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Autore: Liz    16/10/2009    7 recensioni
Per voi lui non ha tangibilità, è un’esistenza che si fa chiamare Maverick sui forum e nelle chat, e il cui detto è “Sono troppo vecchio per queste stronzate!”.
Vi siete conosciuti per caso, non ne conoscete né l’aspetto né il nome, ma ci parlate da mesi e solo con lui riuscite a sentirvi bene. Suvvia, quella sensazione di totale abbandono, di completa appartenenza e dipendenza… com’era la vita prima di Maverick? Neanche lo ricordate.

Reila odia Evan largamente ricambiata fin dal giorno in cui sono nati; le loro vite persistono così, in questo equilibrio stabile e bilanciato, ormai da anni.
Ma che fare quando si scopre che il proprio amante virtuale, alias “uomo dei sogni”, è proprio Evan?
Ci sono diverse scelte: buttarsi dal balcone, buttare lui già dal balcone, fare finta di nulla o cambiare radicalmente.
Evan sa cosa fare, ma per Reila ognuna di queste opzioni è sbagliata. Che sia il destino a scegliere ancora una volta, quel destino che li ha voluti anche vicini di casa…!
E forse, se ci si impegna, anche nel proprio nemico si può trovare un’occasione per crescere.
>>DAL CAPITOLO 19 [ULTIMO CAPITOLO] "Il cuore di Reila andò a fuoco nel sentire come l’aveva chiamata: “amore”. La bionda alzò il viso raggiante e gli diede un leggero bacio sulla bocca, alzandosi in punta di piedi quanto più poteva per raggiungerlo."
GRAZIE A TUTTI!!
Genere: Romantico, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 10- A Christmas prayer

 

E

van teneva in mano una scatolina poco più piccola di un palmo, avvolta in una scricchiolante carta da regalo rossa e oro.

La guardava con paura e indecisione, rigirandola con cura come cercasse su di essa una risposta alla domanda che ormai da qualche tempo era nata nel suo cuore.

           Davvero sono arrivato a volerle bene?

Non sapeva se esserne spaventato o felice; non sapeva neanche se fosse una situazione buona o preoccupante.

Dopo 20 anni di disprezzo…! Si sentiva stupido quasi quanto lei… ma ora lei gli sorrideva.

Si voltava verso di lui e, con gli occhi pieni di una timida incertezza, gli sorrideva, come faceva con tutti.

            Aveva ottenuto quello che aveva sempre voluto.

Cercò di trattenere nel suo cuore la determinazione e, stringendo il pacchetto nella mano, suonò il campanello affianco alla scritta “Reila Lewis”.

 

«Evan? Ma che ci fai qui?» gli domandò stupita Reila, in piedi alla soglia del suo appartamento.

«È la Vigilia di Natale no? Non bisogna passarla da soli!» rispose lui con tono ironico.

La bionda lo guardò sospettosa, ma alla fine si scostò per farlo entrare in casa.

«Ma tu non hai una ragazza?» chiese alla fine, dopo che il ragazzo fu entrato .

Evan la guardò ridendo «Emy è a casa dei suoi genitori… e se è per questo… tu stai con Alex…» finì cupo, mentre una sensazione di rabbia profonda per quello che quel verme aveva fatto a Reila gli annebbiava la mente.

Reila sussultò e cambiò subito discorso «E tuo padre? Ed Erik?»

Evan tacque. Si sedette al tavolo in cucina e stette attento a non incrociare gli occhi di Reila.

«Come sta Kaleb?» chiese lei alla fine, capendo il significato di quel silenzio.

