13
SETTEMBRE
giovedì
Purtroppo
Chiara aveva avuto la malaugurata
idea di dire al parrucchiere che quella sera doveva andare ad una cena
in un
ristorante piuttosto elegante a Marechiaro. Lui si mise ad insistere
per
convincerla a farsi una pettinatura ed un make-up speciali.
-
La mia Rita fa il trucco alle spose –
le disse per persuaderla.
-
D’accordo, Antonio, ma io non mi devo
sposare, devo solo andare ad una cena con dei colleghi.
-
Dai, Chiaretta, ti faccio un prezzo
speciale. Per una volta fai un po’ la sofisticata, sei troppo
semplice tu!
Alla
fine si lasciò convincere. Lui le
stirò i capelli fino a farglieli diventare lisci e morbidi,
con riflessi simili
al velluto. Rita poi era davvero brava e le fece un trucco tale da
farla
sembrare quasi bella, con gli occhi profondi e grandi ed il viso
perfettamente
levigato.
-
Complimenti – commentò alla
fine la ragazza guardandosi allo specchio
– ed io che credevo di essere la sola restauratrice in giro!
Voi siete molto
più bravi visto quello che avete saputo fare con un mezzo
cessetto come me.
Una
volta a casa completò l’opera con
il vestito regalatole dalla sorella. Era
molto semplice, ma elegante, con l’ampia gonna
un po’ a campana, il
corpetto finemente ricamato e scollato, un bolerino corto a coprirle le
spalle.
Adesso le stava molto meglio della settimana prima, forse perché era un
po’ scesa di peso. Il
risultato finale fu una ragazza molto
carina, ma lei non si riconobbe nell’immagine riflessa nello
specchio, si
sentiva come in maschera. Però quella sera era proprio
ciò che le ci voleva. Se
avesse dovuto seguire il suo istinto, si sarebbe rintanata in casa
perché non
aveva voglia di affrontare gli altri e tanto meno Massimo.
Rossana
doveva venirla a prendere alle
otto, ma tardò parecchio. Quando finalmente
arrivò, le chiese scusa dicendole
di avere il figlio più grande con la febbre.
-
Che hai fatto? – le chiese scrutandola
– Chi devi conquistare stasera? Sei bellissima!
In
effetti fu il complimento che le
fecero tutti quando arrivarono al ristorante dove i colleghi stavano
aspettando
proprio loro per iniziare la cena. Chiara li salutò con calore, solo con
Massimo non ebbe il
coraggio di essere più espansiva e gli fece appena un mezzo
sorrisetto. Lui
invece quando la vide entrare avvertì un tuffo al cuore come
gli era capitato
solo alle prime cotte da ragazzino.
-
“Come è bella!” –
pensò guardandole
quei capelli neri, lunghi e lisci come non gliel’aveva mai
visti – “Stasera
devo trovare il modo di parlarle”.
Invece
non capitarono vicini anche se
si ritrovarono seduti l’uno di fronte all’altra.
Chiara non alzava mai gli
occhi su di lui, si limitava a conversare con Federica e Dario al suo
fianco.
Accanto a Massimo c’era Giacomo e dall’altro lato
Valeria, una piacente donna
sulla quarantina che lavorava al settore vendite la quale, a quanto
pareva, aveva
deciso di farsi avanti con l'ispettore e non smetteva un minuto di
parlargli. L’uomo le rispondeva per pura cortesia mentre era
intento a guardare
di soppiatto la ragazza sedutagli di fronte.
-
“Come devo fare? Le
devo dire assolutamente cosa ho provato
senza di lei. Ma perché sta facendo così?
Perché non mi guarda nemmeno? Forse è
soltanto in collera con me e devo insistere un po’ per farmi
perdonare” -
pensava.
Chiara,
all’apparenza calma e serena, infatti
non lo degnava di uno sguardo, ma il giovane non avrebbe mai potuto
immaginare
quanto sforzo le stesse costando tutto quell’autocontrollo.
