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Autore: aki_penn    22/10/2009    6 recensioni
Si è sempre parlato di gente "sfigata" che vuole diventare bella ricca e famosa, ma a nessuno è mai interessato se qualcuno sta bene nel suo bozzolo da nerd con una catenella da gabinetto attaccata alla porta? Beh, mio fratello stava bene così. E finchè se ne è stato nel suo piccolo paradiso di 20 metri quadrati nessuno ha mai avuto da ridire (a parte mia madre ovviamente), ma poi è arrivata quella tipa , ed è cambiato tutto, a partire dalla catenella del wc,e a finire col cercare di farlo diventare una specie di latin lover! E io sapevo che avrebbe portato guai, io lo sapevo, ma figurati se qualcuno mi ascolta mai in questa famiglia!
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I miei venti metri quadrati' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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I miei venti metri quadrati

Capitolo Diciassettesimo

Turchino Natale

 

 

Rimasi a guardare le ciglia scure di Joyce a pochi centimetri dal mio viso. Aveva gli occhi scuri, i capelli scuri, la pelle scura e nonostante ciò aveva il coraggio di definirsi Irlandese!

I capelli erano scomposti sul cuscino, non avevano quella strana forma che era solito dargli lui, a cresta storta così da dare impressione di aver appena preso un colpo di vento.

Da addormentato poteva sembrare a occhio profano quasi innocuo, con le labbra leggermente aperte e il respiro leggero. Gli passai un dito sulle sopracciglia scure. Erano strane folte ma sottili, spostai il dito lisciandolo fino ad arrivare agli zigomi pronunciati, forse un po’ troppo. Gli mancava un dente. Non che si vedesse, ma quando glielo avevano tolto, alle medie, perché si era cariato aveva rotto le scatole a tutti perché si sentiva menomato.  Sempre meglio che essere evirato” aveva commentato sua sorella Emily sprezzante mentre era alla ricerca di un fidanzato ricco, analizzando i conti in tasca di vari banchieri degli USA. Al tempo non sapeva cosa voleva dire, lo scoprì tempo dopo, e si disse d’accordo con sua sorella.

Passai un dito sul lato della bocca e sul mento. Non aveva molta barba, ma a quanto pareva gli stava spuntando quella nuova, avrebbe dovuto raderla, il mento era un po’ ispido, mi morsi il labbro e gli passai il dito sul collo, pomo d’Adamo, da piccolo non lo aveva, e se avessi fatto più attenzione avrei scoperto che era spuntato anche a mio fratello. Le clavicole erano sporgenti, ci passai sopra il dito seguendone il contorno, e proseguii sulla spalla.

Joyce non era un culturista, né un palestrato, né simili, ma non era come suo padre, che era un piccolo scricciolo appassionato di fumetti, non si sapeva da chi avesse preso, dato che superava sia me che suo padre di tutta la testa. Forse era un po’ sproporzionato, con le spalle troppo larghe rispetto al resto del corpo, da dove erano spuntate? Chissà, da dove erano spuntati tutti gli altri muscoli… pensai che Joyce era carino…era carino si, non era un brutto ragazzo…oggettivamente certo, non che mi piacesse è ovvio. Però era carino… no, non è vero, Joyce non era carino, era un idiota, e per sottolineare il mio pensiero gli tirai una sberla in faccia puntellandomi con un gomito sul materasso.

Lui sobbalzò mezzo sveglio mezzo no, un po’ per il male, un po’ per il ciocco.

“Oddio, chi sono? Dove sono? Non ho rubato io i cervi del Re!” blaterò prima di mettersi a sedere e voltarsi a guardarmi perplesso. Fece un sospiro. “Ah, sei tu Rachele!”

“Che ci fai nel mio letto?” sbottai con una smorfia. Lui si accigliò e mi lanciò uno sguardo eloquente.

“Di nuovo?” strillai irritata tirandogli un calcio che lo fece cadere per terra portandosi dietro buona parte della coperta.

