fecero bloccare contemporaneamente.

Delle rumorose zampate si facevano largo nel bosco, accompagnate dagli assordanti battiti di tre grossi cuori che pompavano all’unisono.

Mi avvicinai velocemente alla finestra, scrutando tra gli alberi.

Come mai erano già qui?

«Oh, sono già arrivati», disse zia Alice, «li aspettavo almeno fra un mezz’oretta».

Mamma la fissò. «Tu lo sapevi?», mi voltai anche io verso di lei.

«Ovvio, altrimenti perché avrei tradotto tutta la costituzione in francese, tedesco, spagnolo e libanese da quando siete arrivati?», disse, mettendo a posto i suoi bozzetti.

«Ma perché non ce l’avevi detto?», feci io, col cuore che riprendeva a battere forte per l’eccitazione.

«Un dispetto a Edward», fece mia madre, con un sorrisino sul volto, ma contemporaneamente con aria di rimprovero, «lo sai che si arrabbierà».

Alice sbuffò.

«La prossima volta, mi comprava subito quella Maserati che ho visto in Australia», fece zia, incrociando le braccia sul petto, con eleganza.

Non avrei mai capito la passione della mia famiglia per le macchine sportive italiane, e europee in generale, ma in quel momento, fui molto felice di quel loro vizietto.

Mi precipitai fuori alla porta, sulle scale, col cuore in gola.

Che cosa gli avrei raccontato? Prima del nostro arrivo a Sidney o dei canguri? Magari gli avrei fatto vedere solo le immagini, sì dopotutto Jacob non era mai stato in Australia, gli sarebbe piaciuto.

E lui che aveva fatto? Era la prima volta che non passavamo neanche un giornata d’estate insieme.

Guardai mamma e zia Alice, la loro pelle brillava sotto i raggi caldi del sole. Era una bellissima giornata, una delle poche che ci regalava il clima di Forks.

I tre cuori si avvicinavano sempre più velocemente e sentii anche un altro rumore, come un ticchettio.

Guardai confusa mia madre.

«Cos’è questo rumore?», chiese ad Alice.

«Non ne ho idea», disse mia zia, concentrandosi, «Ricordi? Cecità completa, mi sa che dovremo aspettare».

Come al solito era sulla difensiva, odiava non vedere nulla.

«Magari è una bomba», fece mia madre, sorridendo impaziente.

Quando si avvicinava Jake mia mamma cambiava leggermente umore. La sua gioia somigliava molto a quella di mio padre, quando rincontrava Alice dopo non averla vista per parecchio tempo.

Anche se c’era una differenza.

L’affetto di mio padre per sua sorella poteva essere paragonato ad un forte abbraccio, mentre quello di mia madre per Jake somigliava più all’abbraccio di una anaconda gigante.

Lo abbracci forte, sperando che ti si sgretoli tra le mani.

Non avrei mai capito il motivo di quell’odio et amo nei gesti di mia madre.

Riuscivo, ormai, a vedere il manto grigio di Leah brillare sotto i raggi del sole, come uno specchio, che correva a gran velocità nella foresta.

Scesi velocemente le scale, se possibile, ancora più impaziente.

Naturalmente lei era sempre la più veloce di tutti.

Sentii un leggero lamento di Seth, probabilmente aveva perso la gara.

Anche Leah doveva raccontarmi parecchie cose. Cosa c’era di così importante da doverlo per forza dire di persona?

Che avesse avuto l’imprinting anche lei? Ma quello me l’avrebbe detto subito, me l’aveva promesso, forse era venuta meno alla parola data? Non era da Leah.

La corsa si arrestò e sentii lo schiocco che precede la trasformazione in esseri umani. Poco dopo Jacob con una maglietta nera e un pantaloncino corto di jeans uscì dagli alberi con il suo solito sorrisone a trentadue denti.

«Ehilà», fece Jake, ridendo, «Veniamo in pace».

Lo fissai incantata, rendendomi conto che non riuscivo a pensare a nulla.

Dove era finito il mio cervello, o almeno le mie articolazioni?

Non riuscivo a muovermi. Ero lì impalata a fissare Jacob, probabilmente con la bocca aperta.

