Fianchi rotondi
Capitolo 1
- Posso chiedere cosa turba il mio signore?
Bagoas era entrato silenziosamente, portando
semplicemente del vino annacquato, pane fresco e miele su un vassoio
d’argento cesellato. Alessandro lo scorse con la coda dell’occhio
ma non lo guardò direttamente, troppo assorto dai suoi cupi pensieri; si
limitò a fargli cenno di appoggiare il vassoio sullo sgabello accanto al
letto.
Bagoas, intimorito da quel silenzio, si
schiarì la gola: - Mi sono permesso di portarti qualcosa da mangiare
perché da qualche tempo ti vedo un po’ giù di morale.
“Chissà dove sarà il mio
Efestione, adesso…”
Bagoas osservò lo sguardo perso del suo
re e immaginò a cosa pensasse: - Ho visto
uscire Efestione, poco fa… è successo qualcosa, se posso, mio
signore?
Al suono del suo nome Alessandro sussultò e guardò il persiano
negli occhi. Bagoas abbassò lo sguardo, intimidito, pensando di aver
chiesto troppo. Ma ormai erano entrati in confidenza e non era la prima volta
che l’eunuco si permetteva di porre domande tanto
personali.
- Uh… no… niente di
particolare…
Bagoas si avvicinò al re con la sua
andatura ancheggiante e si sedette accanto a lui, gli rivolse uno sguardo
complice e gli poggiò una mano al petto facendolo distendere adagio sul
letto. Lo sistemò con la testa sul cuscino e scomparve per un attimo
dietro una tenda, da dove Alessandro lo sentì armeggiare con alcune
boccette. Tornò poco dopo con una fiaschetta tondeggiante in mano e un
sorriso sereno dipinto sul bel viso dagli occhi a mandorla. Si posò
leggero sul letto a cavalcioni su Alessandro e lo
spogliò dei pochi abiti che vestiva. Aprì la boccetta e il re
chiuse gli occhi, inebriandosi del profumo intensamente aromatizzato che in un
attimo aveva avvolto l’intera stanza, e sorrise quando sentì le mani
di Bagoas scivolare sui contorni del suo corpo in un sapiente massaggio. Bagoas
sapeva come far sciogliere le membra del suo amato sovrano.
- Mio signore… tu lo ami?
Il sorriso di Alessandro
si spense in un attimo. Bagoas se ne accorse e si
morse il labbro inferiore.
- Ahimé sì, Bagoas. Ne sono
perdutamente innamorato.
Bagoas sentì il cuore appassire
all’istante.
- E lui ricambia il
tuo amore?
Alessandro sospirò: - Sì, lo
ricambia, ma ultimamente non lo sento più vicino a me, Bagoas.
- Avete parlato?
- Sì. Ma mi ha
detto semplicemente che ha bisogno di riflettere.
Bagoas aprì la bocca come se volesse
dire qualcosa ma si trattenne. Alessandro aveva ancora
gli occhi chiusi e si gustava le mani oliate di Bagoas che massaggiavano il suo
inguine ma sussurrò: - Vuoi dirmi qualcosa,
Bagoas?
Il servo arrossì. Al suo re non
sfuggiva mai niente.
- Beh, niente di particolare, mio signore. Io
sono un servo e conosco tutti in questo palazzo. - Parlava
piano, le parole erano scandite, trascinate, sommesse, intrise di
quell’accento così morbido e particolare, capace di far
risvegliare i sensi. - Alle mie orecchie giungono voci e pettegolezzi da ogni
parte, ma non sempre sono convinto che sia un bene riferirli.
- Sono il tuo re, Bagoas.
- Non vorrei turbarti ulteriormente, ma se
è quello che desideri parlerò.
- Dalle tue parole mi sembra di capire che non
riservi niente di piacevole. Ma ormai sono avvezzo ai dispiaceri e quindi ti invito a parlare.
- Ho sentito voci di corridoio affermare che
il tuo Efestione – e fece uscire queste ultime
due parole tra i denti stretti – si vedrebbe con un’ancella
arrivata due anni fa in questo palazzo, discendente di un’antica famiglia
nobile ormai decaduta. Però, sire, non saprei
come soppesare queste parole. Io sono un servo, e non mi sono permesso di fare
domande né di seguire il tuo Efestione.
