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Autore: EffyBk    28/10/2009    3 recensioni
E se i fantasmi esistessero davvero? Oppure Bill Kaulitz è semplicemente impazzito?
Genere: Romantico, Triste, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5

Aprii gli occhi di colpo, scattando come una molla. Mi ritrovai nel mio letto seduto tra le lenzuola con il
respiro un po’ affannato. Era stato solo un sogno, per fortuna. Ma sembrava così reale! Mi fece un po’
impressione ripensare a Engel piena di vita, quando invece sapevo benissimo che non era così. E quella
sensazione, dopo l’urlo della ragazza, era stata strana, non riuscivo a descriverla. Avevo ad un tratto
smesso di percepire qualsiasi cosa, come se i miei sensi mi stessero abbandonando. Mi ero sentito vuoto
e leggero, staccato da tutto, persino dal mio corpo. Era stato come mi immaginavo fosse la morte.
Forse era quello che voleva dirmi Engel, c’era un pericolo, stavo per morire e lei stava solo cercando di
salvarmi, ancora. Ma non le avevo dato ascolto, come lei non aveva fatto con me.
Mi scervellai per qualche minuto tentando di dare un senso a tutto quello, ma alla fine conclusi che non
importava, era stato solo ed esclusivamente un sogno. La mia mente aveva messo insieme ricordi,
pensieri e paure e il risultato era stata quella visione insensata.
Mi alzai dal letto e andai ad aprire le persiane, in modo che il sole già alto nel cielo illuminasse la mia
camera. Ero deciso: da quel momento avrei ricominciato la mia vita di sempre, concentrandomi sul mio
lavoro e cercando di non pensare all’accaduto. Ce l’avrei fatta, dovevo farcela; magari non subito, ma
sapevo che se mi fossi messo d’impegno, avrei presto superato tutto.
Scesi in cucina e trovai Gustav e Georg già intenti a fare colazione.
“Ciao ragazzi!” esclamai accennando un sorriso.
I miei due amici si guardarono un attimo, stupiti del mio cambiamento improvviso, e mi salutarono allegri.
“Come stai?” mi chiese Gustav con una punta di preoccupazione.
“Bene, ho fatto una bella dormita” risposi mentre addentavo una brioche.
Ero contento di vedere l’ansia sparire pian piano dagli occhi dei miei amici. Certo, non era vero che stavo
bene, ma forse ripetendolo tante volte, me ne sarei convinto e avrei finito per crederci sul serio. E intanto
non facevo più soffrire le persone a cui tenevo, questa era la cosa più importante.
“Tom dorme ancora?” continuai.
“No, sono qua. Mi sono appena alzato” sentii dire alle mie spalle. Mi girai e lo vidi avvicinarsi e sedersi al
tavolo con noi. “Ma forse non mi sono ancora svegliato del tutto. Sto sognando o stai davvero mangiando
e sorridendo?” chiese guardandomi allibito.
“Scemo!” ridacchiai tirandogli un pugnetto.
Il suo viso si illuminò di un sorriso meraviglioso. Non potei fare a meno di ricambiare. Era così bello
vederlo contento, non vederlo più in pena per me. Mi sentii inaspettatamente un po’ meglio.
Conclusi che in fondo, potevo benissimo fingere di aver superato lo shock. Il fatto di nascondere le mie
emozioni non era una novità: vivendo sotto i riflettori ed essendo il frontman di una band di fama
mondiale, non potevo permettermi alcuno sgarro. Dovevo essere sempre allegro, sorridente e gentile,
anche se magari avrei voluto chiudermi in casa e stare a letto tutto il giorno. Perciò non sarebbe stato un
problema, neanche questa volta. Senza contare che ora mi sentivo più motivato a reprimere i miei
sentimenti, dato che lo stavo facendo per il bene dei miei amici, per Engel e, soprattutto, per Tom.