No, una voce fredda nel mio cervello mi disse che l’avevo chiusa e che ero bellissima e che dovevo muovermi e dire a Jake ti togliersi lo zaino dalle spalle.

Le mie gambe si mossero a quella voce e corsi ad abbracciare Jacob, che mi prese senza sforzo, ricambiando il mio abbraccio.

«Nessie che entusiasmo!», rise, sentii un ringhio, Leah non si era ancora trasformata.

«Sì, scusa Leah», Jake si tolse dalle spalle lo zaino e lo buttò nella foresta, nella direzione di Leah.

«A quanto pare non vedevi l’ora di vedermi», mi canzonò.

«Spiritoso», risposi io, «è che ti avevo preso per un orso e volevo saziarmi, poi mi ha investito la puzza e mi sono bloccata», gli feci la linguaccia. Mi sentii davvero felice in quel momento, finalmente la famiglia era al completo.

«Sì, come no».

Jacob cominciò a ridere, mentre io sorridevo con lui.

Come se fosse possibile che lui puzzasse. Aveva un odore così buono di muschio, erba e una fragranza dolce che sarei stata ore ad annusarlo.

Cavolo, sembravo una maniaca.

«Quindi i canguri non sono così buoni», il viso di Seth comparve vicino alla spalla di Jake, che mi cingeva ancora con un braccio.

«Ciao Seth!», esclamai rivolgendo un sorrisone anche a lui ed abbracciandolo con foga.

«Ehi Bells sei più tetra del solito», disse Jacob, mia madre ringhiò, anche se era parecchio divertita.

Jake mi allontanò velocemente dall’amico, facendo finta di nascondersi dietro di me.

«Dai pace sorella», appoggiò il mento sulla mia testa, mentre io sentivo il calore partire da quel punto e scendermi fino alla punta dei piedi.

Jake mi aveva sempre fatto l’effetto di un termosifone, nonostante la nostra temperatura fosse molto simile.

Seth, intanto, aveva salito velocemente le scale del porticato e stava salutando mia madre e Alice con un abbraccio, era straordinario come quel ragazzo non provasse un minimo di paura per la mia famiglia.

Gli altri Quileute si irrigidivano sempre quando li vedevano, a parte Jake, ma lui per me faceva parte di un’altra categoria.

Non era né un Quileute né un licantropo né tantomeno un vampiro, lui faceva parte della categoria Jacob.

«Dai vieni, fatti dare un bell’abbraccio», disse mia madre spalancando le braccia, a mo’ d’invito.

«Non ci penso proprio, l’altra volta per poco non mi rompevi le costole», mamma sbuffò contrariata.

«Ehi nana», gli diedi una gomitata nello stomaco, «Alice?», si corresse lui.

Ridacchiai.

«Dimmi bau bau», fece mia zia.

«Zia...», mormorai.

«Mi romperà qualcosa?», chiese Jake.

«Uhm», ci pensò un attimo, «non credo, vedo Carlisle parecchio tranquillo, sai come è fatto». Sorrise sorniona.

Jacob mi lasciò andare, anche se sembrava un po’ titubante all’idea e si avvicinò a mia madre lentamente. Aveva lo sguardo divertito.

«Oh, per l’amor del Cielo, Jake», mia madre scese con un balzo elegante  le scale e abbracciò il suo vecchio amico.

«Sei di ghiaccio, Bella!», fece lui.

«E tu di fuoco. E’ possibile che puzzi ancora di più?», gli chiese, allontanandolo.

«Sai che stavo per farti la stessa domanda?», Jake ridacchiò, poi salì le scale per salutare Alice.

«Ehi chiaroveggente, ci si rivede», accarezzo con parecchia enfasi l’ultima parola. Gli era sempre piaciuto il fatto di essere invisibile a mia zia.

Alice gli rispose a tono ma io non ci feci caso, Leah era appena comparsa dalla fitta vegetazione del bosco, sorridendomi felice.

Le corsi incontro per abbracciarla e, probabilmente, se le voci di Seth e Jacob non mi avessero raggiunta terrorizzate l’avrei stretta davvero in un abbraccio stritolatore.

«Ferma!», urlarono entrambi all’unisono. Io,  come un robot a cui hanno tolto la spina, mi bloccai di scatto a pochi passi dalla mia amica e voltai, lentamente, il capo verso di loro, guardandoli con aria interrogativa.

