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Autore: depy91    21/10/2009    1 recensioni
E se Tekken Tag non fosse solo uno spin-off? In questa fan-fic ho cercato di ricollegare tutti i tasselli sparpagliati dai creatori della serie. Proverò a dare dunque un senso alla presenza di personaggi giudicati spariti, di alcuni filmati ambigui, ma soprattutto ad Unknown. Buona lettura. [...] La famiglia Mishima non poteva sfuggire alla sua dannazione ed i suoi membri erano destinati a combattere fino all’autodistruzione. Già… “dannazione”, Jin aveva sentito raccontare molte cose su suo padre e il demone che gli dimorava in corpo. Forse anche il suo sangue era stato inquinato da quello spirito diabolico, forse anche a lui sarebbe toccata la sorte dei Mishima [...]
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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TEKKEN: the lost story

Ancora quell’incubo, sempre lo stesso, non gli dava pace.

Il sapore di terra bruciata fu la prima sensazione che percepì non appena ebbe ripreso conoscenza. Jin dischiuse gli occhi, svelando la desolazione del paesaggio che lo circondava. Attorno a lui una foresta di tronchi spezzati, arbusti fumanti e cespugli carbonizzati mostrava i segni dell’inferno a cui quella landa sperduta era stata sottoposta. Alla vista di tale tremendo spettacolo, Jin scattò in piedi, ma le forze lo abbandonarono immediatamente, le gambe cedettero ed egli finì nuovamente disteso al suolo. Un dolore acuto gli esplodeva in testa, non ricordava nulla del perché si trovasse lì, né di come fosse riuscito a scampare al terribile incendio che evidentemente aveva coinvolto la zona. Eppure non era del tutto convinto che si fosse trattata di pura fortuna. L’ultima immagine sfocata del suo recente passato era l’atroce lamento lanciato dal mostro che aveva imparato a chiamare Ogre, un attimo prima di sgretolarsi in una nuvola di sottile polvere lucente. Jin rabbrividiva ancora rimembrando il suo sguardo purpureo e le sue fauci fiammeggianti, ma il ricordo di sua madre, schiacciata dalla potenza di quell’abominio, aveva attizzato ancora una volta il fuoco che gli divampava dentro ed aveva ottenuto finalmente la sua vendetta. Riacquistata energia, Jin si sollevò nuovamente e notò i rivoli di sangue coagulato provenienti da una ferita sul petto. Un ricordo balzò come un lampo nella sua mente: Heihachi gli aveva puntato contro una pistola ed aveva anche esploso un colpo, ma nonostante ciò Jin era ancora vivo. Come era possibile?

Una fitta dolorosa si irradiò dalla spalla sinistra, dove quella singolare cicatrice stava pulsando di una misteriosa luce violacea. Jin non comprendeva affondo il significato di quel simbolo, ma era certo che esso avesse a che fare con tutto quanto egli non aveva la forza di ricordare. Da quando quello spirito luminoso lo aveva aggredito nel bosco, marchiandogli la spalla, nulla era più come prima. Sentiva qualcosa crescergli dentro, mentre la sua personalità mutava repentinamente. Gli era sempre più difficile resistere agli insani impulsi provenienti dal suo profondo, anzi era pronto a giurare che essi fossero riusciti in alcuni casi a prendere il sopravvento, ma era felice di non avere alcun ricordo a riguardo, poiché i sensi di colpa non gli avrebbero dato tregua. Questa confusione mentale trovava soluzione in un unico punto stabile: l’odio per suo nonno. Non poteva perdonargli  di averlo usato, di aver messo a repentaglio la sua vita e quella di tutti gli altri partecipanti al torneo, con l’unico scopo di ottenere il potere di Ogre. Aveva persino tentato di uccidere suo nipote, così come aveva già fatto con suo figlio. La famiglia Mishima non poteva sfuggire alla sua dannazione ed i suoi membri erano destinati a combattere fino all’autodistruzione. Già… “dannazione”, Jin aveva sentito raccontare molte cose su suo padre e il demone che gli dimorava in corpo. Forse anche il suo sangue era stato inquinato da quello spirito diabolico, forse anche a lui sarebbe toccata la sorte dei Mishima.

