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Autore: Fiorels    22/10/2009    7 recensioni
“Beh, se ti può servire, diciamo che hai la mia approvazione” dissi infine, consapevole di aver praticamente assunto quel ragazzo col quale mi ero sentita subito a mio agio. Cosa che tuttavia non si poteva certo dire di lui. Sembrava davvero che lo mettessi in imbarazzo nonostante avesse affermato il contrario ma mi convinsi che doveva essere stato il nervosismo e che si sarebbe sciolto dopo esserci conosciuti meglio. Doveva essere così. Quale altro motivo poteva averlo spinto a comportarsi in quel modo?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Vorrei ringraziare tutti colore che mi hanno aggiunto tra i preferiti o le storie seguite! E grazie a chi mi segue e commenta assiduamente! ^_^

 

Capitolo 10

 

Lunga salita

 

POV Kristen

 

E quando pensi che sia finita

È proprio allora che comincia la salita.

Che fantastica storia è la vita.

 

Salii in camera mia e mi buttai sul letto sbattendo la porta alle spalle. Sprofondai la testa nel cuscino del tutto incurante della mia reazione e del mio comportamento. Certo avrebbe voluto delle spiegazioni. Ma come potevo fare chiarezza a lui se non sapevo nemmeno io che diavolo era successo.

Come avevo potuto fare una cosa del genere? Come era potuto accadere?

In un secondo mi ero trovata accanto a lui, a un centimetro dalle sue labbra, a un millimetro dal suo respiro freddo. Potevo sentirlo ansimare sulle mie guance.

Perché cavolo mi ero avvicinata in quel modo?

Era stato tutto involontario, spontaneo, naturale e senza che me ne rendessi conto ero lì, a un passo dal rovinare tutto. O forse era troppo tardi ed era già tutto rovinato.

Cosa sarebbe successo se il telefono non ci avesse interrotti? Probabilmente mi sarei scostata un secondo prima o forse avrei continuato ad accorciare la distanza tra noi e unito le nostre labbra. Preferii codardamente non pensarci provando a renderlo colpevole di tutto.

Che sfrontato che era stato. Come aveva potuto farmi un tale affronto? Come aveva potuto crede che..? cercavo disperatamente di buttare la colpa su di lui, di alleviare la mia frustrazione e redimermi dai sensi di colpa. Ma era inutile.

La verità era che avevo colpa quanto e più di lui.

Mi ero avvicinata. Avevo sentito il suo respiro infrangersi contro il mio, non potevo negarlo.

L’avevo assecondato, mi ero lasciata trasportare. La domanda a cui non riuscivo a dare risposta era, perché?

Cosa avrei fatto? Come avrei dovuto comportarmi? Cosa avrei detto?

Cercando una risposta a quelle domande non potei fare a meno di pensare a Michael. Avevo cercato di porlo in coda ai miei problemi e sperato che non vi rientrasse per niente.

Non si arrabbierà, pensavo. Ma ingannavo me stessa.

In realtà non avevo ancora considerato l’ipotesi di raccontargli tutto.

Non sapevo cosa avrei dovuto dirgli. Non sapevo come avrebbe reagito.

Mi logorai per non so quanto tempo, rigirandomi nel letto, cercando di prendere sonno, ma non riuscivo proprio a chiudere occhio.

Qual era la cosa giusta da fare? Mi stesi a pancia in su e fissando il soffitto elaborai le possibilità, che in realtà erano poche: verità o bugia.

Avrei voluto davvero raccontargli la verità, avrei voluto dirgli che non c’era stato niente, avrei voluto dirgli di non preoccuparsi, ma ero troppo terrorizzata dalla sua reazione.

Nel timore che cresceva in me e nel dubbio che si divideva tra un assurdo perdono e una giusta condanna, non riuscii ad essere onesta nemmeno con me stessa.

Ero innamorata di Mike. Lo ero sempre stata. Eppure perché tutti questi dubbi?

Per cosa poi…per uno che conoscevo appena da una settimana.

Mike era troppo importante per me; era il mio punto fermo, l’appiglio a cui aggrapparmi in caso di bisogno, una boa in un mare in tempesta. La sola idea che mi lasciasse mi creava un nodo in gola.