Leah sbuffò.

«Vieni qua fatti abbracciare Nes», Leah mi raggiunse e mi ritrovai ad abbracciare la mia migliore amica dopo quattro mesi di lontananza.

«Però potevi farmelo lanciare lo zaino quando te l’ho chiesto», il suo fu un sussurro.

Allora eri tu.

Le dissi mentalmente, inviando la strana voce fredda che mi aveva praticamente ordinato di muovermi e di lanciare lo zaino.

Grazie ai continui allenamenti io e Leah avevamo scoperto che riuscivo a percepire i pensieri anche delle persone poco distanti da me. Un po’ come faceva mio padre, solo che era necessario che con loro avessi uno stretto legame o un oggetto con il loro profumo, una specie di segugio mentale, come aveva detto una volta Leah prendendomi in giro.

Te ne stavi lì imbambolata come una scema, avevi bisogno di una scrollata. Rise. Jake ti fa uno strano effetto. Sembrava soddisfatta.

«Leah!», esclamai quasi indignata e arrossendo. Perché poi non lo so, ma ormai non ci capivo più nulla. E poi quello strano rumore si era fatto più forte ed intenso, sembrava un...nah andava troppo piano e noi eravamo solo in quattro.

Ma il rumore veniva da Leah.

«Allora?», fece esultante, allontanandosi di più da me e facendosi guardare.

La osservai un attimo, non trovando nulla di diverso in lei.

«Hai ripreso a trasformarti?», chiesi interdetta.

Leah mi fissò, annuendo poco convinta, ma non era quello, riprovai.

«Hai i capelli più lunghi?», chiesi di nuovo.

La mia amica mi fissò delusa. Scuotendo la testa.

«Hai messo le lenti a contatto?», i suoi occhi mi parevano diversi.

«Cazzo Nes! Ma ci vedi o no? Quando mai ho portato le lenti a contatto io?!», sbottò frustrata.

«Ma perché sei sempre così acida!?», dissi arrabbiata.

Zia Alice scoppiò a ridere come una matta, davvero poco garbato da parte sua.

Leah mi si avvicinò di nuovo e posò la mia mano sulla sua pancia.

Il ticchettio arrivava da lì, ma non era una bomba come pensava mia madre, oh beh, una bomba lo era più o meno, era una notizia bomba quella.

«Co...cosa...come è successo?!», esclamai. Sentivo la mia bocca tendersi automaticamente in un sorriso.

Leah mi passò il braccio sulle spalle e fece l’aria sera.

«Non so se ti hanno mai parlato di fiori, api e cico-», cominciò lei prendendomi in giro.

«Oh per favore Leah», sbottai.

Sapeva benissimo che cosa volevo dire, avevo avvertito la rabbia e il dolore nei suoi pensieri tante volte.

La sensazione di non poter mai essere completa come avevo sentito dire una volta da mia zia Rose, mentre parlava con nonna Esme, pensando che io dormissi.

Una sola parolina mi frullava nella mente: chi. Perché se c’era un bambino significava che c’era un padre e se c’era un padre voleva dire che Leah aveva finalmente trovato la sua metà.

Stavo per domandarglielo, quando mia madre arrivò e salutò Leah con educazione. Si strinsero la mano, mentre mamma con un sorriso le dava le sue congratulazioni e Leah le accettava di buon grado sorridendo raggiante.

Perché quelle due si trattassero in quel modo non l’avrei mai capito, ecco un altro mistero della saga vampiri vs. licantropi.

Zia Alice, invece, senza alcuna remora abbracciò forte Leah facendo irrigidire la mia amica.

«Congratulazioni!», esclamò, «Sono sicura che sarà stupendo, anche se naturalmente non riesco a vederlo, dubito che lo darai mai in braccio ad uno di noi», ecco la sua solita imbeccata dolciastra, alzai gli occhi al cielo.

Poi, sentii gli ingranaggi del cervello di mia zia cominciare a muoversi e la vidi fissare Leah con occhi spiritati.

La Quileute la osservò confusa, se fossi stata in lei avrei avuto paura invece, conoscevo mia zia.

«Naturalmente», cominciò, «sono sicura che accetteresti qualche regalo per festeggiare il lieto evento», eccola.