- Non ci sarebbe niente di male in questo,
Bagoas. Non è la prima volta che Efestione si vedrebbe con
un’ancella, o degli eunuchi… quello che mi preoccupa è che
sembra non senta più il bisogno di stare con
me. Come se il suo amore andasse affievolendosi. Se
non si è già affievolito del tutto…! Questo pensiero mi
tormenta e non mi fa dormire la notte, Bagoas. E’ da qualche giorno che
il mio Efestione non viene più a visitare la mia camera. Quel che
è peggio, è che sembra mi nasconda
qualcosa. Oggi, mentre parlavamo, si sforzava di apparire geloso e innamorato,
ma io, che lo conosco da una vita, ho capito che non
è così. Sembra quasi che non abbia il coraggio di…
rivelarmi qualcosa. E questo mi fa stare male, tra di
noi non ci sono mai stati segreti. Se continua a
nascondermi qualcosa, significa che si tratta di una cosa grave, che potrebbe
ferirmi molto. Ho paura che sia innamorato di
un’altra persona, Bagoas.
Bagoas sospirò: - Mio signore, ho
sentito dire che lui vedrebbe quest’ancella con
assidua frequenza. Sarebbe per l’appunto poco più che una
settimana che si conoscono, ma si dice siano molto
affiatati. Lei lo aspetterebbe tutte le notti in camera e si dice
che spesso si intrattengano persino in lunghe conversazioni.
- Com’è che non ho mai notato
questa donna accanto a lui?
- Beh, sire, sei sempre impegnato con i tuoi
affari in questo periodo. E, a parte questo, si dice
siano molto discreti in pubblico. Anzi, praticamente
si comporterebbero come sconosciuti. Ma i servi, qui,
sono dei grandi pettegoli, mio signore, e quando sospettano di qualcosa non si
fanno troppi scrupoli ad andare fino in fondo per confermare i loro dubbi. Il
fatto che il tuo Efestione abbia dei servi aiuta le voci abbastanza certe a diffondersi
abbastanza velocemente.
- Oh, Bagoas, se scoprissi che Efestione non
ha il coraggio di dirmi che ama questa serva e che non
ama più il suo re, ci rimarrei malissimo e non riuscirei più a
guardarlo in faccia. L’umore tra l’esercito sarebbe compromesso.
Forse, lo spedirei diretto in Macedonia.
Bagoas sussultò e fece cenno al suo re
di girarsi. Alessandro si mise a pancia in giù e il ragazzo persiano
continuò il suo massaggio rilassante.
- Bagoas… sai dirmi qualcosa di
quest’ancella misteriosa?
- Certo, mio signore. Si chiama Narda, la sua
stirpe risale alle famiglie nobili vissute ai tempi dei primi Achemenidi, è alta, molto bella, ha i capelli lunghi fino alle
ginocchia e un portamento fiero.
- Dei… dev’essere davvero speciale
per aver distolto gli occhi di Efestione dai miei.
Aveva gustato l’aria di Babilonia fino a che il sole non fosse completamente tramontato e ora si avviava a passo
spedito nella sua stanza, dove lo aspettava Narda, la bella ancella dai lunghi
capelli neri, profumata di sandalo e patchouli.
Aveva congedato Bagoas da poco tempo, dopo essersi pienamente convinto
di voler sapere tutta la verità, e aveva deciso di appostarsi nelle
vicinanze della stanza di Efestione per affrontare
quello che il suo ex amante – quanto gli doleva pensarla così
– tentava malamente di tenergli nascosto.
La sua mano trepidava già di desiderio quando
si appoggiò alla maniglia della porta per premerla ed entrare nella sua
stanza. Come prevedeva, Narda aveva ornato la stanza con candele che profondevano
un calore soffuso ed avvolgente, bruciavano d’incenso e si andavano a
confondere con il profumo della sua pelle ambrata e levigata.