Aveva avuto paura
di rivederlo e ne aveva avuto ben ragione, ora si sentiva sopraffatta
dall’attrazione provata per lui: le piaceva ogni minima
espressione di quel
volto, ogni sguardo dei suoi occhi verde-azzurro, ogni inflessione
della sua
voce calda che le metteva i brividi dentro. Temeva si potesse capire e per questo cercava di
non guardarlo nemmeno
anche se aveva notato come Valeria lo stesse marcando stretto.
Massimo
tentò un paio di volte di
rivolgerle la parola, ma lei gli rispose solo a monosillabi, tanto che
alla
fine lui si convinse che quel comportamento freddo era per fargli
capire che la
breve parentesi sentimentale tra di loro si era definitivamente
conclusa. Ne fu
molto deluso ed anche abbastanza irritato. Cercò di darsi
comunque un contegno,
con la sua vistosa vicina che si faceva sempre più invadente
e gli altri
colleghi che gli davano spesso da parlare senza sapere quanto gli
costasse in
quel momento partecipare alla conversazione generale.
Per
Chiara intanto tutte quelle persone
intorno al lungo tavolo avrebbero potuto anche sparire, esisteva solo
l’uomo
seduto di fronte a lei. Eppure sapeva che finché si trovava
in mezzo agli altri
poteva difendersi. Il problema sarebbe stato quando, nei prossimi
giorni, si
sarebbero incontrati da soli. Allora forse non sarebbe riuscita
più a
mascherare l’amore che provava per lui.
Terminato
il pranzo, mentre aspettavano
il caffè, Federica le chiese sottovoce di accompagnarla alla
toilette. Ne approfittò
per controllarsi allo specchio perché temeva che i suoi
sentimenti le si
leggessero in faccia. Invece era ancora molto carina. Ad un tratto
entrarono
Antonella e Silvia, le colleghe del Commerciale, le quali stavano
commentando
ad alta voce:
-
Hai visto quella là? E che cavolo,
tra poco gli salta addosso all’ispettore! Che
… hmmmm … beh, insomma,
hai
capito.
-
Dai, solo perché Valeria ha il
coraggio di fare le cose davanti a tutti! Voglio vedere chi di noi non
ci ha
fatto un pensierino proibito su quello. Cosa ti devo dire, beata lei se
riesce
a portarselo a letto!
Ridacchiando
divertite, si chiusero nei
bagni.
-
Guarda che se ti metti a piangere ti
prendo a sberle! – le disse sottovoce
Federica vedendo l’espressione desolata che le
si era dipinta sul volto
– Che pretendi adesso? Siccome tu hai rinunciato a lui
debbano farlo anche
tutte le altre? Se non eri convinta, ci dovevi pensare prima.
Chiara
riuscì a controllarsi,
consapevole che l’amica aveva ragione, ma non per questo si
sentì meno triste
quando, avvicinandosi di nuovo al tavolo, vide Valeria parlare
sottovoce in un
orecchio a Massimo che aveva un sorrisino sulle labbra.
Ma
dov’era l’uomo che aveva conosciuto,
quello con cui aveva trascorso giorni meravigliosi su spiagge assolate,
che
l’aveva tenuta tra le braccia con tanta dolcezza mentre
languidamente
riposavano nella piscina calda, quello con cui aveva guardato il
tramonto e
dormito abbracciata? Forse non c’era mai stato se non nel suo
desiderio e
Massimo gli aveva dato solo la sua fisicità.
-
“Eppure – pensava – il suo corpo mi
è
appartenuto, è lui che ho accarezzato, baciato, è
con lui che mi sono congiunta
fino ad essere una sola cosa. Accidenti – rifletté
ancora – che paroloni:
“appartenersi”, “congiungersi”!
Si vede che Roberta ha ragione quando mi accusa
di essere retorica, un’altra al posto mio, ad esempio quelle
due che prima
parlavano nel bagno, avrebbero detto: “meno male che almeno
me lo sono
scopato!” e via per la loro strada.”