L’odore di cenere fu presto sostituito da quello della pioggia. Jin corse a ripararsi in una grotta, il cui ingresso, un tempo schermato dai rami degli alberi, era ora visibile in seguito all’incendio. Mentre il giovane lottatore si stava chiedendo cosa avrebbe fatto del proprio futuro, udì qualcuno che lo stava chiamando per nome da chissà dove, nelle profondità della caverna. Incuriosito Jin si apprestò a scovarne l’origine e man mano che si addentrava nell’oscurità della gola rocciosa, il suo cuore palpitava in crescendo, poiché ben conosceva quella voce. Le sue speranze furono esaudite: davanti a lei Jun, la sua defunta madre, lo aspettava avvolta da uno strano alone luminoso. Pietrificato da tale visione, Jin fu soltanto in grado di balbettare: “madre…”, ma Jun non disse nulla e lentamente si avviò verso il buio intenso alle sue spalle, che in un lampo la inghiottì. L’attonito ragazzo, perdendola di vista, corse nella stessa direzione, ma varcata la cortina oscura, non trovò sua madre, bensì un altissimo portale spalancato di legno intarsiato dall’aspetto imponente e inquietante. Jin oltrepassò la soglia, entrando così in un luogo disadorno, colmo di una fitta nebbia che avvolgeva ogni cosa sino all’altezza delle ginocchia. Il re dell’ultimo Tekken fece qualche passo, ma d’un tratto il terreno gli mancò sotto i piedi e lanciando un urlò, precipitò per diversi metri, fino a piombare in un morbido mare appiccicaticcio. Jin, incolume si guardò attorno: era finito in una stanza ricoperta da una strana melma viola, risplendente al fioco chiarore di alcune torce, fissate alle pareti. Un rumore attirò la sua attenzione, si voltò e scorse una giovane fanciulla dagli occhi dorati, dimenarsi in quella poltiglia viola, che come un abito le velava il corpo, completamente nudo. Jin provò a chiamarla, a chiederle chi fosse, dove si trovassero, ma senza ottenere alcuna risposta. La sconosciuta gli rivolse lo sguardo per un attimo e in quell’istante Jin percepì un oscuro presentimento. All’improvviso dalla distesa melmosa sbucò come dal nulla un mostruoso essere dalle sembianze di gigantesco lupo, privo di arti inferiori, ma fluttuante nell’aria come un fantasma. “Attenta!” urlò Jin tendendo una mano e provando a raggiungere la ragazza, ma la morbida sostanza plasmatica assunse istantaneamente una consistenza incredibile, che arrestò le gambe di Jin, immobilizzandolo. Il lupo gettò un verso assordante e aggredì la sconosciuta, che provò a reagire con tutte le sue forze. A distanza, Jin le urlava inutilmente di scappare e nella foga della lotta potè notare sul braccio sinistro della ragazza un simbolo analogo al proprio. La cosa lo sconvolse e decise che avrebbe dovuto conoscere quell’anonima fanciulla a tutti i costi, pertanto, avvalendosi di tutte le sue energie si liberò dalla morsa della fanghiglia e cercò di raggiungere la malcapitata più in fretta possibile. Purtroppo arrivò troppo tardi poiché il mostro ebbe la meglio, delle escrescenze, simili per consistenza alla melma circostante, si allungarono dal suo corpo, che aprendosi come delle fauci, inghiottirono la sconosciuta, assorbendola come nuova parte di quell’essere. Jin scagliò un pugno violentissimo contro lo spaventoso figuro, ma questo bloccò il colpo con una zampa e con l’altra scaraventò il giovane nella poltiglia, per poi svanire nel nulla.