“Questa volta non ho fatto niente è tutta colpa tuaaa…ah!” finì per terra con uno strillo vagamente femminile.

Alzai gli occhi al cielo. E così era arrivato anche Natale.

 

Poco dopo, con un livido sul sedere dovuto alla caduta dal letto ,Joyce si presentò in mutande nella cucina dei Pavesi, dove la signora spignattava tortellini e dolci natalizi.

“Buongiorno signora!” esclamò allegro lui. Arabella Pavesi lo gratificò con un sorriso, per nulla perplessa nel vederlo in mutande, girava spesso per casa loro in quelle condizioni.

“Mio padre le manda un panettone” disse appoggiandone uno avvolto da una scatola blu, comprato al supermercato. Il signor Cumoli era tristemente noto per essere una frana ai fornelli.

“Oh, Joyce caro, ringrazialo tanto, tuo padre è davvero un tesoro. Tua madre viene in Italia per Natale?”chiese tranquilla tornando alle sue cibarie.

Joyce scosse la testa “No, ma forse verrà insieme a mia sorella Darcy per Capodanno” spiegò. La signora Pavesi annuì e sorrise amabile pur non avendo mai sentito nominare nessuna sorella Darcy in vita sua.

“Mamma” mugugnò Rachele ancora assonnata facendo il suo ingresso in cucina in camicia da notte.

“Dov’è Mei?” domandò appoggiandosi stancamente allo stipite della porta, mentre Joyce decisamente più sveglio si girò verso di lei.

“Oh, è ancora a letto, pare che ieri sera abbia fatto più tardi del solito. Spero che non si sia ammalato con tutta quella pioggia. L’avete riportato a casa voi in auto vero?” chiese tranquilla.

“Certo” mentì Rachele senza esprimere alcuna emozione, poi si rimise in equilibrio su entrambe le gambe e si avviò verso la stanza con la catenella da cesso, camminando a piedi nudi sul pavimento freddo.

“Sai ho idea che ieri sera sia successo un po’ di casino tra tuo fratello e Nikka…oltre la sberla, pare che abbiano litigato” disse Joyce con aria preoccupato.

“Perché dici?” chiese lei bussando alla porta del fratello con aria indifferente.

“Me lo ha detto Emily… ho idea che sia entrato in un circolo… un club… una setta… forse satanica…” spiegò lui con tono sempre più drammatico. Il circolo delle pettegole incuteva timore un po’ a tutti.

Rachele incurante non sentendo risposta aprì la porta sbattendola. La tapparella era alzata e Mei era sdraiato sul letto con gli occhi a mezz’asta e un pigiama a righe bianche e azzurrine.

“Che diamine hai fatto?” chiese brusca sedendosi di botto sul suo letto mentre Joyce si appoggiava allo stipite della porta rimanendo in disparte.

Mei mugugnò scocciato, era evidente che non gli andava di parlare, ma sapeva che sua sorella era irremovibile.

“Ho litigato con Nikka… mi ha fatto una storia infinita sul fatto che dovevo trovarmi una ragazza e quando alla festa me la sono trovata si è arrabbiata e mi ha tirato uno schiaffo. Quasi mi fa ancora male…” disse voltando il viso dall’altra parte con aria triste.

Rachele si voltò a guardare l’amico che era rimasto a guardare, lui alzò le sopracciglia in modo eloquente.

“Tu non capisci cosa dicono le donne, figurati se capisci quello che pensano!”disse rassegnata. Sospirò.

“Su, ripigliati, oggi è Natale” disse alzandosi. “Ho lo stomaco a pezzi… e ho ancora voglia di vomitare”disse con un singulto faticoso.

Rachele gli assestò una pacca amichevole sulla cassa toracica “Tranquillo, la prima  volta capita a tutti! Ma non temere i tortellini sono un toccasana!” disse tranquillamente uscendo un po’ sbilenca seguita a ruota da un Joyce ancora mezzo nudo che gli regalò un sorriso raggiante a trentun denti.