«Peggiora ogni giorno. Sono piccoli cambiamenti, quasi insignificanti, ma evidenti»

Reila si sedette di fianco a lui e posò una mano sulla sua spalla, mettendolo in leggera agitazione. Cercò di cacciare quello strano imbarazzo continuando il discorso, che pure lo infastidiva, ma meno di quelle sensazioni che proprio non riusciva a spiegarsi. «Di sicuro Erik sta peggio di me… ma la cosa che più mi innervosisce è non riuscire a dominare le mie emozioni: come ben sai, mio papà se n’è andato quando ero solo un bambino» continuò Evan «quindi dovrei essere arrabbiato con lui, o quantomeno indifferente…»

Evan si bloccò, sorpreso di quello che stava facendo: si stava confidando con lei. Eppure quegli occhi castani che lo studiavano preoccupati lo facevano sentire a suo agio.

Stava aprendo il suo cuore per la prima volta dopo anni e si sentiva al sicuro.

«…Ma?» lo esortò Reila.

«…ma per quanto io mi sforzi di non farlo, mi è inevitabile pensare che dovrò perderlo ancora. Che dovrò tornare…» non riuscì a finire la frase. Rimase sospesa tra di loro, così che anche Reila intuì quale fosse l’ultima parola.

Evan sentì le braccia esili e morbide della ragazza stringersi attorno al suo collo e la sua pelle diventare rovente a contatto col tessuto caldo del maglione.

«Ma tu non sei solo, Evan!» gli sussurrò, mentre intensificava l’abbraccio. Evan trasalì agitato quando avvertì il seno di Reila appoggiato alla sua testa: percepì il sangue bollire e pizzicargli nelle vene, sotto la pelle, mentre uno strano calore gli prendeva la mente.

La allontanò di scatto, cercando di mascherare il rossore che gli aveva colorato le guance.

Che cosa diavolo lo stava prendendo? Sembrava una verginella adolescente alle prese con la prima cotta.

Balbettò qualcosa e poi la guardò: Reila lo fissava stupita, con gli occhi pieni di domande.

Notò per la prima volta come i suoi capelli fossero biondi e dorati, quanto sembrassero morbidi e lisci, caldi e profumati. Si accorse che i lineamenti del suo viso erano ancora infantili e che il suo corpo era minuto e fragile; Evan sentì il suo cuore sorridere.

Si alzò in piedi e mise una mano nella tasca dei pantaloni, da cui estrasse il pacchetto rosso e oro che tanto lo aveva angosciato.

Ma ora era senza pensieri o dubbi, a guidarlo non c’era più la ragione ma l’istinto.

Le si avvicinò deciso, guardandola negli occhi, e le prese la mano: la strinse, la riscaldò e le diede un bacio.

Reila assisteva sbalordita ai suoi gesti, seguendoli col batticuore e tentando di non cedere sulle proprie gambe, fino a che Evan non le mise nella mano la scatolina.

Era piccola, ma il bollino con scritto il nome di una gioielleria attirava la sua curiosità di donna.

Guardò Evan senza sapere bene cosa pensare.

«Bè? Non la apri?» la autorizzò lui.

Reila sorrise felice, e cominciò a scartare il regalo, rivelando una confezione blu di velluto, decorata da un fiocco nero. Dentro c’erano degli orecchini rotondi d’argento, con al centro una pietra rosa che luccicava preziosa.

Reila li fissò in trance per qualche secondo, poi si rivolse boccheggiante verso Evan che la studiava sorridente.

«Ti piacciono?»

«… Ma… ma… perché…?» balbettò lei, diventando rossa «Oddio… non ti ho nemmeno fatto un regalo, mi sono scordata… non… mi dispiace, io…»

«Ehi ehi, calma! Lo sapevo che te ne saresti scordata, tu sei una stupida» cercò di tranquillizzarla lui, poggiando una mano sui suoi capelli «Ti piacciono?» ripetè.

Reila gli sorrise raggiante «Sono magnifici!»

Evan rispose al sorriso e prese in mano la scatola «Ti aiuto a metterli»

«Eh?»