Ripresosi Jin riaprì gli occhi e davanti a sé ancora una volta sua madre si stava prendendo cura di lui sorridendogli. Provò a stringerle una mano, ma inspiegabilmente non riuscì ad afferrarla, come se fosse inconsistente. Ella s’alzò e tendendo un braccio indicò al figlio un’altra porta, stavolta molto più piccola e discreta. Jin ruotò la testa per seguire con lo sguardo il dito di Jun ed appena si voltò nuovamente per domandare la ragione di quell’indicazione, ella non c’era più. Sbigottito più che mai, il giovane guerriero si sentiva mancare il fiato. In poco più di un’ora egli aveva potuto rivedere la sua amata madre ed aveva probabilmente incontrato qualcuno che condivideva la sua situazione. Quella bella fanciulla sarebbe forse stata in grado di chiarire alcuni suoi dubbi, perciò doveva assolutamente trovarla e salvarla da quell’orrida creatura. Decise di seguire il consiglio di Jun e aprì la porta, dietro la quale un’immensa arena colonnata stava ospitando un insolito scontro. Al suo interno i combattenti di tutti i tornei Iron Fist stavano lottando l’uno contro l’altro, come se un nuovo grande Tekken fosse in atto. Jin non credeva ai suoi occhi, erano presenti tutti gli artisti marziali del Pugno di Ferro al gran completo, persino coloro che egli non aveva mai conosciuto, poiché stroncati dalla sete di sangue di Ogre, ma di cui aveva spesso sentito parlare, data la loro fama di maestri assoluti nelle rispettive specialità. Non mancava nessuno, come se quel luogo misterioso fosse in grado di superare le barriere del tempo e della morte stessa, seguendo regole proprie, che Jin non riusciva di certo a comprendere. Eppure qualcuno mancava all’appello, ma solo apparentemente. Senza preavviso un braccio avvolse il collo del giovane, mentre una voce gli sussurrò all’orecchio: “Sono io il tuo avversario”. Jin si divincolò dalla presa sferrando una gomitata nel ventre dell’aggressore, infine balzò a distanza di sicurezza e si mise in guardia. Le sorprese non sembravano destinate a finire, perché di fronte a lui trovò colui che meno si aspettava di incontrare:

“Kazuya, non può essere!”

L’erede dei Mishima fissava suo figlio con un’espressione marmorea e assumendo la posizione di guardia annunciò: “Sono tornato e riprenderò ciò che mi appartiene. Preparati!”. Non appena concluse il discorso, Kazuya scattò all’attacco. Padre e figlio l’uno contro l’altro senza esclusione di colpi, Jin non poteva fare a meno di pensare che l’unica persona oltre a sé stesso che detestasse Heihachi più di lui, gli era in realtà molto più simile di quel che Kazuya fosse pronto ad ammettere. Entrambi guidati dall’odio, dalla fame di potere, entrambi disposti a qualsiasi atrocità pur di raggiungere i lori loschi fini. Più ci pensava e più Jin temeva che presto o tardi anche lui sarebbe finito definitivamente divorato dal demone che alberga nel suo animo, ma egli si sarebbe ribellato, non avrebbe permesso al fato di riservagli un futuro che non aveva scelto. Inaspettatamente Kazuya smise di combattere, i suoi occhi iniziarono a brillare di un rosso acceso e, come se avesse potuto leggere esattamente ciò che passava per la mente di Jin, dichiarò: “Credi di poter sfuggire al tuo destino, eh? Povero illuso, una parte di me vive in te e molto presto, non immagini quanto, tornerò a riprendermela”. Un sorriso beffardo gli rigò il volto, un polverone si sollevò dal suolo e cominciò a ruotargli intorno sempre più velocemente, continuò ad alzarsi fino a creare una sorta di bozzo attorno a lui. Jin, riparandosi con un braccio fece in tempo a vedere un paio di ali spazzare via la nuvola di polvere, prima che Devil, preso possesso del corpo di Kazuya, si librasse in volo, tuffandosi nelle tenebre dell’arena. Jin assistette impotente e, sebbene avrebbe preferito inseguire suo padre per scoprire il vero significato delle sue parole, sapeva che il suo viaggio in questo sito sperduto non era ancora terminato, ma le sue riflessioni furono subito interrotte dall’improvviso scatenarsi di un violento terremoto. La terra prese a vibrare, dal soffitto iniziarono a crollare enormi massi, le colonne si lesionarono fino a sgretolarsi. Jin vide i guerrieri disperdersi in una confusione disorientante ed egli non poté che seguire il loro esempio, fuggendo senza meta in una direzione qualsiasi. Il boato del terremoto echeggiava ormai alle sue spalle, quando comprese di non trovarsi più nell’arena. Non avrebbe saputo spiegarsi come, ma si era addentrato in una lunga galleria rocciosa. Un dettaglio animò il suo sesto senso: dalle pareti di pietra gocciolava lentamente quella strana melma violacea. Jin avanzò, convinto che di lì a poco avrebbe incrociato di nuovo lo spirito del lupo e la sua giovane vittima. Scorse un ombra, udì un verso, si nascose dietro un grosso masso e preoccupandosi di restare al riparo, diede un occhiata in quella direzione. A pochi metri l’orribile mostro respirava affannosamente, tenendosi una zampa sul petto. D’un tratto spalancò i suoi enormi occhi gialli come quelli della ragazza sconosciuta, inarcò quasi innaturalmente la schiena e gettò un atroce lamento. Il suo addome iniziò a gonfiarsi fino ad esplodere. Uno sciame di gocce di melma si versò a terra e da esso emerse la fanciulla senza nome. Jin fu lieto di saaperla sana e salva, ma non riusciva a darsi spiegazione di quanto aveva visto, comunque decise di abbandonare il proprio nascondiglio e rivolgendosi alla sconosciuta, provò ad attirare la sua attenzione. Ella si voltò a guardarlo, gli sorrise dolcemente, mentre il segno sulla sua spalla prese ad illuminarsi, così come quello di Jin. Egli non fece in tempo a dirle nulla, poiché la ragazza si avvicinò al ciglio di un dirupo e con immenso sconcerto dello spettatore, si lanciò nel vuoto. Jin provò ad afferrarla ma non la raggiunse abbastanza velocemente. Soltanto allora si accorse che alla sua destra, ad una certa distanza, una grande scala in mattoni di pietra conduceva nelle profondità del burrone. Era certo che fino a poco prima non ci fosse stata, ma non volle indugiare oltre, doveva indagare su quell’enigmatica fanciulla. Percorse la lunga gradinata e fu per lui stupefacente constatare di trovarsi in un luogo che egli conosceva perfettamente. Ancora una volta aveva messo piede nel tempio del dio della lotta, il temibile Ogre.