 

 

Rachele mosse un po’ il cucchiaio nel brodo appoggiando il volto annoiato al pugno. Zio Michele era già ubriaco prima di iniziare a mangiare e diceva idiozie a tutto andare, mentre sua moglie, una sclerotica bionda dall’aria consumata gli urlava dietro suscitando l’ilarità della tavolata. A parte quella di Mei, che rigirava depresso il cucchiaio nel brodo come la sorella, di Rachele scocciata e di loro cugina Lisa che imbarazzata nascondeva il viso scialbo dietro ai lunghi capelli biondi ereditati dalla madre.

La signora Pavesi si apprestava a tirare fuori le scaloppine ai funghi, il cotechino, le verdure grigliate, il tacchino, l’insalata russa, i ravioli al vapore, il set di ghiaccioli all’anice, le castagne, i cachi, la pasta al forno, le cotolette , le costolette d’agnello, e zio Michele tra i fumi dell’alcol giurava di aver visto anche una colomba pasquale.

La noia imbarazzata e ilare del pranzo venne interrotta dal suono del campanello.  I padroni di casa aguzzarono subito le orecchie. È inutile dire che non suonava più nessuno a casa loro, e la cosa gettò nel panico la famiglia, che rimase ferma a guardare la porta finché Rachele non si alzò annunciando “Vado io”.

Sua madre le aveva confezionato un vestito turchino,vaporoso con la gonna di tulle che con Natale non ci stava a dire proprio nulla. Insomma , non si era mai sentito parlare di un turchino Natale!

Afferrò la cornetta del citofono svogliatamente “Chi è?” chiese diplomatica.

Ci fu un sospiro “Sono Nikka, c’è Mei?”

Rachele si guardò in giro guardinga e si morse l’interno delle guance pensierosa, poi riagganciò. Si voltò facendo finta di nulla con l’intenzione di tornare a tavola ma si trovò suo fratello a sbarrarle la strada con uno sguardo supplichevole dipinto in volto.

Rachele storse la bocca e poi fu costretta a dire controvoglia “E’ lei” e poi tornò al tavolo assestandogli una spallata.

Mei la guardò andare verso la cucina ancheggiando nel suo vestito turchino. Sospirò e si chiese cosa fare. Poi con un gesto repentino afferrò la giacca di pelle e uscì. Rachele sospirò e chiuse gli occhi quando sentii il botto della porta.

Mei si fermò alla fine delle scale per guardare oltre la porta a vetri. Nikka lo guardava dall’altra parte. Lui deglutì e uscì all’aperto, una sferzata di vento gli investì il viso.

Respirò l’aria gelida mentre lei lo fissava dal basso, immobile senza sbattere le palpebre.

Indossava un cappotto lungo in panno color giallo canarino, come l’auto d’epoca, ristrutturata che le stava dietro.

“Ti va di parlare, o non sono abbastanza bella per te?” chiese tra il gelido e il supplichevole.

Mei deglutì, sentendo un groppo in gola, al ricordo di quello che aveva detto la sera prima.

“No, …sì…sì che sei abbastanza bella per me” blaterò. Nikka si guardò in giro e poi si mise degli occhiali enormi.

“Dai, sali in auto, facciamo un giro” disse avviandosi verso la minuscola e antiquata vettura. Mei annuì e la seguì a testa bassa andando a sedersi al posto del passeggero.

L’auto era piccola, e vecchia, trent’anni almeno, ma aveva l’aria di essere stata messa  nuovo, c’era un girasole sul cruscotto. Si domandò se si fosse vestita di giallo per essere in tinta con la sua vettura.

Nikka partì sgasando.