In un momento Reila si trovò le mani di Evan che scorrevano sul suo collo, sui suoi zigomi, fino alle orecchie. Sentì le sue dita giocare col lobo dell’orecchio sinistro per infilare il suo regalo; quando ebbe finito lo vide sorridere soddisfatto.

«Ti stanno benissimo»

«Ah…» sussurrò senza sapere cosa dire.

Era così palpitante che non si accorse nemmeno della vicinanza dei loro visi. Solo quando sentì il respiro caldo di Evan sulle labbra capì cosa stava per succedere: si stavano per baciare.

La sua mente sprofondò nel silenzio, il suo corpo vibrò e gli occhi si spalancarono.

Perché? Perché Evan era diventato così dolce e premuroso?

Perché si comportava così? Lui… no.

«Te… Te…» balbettò senza forze.

«Te?» ripetè sussurrando Evan, languido, guardandola negli occhi.

«TELEFILM!!!» urlò Reila, respingendo Evan con tutta l’energia che aveva in corpo.

«Eh?» strillò Evan, vittima di un mezzo infarto, mentre Reila lo spingeva verso la porta.

«D-d-d-devo vedere un telefilm! Quindi torna a casa! Ciao!»

Aprì la porta e con uno spintone lo buttò fuori di casa, chiudendogli la porta dietro in faccia.

Respirando a fondo si accasciò a terra, esausta. Cosa… cosa stava succendo tra lei ed Evan?

Dove stavano arrivando? Era come se fossero tornati Apple e Maverick, ma ora era diverso! Erano Reila ed Evan, non avrebbero mai potuto innamorarsi!

Chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi, ma i suoi nervi non volevo calmarsi: sentiva ancora le mani di Evan su di lei e l’odore del suo respiro. Vedeva ancora quegli occhi verdi, socchiusi e così… sensuali.

La verità per cui aveva cacciato così in malo modo Evan era perché lo aveva desiderato. In quei pochi secondi aveva avvertito che avrebbe potuto sentirsi completa solo se si fosse aggrappata a lui. Ma lei non lo amava, lei non poteva innamorarsi di lui!

Così avrebbe solo rovinato la loro amicizia, l’avrebbe perso…

Nascose il viso tra le mani e sospirò.

Proprio in quel momento il suo cellulare squillò per avvisarla di un nuovo SMS. Reila lo estrasse dalla tasca dei jeans: era Alex.

“Devo parlarti. Possiamo trovarci ora?”

Reila scrisse lentamente la risposta “Va bene. Vieni tu da me?”

 

Evan rimase immobile e sconcertato di fronte alla porta di casa di Reila.

Non riusciva a capire cosa fosse successo: era tutto così perfetto, perché…

Portò una mano sugli occhi, e sospirò: ma cosa stava facendo?

Perché stava per baciare Reila? Aveva provato desiderio per lei.

Desiderio, desiderio, desiderio. La voleva, aveva immaginato quanto sarebbe stato bello averla tra le sue braccia, addosso a lui.

Scese le scale in silenzio, senza sapere cosa pensare.

«Ehi. Evan, giusto?» disse una voce leggermente roca.

Il moro alzò il viso e si trovò davanti Alex, appoggiato alla parete.

«Sei Evan?» ripetè.

Evan trattenne la voglia di picchiarlo a sangue ed annuì con rabbia. Alex lo ignorò.

«Che ci facevi da Reila?»

«Avevo finito… il latte» mentì. Se Alex avesse saputo che aveva fatto un regalo a Reila se la sarebbe presa con lei e non poteva permetterlo.

Alex lo guardò sospettoso ma alla fine decise di credergli «Mh. Sto aspettando che Reila mi chieda di salire, quindi puoi anche andare» disse liquidandolo.

Evan se ne andò senza salutare. Se Reila voleva quello stupido stronzo che la picchiava e la trattava male piuttosto che lui erano cavoli suoi, lui non centrava nulla…- ma Reila non l’aveva respinto, Evan non era innamorato di lei.