L’atmosfera era carica d’elettricità, Jin aveva visto con i suoi occhi la feroce divinità azteca capitolare sotto le sue micidiali tecniche, tuttavia il suo animo non era in quiete, provava come l’impressione che tra le fredde pietre di quel mistico edificio potesse ancora vagare lo spirito di Ogre. Il rumore dei passi del giovane Kazama risuonava nelle ampie volte del tempio, un silenzio martellante persisteva tutt’intorno. Superato uno dei corridoi del labirintico sacrario, Jin si introdusse in un’ala dell’edificio, per lui affatto difficile da riportare alla mente. Ancora una volta si trovava nella stanza dove Ogre era stato sconfitto. Jin intuì che visitare quel luogo gli avrebbe forse permesso di ricordare i fatti antecedenti al suo risveglio, dunque stabilì di ispezionare la sala. Una parte della parete che dava all’esterno era crollata, come se fosse stata sfondata da un treno, questo particolare produsse una sorta di scossa nella testa di Jin: i ricordi emersero dal suo inconscio come un fiume in piena, all’improvviso poteva ripercorrere quei fatidici avvenimenti, la pistola di Heihachi puntata contro di lui, lo sparo, la rabbia che gli crebbe dentro, la manifestazione del demone, tutto, ogni cosa gli era chiara. Quella voragine nella robusta parete l’aveva causata proprio lui, scontrandosi con una potenza inaudita, mentre reggeva Heihachi con i suoi artigli e dopo averlo scagliato sul terreno, producendo un enorme cratere, lo aveva abbandonato, svanendo all’orizzonte sospinto dalle sue ampie ali corvine. Jin portò una mano alla fronte, non accettava il fatto di aver ceduto al suo lato diabolico, ma quel che è peggio è che non poteva credere che prima di accasciarsi esausto nella foresta, consumato dal demone, aveva sfogato la collera che gli ribolliva nelle vene devastando quel bosco un albero dopo l’altro. Un acuto senso di colpa lo travolse, ma dovette riprendersi quasi subito, poiché un gelido palmo dalla pelle del colore delle foglie gli afferrò una spalla. Jin sussultò e in un istante ricevette un poderoso montante su un fianco. Accusò decisamente il colpo, le recenti avventure lo avevano sfinito e le forze residue non erano certo sufficienti ad affrontare il grande Ogre in persona, che a quanto sembrava era tornato dalla tomba nella sua forma non definitiva, per ottenere vendetta. Non perse tempo e crivellò il povero eroe di rapide tecniche, mentre il ragazzo sentiva le sue energie abbandonarlo completamente. Poteva a malapena sostenere le palpebre, quando dietro il mostruoso dio della lotta scorse la sagoma della giovane sconosciuta. La nuova presenza non passò inosservata agli occhi di Ogre, che lasciò andare il collo di Jin esanime e si preparò a duellare contro la coraggiosa sfidante, la quale inspiegabilmente tanto aveva a cuore la vita del re del Pugno di Ferro. Lo scontro ebbe inizio e inaspettatamente l’esile sconosciuta si dimostrò un’abilissima combattente, in grado di riprodurre tutti gli stili di arti marziali che avevano reso celebre il Tekken. Non sfuggì all’attenzione di Jin l’incredibile capacità nell’imitare quello di sua madre Jun. La sfida continuò senza sosta per un tempo che al sofferente Kazama sembrò infinito, finché alle spalle della ragazza comparve fluttuante lo spirito del lupo, i cui gesti replicavano perfettamente quelli della sconosciuta. A questo punto le pupille di entrambi emisero un accecante bagliore dorato, seguito dal colpo finale della giovane guerriera, che gettò Ogre al tappeto dal quale non poté più rialzarsi.