Fece
un impercettibile risolino tra sé
e sé ed inavvertitamente alzò lo sguardo
incontrando i magnifici occhi di
Massimo che la stavano fissando seri. Quasi temendo di farsi leggere
dentro, si
girò subito da un’altra parte, non senza
concludere però il pensiero di prima,
questa volta come se stesse parlando a lui:
-
“Però a me non basta, amore mio, io
ti amo e avrei voluto essere
amata da
te!”
**
Venne
il momento di consegnare al
festeggiato il regalo e siccome nessuno lo aveva ancora visto, ci fu
molta
curiosità mentre Dario scartocciava il pacchetto. Qualcuno,
per paura che
potesse non piacergli, decise di mettere le mani avanti e disse
fingendo di
scherzare:
-
Guarda che l’ha scelto Chiara, se non
ti piace è colpa sua.
Invece
era un oggetto delizioso: un
portasigari in ebano con il coperchio d’argento finemente
lavorato, una cosa di
gran gusto che suscitò l’ammirazione di tutti.
-
È fine Ottocento. Ho pensato che
poiché stai per diventare uno importante, sulla tua
scrivania ci volesse
qualcosa di prestigioso – spiegò Chiara, sperando
che gli piacesse.
-
Grazie, è bellissimo! Grazie amici e
grazie a te, cara. Come al solito hai saputo dimostrare che persona di
classe
sei.
Così
dicendo le prese una mano e le
baciò il palmo in un gesto molto affettuoso facendola
arrossire come una
scolaretta.
Ma
anche un’altra persona arrossì, di
gelosia però, mentre
si chiedeva
inquieto se tra quei due non ci fosse davvero del tenero. Cercando di
darsi un
contegno, Massimo si disse che oramai stava rasentando il ridicolo con
quella
sua smania ed era
venuto davvero il momento
di smetterla, tanto
oramai … ma le
parole di Dario vennero subito a tranquillizzarlo.
-
Sapete, - stava dicendo questi - la
signorina qui presente è stata il consigliere artistico mio
e di mia moglie
quando abbiamo messo su casa. A proposito, te lo ricordi quando andammo
tutti e
tre a Roma da quell’antiquario amico tuo a comprare il
cassettone e la
consolle?
-
Anche questo portasigari è stato
comprato lì, anzi,
quando ho detto a
Walter che cercavo un regalo per te, ha scovato la cosa più
bella di tutto il
negozio – gli rispose lei sorridendo.
-
È una bottega deliziosa. Lì dentro
sembra di entrare in un’altra epoca. Assomiglia un
po’ a questa bella ragazza che
ci ha lavorato per un po’ a restaurare quadri antichi.
-
Infatti, ce la vedo proprio, tutta
trine, merletti e rossori come una fanciullina di un’altra
epoca – commentò
ironica Valeria prendendola in giro.
-
Ma è un lavoro difficile, no? Davvero
ne sei capace? – le chiese incuriosita Silvia.
-
Ho preso il diploma di primo livello,
poi però ho lasciato tutto anche se ogni tanto penso di aver
fatto male perché
era un lavoro che mi piaceva molto.
-
Purtroppo non sempre nella vita si fa
quello che si avrebbe voluto! Io avrei voluto insegnare per esempio.
Non c’è
nulla di più stimolante dei ragazzi – intervenne
Antonella.
-
A me invece sarebbe piaciuto fare la
casalinga. Vuoi mettere a startene a casa tua a crescere i figli
piuttosto che
combattere dalla mattina alla sera con uno come il nostro capo?
– commentò a
sua volta Rossana.
Valeria
si mostrò infastidita.
-
Oddio, sentitele! – rimproverò le
colleghe - Alla faccia dell’emancipazione femminile: la
maestra, la restauratrice,
la mamma… Un po’ di carattere ragazze mie, poi
dite che questi signori ci
mettono sotto i piedi. Per forza lo fanno se noi per prime non
riusciamo ad
entrare in competizione con loro perché non ci sentiamo
all’altezza. Io, se lo
volete proprio sapere, sono contentissima di fare il mio lavoro anche
se devo
lottare ogni giorno con un mucchio di maschietti agguerriti. Non mi
sento meno
capace di loro.