“Allora Mei, capisco, abbiamo avuto dei problemi, mi sono già scusata per  i logaritmi, è stato un colpo basso imboscarmi con quel troglodita di Pallotti mentre tu facevi  i compiti, e so anche che ti sei ammalato quando ti ho costretto a fare il bagno nei ghiaccioli, ma speravo che queste cose si fossero un po’ insabbiate” fece con voce diplomatica e sicura, non era più indecisa come prima, parlava a raffica, e guidava veloce, curve a gomito e sgasate, erano ormai usciti dalla città, intorno a loro campi invernali e assolati.

Da quando Mei era nato non si ricordava un anno in cui a Natale non fosse stato bel tempo.

“Beh, dai, in questi mesi mi hai conosciuta, sono una ragazza molto intraprendente, e a volte forse mi faccio trasportare… spero che potrai capire…” disse tutto con voce così concitata e stridula che Mei si preoccupò per qualche secondo che non le potesse causare un’embolia o qualche cosa di altrettanto antipatico.

Ma alla fine sfrecciando ancora per un ultimo tornante decise di fermarsi in una piazzola di ghiaia. C’era qualche ciuffo d’erba spelacchiato e un solo fiore, Mei non avrebbe saputo dire di cosa.

Scese e una ventata d’aria fredda gli fece chiudere gli occhi, mentre la portiera dell’auto si serrava con un botto.

Anche Nikka scese, aveva finito di parlare, anzi no, si era interrotta per avanzare silenziosamente verso di lui, coi piedini intrappolati in un paio di ballerine gialle come il cappotto lungo, che lasciava appena uscire l’orlo della gonna marrone. Non fece rumore avvicinandosi a lui che guardava la città dall’alto. Se non fosse stato per l’orribile cappa di smog si sarebbe vista in tutto il suo splendore medievale.

Lo raggiunse a piccoli passi mettendosi di fianco a lui coi piedi vicini.

Rimasero in silenzio un altro poco, poi Nikka parve riaccendersi, come se qualcuno avesse premuto un bottone.

“Beh, e poi per l’altra sera… forse ho un po’ esagerato col gin, ed è per questo che mi sono un po’ esaltata, sono felice che tu sia riuscito a trovarti una ragazza, ma ti dirò, la trovo un po’ sciatta, non potresti puntare un po’ più in alto, come hai detto che si chiama?” trillò con voce acuta.

“Non te l’ho detto” rispose lui in un sussurro “Alsazia, si chiama Alsazia” spiegò.

Nikka fece una faccia schifata “E che cavolo di nome è?”sbottò.

Mei alzò le spalle “E’ geografico”, Nikka probabilmente non lo sentì e continuò a parlare “E poi forse hai fatto troppo in fretta ad abbordarla!”continuò imperterrita gesticolando senza guardarlo, come se fosse troppo impegnata a fissare la cappa di smog.

“Hai fatto tutte le tappe che ti avevo detto?” trillò.

“E tu col tipo che stavi tirando per la cravatta?” chiese. Non era arrabbiato, non sembrava neanche triste, ne saputo, era solo una semplice constatazione. Una constatazione che mandò in buca Nikka.

“Oh… io e… e Coso ci conosciamo da un sacco di tempo!” disse annuendo ed enfatizzando la parola sacco.

“Non sai neanche come si chiama” disse con tristezza apatica. Si morsicò l’interno della guancia, ma guarda come si era ridotto, a essere geloso di una streghetta esaltata ed egocentrica che non lo vedeva come altro se non come il suo cagnolino. I levrieri di D’Annunzio. Avevano sicuramente più lussuosa dignità.

“Oh, no, lo chiamo Coso, perché mi piace chiamarlo così, sai a volte affibbio soprannomi,per esempio Millie! Non si chiama Millie, è l’abbreviazione di Millefoglie, che è il suo cognome!”continuò a spiegare senza il minimo imbarazzo.

