Serie TV > Criminal Minds
Segui la storia  |       
Autore: JulyAneko    20/10/2009    2 recensioni
Un caso, un avvocato. Una nuova conoscenza, un vecchio legame. Cosa succederà al nostro team se le sue acque verranno scosse non solo da nuovi atroci casi?!
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Untitled Document

 

...

Quel giorno c'era un gran caos negli uffici dell'Unità Analisi Comportamentale. Erin Strauss aveva fatto mettere a soqquadro tutto per cercare chissà quale prova di negligenza da parte del team. Tutti si erano accorti di quanto quella donna continuasse ad odiare Hotchner ed il suo operato, anche se tutto ciò che quell'uomo faceva ed affrontava era impeccabile.
Dopo il caso del rapimento dell'avvocato Johnson, la Strauss si era convinta che qualcosa fosse andato storto nelle procedure del caso Reewell e così stava cercando di fare chiarezza.. chiarezza su qualcosa che, già di per sé, era limpido e cristallino.
Emily sospirò di sollievo appena vide quella donna tornarsene nel suo ufficio. Come d'automatismo spostò lo sguardo verso il proprio capo che si era rintanato nel suo ufficio e in quel momento stava seduto alla scrivania fissando il vuoto davanti a sé.
Emily sospirò. Sospirò di nuovo ma stavolta non di sollievo. No, stavolta per qualcosa che si sentiva esplodere dentro da quanto non riusciva più a confinarlo nel suo cuore.
Ricordò la conversazione che aveva avuto con April. Tutto quello che si erano dette era vero, era dannatamente vero. Lei la pensava allo stesso modo. Lei era stata quella che aveva detto ad April di buttarsi con Spencer. Lei era la stessa che non si stava lasciando andare con Aaron, col suo Aaron.
-Tutto bene?- si sentì domandare da Spencer, dall'altra parte della sua scrivania.
-Sì, sì.- disse velocemente, troppo velocemente -Solo un po' stressata per tutta la questione Strauss.- continuò allora in cerca di un appiglio sicuro.
-Già..- mormorò Spencer fissando la collega.
-E tu Reid? Tutto bene?-
-Certo!- esclamò velocemente, troppo velocemente.
Emily lo guardò per qualche attimo poi, senza pensarci troppo, gli chiese -Sai come sta April?-
-Ah.. perché dovrei?- domandò impacciato il ragazzo.
La donna lo guardò mentre il suo volto arrossiva. Sapeva benissimo che lui non era mai stato a trovare April ma sapeva anche che lei, agli occhi del ragazzo, non doveva essere a conoscenza di questo piccolo particolare.
-Non so, io è qualche giorno che non vado a trovarla.- inventò.
A quella risposta Spencer fece un cenno affermativo, come a farle intuire che anche lui era da un po' che non la vedeva, per poi chinare la testa e rimettersi a lavorare.
Emily continuò ad osservarlo per qualche minuto. Proprio non riusciva ad intuire il perché quel ragazzo avesse deciso, di punto in bianco, di non vedere più la ragazza di cui era innamorato. Perché Emily lo sapeva benissimo.. quel ragazzo era innamorato follemente di April.
E a quel pensiero il suo sguardo si girò inconsapevolmente verso l'ufficio di Hotch, fino ad incontrare la sagoma del proprio capo che era immerso in chissà quale conversazione al telefono.
Poteva vedere quella schiena dalle spalle larghe, coperta da una semplice giacca nera che lo slanciava ancora di più. Poteva vedere quei capelli neri sempre ben ordinati. Poteva intravedere quella mano forte stringere la cornetta.
Chiuse gli occhi immaginando il volto di quell'uomo che ormai era diventato un pensiero fisso nella sua mente. Immaginò i suoi occhi scuri sempre attenti e caparbi. Immaginò le sue labbra sempre rivolte verso il basso in un'espressione di serietà assoluta. Immaginò, poi, quelle labbra sorridere.. e sorridere a lei.
Un brivido le percorse la schiena e subito riaprì gli occhi per fissare quei pochi righi che aveva scritto sulla pratica sulla quale stava lavorando.
Doveva smetterla si pensare a lui! E soprattutto doveva smetterla di pensare a lui durante il lavoro, quando altre persone potevano vederla!
Lentamente tornò a guardare nell'open-space per poi rifermare lo sguardo su quell'uomo, sempre intento in quella telefonata.
Sentì una morza allo stomaco e un certo fastidio invaderle il corpo. Con chi era al telefono? A chi stava parlando?
Una noia indicibile incominciò a stuzzicarle l'anima e il suo cervello incominciò ad elaborare mille teorie, una più assurda dell'altra, una meno ottimistica dell'altra.
Così non poteva andare avanti.
Era arrivata addirittura ad essere gelosa di ombra? E soprattutto per qualcuno che non le aveva mai rivolto un'attenzione particolare?
Si faceva dannatamente pena.
Scosse la testa cercando di far sparire ogni pensiero, cercando di cancellare la presenza costante e continua di lui nella sua mente. Ma non c'era verso, nessuno poteva portarle via i sentimenti che provava per quell'uomo, i ricordi di qualche attimo passato, di qualche sguardo, di qualche sorriso, di qualche tocco. Il suo tocco.
Sospirò tornando ad osservare quella vetrata che, ormai, era diventata la sua confidente e un nuovo brivido le percorse il corpo.
Aaron aveva attaccato il telefono ed ora stava osservando dalla sua parte, ora stava osservando proprio lei.. e con un volto così radioso che Emily non seppe resistere alla tentazione di sorridergli, di tirare le sue labbra in un sorriso così cristallino da riuscire a strappare a quell'uomo una strana espressione di serenità.
Che quello, appena accennato sulle sue labbra.. fosse un sorriso?