Gli venne un tuffo al cuore quando la vide,
seppur da lontano: era bellissima. Se l’avesse
provocato, non avrebbe rifiutato di giacere con lei. Ma
lei provocava Efestione, il suo amore di sempre, era una ladra, una sporca
ladra, un’ancella non avrebbe mai potuto rubare il posto di un re nel
cuore di un uomo. Eppure lei aveva osato tanto.
Chiuse la porta dietro di sé e si
adagiò sul letto nell’inquieta attesa di sentire la sua voce calda
e le dita affusolate sulla sua pelle. Lei non lo fece spasimare a lungo, gli
strinse dolcemente i fianchi tra le cosce e schiuse le labbra per posarle sulle
sue.
- Allora… - cominciò con quella
voce sonora ed accentata – il re… è a conoscenza della
nostra relazione?
Efestione chiuse gli occhi e si
abbandonò alla lingua di lei sulla sua gola.
– Non ho ancora trovato bene le parole e la situazione adatte…
Omise spudoratamente il suo vile piano di volersi far odiare dal suo re
perché non aveva il coraggio di dirgli addio per sempre, almeno
figurativamente, visto che fisicamente sarebbe rimasto al suo fianco come
fedele soldato per tutta la vita.
Sentiva gli occhi neri e penetranti della sua
coscienza guardarlo di sbieco, e gli bastavano quelli, non voleva sentirsi
addosso anche quelli di Narda.
La bella persiana si staccò da lui e lo
guardò negli occhi intensamente: - Ma tu mi ami?
Efestione ricambiò il suo sguardo: -
Certo che ti amo, Narda. Il desiderio per te ha occultato completamente quello
per il mio re. Mai nessuna donna aveva mai preso così
tanto il mio cuore e la mia carne.
Mise una mano sulla maniglia e, dopo aver udito quelle lancinanti
parole, decise di non voler più aspettare. Piombò nella stanza e
vide quello che si aspettava ma che mai avrebbe voluto confermare.
Si alzò di scatto, Narda sopra di lui andò a finire ai
piedi del letto tra quei tre, quattro, forse cinque cuscini di seta che aveva
sistemato poco prima. Non guardò nemmeno negli occhi il suo re, si
alzò immediatamente, coprendosi con le mani come meglio poteva, si inchinò frettolosamente e uscì di corsa
nuda com’era.
Spalancò gli occhi. Le manacce di quella strega stavano toccando
il suo uomo. E
lui non era sembrato tanto convinto di volerle respingere.
-
Credo sia giunto il momento di dirmelo, soldato.
Questa mi sembra la situazione adatta.
Efestione rimase senza parole. –
Alessandro… io…
- Non hai niente da dirmi? Da dietro la porta
mi era sembrato di capire che volevi parlarmi di una cosa importante…
- Vedi… aspettavo
solo di…
- Mi hai preso in
giro… mi hai preso in giro… - Alessandro scuoteva la testa e
i suoi capelli d’oro annebbiavano il suo bel viso afflitto.
Efestione si sentì tremendamente in
colpa davanti al suono struggente e cantilenante della voce del suo re,
Alessandro, che aveva tanto amato e tante volte posseduto sul suo letto. Quella
voce incrinata nascondeva una gran voglia di piangere, ma sapeva benissimo che
non sarebbe crollato lì, in quel momento, le avrebbe
ingoiate tutte, quelle lacrime, non si sarebbe umiliato davanti a quel
vile soldato. Alessandro sì che aveva animo.
Eppure si ritrovò a pensare
immediatamente a quando le sue lacrime ardenti
cadevano sulle sue braccia, quando lo consolava, quando lo amava, quando quegli
occhi gli riempivano anima e cuore, quando i suoi capelli morbidi gli
risvegliavano la carne sopita, quando quelle mani nervose gli toccavano il
petto, quando la lingua umida gli rizzava i capezzoli. Ora, quei pensieri non
facevano più alcun effetto.
Alessandro l’aveva seguito. Aveva capito
tutto, sin dall’inizio. Come aveva potuto pensare lui, vile e vigliacco
soldato, di poter ingannare un uomo tanto sensibile e intelligente?
- No, Alessandro. Non avrei mai potuto. Ma non avrei potuto neanche sputarti in faccia la
verità. Avevo bisogno di tempo… per riflettere.