“Alsazia è simpatica” disse poi lui, e Nikka si azzittì definitivamente. Sospirò e guardando la città coperta dallo smog si avviò verso il guardrail per poi sedercisi sopra. Mei la seguì facendo lo stesso, non si guardavano, e Nikka tirava piccoli calci alla ghiaia facendola scivolare a valle.

Da lontano si udì il suono di una sirena di ambulanza.

“Verso le tre del giorno di Natale il pronto soccorso si riempie, perché la gente mangia troppo…” disse lui guardandosi le scarpe.

“Sei cinico” disse lei sottovoce. Mei alzò le spalle “Non è vero, è che conto le ambulanze… e a Natale verso le tre c’è l’impennata… Coso è simpatico?” chiese infine con lo stesso tono piatto.

“No, è un idiota” disse amaramente lei “Torniamo a casa?”. Mei annuì ed entrambi entrarono silenziosamente in auto.

L’unico rumore che accompagnò il viaggio verso casa era il rombo del motore, ci misero più tempo che all’andata, la guida di Nikka era decisamente più calma e fluida.

Si fermò quasi in mezzo alla strada, senza curarsi di parcheggiare al meglio, la città sembrava deserta, se non fosse stata per qualche canto natalizio e qualche fastidioso abete meccanico e parlante che urlava Merry Christmas. Scesero entrambi, Mei avrebbe giurato che lei se ne sarebbe andata e invece lo seguì fino alla porta di casa , si voltò perplesso a guardarla prima di salire. Lei rispondeva al suo sguardo trenta centimetri più in basso, e andò a sedersi sullo scalino in cemento che separava la porta d’ingresso dal marciapiede, la gonna le si alzò un poco, mostrando una modesta porzione di calze candide.

Il ragazzo rimase con un piede sul gradino e la mano appoggiata al bottone del citofono,indeciso se salire o rimanere lì con lei.

Sembrava decisa a rimanere lì seduta, anche se lui fosse salito.

Fece un passo indietro e si accoccolò accanto a lei.

“Mi odi?” chiese lei triste. Mei prese un profondo respiro “A volte sì” ammise infine senza avere il coraggio di guardarla.

“E’ per lo schiaffo? E’ perché ti tratto come se fossi di mia proprietà? E’ perché parlo sempre di vestiti?” chiese con la voce un po’ piagnucolante. Mei sospirò senza sapere cosa dire, e Nikka deglutì incerta quando si accorse dell’ombra scura che aveva sulla guancia.

Non pensava che lo schiaffo che gli aveva assestato la sera prima fosse stato così forte, gli era venuto il livido.

Fu in quel momento che una faccia tonda con un concio spuntò orizzontalmente dalla porta d’ingresso.

“Oh, ragazzi siete qui!” esclamò allegra la signora Pavesi. Entrambi si voltarono verso la donna, della quale dalla porta sbucava solo la testa. La testa fu seguita da un corpo rotondo  saltellante che a piccoli passi si posizionò gioviale davanti ai due mostrando una torta ricoperta di cioccolato.

“Ragazzi se volete salire stiamo per aprire il panettone del signor Cumoli! E intanto vi ho portato giù la torta Sacher!” esclamò raggiante.

“Non importa mamma, stavo giusto salendo e..” disse Mei accennando ad alzarsi prima che sua madre gli appioppasse il vassoio fuggendo civettuola con un gran sfarfallare di grembiule giallo con tanto di mucche ricamate al punto croce.

“No, no, cari” risatina genitoriale infantile “ non volevo interrompervi! Io torno su, unitevi pure a noi se vi va!” e fuggì su per le scale lasciando che la porta dell’atrio sbattesse.

Mei si appoggiò al vetro con la testa sospirando.

“Credi che potremmo essere amici lo stesso?” domandò lei con una smorfia scettica. Mei si alzo e le depositò la torta in grembo.

“Non lo so” sussurrò infine prima di infilansi nella porta e augurare “Buon Natale Nikka…”. E anche lui come sua madre sparì lasciandola sola con la torta.