Si
aprì una discussione
sulla parità dei ruoli nel
lavoro, discussione che ad un certo punto divenne anche abbastanza
accesa, ma
fu simpaticamente conclusa da Federica.
-
Io so di essere molto più in gamba di
tanti uomini, ma ciò non toglie che avrei voluto fare la
ballerina classica –
disse infatti. Poi, sentendo scendere un silenzio imbarazzato e
cogliendo
numerosi sguardi perplessi, fece
ridere
tutti aggiungendo: – E che volete, me lo sono ficcato in
testa da bambina
quando ho visto gli ippopotami ballare ”La danza delle
ore” in “Fantasia”!
**
Chiara
era rimasta d’accordo con
Rossana di andare via con lei, ma purtroppo questa ricevette una
telefonata dal
marito perché al bambino stava salendo la febbre.
-
Scusatemi – si giustificò – devo
andare. Ma adesso tu come fai? – chiese impensierita
all’amica.
-
E che problema c’è?– affermò
Dario
- La riaccompagno
io.
-
No – intervenne subito Massimo – io
non ho nessuno ad aspettarmi. Devo accompagnare già Valeria, vuol dire che porto a casa
anche lei.
La
ragazza, spaventata da questa
prospettiva, protestò:
-
Non vi preoccupate, non c’è bisogno,
posso prendere un taxi.
-
Davvero credo che per Massimo non sia
un problema, non è così? – chiese il
festeggiato il quale in verità aveva un
po’ di premura di ritornare a casa perché
l’indomani doveva partire presto per
Milano.
-
No, certo, basta che non facciate
pettegolezzi perché mi vedrete andar via con due belle
signore – rispose questi
con un’espressione ironica.
Federica
si fece avanti:
-
E allora fa’ un cosa: accompagna pure
me, così nessuno dubiterà delle tue intenzioni
puramente umanitarie.
-
Che aspettavi a dirmelo che volevi
essere riaccompagnata anche tu, stupidona! – la
rimproverò lui che stava cominciando
ad affezionarsi a quella ragazza così simpatica e sfortunata.
**
Quando
Federica fu scesa dalla
macchina, Massimo si rivolse a Valeria:
-
Ti dispiace se passiamo prima per
casa tua? Non conosco bene le vie ed ho paura di perdermi. Invece
conosco bene
la strada dove abita Chiara.
Quest’ultima dal sedile posteriore
commentò, un poco
acida:
-
È la stessa cosa, basta farla
all’inverso.
-
No, mi confondo! – insistette l’altro
cercando di guardarla nello specchietto retrovisore, poi rivolto alla
collega,
con un sorriso seducente – Mi mostri come faccio ad arrivare
da te?
Lei,
tutta gentile, glielo spiegò e
quando furono arrivati lo salutò con calore.
-
Ehi, ricordatelo, dobbiamo andare in
quel locale di cui ti ho parlato.
-
Senz’altro, ci andremo al più presto.
Buonanotte!
-
Buonanotte! Che fai tu, passi
davanti? – chiese la donna a Chiara senza nemmeno salutarla.
-
Come ti sembra, gli vogliamo far fare
l’autista? – le rispose questa e senza salutarla
nemmeno lei, si sedette
accanto al guidatore allacciandosi
la
cintura di sicurezza.
-
Che c’è – le chiese Massimo dopo un
po’ che furono ripartiti – avevi paura di rimanere
sola con me?
-
A dire la verità credevo fossi tu a
voler rimanere solo con Valeria. In fondo stai lavorando per
assicurarti lo
spasso per i prossimi mesi, non è così?
-
Non è vero, quella non m’interessa
affatto – le disse serio ed aggiunse buttandola sullo scherzo
– e poi non è
nemmeno il mio tipo!
-
No? Strano, non si sarebbe detto da
come avete flirtato tutta la sera.
Questa
volta le rispose un po’ piccato.
- Se tu ti fossi degnata di
rivolgermi almeno
lo sguardo, ti saresti accorta che era lei a fare la scema, non io.
-
Anche se fosse, non
vedo perché avrei dovuto rovinarmi la
serata a guardare i tuoi duetti amorosi.