Non potevo permettere che tutto fosse mandato all’aria da una stupida sbandata insensata.

Inizialmente optai per la verità, per l’onestà. In fondo davvero non c’era stato niente, dal punto di vista fisico almeno, però “Sai amore, ero a un millimetro dalle sue labbra ma non le ho toccate” non sembrava una giustificazione convincente. Finii quindi per scegliere di non dire niente. In fondo se non aveva significato niente, inutile parlarne. Omettere quel particolare non avrebbe fatto male a nessuno.

Tuttavia i miei problemi non finivano lì. Restava il cruccio principale che ancora tormentava la mia mente. Cosa avrei detto a lui? come avrei giustificato il mio comportamento? Avrei potuto dirgli che mi ero lasciata trasportare dalla parte e dal personaggio, ma dubitavo che l’avrebbe bevuta. Forse era meglio dire la verità. Si, ma come potevo dirgli una verità che nemmeno io conoscevo?

Un semplice impulso, un inaspettato e passeggero impulso. Ecco cosa gli avrei detto. Avrei chiarito il giorno dopo. Dovevo farlo.

Cercai più volte di addormentarmi, ma avevo troppa paura di quello che avrei potuto sognare. Chiudendo gli occhi l’unica immagine che mi saltava alla mente era quella imbarazzante e imprevista scena. Se fosse dipeso da me sarei stata tutta la notte sveglia per evitare di vederla ripetersi migliaia di volte, ma la stanchezza ebbe la meglio e fui costretta ad addormentarmi accompagnata dal ricordo di quel bacio mancato.

Fortunatamente la notte passò tranquilla, senza brutti scherzi o sogni, tuttavia non potei dire lo stesso della giornata.

Mi svegliai con più dubbi e domande della sera prima, senza contare l’ansia che già mi assaliva per la serata.

Una festa non era certo l’ideale per rilassarmi, non in quella situazione almeno.

Eppure era quello che mi aspettava e l’idea non mi allettava per niente, ma non c’era modo per me di rifiutarmi.

La scrittrice, Stephenie, era stata così gentile da organizzare un party per conoscere tutto il cast, per conoscere i suoi Edward e Bella e per dare occasione a noi di conoscerci, che sarebbe stato del tutto impossibile tirarmi indietro. Ero la protagonista. Qualsiasi scusa non sarebbe bastata.

Così, ebbi la luna storta per tutta la mattinata. Cercai di concentrarmi sui compiti, sullo studio, ma niente. , certo, avendo lasciato la scuola al 7° grado ero avvantaggiata. Niente lezioni da seguire, niente assenze da giustificare, ma dovevo comunque studiare da casa per poi dare degli esami che mi convalidassero il diploma.

Quando mi resi conto di stare da tre ore, letteralmente, sullo stesso problema di algebra, rinuncia definitivamente. Già odiavo di mio quella materia, e sperare di riuscire a capirla con i pensieri che mi ronzavano in testa sarebbe stata una mera illusione, nonché perdita di tempo. Così passai presto al copione, decisamente più allettante, e al quale dedicai tutto il pomeriggio. Dovevo ammettere di sentirmi un po’ insicura. In due sere avevamo combinato poco e niente – a livello professionale almeno – e mi chiesi se quel poco che avevamo fatto sarebbe bastato. Non potevo fare brutta figura. Non era da me dimenticare la parte come mi era successo al provino. Lo ripassai diverse volte, studiando bene le parti che ancora non avevo ben memorizzate fino ad averle stampate nella mia memoria. Nonostante questo continuai a leggerlo diverse volte.

6:30. È presto. Lo leggo ancora.

7:05. Ma si! C’è ancora tempo.

7:35. Magari un’ultima volta.

Cercai di convincermi della mia professionalità nel voler studiare tutto nei minimi dettagli, ma la verità era che stavo solo rimandando l’inevitabile.

Inoltre, come se non bastasse, un’ulteriore nube nera si condensò sulla mia testa: cosa avrei messo?

Ah! Che problema ogni volta!