April passava le sue giornate in casa Hotchner spostandosi dalla camera al salotto alla cucina. Si era fatta portare del materiale per poter lavorare a casa ma senza le sue cose non riusciva a combinare più di tanto. Qualche volta usciva a fare qualche passo nel bel quartiere residenziale che la circondava ed ormai era diventata, per le signore più anziane, la novità sulla quale spettegolare.
Ogni volta che usciva di casa sudava sette camicie per portarsi dietro il piede ingessato ma nonostante tutto le piaceva farlo, non sarebbe resistita dei mesi chiusa in una casa per giunta non sua! Ma Aaron era stato perentorio, finché non fosse stato certo che il pericolo era passato, che tutti gli ammiratori di Reewell si erano acquetati.. lei sarebbe stata a casa sua. E senza storie.
Quella sera si era posizionata a sedere in terra nel corridoio del piano superiore, appena sopra le scale. Se ne stava là ad osservare il silenzio e la tristezza di quella villetta.
Quando Aaron rientrò dal lavoro non le chiese nulla ma semplicemente le si sedette accanto, silenzioso. Per lui era stata una giornata pesante quella trascorsa, la Strauss aveva fatto mille storie per delle pratiche non pronte e lui proprio si sentiva il fiato sul collo. Sapeva che quella donna lo controllava a distanza, con sospetto e caparbietà. Non avrebbe dovuto commettere nemmeno un passo falso.
Sospirò spostando lo sguardo ad incontrare gli occhi di April che lo osservava da quando era rientrato.
-Che dici, la cambiamo questa casa Aaron?-
-Decisamente..- borbottò lui.
-Io ti vedrei bene in un appartamento dalle pareti rosa.- disse convinta April mentre l'uomo la guardava esterrefatto.
-Ma smettila!- esclamò Aaron tirandole una pacca sulla gamba distesa a terra.
-Perché?!- ironizzò April facendo spallucce -Almeno è un colore chiaro.-
-April..-
-Ok, la smetto.- disse infine la ragazza afferrando una cartellina che si era portata dietro e che giaceva al suo fianco -Ma tu hai decisamente poco gusto- disse aprendola e facendo intravedere ad Aaron che si trattava della cartellina nella quale lui aveva radunato le foto e le piantine di tutte le possibili case da acquistare.
-Ah sì, eh?-
-La casa che hai visto qua..- incominciò lei mostrandogli le foto di quell'appartamento -..è decisamente bruttina!-
Aaron afferrò subito le immagini e le guardò stranito -Perché? Cos'ha che non va?-
-E' triste!-
-Più triste di questa casa?-
-Beh..- biascicò April -..quasi!-
-Uhm..- mormorò Aaron -Non mi darai tregua, eh?!-
-Ovviamente no, è troppo divertente punzecchiarti!- rise April chiudendo la cartellina e abbandonandola nuovamente al suo fianco.
-Ok signorina, te lo concedo solo perché sei invalida!-
A quella risposta ilare April fece una linguaccia all'uomo che si era appena alzato -Ordini giapponese?-
-Sì, ci sto.- sorrise -Però potrei non darti nemmeno un maki se continui a prendermi in giro!-