«Sai quando si è trattato di Bella non ho avuto il tempo di fare nulla. E’ stato tutto così veloce e dubito che avrò mai un’altra possibilità come questa, ho sempre desiderato fare una linea premaman».

Leah la fissò quasi terrorizzata, le avevo raccontato fin troppo nei dettagli di cosa era capace Alice.

«Non credo che sarebbe...», cominciò l’indiana, ma la zia la precedette.

«Non ti preoccupare li laverò naturalmente prima di darteli, non sia mai che ti faccia andare in giro puzzando».

«Non è questo il pun-», riprese la futura mamma, ma Alice la interruppe di nuovo, afferrando le sue mani.

«Sarà stupendo, troverò della stoffa fantastica», disse saltellando entusiasta verso casa. E lasciando noi tre lì a fissarla.

«Cosa è successo?», fece Leah, rivolgendosi a mia madre.

Mia madre rise. «Allora chi è il fortunato?».

«Nessuno», disse Leah, sorridendo, «solo io».

«Il padre di mio nipote è uno sconosciuto», disse Seth che si era avvicinato a noi e aveva passato un braccio sulla spalla di sua sorella.

Sembrava alquanto tranquillo per la cosa.

«Come uno sconosciuto?!», ok, non volevo farlo, ma avevo urlato.

«Seth», lo ammonì Jake, che si era messo accanto a me.

«Come uno sconosciuto?», ripetei più calma.

«Ah», fece mia madre, sorridendo, «ho capito».

«Ne ho avuto la possibilità e ne ho approfittato subito», notai uno sguardo d’intesa tra le due donne davanti a me.

«Mi volete rispondere?», feci io battendo il piede per terra.

«L’imprinting di Embry», disse Seth.

Lo fissai. Come l’imprinting di Embry?!

Che significava?

«L’imprinting di Embry è un uomo e ha avuto un figlio con Leah?», chiesi sconvolta.

Ora capivo cosa intendeva mio padre quando diceva che la vita del branco era meglio di una telenovela.

Ci fu silenzio.

«Ma no!», Jake si stava piegando in due per le risate, insieme a Seth, mentre mia madre e Leah si stavano trattenendo, con poco successo, per non fare lo stesso.

«Mi volete spiegare?! Io che ne so di queste cose!», mi sentii il viso in fiamme.

La Quileute rivolse un’ occhiata di rimprovero ai due lupastri e mi parlò.

«Partiamo da principio...», cominciò, ma mia madre la interruppe.

«Entrate in casa prima», ma come?! Proprio adesso doveva mettersi a fare la brava padrona di casa?

Presi Leah per il braccio e me la trascinai in casa, ignorando il «Piano!», che mi avevano urlato tre voci all’unisono.

La feci accomodare sul divano e mi sedetti accanto a lei.

«Racconta», dissi trepidante.

«L’imprinting di Embry», disse, teatralmente, «è una donna», scoppiò a ridere.

«E dai Leh!», sbottai, arrabbiata.

Seth e Jacob si sedettero alla tavola, chiacchierando allegramente con mamma.

«E’ molto più semplice di quel che pensi Nes e non coinvolge nessun tradimento o intrigo. Wapi l’imprinting di Embry è un medico, una ginecologa per la precisione. Per me è la migliore, ma credo di essere di parte», mi raccontò tutto quello che era successo.

Embry aveva incontrato l’oggetto del suo imprinting all’ospedale di Forks, la ragazza si era appena trasferita lì.

La piccola Claire si era rotta il braccio, cadendo dal letto e Quil, completamente nel panico, aveva trascinato Embry con lui all’ospedale.

Erano arrivati lì, avevano ingessato il braccio alla bambina e se ne stavano tornando a casa, ma era bastato solo uno sguardo e... puf!

Il Mondo era sparito, esisteva solo Wapi.

«E come è bello il sorriso di Wapi, ma hai visto che occhi, che mani affusolate che ha, che amore quando cura i suoi pazienti», Leah alzò gli occhi al cielo, «e meno male che tra tutti noi lui sembrava il più normale».

Ridacchiai, poi continuò.

«Wapi si trovava lì soltanto perché aveva seguito una sua paziente, ha un cuore d’oro quella ragazza.