Dopo colazione lavorammo alle nuove canzoni e nel pomeriggio andammo in sala di registrazione per
provarne qualcuna. Misi tutta la mia concentrazione in quello che stavo facendo e scoprii con piacere che
cantando riuscivo a sgombrare meglio la mente dai brutti pensieri.
Fummo tutti piuttosto soddisfatti del nostro lavoro e David era al settimo cielo. Sorrideva in continuazione
e si congratulava con noi per come ci stavamo impegnando. Soprattutto, non smetteva di dire come
stessi cantando bene quel pomeriggio e quanto fossi bravo. Evidentemente faceva di tutto per prolungare
il mio benessere, temendo che potesse finire da un momento all’altro. In effetti mi faceva bene essere
incoraggiato, contando che non ero certamente una di quelle persone che odiano essere al centro
dell’attenzione e che si imbarazzano se vengono elogiate.
Andammo avanti fino a sera a suonare, divertendoci a riprovare anche vecchie canzoni. Quando ormai
eravamo stravolti e indeboliti dalla fame, chiudemmo tutto e andammo in cucina. Decidemmo di ordinare
la pizza perché nessuno di noi aveva voglia di mettersi ai fornelli. Mentre aspettavamo che arrivasse,
Gustav decise di leggere alcune lettere dei fan, Georg e Tom si attaccarono al computer a fare non so
cosa (e forse è meglio non saperlo) e io mi buttai sul divano a giocare col cellulare.

Stavo per battere il mio record a Snake, quando sentii chiamare il mio nome. Istintivamente alzai la testa
e mi guardai intorno, ma nessuno dei presenti sembrava minimamente interessato a me. Dovevo
essermelo immaginato; sbuffai piano, un po’ seccato perché a causa di quella distrazione, avevo perso al
gioco. Cominciai una nuova partita, concentrato come se fossi alle olimpiadi, ma poco dopo sentii di
nuovo il mio nome, questa volta chiaramente: non potevo essermelo immaginato ancora. Osservai per la
seconda volta i miei amici e, per la seconda volta, li vidi impegnati in ciò che stavano facendo.
Pensai subito che fosse uno scherzo stupido.
“Ok ragazzi, non fa ridere” dissi, cercando di usare un tono divertito. I tre si voltarono a guardarmi, con
espressioni interrogative. “Stavo per battere il record, ma mi avete fatto perdere!” continuai e feci il finto offeso.
“Scusa Bill, ma cosa stai dicendo?” mi chiese Gustav con aria innocente.
“Su dai, non fate i finti tonti. Sarò pure mezzo depresso, ma non mi sono rimbambito”
“Io non ho capito cosa sta succedendo” intervenne Georg.
“Questo è abbastanza normale” ridacchiò Tom “però, in effetti, neanche io ho capito molto”
“Sapete benissimo di cosa sto parlando. Ah ah, che divertente!” esclamai sarcastico “Ora ho riso,
contenti? Però basta, scherzo finito”
“Aspetta, quale scherzo? Cosa avremmo fatto?”
“Mi avete chiamato, poi siete tornati a fare le vostre cose, così io ho alzato la testa, ho visto che non mi
guardavate e ho pensato di essermi immaginato tutto. Però, mi dispiace per voi, non sono tanto disperato
da credere di sentire voci nella mia testa.” spiegai, a quel punto un po’ alterato.
“Bill, sinceramente, noi non abbiamo fatto nulla” disse seriamente Georg.
Tom si alzò e venne a sedersi di fianco a me; mi guardava con aria preoccupata.
“Ti senti bene?” mi domandò.
“Ragazzi, il gioco è bello quando dura poco. Ora basta” dissi freddamente.
Ma notai che le loro espressioni non avevano nulla di divertito. Erano fin troppo seri; e se avessero detto
la verità? Se davvero non avessero fatto nulla? Voleva forse dire che ero impazzito? Ero più che sicuro di
aver sentito qualcuno dire il mio nome; l’aveva detto chiaramente, come se volesse richiamare la mia attenzione.