Un passo dopo l’altro la sconosciuta si avvicinava a Jin, che assisteva al suo arrivo in un misto di gratitudine per il salvifico intervento e di soggezione. Dolcemente l’avvenente fanciulla dai capelli castani gli si inginocchiò accanto e appena la sua mano sfiorò quella di Jin, le cicatrici gemelle presero ad illuminarsi e i due furono come teletrasportati in un ambiente vorticoso dall’aspetto ultraterreno, in una dimensione colma di mistero, così come colei che ad essa aveva dato accesso. Jin capì che quella sarebbe stata forse l’unica occasione per penetrare i segreti celati dalla sconosciuta, pertanto la interrogò: “Tu… tu chi sei? Qual è il tuo nome, perché mi hai portato qui, dove siamo? Perché anche tu come me rechi il marchio demoniaco? Io… non… capisco…”. Ella, che fino a quel momento, sin dal principio di questo viaggio paradossale, non aveva proferito alcuna parola, stavolta acconsentì nel rispondere: “Ciò che tu chiedi giace dentro il tuo cuore, ogni cosa che hai vissuto popola la tua anima. Tutto ciò che hai visto è la tua anima, io stessa sono la tua anima. Quanto di buono sopravvive in te è minacciato dall’incombere del male”. Jin sempre più trasportato dallo stupore domandò: “Vuoi dire che quel mostro che ha assorbito il tuo corpo era in realtà una mia figurazione interiore del timore che il sangue maledetto che mi scorre dentro abbia la meglio sul mio arbitrio?”, ed ella annuendo: “Purtroppo è così. Salvami e salverai ciò che resta della tua razionalità, non permettere che i demoni del passato ti divorino, sopravvivi a te stesso, altrimenti il mondo intero conoscerà un’epoca buia e sarà soltanto a causa tua. Finora sei riuscito a controllare almeno in parte i tuoi impulsi, ma presto diventerà sempre più difficile. Preservami, Jin, preserva la tua anima”. Detto ciò, la sinuosa figura si dissolse lentamente, mentre un torpore insistente invase le membra di Jin, che in pochi attimi cadde in un sonno profondo.

 

 Quando riaprì gli occhi, quelle misteriose ambientazioni apparivano finalmente lontanissime. Jin si risvegliò con la fronte imperlata di sudore, seduto sul suo posto d’aereo in volo per Brisbane, in Australia. Superato un primo momento di smarrimento, gli tornò in mente la ragione di questo viaggio: il quarto Iron Fist era alle porte e lui non si sarebbe fatto trovare impreparato. Avrebbe ricominciato tutto da capo, a partire dal dimenticare lo stile di combattimento che di fatto lo legava formalmente alla stirpe Mishima. Molte cose erano accadute dopo il terzo torneo, ma a Brisbane lo aspettava un nuovo inizio, un nuovo maestro, con il quale avrebbe appreso l’arte del karate tradizionale, per giungere preparato al meglio quando sullo sfondo del Tekken avrebbe finalmente ottenuto la sua vendetta definitiva su suo nonno Heihachi e suo padre Kazuya. Di certo uno strano sogno ricorrente, come quello in cui era immerso fino ad un attimo prima, non l’avrebbe distolto dal suo obiettivo.

Ancora quell’incubo, sempre lo stesso, non gli dava pace.
  
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