I
Ibisco – Hibiscus rosa-sinensis
Un
lento e delicato borbottio pervadeva la grande cucina. Il paiolo, antico e come
consunto dal tempo, troneggiava nel focolare investito in pieno dallo schiaffo
luminoso del caldo sole estivo.
Oltre la
grande finestra, Il Cairo rumoreggiava, colta nel fulgore di uno dei giorni più
afosi di quell’anno.
La vita si
spandeva con la violenza di un’ondata: bancarelle, urla e grida di venditori
ambulanti, colori vivaci e tappeti intessuti dichiaravano a chiare lettere la
propria chiassosa esistenza di luce e di rumore, dominata dal bruciore costante
dell’incendio celeste.
La
temperatura nelle ore centrali della giornata era davvero insostenibile: il
caldo era ardente, costante, rabbioso.
Colpiva tutti
indistintamente e non lasciava mai un attimo di requie, se non la sera, sul
tardi, quando un refolo di vento giungeva per portare un po’ di refrigerio.
Intanto
il contenuto del paiolo nella grande casa sobbolliva leggermente, emanando un
afrore appena percettibile nell’aria già satura di aromi.
La gente, pur
temprata da anni di pratica indesiderata, mal tollerava quelle vampate di
inferno. Il fresco era anelato, bramato e desiderato quasi più del denaro,
preoccupazione costante della maggior parte dei cairoti.
Una
vecchia, curva e macilenta, entrò nella cucina. I suoi passi, lenti per
l’artrite ma come animati da una gioia arzilla, si diressero rapidi verso
l’intruglio che ormai da ore era sottoposto a quel lento e incessante bollore.
Sollevò il coperchio, rimestò con un vecchio cucchiaio, lo ripose e ricoprì la
pentola, sempre con quei gesti resi dall’età brevi e lentissimi.
Una folata di
vento dal deserto rese ancora più insopportabile la permanenza in città. Un
sopore che aveva del malsano irruppe sibillino nella maggior parte degli
abitanti, che interruppero le proprie attività sventolandosi con ampi movimenti
e lamentandosi a gran voce dell’afa eccezionale che li stava prostrando.
Fu in quel momento che
dalla vasta cucina emerse come un’ombra la vecchia del pentolone. Come fosse un
miraggio, il suo paiolo aromatico venne appena seguito con la sguardo dai primi
uomini che si videro passare dinnanzi la vecchina.
Cantilenando con voce
fioca e strascicata, quella si trascinava avanti, certa che la sua opera
avrebbe avuto un qualche effetto.
- Karkadè, karkadè
dall’ibisco…- ripeteva tranquilla l’anziana. E
uomini e donne accaldati la seguivano, tergendosi con mano stanca la fronte
grondante sudore.
- Karkadè, karkadè,
karkadèeèeè…- allungando oltre misura l’ultima
sillaba, la vecchia attingeva con dolcezza dal liquido rosso vivo che portava
con sé, distribuendo benevolmente, per poche monete, quel prodigioso nettare di
freschezza.
Ecco il
karkadè! È lui, è lui! Prodotto dai fiori più freschi dell’ibisco, fatto
bollire per ore e ore, rinfresca il corpo e ritempra le forze e la mente! Il
karkadè, il karkadè!
La donna procedeva,
elargendo con generosità il suo karkadè, cura rigenerante, sollievo balsamico
al caldo opprimente, dolce e sublime sacrificio dell’ibisco per la vita rinnovata
degli uomini bruciati.
-
Karkadè, karkadè, karkadè dall’ibisco…-
[480 parole circa]
Allora, per la lettera “I” ho scelto una tipologia di testo non ancora
affrontata in questo bizzarro percorso del De Naturae Magnificentia: una
storia. Sì, questa scheda botanica è la prima a possedere una trama che,
sebbene semplicissima, sussista e sia degna di essere chiamata tale.
Beh, per lo meno qualcosa succede…
Ho scelto di parlare dell’ibisco soprattutto in funzione di questa
bevanda dalla straordinarie proprietà astringenti, rinfrescanti e purificanti,
il karkadè. Da quanto ho letto su wiki, essa è molto diffusa in Egitto, ed è
proprio da questo semplice connubio che è nato questo brano.
Non mi ha colpito più di tanto alla prima stesura, devo dire, ma mi è
piaciuto cercare di dare un senso di magico, di “stregonesco” e in qualche modo
di prodigioso all’influsso benefico causato da quella che poi, alla fine, non è
altro che una semplice bevanda dissetante.
Ma insomma, mi pare che detto in una storia, ogni particolare abbia un
altro effetto… Chissà se è così anche per voi! XD
Ah, dimenticavo: l’alternarsi di corsivo e font normale è dovuto a una
scelta di rallentare lo scorrere del testo, sempre in quella chiave
mitico-mistica di cui dicevo, e allo stesso tempo di separare ciò che avviene
in relazione all’ibisco e al karkadè (caratterizzati dalla frescura e dalla
penombra della “vasta cucina”) da quello che invece accade per le strade,
tormentate dall’afa. Ecco tutto. ^^
Vi lascio con il solito ringraziamento alla mitica ninfea e a tutti quelli che hanno letto “Heliconia”, rimandandovi
come sempre alla prossima lettera… che sarà la L, perché con l’alfabeto inglese
non mi ci raccapezzerei…XD
willHole, saluti e sorrisoni!