Avrei tanto voluto andare in giro sempre in jeans, maglietta e scarpe da ginnastica, ma per le premiere, feste o occasioni del genere, un tale abbigliamento sarebbe stato decisamente poco consono. Sempre la stessa storia: poco femminile. Ecco cosa dicevano i miei di me.

“Tesoro, sei così bella! perché non vuoi farlo vedere?”. Tipica frase da circostanza per ogni evento particolare.

Così puntualmente mia madre se ne usciva con qualche nuovo acquisto comprato per l’occasione, sempre vestiti, si intende. Alcuni li avevo posti nell’armadio e mai messi. Erano o troppo corti, o troppo sontuosi: decisamente non il mio genere di cose. Se proprio dovevo farlo preferivo qualcosa di semplice e particolare al punto giusto. Niente di troppo appariscente.

Tuttavia quella sera sentivo il bisogno di agghindarmi, di sembrare bella e attraente. Ma per chi poi?

Cercai di rimuovere presto questo strano impulso e di trovare la me stessa di sempre, ma non mi abbandonò e nel frattempo il tempo passava.

“KRIS!” un urlo quasi disumano mi destò dai miei pensieri. “MA COSA FAI ANCORA IN PIGIAMA! NON SAI CHE ORE SONO?”.

Certo che lo sapevo. Quel tic-tac non aveva fatto altro che suonare imperterrito nella mia testa.

“TI VUOI MUOVERE?!” urlò ancora mia madre.

“Mamma..stavo pensando di non andare..” le dissi sorprendendo anche me stessa per quella uscita. Non andare era impossibile…anche se molto allettante.

“COSA?! Non se ne parla nemmeno! Tu sei la protagonista e devi andare! Sarebbe una grave mancanza di rispetto non presentarti”.

Aveva ragione. “Ma non so cosa mettere..” mi lamentai.

Un sorriso a 364 denti si aprì sul suo viso mentre prendeva un sacco dall’appendiabiti dietro la porta. “E io che ci sto a fare?!”. L’emozione era leggibile dalla sua voce, un’ottava superiore alla norma.

Era davvero incredibile.

Mamma…” mormorai mentre scorreva lentamente la cerniera. Non potevo guardare. Chissà che cosa mi avrebbe rifilato questa volta. Già mi vedevo vestita come un fenomeno da baraccone, con un nastro indecente tra i capelli oppure una gonna a palloncino tanto larga e alta da farmi sembrare una mongolfiera. Increspai la fronte e strinsi le labbra in attesa di quello scempio finchè non si rivelò davanti ai miei occhi, del tutto sorpresi.

Wow. Non potevo credere ai miei occhi. ero del tutto sorpresa da quello che vedevo. Niente cinghie, niente cinture larghe quanto il continente USA, niente nastrini penzolanti dappertutto.

Era un semplicissimo vestitino nero a giro-maniche, con una specie di ricamo sulla spalla destra, una molla a stringere leggermente la vita e  di lunghezza media e decente. Sembrava arrivasse alle ginocchia, mentre il lato sinistro scendeva leggermente più lungo.

“Wow..mamma..è…perfetto..” mormorai silenziosa ma sincera.

Mi sorrise compiaciuta. “Bene! Problema risolto! Or vai a prepararti o farai tardi! Ah e tieni anche queste!”.

Ovviamente! Tacchi! Con un vestito non potevano mancare i tacchi! Che cosa assurda e crudele. Non so se fosse il lato femminista in me a parlare ma sentivo che fosse del tutto ingiusto che dovesse essere sempre la donna a soffrire. Insomma: ciclo, ceretta, tacchi…per non parlare del parto!

Malvolentieri accettai le scarpe sbuffando consapevole che per quanto potessi battermi, la mia condizione di donna non sarebbe cambiata e mi toccava quella tortura.

Cercai di fare tutto in fretta, per non arrivare in ritardo, ma curando comunque i particolari. Lasciai i capelli sciolti e mi truccai in modo leggero: un po’ di fard, ombretto e matita.

Ero pronta. Mi preparai ad affrontare la serata.

Scesi le scale e trovai tutti lì. I miei genitori e mio fratello ad aspettarmi e sorridermi come un branco di scemi imbambolati.