IMMAGINE

Si guardò attorno per poi lanciare uno sguardo furtivo all'open-space.
Morgan e Reid erano andati a casa così come Jennifer. Nella stanza accanto poteva sentire Rossi muoversi, probabilmente si sta preparando per uscire.
Sospirò.
Lei, lei era ancora lì.
Tirò un'altra veloce occhiata al di là della vetrata del suo ufficio, ormai era diventata un'abitudine quella di osservarla da lì, in silenzio. Alzava la testa e semplicemente restava a guardarla mentre lei era immersa in chissà quale pratica di chissà quale caso. Poi, a volte, succedeva che lei si destasse dal lavoro e si girasse dalla sua parte ed era allora, quando i loro sguardi si incrociavano, che lui si sentiva spiazzato. Ogni volta. Ogni dannata volta.
Non poteva farne a meno.
Poggiò il palmo delle mani sulla scrivania, come per darsi una calmata. Era un gesto terapeutico, in qualche modo lo faceva rilassare.
Chiuse gli occhi e inspirò profondamente.
Era davvero giunto al limite. Era conscio di non poter più continuare a quel modo, doveva assolutamente trovare una soluzione a quel problema.
Problema.
In realtà, lui proprio non riusciva a sentirlo tale. Per il suo cuore quello non era affatto un problema anzi, era una gioia continua. Una gioia incrociare quella donna la mattina quando arrivava al lavoro. Una gioia parlarle anche se del lavoro. Una gioia sfiorarla quando doveva passarle qualche pratica. Una gioia incrociare il suo sguardo. Una gioia sorriderle. Una gioia vederla sorridere. Una gioia intensa quando sorrideva a lui, proprio a lui.
-Tutto bene?- chiese la voce di David, appena accostato alla porta d'ingresso del suo ufficio.
-Oh, sì.. sì.- biascicò Aaron cercando di riprendersi dai suoi pensieri e cercando di sembrare il più normale possibile.
A quella risposta David fece qualche passo nella stanza, per poi spostare lo sguardo verso l'open-space.
-Quando hai intenzione di affrontare tutto ciò?- diretto e conciso, come sempre.
-Non capisco di cosa tu stia parlando.- rispose Hotch, anche se sapeva esattamente di non poter sfuggire ad uno dei capostipiti del profiling nell'FBI.
-Lo dico per te, Aaron.-
-Non diventerà un problema, te lo assicuro.-
-Non ho affatto detto questo.- ribadì Rossi mentre vedeva l'altro uomo scuotere la testa in segno negativo. Anche lui, forse, sapeva esattamente che l'unico problema lì, era lui. Lui e la sua dannata coscienza.
-Non so come affrontare la cosa..- si lasciò finalmente andare.
-E tu non lo fare.. lascia che siano le cose a prendere il loro cammino da sole.-
A quella risposta Aaron puntò il suo sguardo in quello dell'amico, che gli stesse dicendo di lasciarsi andare? Di lasciarsi coinvolgere in qualcosa che professionalmente non poteva accadere?
Beh, sì.. lo stava facendo.

Quella casa gli stava diventando stretta.
Beh, in realtà.. quella vita gli stava diventando stretta.
Lavoro, casa. Casa, lavoro.
Era diventata decisamente troppo stretta quella vita per lui, nonostante nulla fosse cambiato da prima se non la presenza di April.
Per un attimo aveva assaggiato la felicità ed ora non riusciva più a farne a meno.
Lasciò che la musica della Creazione di Hayden gli entrasse in testa e gli penetrasse l'animo.
Sentiva di averne bisogno.
Sospirò cercando di concentrarsi sulle note e cercando di scordare ogni altro pensiero ma proprio non ce la faceva, il suo cuore gli ricordava di avere una questione in sospeso, una situazione che lui aveva reso ambigua per il non essere riuscito a ripresentarsi a lei e a parlarle. Ne era consapevole. Ne era consapevole ma proprio non ce l'aveva fatta. Non ce l'aveva fatta e ancora non ce la faceva ad affrontare la situazione, ad affrontare April.. ad affrontare il suo destino.
Sentiva un macigno nello stomaco e tutto gli diceva che quello che aveva vissuto con April era stato solo una sua meravigliosa fantasia, che tutto era finito, che tutto era sparito nell'attimo in cui lei aveva rivisto Tom.
Beh, non era mai stato un ottimista.