                       Ciò che provo non si chiama rabbia. Ha una natura meno lodevole e più contorta… si attanaglia nel cuore, mi impedisce di pensare razionalmente… è gelosia

~

Evan fermò la macchina appena all’inizio del vialetto della casa dei suoi nonni mentre Emy sospirava agitata, facendolo sorridere.

«Sono sicuro che andrà tutto bene!» la incoraggiò appoggiandole una mano sulla gamba.

Emy lo guardò sconsolata «È la prima volta che incontro la tua famiglia, sono preoccupata di non fare bella figura!»

«Sul serio, se ti agiti è peggio. Sii te stessa»

Lei annuì in silenzio, coi lucciconi agli occhi, e uscì dalla macchina.

Evan la guidò per mano fino al piccolo porticato di legno bianco e salirono le scale, ma all’improvviso si bloccò. Emy non capiva perché si fosse fermato così di colpo e si sporse per vedere la causa: davanti ad Evan, seduta sulla sedia di vimini, stava una donna avvolta in un cappotto bianco.

Sul viso aveva i segni di una bellezza giovanile ormai quasi svanita nella pelle tirata dal tempo e nel trucco pesante. Aveva i capelli neri e lisci, come quelli di Evan, e due occhi blu oltremare che trapassavano il cuore di chiunque li osservasse. Fumava distratta una sigaretta, sulla quale era rimasta la traccia di un po’ di rossetto rosso, e guardava davanti a sé con sguardo vuoto.

La ragazza guardò Evan, nervosa, e notò che era un fascio di nervi.

«Evan!» pronunciò la donna senza guardarlo.

«Mamma…» biascicò con voce rotta lui «C-che ci fai qui?»

«Anche io ho una famiglia con cui passare il Natale» rispose rivolgendogli un’occhiata raggelante «E tu chi sei?» chiese a Emy.

«Mi chiamo Emy, molto piacere!» tentò di essere cordiale, pur essendo molto in soggezione. Quella donna era la madre di Evan, doveva assolutamente fare una buona impressione! Per i maschi la mamma è sempre la mamma, la donna più importante della loro vita e…

«Sei la ragazza di Evan?» continuò Debra, interrompendo i suoi pensieri.

«Sì…»

La donna prese un tiro dalla sigaretta e squadrò la mora da capo a piedi.

«Stai attenta a non farti mettere mai incinta, i figli portano solo disgrazie» concluse con tono saccente.

Emy rabbrividì e sentì la mano di Evan stringersi in modo spasmodico alla sua, come se stesse cercando un appiglio per non cadere; alla fine, con un gesto deciso, il ragazzo la trascinò dentro in casa, lasciando fuori Debra sola con la sua sigaretta.

Appena la porta si chiuse dietro di lui, Evan ricominciò a respirare.

«Evan… ma…» ora Emy capiva perché non le avesse mai parlato dei suoi genitori, ma non trovava pace nel chiedersi perché non si era confidato con lei.

Gli strinse la mano con forza e dolcezza allo stesso tempo, ma Evan era già proiettato verso la cucina, dove trovò i suoi nonni intenti negli ultimi preparativi del pranzo.

«Evan, caro!» lo accolse calorosa sua nonna Greta, tendendo le braccia per abbracciarlo.

Il ragazzo ricambiò i saluti senza troppa emozione.

«E tu sei Emy, vero? Evan ci ha parlato di te!» continuò Greta «Io sono Greta, e lui è mio marito Ben» sorrise stringendole la mano.

«P-piacere!» balbettò imbarazzata Emy.

«Nonna, mi vuoi dire che ci fa mia mamma lì fuori?» le interruppe Evan, coi nervi a fior di pelle.

La signora lo guardò in silenzio, con aria colpevole. «Si è presentata senza preavviso, non potevamo dirle di andarsene…»

«Invece sì che potevate!»