- Tra le braccia di quella serva. – concluse Alessandro senza battere ciglio.
- Alessandro…
- Non me l’avresti mai detto… non ne avresti avuto il coraggio, vero? Volevi forse che fossi
io a dirti addio? Non trovavi le parole per dirmelo? Vigliacco! Per quanto
tempo avresti finto di essere geloso di me fino a
farti odiare? E avresti gioito quando ti avrei detto
addio? Ma ahimé non ci sarei mai riuscito,
Efestione, perché come quella strega ti ha ammaliato, tu hai ammaliato
me e non avrei mai potuto dirti addio, tuo malgrado.
- Alessandro…
- Non hai scusanti! E non vorrei bruciare
ancora per te, né di passione né d’ira né di
gelosia, ma purtroppo non sono un dio come tutti mi lasciano credere, e anche
se lo fossi non riuscirei a scampare ai voleri di Eros,
a cui sono soggetti anche gli dei dell’Olimpo.
Efestione sospirò e si sentì
incredibilmente attratto dal pavimento, tanto che non riusciva a staccargli gli
occhi di dosso.
- Non hai nemmeno il coraggio di guardarmi! Ma fai bene, sai? Fai solo bene! Non voglio che la mia
immagine sia infangata dal tuo sguardo meschino! Meschino!
Efestione si sentì ardere di vergogna. Una vergogna infinita che non aveva mai provato. Lui, il grande soldato che non si sarebbe ritirato di fronte a
nessuna difficoltà, che non avrebbe abbassato lo sguardo davanti a
nessun nemico, aveva abbassato lo sguardo di fronte ad Alessandro, il suo amico
d’infanzia.
- Quindi –
riprese Alessandro – Non mi ami più?
Efestione sentì il cuore pesante come
un macigno. – No.
- Bene. – Si voltò e uscì
dalla stanza, senza nemmeno sbattere la porta. Appena
fuori, si abbandonò contro un muro e si sforzò di pensare, ma la
sua mente non riusciva a trovare argomenti su cui formulare pensieri.
Efestione, il suo Efestione, non l’amava più. A questo terribile
quanto reale pensiero, corse nella sua stanza e si gettò sul letto in
preda ad un profondo sconforto. Alzò per un attimo la testa e si vide
solo nella grande stanza, solo come mai aveva sentito di essere,
e si sentì vulnerabile, si sentì come quand’era sul trono.
Solo. Solo in mezzo a traditori e vigliacchi. Solo.
Osservò lo sgabello al suo fianco e
vide il vassoio che gli aveva portato Bagoas.
Trangugiò in fretta e furia come se in
quel cibo si affogassero i suoi dispiaceri e per annegarli bevve tutta
l’anfora di vino.
Si adagiò sul letto con il viso tra le
mani e si sfogò in un pianto silenzioso e doloroso, uno di quei pianti
che spremono il cuore fino all’ultima lacrima, e si maledisse nel pensare
che tutte quelle lacrime si sprecavano cadendo sull’immagine del viso di Efestione.
Quel pianto convulso non aveva certo giovato
alla sua digestione e poco dopo venne scosso da un
tremendo mal di testa e corse in bagno a vomitare anima e corpo. Il tutto, per
Efestione.
L’aveva sentito singhiozzare violentemente.
Doveva amarlo davvero tanto,
quell’Efestione.
Ma, in fondo, anche lui
aveva agito per amore. Un amore profondo, doloroso, invincibile. Sentiva che
non si sarebbe mai perdonato quello che aveva fatto, e tentava di giustificarlo
a sé stesso pensando che l’aveva fatto
per amore. Amore. Mai aveva provato un sentimento tale per una persona. Un
sentimento tanto ardente, intenso, che bruciava fuori dai
suoi occhi quando lo vedeva. Pensava che forse, anzi sicuramente, Alessandro provava lo stesso per Efestione.
E ora stava così
male. Per colpa sua.
Ma in fondo, sorrise
nel pensare che ora il re sarebbe stato suo. Solo suo. Se non
l’avesse fatto, non avrebbe mai preso il posto
di quel soldato nel cuore del bel sovrano.
Ora era suo compito consolarlo.