“Che c’è? Perché state tutti qui?”

Di tutta risposta mio padre si limitò a sorridere e mi cinse leggermente le spalle. “Sei bellissima” mi sussurrò all’orecchio.

“Siamo molto orgogliosi di te” aggiunse mia madre.

Non era la prima votla che mi trovavo in una situazione del genere, eppure ogni volta non mancavano di darmi il loro appoggio. Inizialmente non erano od’accordo per le mie scelte, ma non mi avevano mai impedito niente. Forse per una figlia adolescente la prospettiva di un incerto futuro da attrice, in un mondo complicato e ingrato, non era certo quello che desideravano, però col tempo avevano accettato i pregi e i difetti del mio lavoro e alla fine si erano completamente lasciati andare all’entusiasmo, con cui ormai mi coinvolgevano sempre.

“Sicura che non vuoi che ti accompagni tuo padre?”

Ecco. Ritiro tutto.

“Sono abbastanza grande da prendere un taxi mamma…”.

“L’ho già chiamato!” mi soccorse Cam e gli mimai un grazie silenzioso.

Il cellulare iniziò a vibrarmi in mano e di nuovo le mie incertezze si impossessarono di me. Era Mike.

“Non rispondi?”.

“Ehm..no…lo chiamerò più tardi”. Ancora non ero pronta per parlargli. Avevo deciso di non dirgli niente convincendomi che non ci fosse niente da dire, eppure mi sentivo in colpa anche solo a leggere il suo nome sul display.

Provò di nuovo a chiamare mentre ero nel taxi e ancora non risposi.

Due volte. Tre volte. Cinque volte. Alla sesta volta, staccai il telefono e lo spensi. Vederlo squillare ogni volta incerta se rispondere o no mi mandava troppo in ansia, e non potevo esserlo in quel momento.

Quando scesi dal taxi, mi trovavo in un affascinante sobborgo di Los Angeles, grattacieli dappertutto, ma molta calma intorno.

Mi diressi al “palazzo” indicato dall’indirizzo. Da quel che sapevo e che avevo letto dietro la copertina del libro, la scrittrice viveva in Arizona con la famiglia. Mi chiesi se avesse affittato un attico o un appartamento in quel sontuoso grattacielo che mi trovai davanti, oppure se lo avesse direttamente comprato, possibilità da considerare da quando i suoi tre libri erano entrati nelle classifiche dei bestseller internazionali e aspettavano tutti con ansia il quarto.  Mi sentivo leggermente in colpa nel pensare che io mi ero fermata al primo libro ma davvero non avevo avuto il tempo per concentrarmi su altro.

Solo quando fui davanti l’ascensore mi resi conto di non sapere dove andare. Quel grattacielo era come un labirinto che si estendeva in lunghezza. Esclusi subito la possibilità di fermarmi ad ogni piano e mi diressi di nuovo all’uscita sperando di trovare indicazione sui citofoni.

Camminai guardandomi in giro in cerca di indizi e per la fretta non feci attenzione a uno scalino. Persi subito l’equilibrio. Stavo per finire a faccia a terra ma qualcosa mi bloccò e attutì il colpo.

“Oh, mi scusi” mormorai alzando la testa.

“Di niente”.

Rob…” mormorai.

“Kris..”

Scusami….”

“Quando vuoi. Stai solo più attenta..”. mi persi nei suoi occhi. “Che fai? Scappi?”

Allora mi resi conto di essere tra le sue braccia. Mi sorreggeva stringendomi i fianchi e sostenendomi con un po’ di forza.

Preda dell’imbarazzo mi misi in piedi e mi ritirai subito.

Mi guardò quasi rassegnato. “Credo che la festa sia di là..” indicò l’ascensore.

Ritrovai le parole. “Si…ehm…non c’è scritto il piano…e..p-pensavo che forse..sui citofoni..”. il mio balbettare era indecente e imbarazzante e gli fui grata di interrompermi presto.

“Si, mi ha chiamato Cath. Troveremo  indicazioni nell’ascensore. Dice di aver provato a chiamarti ma non eri raggiungibile”.