«Cala le arie giovanotto» intervenne severo Ben «Debra è tua madre come è nostra figlia, abbiamo tutti i diritti di voler passare il Natale con lei»

Evan lo guardò stupito: gli sembrava di essere tornato adolescente, quando il nonno lo sgridava sempre con quel tono misto di intransigenza e comprensione.

Questa sensazione lo calmò notevolmente ed andò ad abbracciare il nonno, scusandosi e augurandogli un buon Natale.

«Posso aiutare a preparare qualcosa?» chiese Emy con gentilezza.

«Nono ci mancherebbe altro! È tutto pronto, vai pure a chiamare Debra» disse Greta.

Emy arrivò in soggiorno accompagnata dalla donna, che si sedette davanti ad Evan.

Non si vedevano da tre anni e non avevano niente da dirsi, ma Evan si sentiva come sotto esame. Cominciarono a mangiare, mentre i nonni ed Emy tentavano di simulare una conversazione.

All’improvviso Debra parlò. «Dimmi Evan, sprechi ancora la tua vita in quel ristorante?»

Evan fremette «Non sto sprecando la mia vita, mamma. È sempre stato il mio sogno…»

Debra rise divertita «Tu! Tu non hai mai avuto sogni, sei sempre solo stato in grado di distruggerli. Sei una delusione costante, ecco perché tuo padre ti ha abbandonato!»

Evan rimase zitto, incapace di ribattere. Strinse le posate nei pugni, mentre Greta scacciava quel silenzio di pietra che era sceso su di loro.

Ho nausea, sento che le forze mia abbandonano.

Mi sembra di essere tornato in quella casa, a vivere con lei.

Starle vicino mi fa stare male, mi priva della voglia di vivere… ma devo farcela, devo andare avanti.

Credo che ora ci sia qualcuno che conti su di me, sulla mia esistenza; qualcuno che nonostante la morte ha saputo reagire. Lei ha scelto di vivere anche per suo fratello.

Per quel qualcuno, io… andrò avanti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice:

Panamaaaa… Panamaaa! Panamaaa!

E sulle note dei Van Halen ecco che ritorno *___* Sì mi rendo conto gente, quasi due mesi! Ma meglio tardi che mai no?

È stato facile tornare a scrivere ma mi sembrava così irreale che la mia mente sviava sempre. E così sono passati due mesi.

Prometto che farò il possibile per aggiornare più frequentemente, ma quest’anno sono in quinta liceo, quindi ho la maturità, quindi sono piena fino al collo di… cioccolata. Anzi no, di studio.

E proprio il 23 comincerò il corso per la patente quindi un considerevole lasso di tempo in meno.

E poi ho anche una vita privata, ecco. Amici amore e famiglia.

Quindi il tempo si ridurrà alle mezz’ore prima di andare a dormire, come sto facendo adesso.

Comunque, se volete degli aggiornamenti sullo stato del nuovo capitolo, basta che andate sul mio blog (http://wholelottarosie.splinder.com/). Io che scrivo è un evento così raro che di solito merita un intervento su di esso, quindi mi trovate lì :)

Poi…?

Logicamente GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE a tutte coloro che mi supportano con commenti o aggiungendo ai preferiti questa storia.

Spero che questo capitolo vi piaccia, è incentrato tutto su Evan.

E fanno la ricomparsa due donne estremamente problematiche! Emy è difficilissima da gestire, sapete? Sarà che è il mio opposto, quindi non so proprio che farle fare.

Bè spero vi sia piaciuto lo stesso (forse l’ho già detto…)

Non so, sono le 23 e 20 e domani ho il compito di arte alla prima ora.

Anche se posterò domani pomeriggio vi auguro la buonanotte ^_^

Sperando che vada tutto bene, vi saluto, un bacio e alla prossima!!

 

“Io ti odiavo perché non potevo avere quel tuo sorriso, quelle parole.”

   
 
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