Bussò alla sua porta senza pensarci troppo. Aveva deciso che doveva almeno sentire il suono della sua voce.
-Ehy Aaron..- mormorò appena sentì la porta aprirsi. Si aspettava un "avanti", non di vederlo davanti a sé.
Si sentì improvvisamente le mani sudate, da quanto tempo non sentiva il suo nome pronunciato da quella voce? Pronunciato da lei?
Tossicchiò cercando di non far notare la sua agitazione -Sì?!-
-Ahm..- biascicò Emily in cerca di una scusa plausibile per aver bussato al suo ufficio -No è che.. è tardi- borbottò vagando con lo sguardo per quella stanza, e senza mai soffermarsi sulla figura dell'uomo che aveva davanti, -..April ti sta aspettando a casa..-
-Sì, suppongo di sì.- rispose Aaron osservando il suo orologio, effettivamente era veramente tardi.
-Bene, allora..- sorrise forzatamente Emily facendo un passo indietro, non sapeva più cosa dire, non sapeva più cosa fare. O meglio, sapeva esattamente ciò che avrebbe voluto dirgli e fargli, ma la parte ancora lucida del suo cervello stava cercando di frenarla in tutti i modi.
-Come mai tu sei ancora qui?- domandò Aaron andando a prendere le sue cose per poter così uscire.
-Dovevo ultimare delle pratiche.. sai, oggi la Strauss non mi è sembrata molto felice..- disse alzando gli occhi al cielo.
-Cercherà sempre di mettermi i bastoni fra le ruote.- pensò Hotch ad alta voce.
A quelle parole Emily sentì un gran vuoto crearsi nel suo corpo. Aveva collegato quella donna e tutto il suo odio per Hotch al divieto, per gli agenti dell'FBI, di intraprendere relazioni amorose fra loro. Si sentì abbattuta e il sorriso che le si era creato prima sul volto, sparì rapidamente.
Aaron la guardò mentre cambiava espressione, mentre il suo bel sorriso si trasformava in angoscia, e sentì una morsa allo stomaco. Era stato davvero lui a farle sparire quella felicità che le si leggeva in volto?
Sì, era stato lui. E sì, lui probabilmente ne conosceva il motivo. Ma possibile.. possibile che anche lei provasse i suoi stessi sentimenti? Possibile?
-Emily..- mormorò come se quel nome fosse la cosa più preziosa che avesse -Esci anche tu?-
Per un attimo si sentì le gambe molli. Quella voce che pronunciava il suo nome la emozionava come una bambina, e in attimo aveva portato via tutta l'angoscia di prima.
-Sì, scendiamo insieme?- domandò retoricamente.
-Volentieri.-
A quella risposta Emily sorrise abbassando lo sguardo mentre Aaron sospirava. Come gli era uscita quella parola?

Era seduta sul letto con la testa poggiata allo schienale mentre le note della Creazione di Hayden invadevano il salotto, la casa, la sua testa.
Era stata più di un mese in ospedale costretta nel letto per far sì che il suo piede si aggiustasse e anche una volta rientrata a casa il gesso non l'aveva abbandonata anche se ogni tanto poteva fare qualche passo, sempre con mille fatiche e piccoli dolori.
Non ce la faceva più.
Sarebbe davvero impazzita se quel periodo non fosse finito!
Era sempre stata una ragazza vivace super impegnata, certo non disdegnava il giusto riposo ma adesso era davvero troppo! Adesso era arrivata davvero al limite. Non sopportava più il dolce far niente di tutte le giornate. Anche se si era fatta portare del lavoro a casa non riusciva ad impegnare la testa in continuazione su dei fascicoli di carta. Proprio non ce la faceva.
Aveva bisogno di muoversi, di agire.
Sospirò drizzando un poco la schiena e sistemando meglio il piede ingessato.
Aveva bisogno di parlare, di conversare, di scherzare come faceva tutti i giorni al lavoro.
Stare a casa con Aaron le procurava sicuramente più momenti di conversazione che starsene a casa da sola, anche se così Sasha e Eve avevano meno possibilità di andarla a trovare.
Sospirò.
No.
Quello di cui aveva maggiormente bisogno era di vedere Spencer, di parlargli, di chiarire.. di capire il perché del suo comportamento. E se continuava ad avere tutto quel tempo per pensare e scervellarsi, proprio non ce l'avrebbe fatta a rimanere tranquilla e non abbattersi.
Chiuse gli occhi restando in silenzio ad ascoltare quelle calde note che le penetravano l'anima. Lentamente accarezzò quella carta bianca da lettere che teneva in mano. Non importava la rileggesse, sapeva a memoria ogni parola, ogni frase. Sapeva a memoria ogni singola sillaba scritta da suo zio.
Quella era la sua lettera.
Era la lettera che Jason le aveva spedito prima di andarsene, prima di sparire.
Scosse la testa ripensando a come, all'inizio, avesse mentito a Spencer dicendogli che lui era l'unico ad aver ricevuto una lettera da Jason. Aveva mentito perché non poteva rivelare il contenuto della sua lettera, non poteva svelare quelle poche righe che le tormentavano l'anima e che, in quel momento, rimbombavano nella sua testa come mai nessuna musica poteva fare.
In qualche modo Jason se n'era andato e le aveva lasciato scritto, esattamente, cosa sarebbe successo?
Non poteva essere vero, anche per Jason Gideon quella era una missione impossibile.
Ma allora come.. come poteva sapere?
Basta!
Quelle parole non dovevano mischiarsi alla sua vita, ai suoi sentimenti.
Basta!
Doveva farsi una ragione dell'assenza di Spencer.
Basta!
Aprì gli occhi posando la busta sul tavolinetto accanto al divano.
Basta!
Guardò nel vuoto cercando di rimanere lucida ma poi.. poi, una lacrima solcò il suo viso.
Era stata sconfitta.