“Non… non state scherzando?” la mia domanda esitante suonò più come una scoperta sconvolgente,
quando mi resi conto che dicevano la verità.
“Va tutto bene, Bill? Vuoi sdraiarti, vuoi un bicchiere d’acqua?” Tom era molto preoccupato. E anche io.
Bill” sentii di nuovo quella voce, ma nessuno intorno a me aveva aperto bocca.
“A-avete sentito?” chiesi boccheggiando.
“Cosa?”
“La voce. Ha detto il mio nome”
“Quale voce?”
“Quella di prima; sembra una voce femminile. Non l’avete sentita?” ascoltandomi, mi rendevo conto che
le mie parole erano totalmente assurde e ridicole. Ma quella voce era vera.
“Bill, non prenderci in giro, per favore!” Gustav sembrava un po’ arrabbiato. Credeva stessi mentendo.
“Non vi prendo in giro. Davvero, non avete sentito nulla? Era forte e chiara, ha detto il mio nome!”
Bill, ascoltami…” la voce parlò di nuovo.
“Chi sei? Cosa sei? Cosa vuoi?” chiesi, rivolgendomi all’aria che stava sopra di noi. Bene, parlavo pure da
solo adesso.
Tom, Georg e Gustav mi guardavano intimoriti, non sapendo come prendermi o cosa dire.
Sono Engy” mi rispose.
“Engy? Engy chi?” mi alzai in piedi, cercando nella stanza qualcuno o qualcosa da cui potesse arrivare la
voce, senza risultati.
Sono Engy, Engel Schulz
“Cosa dici? Engel è morta!” gridai al nulla. Poi mi rivolsi ai miei amici, poiché pensavo, dalle loro facce
terrorizzate e confuse, che avessero ascoltato la conversazione “L’avete sentita ora? Avete visto che non mentivo?”
No, loro non possono sentirmi. L’hai detto anche tu: io sono morta
“Vorresti dirmi che sei un fantasma?” le chiesi con scherno.
Bè, tecnicamente sarei uno spirito, ma sì, il concetto è quello
Risi, divertito da quella surreale situazione. Non capivo da dove potesse venire la voce, non sapevo come
mai i miei amici non potessero sentirla, ma di una cosa ero certo: i fantasmi e gli spiriti non esistevano.
“Bill?” osò dire Tom titubante. Io lo guardai, ma non gli dissi nulla. Lui, Gustav e Georg erano terrificati e
si tenevano a distanza da me, il pazzo che parlava da solo.
“Sentiamo, cosa vuoi?” domandai alla voce.
Aiutarti. Sei in pericolo, Bill, e io sono qui per salvarti
A quelle parole, mi ritornò in mente il sogno che avevo fatto. Se la voce avesse detto la verità, tutto
avrebbe acquistato un senso, anche se di sensato c’era ben poco. Sbiancai e mi sentii girare la testa;
traballai un secondo sulle mie gambe e i miei amici mi affiancarono all’istante per sostenermi.
“Tutto ok? Non vuoi sederti?” mi suggerì Georg, ma lo ignorai.
“Vattene!” urlai alla voce “Vai via dalla mia testa! Ora, subito!” ero in panico, stavo davvero diventando
pazzo. No, non volevo, ma era così: sentivo qualcuno parlare nella mia mente. Era la cosa più terribile
che mi fosse successa, insieme all’uccisione di Engel. Cosa avevo di sbagliato? Perché quel sogno? perché
quello “spirito” immaginario? Cosa mi stava succedendo?
Ti prego Bill, ascoltami. Sei in pericolo, devi credermi, devi fidarti di me” insistette.
“No, non voglio ascoltarti, non voglio più sentirti! Vattene, vattene per sempre e lasciami in pace!” gridai,
coprendomi le orecchie con le mani. I ragazzi erano spaventati quanto me e quando fecero per chiedermi
cosa fosse successo, iniziai a piangere in preda ad un attacco isterico e corsi in camera mia.
  
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