-
Pensavo potessimo essere perlomeno
amici – tagliò corto l’uomo un
po’ esasperato da tutta quella freddezza.
-
Amici? L’hai detto tu che non avremmo
mai potuto esserlo.
-
Almeno però potremmo parlarci.
-
Anche questo hai detto: non abbiamo
più niente da dirci.
-
Insomma! – sbottò alla fine,
arrabbiandosi – Ho sbagliato a dirti quelle cose al telefono,
è vero e te ne
chiedo scusa, ma a parte questo, non mi sembra di aver fatto nulla di
tanto
grave per meritarmi che
tu non mi
rivolga più neanche la parola!
Non
ebbe risposta ed allora proseguì:
-
Io avrò pure un caratteraccio ma ho
cercato in ogni modo di convincerti a continuare a vederci, a
frequentarci,
almeno per chiarirci, per capire… ma tu niente! Mi sono
comportato male con te
perché mi hai fatto incazzare ma in concreto sei stata tu a
trattarmi uno
schifo, non io.
Si
era girato a guardarla, ma
il fatto che lei tenesse il viso rivolto
dall’altro lato, lo fece finire di incavolare.
-
Avanti, me lo dici che ti ho fatto? -
insistette.
Il
silenzio ostinato della ragazza
continuò ed allora si rispose da solo:
-
Io non ti ho fatto niente, accidenti,
hai fatto tutto tu. Se adesso siamo nella merda è
perché l’hai voluto tu, non
io. E parla, smettila con questo silenzio da sfinge, mi fai impazzire
dalla
rabbia!
Però
Chiara rimase muta ed allora, indispettito
e senza dire più nulla, la portò sotto casa.
Pioveva
a dirotto.
-
Aspetta – le disse con premura nonostante
fosse ancora arrabbiato – non lo vedi come sta piovendo?
Aspetta un attimo.
Si
era voltato verso di lei che si
stava slacciando la cintura di sicurezza e solo in quel momento si
avvide che
aveva il viso inondato di lacrime.
Le
lacrime delle donne lo facevano
sempre andare fuori di testa, ma adesso quelle silenziose di Chiara
erano come
un vero e proprio schiaffo.
Molto
adirato, la prese per le spalle e
scotendola, le urlò, con il viso contratto dal dispiacere:
-
Perché piangi adesso, per la malora, me lo dici
perché piangi?
Due
grandi occhi neri traboccanti di
lacrime lo fissarono e con la voce rotta, lei gli sussurrò:
-
Perché hai ragione tu quando dici che
ho fatto tutto io! E vuoi sapere che cosa ho fatto? Mi sono innamorata
di te,
ecco cosa ho fatto!
Prendendo
un fazzoletto dalla borsetta,
la ragazza continuò:
-
Non devi innamorartene, mi dicevo, se
una mezza calzetta come
Marco ti ha
distrutto in quel modo, che cosa potrà fare di te un uomo
meraviglioso come
Massimo? Ma è tardi, accidenti, è tardi, non ce
la faccio più a tornare
indietro!
Un
singhiozzo la scosse e fu come un
fiume che rompe l’argine.
-
Io ti amo, ti amo tanto! – gli gridò
quasi, buttandogli
le braccia al collo –
Non me ne importa più niente. Anche se deve essere solo per
un giorno, anche se
dopo dovrò morirne, non te ne darò nessuna colpa.
Io ti amo da impazzire e ti
voglio.
Persa
nella sua emozione, gli baciava
il viso con le labbra bagnate di pianto, lo accarezzava, gli si
stringeva
contro.
Massimo
era rimasto assai scosso da
quell’improvvisa esplosione: da lei, sempre così
controllata, non se
l’aspettava. Per un attimo ebbe la
sensazione di stare stringendo tra le mani una porcellana preziosa che
si
sarebbe potuta rompere da un momento all’altro. Sapeva che se
adesso avesse
deciso di amarla, avrebbe dovuto essere per sempre altrimenti avrebbe
rischiato
di farle del male e questo non lo voleva. Ad un tratto ebbe paura
dell’intensità
di quei sentimenti perciò rimase fermo, quasi senza toccarla.