Hotch era appena rientrato a casa. Quella sera si era dovuto soffermare qualche attimo in più al lavoro. Quella sera aveva parlato con Emily. Sì, quella sera aveva fatto abbastanza tardi.
Lasciò la giacca nell'ingresso constatando che la luce del salotto era accesa ma tutt'intorno c'era silenzio.
Si diresse verso quella luce mentre dalle sue labbra stava per uscire il nome di April ma la voce della ragazza lo anticipò.
-Ha lasciato una lettera anche a me.- titubante, sconvolta.
-Come?- chiese affacciandosi nella sala.
-Jason.. non ha lasciato una lettera soltanto a Spencer. Qualche giorno prima che ci sentissimo, dopo che Jason aveva abbandonato la squadra.. beh, mi è arrivata una sua lettera.- si strinse nella spalle April, accovaccia in un angolo del divano con una gamba portata al petto e l'altra distesa davanti fino a poggiare il gesso del piede sul tavolinetto. I capelli scaruffati le ricadevano sulle gote rigate di lacrime.
-April..- mormorò Aaron superando la porta del salotto e avvicinandosi.
-No.. no.- singhiozzò lei -Mi ha scritto che andava a riprendersi la sua vita perché l'aveva abbandonata per strada, perché aveva smesso di cercare se stesso ed ora aveva bisogno di ritrovarsi.- fece una pausa, si asciugò le lacrime con il dorso della mano -Ha scritto che io dovevo vivere, dovevo tracciare il mio cammino e arrivare dove mi ero prefissata, senza contare la sua figura che tanto era stata ingombrante nella mia vita. Che dovevo andare e vivere e che.. e che se fossi passata in Virginia.. - sospirò prima di continuare -..beh, se fossi passata per Quantico.. probabilmente avrei lasciato la mia vita nella mani di un ragazzetto di nome Spencer Reid..- tirò su col naso poggiandosi una mano sulle labbra -Aaron.. come, come faceva a saperlo?- chiese infine mentre le lacrime cominciarono ad uscirle copiose dagli occhi.
Aaron la guardò turbato. Si conoscevano da così tanto tempo, l'aveva vista crescere e in qualche modo ora che Gideon se n'era andato e lei era arrivata a lui, sentiva di doverle dare conforto, di assumere quella figura che Jason rappresentava per lei. Nello stesso tempo, però, sapeva di non poterlo fare. Lui non avrebbe mai avuto, nella vita di April, la stessa importanza che aveva Jason, anche se ora lui mancava.
Sospirando le si sedette accanto poggiandole una mano sulla spalla.
-Mi dispiace, scusa..- mormorò lei cercando di frenare il pianto -..ma non sapevo con chi.. io non..-
-Sta tranquilla.- le mormorò allora lui, facendola girare verso di sé ed abbracciandola. -Adesso sta tranquilla.-

Spense la luce della stanza. Aveva portato April a letto e l'aveva coccolata per un altro poco aspettando che si calmasse del tutto.
Quella ragazza era diventata veramente importante per lui. L'aveva da sempre considerata una presenza felice nella sua vita e, un po' per prepotenza e un po' per sentimento, si era sempre sentito come un padrino per lei.
Sospirò chiudendo la porta per poi poggiarci la schiena sopra e lasciarsi andare. Si portò una mano alla fronte, rimanendo in quella posizione a pensare.
Come faceva a saperlo?
Quella domanda che April gli aveva posto gli attanagliava i pensieri. Lui non aveva una risposta. Non aveva una risposta plausibile. Non l'aveva ma era sicuro che se avesse potuto chiederlo di persona a Jason.. beh, lui gli avrebbe risposto che non poteva sapere che quei due si sarebbero innamorati, che non poteva saperlo ma.. ma poteva immaginarlo.

"Bisogna avere in sé il caos per generare una stella che danzi" Nietzsche.

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Criminal Minds / Vai alla pagina dell'autore: JulyAneko