“Oh..” mormorai distogliendo lo sguardo e pensando a Mike mentre tornavo all’ascensore.

Sperai solo che la festa non fosse ai piani alti. Non avrei saputo come ingannare il tempo. Presto detto. Entrando in ascensore un post-it tutt’altro che piccolo riportava la scritta “TWILIGHT PARTY ALL’ULTIMO PIANO”. Ovviamente. Un attico non poteva che stare all’ultimo piano. Certo il destino non era in vena di collaborare con me quella sera, ma ancora peggio, scorrendo man mano i numeri..mi resi conto che il grattacielo era più altro di quanto non sembrasse all’esterno: 132 piani!!!

Da brava attrice cercai di mantenere la calma e di fingere totale indifferenza mentre con totale non-chalance premeva quel dannato pulsante, ma dentro fremevo di agitazione.

Tutti i buoni propositi di parlargli erano svaniti nel nulla e le mie buone intenzioni crollate nel vuoto. Non sapevo cosa dire.

Rob..” iniziai.

“Si?” si voltò.

Lo fissai per un secondo. “niente..” mormorai nervosa.

Accidenti a te Kris! Parla! Dannazione!

“E’ che io..” tentai di nuovo.

“Tu?”

Persi ancora le parole. “niente…”.

Avrei tanto voluto che fosse lui a tirare in ballo l’argomento, ma invece sembrava del tutto calmo, tranquillo, come se niente fosse successo. Ma infatti niente era successo! Mi ripetevo, eppure non riuscivo proprio a convincermi.

Non avrebbe mai parlato per primo, non mi avrebbe mai alleggerito il compito.

Tirai un sospiro e mi feci forza. “Senti Rob, per ieri sera..”.

“Ah si..” mi interruppe. “Mi dispiace, mi sono lasciato trascinare dall’atmosfera. Non capiterà mai più”.

Le sue parole mi presero completamente alla sprovvista. Tutti i film che mi ero fatta in testa erano stati completamente inutile. Che stupida a pensare che davvero fosse stato lì con me, che stupida a sentirmi in colpa e a farmi tanti problemi, che stupida a crocifiggermi su come dare spiegazioni. Non era successo niente per lui. arei dovuto sentirmi sollevata, era quello che volevoo in fondo. Eppure mi sentii presa in giro, quasi tradita, stupida.

“Oh..” sussurrai. “Bene..”

“Allora amici come prima?” chiese allungando una mano come a stringere un patto.

Amici. Era quello che voleva. E quello che doveva essere. “Amici” confermai stringendogli la mano e cercando di non pensare alla scossa che quel contatto mi procurò.

La ritirai quasi subito e inizia a scrocchiarmi le dita per ammazzare il tempo.

“Qualcosa non va?” chiese a un certo punto rompendo l’assurdo silenzio.

Mamma! Quell’ascensore sembrava non arrivare più!

“Cosa?”

Con un semplice movimento della testa indicò le mie mani. solo allora mi resi conto che mi stavo mangiando le unghie, torturano le pellicina delle dita.

“Oh!” le ritrassi subito ponendole nelle tasche del cappotto. “No niente! Tutto apposto” dissi sperando di apparire sicura.

Accidenti! Facevo sempre così! Quando ero nervosa mi mordevo le unghie inconsapevolmente. Ma perché ero così nervosa?

Tenevo la testa bassa e non lo guardavo negli occhi.

Mi girai sul fianco appoggiandomi al lato dell’ascensore e mi trovai a lanciare l’occhio allo specchio per vedere cosa stesse facendo, ma lui era sempre voltato.

Ecco, di nuovo quel comportamento freddo. Sapevo che avevo rovinato tutto. Con quelle premesse, la serata non prometteva nulla di buono.

Stavo seriamente pensando di scendere subito non appena arrivati quando  finalmente le porte si aprirono davanti a noi.

“Pronta?” mi chiese con un lieve sorriso che mi calmò un po’.

“Ho scelta?” risposi con una domanda.

Non rispose e abbandonando finalmente quell’estenuante e interminabile salita mi preparai ad affrontare quella serata d’inferno.

 

 

 

   
 
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