Lei
intanto gli stava dicendo:
-
Sali da me, ti prego, fammi fare ancora
all’amore con te. Tu non lo sai quanto mi è
costato respingerti ogni volta, non
lo puoi neanche immaginare quanto ti desidero! Puoi fare di me quello
che vuoi
…
Gli
aveva infilato le mani sotto la
giacca e gli accarezzava il petto attraverso la stoffa sottile della
camicia,
baciandolo ancora sul viso e sul collo, cercando di farsi stringere.
L’uomo
invece le accarezzò solo i
capelli.
-
No, piccolina, non fare così, ti
prego. E poi stasera sei troppo sconvolta per ragionare. Adesso te ne
vai a
fare una bella dormita e ne riparliamo domani con calma, va bene?
Le
aveva parlato con grande dolcezza ed
un sorriso molto tenero sulle labbra, ma la ragazza era troppo presa
dal vortice
delle sue emozioni ed interpretò quelle parole come un
garbato rifiuto. Si
irrigidì e senza alzare più il viso a guardarlo,
senza dirgli più una parola,
scappò fuori dall’auto. Repentinamente, prima che
potesse raggiungerla, s’infilò
nel portone richiudendolo in fretta
alle sue spalle.
Massimo
non sapeva davvero cosa fare.
Si sentiva assai dispiaciuto, ma
non
poteva precipitare le cose, doveva essere prima sicuro. Sapeva di
amarla ed
aveva sperato che anche lei lo amasse, ma tutta quella passione lo
sconvolgeva,
lo intimoriva addirittura. Era meglio calmarsi entrambi e attendere
l’indomani
per chiarire i reciproci sentimenti e parlare con serenità
del loro futuro.
Così
mise in moto e ripartì lungo la
strada deserta e flagellata dalla pioggia battente.
**
Chiara
non aveva neanche preso
l’ascensore, si era precipitata per le scale ed in fretta
aveva aperto l’uscio
di casa per correre in bagno, appena in tempo per vomitare tutto quel
poco che
aveva mangiato. Dopo, accoccolata vicino al water, si sentiva uno
straccio,
aveva bisogno di aria fresca. Andò sul terrazzo, a respirare
a pieni polmoni
nell’atmosfera satura di elettricità.
Il
mare era nero come l’inchiostro e il
cielo, attraversato da saette di fuoco,
lasciava cadere una pioggia scrosciante che le inzuppava
il bel vestito
e le bagnava i capelli.
-
“Brava, brava – si diceva tra i
singhiozzi – alla fine ci sei riuscita a perdere la
dignità. Ma cosa ti
aspettavi da te stessa? Sei soltanto una brutta fallita, nella vita,
nel
lavoro, nell’amore. Fai schifo, fai soltanto schifo e
pretendevi pure che lui
ti amasse! Probabilmente gli fai solo pietà!”
Si
abbandonò al pianto e ne ebbe
conforto come se in quelle lacrime potesse annullarsi. Alla fine i
singhiozzi
si calmarono non così il tremito che la scuoteva. Ebbe
freddo, rientrò in casa,
si strappò di dosso il vestito ormai zuppo, si avvolse un
asciugamano sui
capelli bagnati e con una salvietta si pulì il viso dove il
bel trucco della
sera precedente, tra la pioggia e le lacrime, si era trasformato in una
maschera grottesca.
Nel
vedersi allo specchio, ebbe ancora
più disgusto di se stessa e gettò con rabbia
l’asciugamano nel cesto dei panni
sporchi. Quella sera non ce la faceva a sopportarsi. Aprì
l’armadietto dei
medicinali e ne prese il Lexotan. Non voleva farsi del male, ma voleva
fuggire.
Cinque, dieci, venti, trenta, quaranta gocce. Le buttò
giù tutte di un fiato
poi se ne andò a letto. Con le lenzuola tirate fin sulla
testa, si rannicchiò
in posizione fetale ed ancora scossa dai singhiozzi, aspettò
di entrare
finalmente nel buco nero dell’incoscienza,
là dove Chiara non esisteva più.