All’inizio non ne voleva sapere di Embry.

Era troppo piccolo per lei. Lei che era diventata in pochi anni un medico affermato, che era scappata dalla riserva indiana dove viveva col padre in Florida, per intraprendere la carriera da medico.

E’ una Miccosukee, una tribù molto più grande della nostra, praticamente siamo uno sputo nell’oceano per loro.

Non immagini che faccia che aveva quel fesso di Em.

Quando non la vedeva stava male, però se la incontrava stava anche peggio, perché lei lo evitava apertamente e non lo degnava di uno sguardo.

Ma ora che ci penso, un po’ deve averlo guardato, perché alla fine ha ceduto...e per fortuna direi», si diede dei colpetti sulla pancia.

«Quando ha deciso di stabilirsi qui e ha avvisato la sua famiglia è arrivato il padre dalla Florida a, “per usare un termine moderno”, riscattarla», mi accorsi che adesso Leah aveva anche l’attenzione dei tre alle nostre spalle.

«Una cosa molto da nativi americani», disse, ridacchiando, «non puoi neanche immaginarti il putiferio che si è scatenato a La Push e a Forks.

Gente strana che chiedeva informazioni sui Quilelutes, sui bianchi che li frequentavano, neanche fossimo dei criminali», sbuffò.

«Ma noi ce lo aspettavamo, Wapi era la promessa sposa di suo cugino», la vidi alzare gli occhi al cielo, «Certo non è che la nostra tribù sia messa meglio con la storia dell’imprinting, ma almeno ci limitiamo noi a star male», precisò, quasi orgogliosa.

«Il padre si era portato dietro due energumeni e sto cugino. Credo che quest’ultimo abbia un casinò o qualcosa del genere», ghignò.

«Come se quei due ammassi di muscoli avessero potuto farci qualcosa», sentii ridacchiare Jacob.

«A quanto pare Wapi aveva mandato una foto di tutti noi a casa e il padre si era convinto che la trattenessimo con la forza.

Siamo riusciti a placare gli animi, anche se non so ancora come».

«Il caro vecchio Charlie ha avuto un ruolo da protagonista in tutta questa faccenda», disse Seth, divertito.

«Naturalmente Wapi è venuta a conoscenza del segreto e, beh, oltre ad Embry si è interessata anche a me», si fermò un attimo sovra pensiero.

«All’inizio l’ho mandata al diavolo, sai come sono fatta. Embry per poco non mi staccava la testa, ma non mi andava di rivangare il passato.

Ho sborsato fior di quattrini per quello schifo di analista e adesso arrivava questa e rimetteva tutto in ballo.

La ragazza però è testarda e se lo dico io puoi immaginarti come sia.

Beh, inutile dirti come è andata a finire», concluse.

Ero stata in silenzio per tutta la storia e a dire la verità, mi sentivo un po’ tagliata fuori.

Perché nessuno mi aveva raccontato tutta questa storia?

Certo probabilmente era stata una situazione tutt’altro che divertente, però non ero una bambina a cui nascondere le cose.

Indagai un attimo nei pensieri di Jake, indisturbata.

Avrei dovuto aspettarmelo, opera di papà.

Intanto, pensavo a questa ragazza. Non riuscivo ad immaginare questa Wapi, il suo nome sembrava così dolce, ma in realtà doveva essere davvero un tornado.

Insomma, in poco tempo era riuscita a scrollare per davvero Leah, una cosa che a me era costata quasi un anno di fatiche immani e parecchie letture del pensiero, e aveva sconvolto la vita di La Push, portando un po’ di movimento perfino a Forks.

Mi sarebbe davvero piaciuto conoscerla.

La Quileute parve capire a cosa stavo pensando e mi disse.

«Sai a chi somiglia un po’ fisicamente?», cominciò, «A Rachel, la sorella di Jake. Fisico slanciato, capelli lunghi e neri, occhi profondi e vigili. Mentre dal punto di vista professionale», si fermò un attimo pensando se dirmelo o meno, «beh», concluse con un sussurro, così che solo io la potessi sentire, «ricorda in modo impressionante gli occhi da scienziato pazzo che a volte ha tuo nonno, Nes».