Il primo impulso fu di gettarla a terra malamente, ma poi ci infilò il pugno afferrandone un gran pezzo e se lo mise in bocca con rabbia.

Mei salì le scale di corsa, non perché fosse felice, ma voleva scappare dalla strada dove era stato fino a un minuto prima. Sua madre aveva lasciato la porta socchiusa, e sul pavimento del pianerottolo, in palladiana si faceva largo un rivolo di luce. Spinse piano la porta ed entrò senza far rumore, dalla cucina arrivavano gli schiamazzi di zio Michele ubriaco che cercava di brindare con tutti schizzando vino rosso ovunque.

Seduta sul divano con le gambe raggomitolate sotto al sedere e il vestito vaporoso che occupava praticamente tutto il residuo sofà, Rachele assisteva alla vita famigliare con noia apatica. Sembrò avere un guizzo quando vide entrare Mei furtivo, nella penombra dell’ingresso. Si alzò in piedi di scatto, guardandolo negli occhi e annunciando “Buon Natale a tutti, io vado” con scarsa vivacità.

“Tesoro, portati dietro questi, per ringraziare il signor Cumoli del panettone!” cinguettò la signora Pavesi quasi sdraiandosi sul tavolo per porgere alla figlia un piatto. Rachele annuì e lo afferrò, quando si incrociarono Mei non aveva ancora messo piede in cucina. Gli lanciò un’occhiata, non era di rimprovero, era di curiosità, e con gli occhi sgranati a guardarlo si avviò  verso la porta d’ingresso , si voltò solo quando zio Michele si accorse del nipote e gli si lanciò addosso a peso morto.

Mei, sei tornato! Sentivi la nostra mancanza vecchio briccone!”, Mei ridacchiò un po’ imbarazzato cercando di scollarselo di dosso.

“Su, su zio, sono stato via solo mezz’ora!”cercò di liquidare.

“No, mi sei mancato Mini Mei!” piagnucolò suo zio abbracciandolo. Sua figlia Lisa, in sincronia con sua moglie si coprì la faccia con le mani per non vedere la scena.

Rachele fu invece silenziosamente inghiottita dal buio della tromba delle scale, quando la porta si chiuse definitivamente dietro di lei.

 

Rimasi per qualche secondo ferma immobile sul gradino che separava la porta del mio condominio dal marciapiede, a guardare Nikka che mangiava con le mani la sacher di mia madre.

Alzò la testa per guardarmi, credo che non volesse essere vista così, tutta sporca di cioccolato. Dedussi che la parte forte della discussione per una volta fosse stato mio fratello.

Poi, parte forte, era tutto da vedere, ma a Nikka non era andata bene a giudicare da come si stava strafogando di torta.

Mi fece quasi pena per un attimo. Alzai le sopracciglia e mi avviai verso casa di Joyce, non mi ero nemmeno messa il giubbotto, e la temperatura non era di gradimento ne alle mie spalle, ne alle mie gambe. Volevo sbrigarmi a fare quei due passi che mi separavano da casa Cumoli, ma nonostante questo dissi “Attenta, non hai idea di quante calorie contiene quell’affare…”.

Lei fece fatica a non rispondere, e rimase lì, seduta sul gradino, con l’ultima fetta di torta ancora in mano.

“TI auguro un turchino Natale” proferii accennando al mio vestito decisamente fuori luogo.

Non lo so di preciso perché non mi girai, ma credo che sfracellò il dolce sull’asfalto e scappò via in auto.

La porta dell’appartamento dei Cumoli mi fu aperto da Emily che non mi fece vedere altro che la sua faccia, tenendomi all’oscuro di ciò che si celava all’interno, per dire “Non guardare la cravatta di Joyce, potresti pentirtene. O almeno se la guardi non descriverla a tua madre, credo che potrebbe avere seriamente uno shock anafilattico” disse con voce grave “Ah, comunque buon Natale” augurò prima di schiudere l’uscio rivelandomi un Joyce coi pollici alzati seduto sul divano.