Scoppiai a ridere, all’idea di una Carlisle al femminile, versione indiana per di più.

Leah riprese a parlarmi di un po’ di novità, come si trovava a La Push.

Era agitata all’idea di cominciare ad insegnare nella sua vecchia scuola, io però dopo un po’ non la ascoltavo più.

Rivolgevo spesso occhiate veloci a Jake che si agitava sulla sedia impaziente.

Leah se ne accorse e colse subito al volo l’opportunità di dileguarsi, quando zia Alice scese in salotto per comunicarci che aveva già preparato un abito per lei.

«Fantastico!», disse Leah tutta contenta, «Voglio provarlo subito».

Io la fissai inorridita.

«Bella tu vieni con me, vero?», chiese la ragazza alzandosi dal divano, mentre io restavo interdetta.

Mia madre sorrise, rivolgendomi una fugace e divertita occhiata.

«Vieni anche tu Seth», fece Leah al fratello, quello era un ordine.

Il ragazzo la fissò come se fosse una aliena. «Stai scherzando. Che cavolo ne capisco io di vestiti?».

«Cavolo Seth possibile che tu sia così lento», fece Leah.

Seth la seguì sbuffando al piano di sopra, mentre Jake si alzava dalla tavola e si veniva a sedere accanto al me sul divano.

Se Jacob non fosse stato lì me la sarei presa per il fatto che Leah non mi aveva incluso nel gruppetto.

Forse, ci avrei pensato dopo, per ora ero troppo eccitata all’idea di poter finalmente parlare con il mio più grande amico.

 

 

 

 

 

 

 

Secondo capitolo

 

~ L’angolo ottusangolo ~

 

≈ Ecco un nuovo capitolo, la parte con Jacob è solo accennata lo so, ma prometto che il prossimo capitolo sarà tutto incentrato sul mio licantropo preferito.

Ho pensato che fosse meglio fare un po’ di chiarezza sull’amicizia di Nessie e Leah, così da spiegare almeno in parte i neo poteri della mezza vampira e cercare di capire anche la nuova personalità di Leah.

Nei libri non  viene molto descritta. Io, però, la immagino come una donna con l’animo un po’ da maschiaccio, da lupo direi xD. Per questo il suo linguaggio è diverso da quello di Bella e da quello di Ness, molto più simile a quello di un Jake, diciamo.

Anche lo stesso modo di parlare di Nessie è diverso da quello della madre, infondo lei è già una generazione più avanti e, diciamocelo, a volte Bells era troppo “perfetta” nel parlare, se consideriamo che era una adolescente del 21* secolo.

Io almeno la penso così, nulla da criticare a nessuno, meglio sottolinearlo =P.

Spero che il capitolo sia piaciuto e che i continui flash back di Nessie non abbiano interrotto troppo la storia. E’ un po’ più lungo del precedente, ma non sono riuscita a spezzarlo.

Poi, ho aspettato un po’ troppo per aggiornare, diciamo che la lunghezza è dovuta anche a questo, una sorta di modo per chiedere scusa.

Grazie a _CandyStar_, noe_princi89, eia, HarleyQuinn88, sinead e _Starlight_ (in ordine di apparizione .^.) per aver commentato, davvero, spero di aver confermato le vostre aspettative.

Nuovi colpi di scena e nuove storie che si intrecciano con quella principale nei prossimi capitoli.

Ringrazio sempre in anticipo per i futuri commenti, sperando di essere di nuovo fortunata come con il capitolo precedente.

Titolo del prossimo capitolo: Semplicemente Jacob.

Baci, Antinea ≈

Nuova pagina 1

 

 

≈P.S. I Miccosukee sono i nativi americani della Florida, sono un popolo sicuramente più grande e conosciuto dei Quileutes e ho scelto loro perché...beh, mi piaceva il nome, sorry.

Su google potete trovare delle notizie sul popolo americano.

 

Mentre la Maserati che piace ad Alice è quella che piace a me .^.

Eccola http://www.maserati.it/maserati/it/it/index/models/GranCabrio.html Maserati GranCabrio, una delizia per gli occhi. Semmai vincessi il super enalotto...nah non credo che me la comprerei comunque, però la osserverei sapendo di potermela permettere.

Sì, ho una mente contorta. xD ≈

  
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