“A tuo rischio e pericolo” aggiunse Emily mentre io rispondevo che c’ero ormai abituata, non poteva esserci nulla di peggio del pellicciotto arancione.

“CHE DIAMINE E’ QUELLA ROBA?”sbraitai appoggiando il piatto sul tavolo per non farlo cadere, e indicando con aria omicida la cravatta di Joyce.

“Io la trovo natalizia” mi rimbeccò lui. Oltre a quella volta credo di non aver mai visto una cravatta con le lucine colorate. C’era raffigurato un abete illuminato da tante piccole lampadine intermittetenti, come se fosse stato vero.

Jane mi passò un bicchiere di spumante “Bevi, che è meglio! Ci ha messo così tanto ad ubriacarsi quest’anno zio Michele?

Alzai le spalle mentre ingoiavo lo spumante “No, era ubriaco prima di cominciare a mangiare, ho dovuto aspettare Mei”spiegai. Il signor Cumoli guardò furtivo sotto il tovagliolo che copriva il piatto che mia madre mi aveva fatto portare.

“Ma sono dei ravioli al vapore?” chiese perplesso, sua figlia Jane gli tirò una gomitata “Zitto e non lamentarti, che il prossimo ano potrebbe arrivarci un cocomero!!”

Io andai a tagliare la cravatta di Joyce, con l’approvazione dell’intera famiglia Cumoli.

Turchino Natale a tutti.

 

 

Non sono molto contenta di questo capitolo, è anche più corto di molti altri, ma spero che possiate gradirlo, ringrazio tantissimo chi ha commentato lo scorso! Le risposte ai commenti sono un po’ frettolose scusatemi, avrei voluto dedicarci più tempo, ma è tardi e domani devo alzarmi per andare al lavoro.. uffa!!

Melisanna_: che c’è di male nella bigamia infondo? Sono felice che ti piaccia Nikka, sei una delle poche che me lo ha detto! Spero che il capitolo ti sia piaciuto!

The Corpse Bride: Eh, si Marco e Delfina mi mancavano! Beh, per lo spinoff… sinceramente non ho ancora capito se sono gelosa o meno dei miei personaggi.. O.o ma credo che ne sarei lusingata! Anche perché sicuramente sarai più brava di me con la tragedia (abbiamo constatato che devo lasciare perdere io!!XD). in pratica anche se può non capirsi era un !!^.^credo che Joyce e Rachele stiano diventando fin troppo teneri! Non staremo esagerando?XD e si, forse Rachele assomiglia a Effy, però Effy non ha un Joyce da tirannizzare come vuole. È un peccato!

Nikka a qualche problema alimentare, ma è solo a livello mentale, nel senso è sempre a dieta, ma non è magra da preoccuparsi!! ^.^ te ne sei accorta cavolo!! ^.^

DarkViolet92: Nikka è in contraddizione, gli piace Mei, ma non lo vuole ammettere, e quindi quando lo vede con una ragazza d’impulso si arrabbia. È una cosa stupida in effetti, ma credo che di gente intelligente in questa storia che ne sia poca!!

TheDuck: come vedi qui sta degenerando un po’ tutto! La dichiarazione non c’è, ma il casino sì… prima o poi concluderanno qualche cosa tranquilla!!

Turchino Natale a tutti! (eh sì, sono un po’ in anticipo!). comunque nello scorso capitolo nella parte narrata da Rachele ho aggiunto due righe inutili, se qualcuno non avesse nulla da fare può andare a darci un’occhiata! Forse scriverò alla fine un capitolo sui signori Pavesi, mi piacciono come personaggi… ma chissà…

Volevo dire qualche cosa d’altro ma non me lo ricordo, spero che il capitolo non faccia troppo schifo!!

Alla prossima!!

Aki_Penn

 

 

   
 
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