Sono
tornataaaaaaaaa!!!!
Scusate
molto del ritardo, purtroppo gli impegni di lavoro che mi tengono
occupata
dalla mattina alla sera a realizzare progetti e progetti su autoCAD!!!!
Prima
di tutto, per accontentarvi posterò due capitoli a
settimana!!!!
Domenica e giovedì,
tutti d’accordo?
Un grazie di cuore a tutte che mi seguono in questa follia huddy!!!
Sono molto sadica, vero?
Una parola è troppa e due sono poche (Nonno Libero! ).
Ecco a voi il nuovo capitolo!
Mi raccomando recensite in tante!!!
Pronte?
1
2
3
GO!
CAPITOLO
QUATTORDICESIMO.
Il cielo era molto buio. Un buio tetro simile all’abisso
profondissimo di un
oceano.
Non c’erano la luna e le stelle, solo grosse e terrificanti
nuvole grigie
accompagnate da violenti e accecanti lampi. Nessun segno di pioggia e
né di
gradinate. Sembrava lo sfogo di un qualcuno molto irato oppure era lo
stesso
Zeus che, preso dall’ira, si sfogava scagliando saette.
Bubbolati, latrati e ululati cominciarono a farsi sentire
più vivi che mai.
Ad accompagnare questi sinistri rumori, c’era il trottare di
otto zoccoli che
sembravano andare di fretta.
Era il trottare di due cavalli, uno bianco ed elegante e
l’altro nero e
lucente.
In sella al cavallo bianco c’era don Jimmy che per tutto il
tragitto non aveva
fatto altro che osservare il cugino.
Trottavano fianco a fianco, per questo motivo Jimmy riusciva a vedere,
nonostante la scarsa visuale notturna, e a percepire ciò che
il cugino stava
provando.
I suoi occhi erano strani. Non si poteva capire ciò che
stava provando poiché
notava un viavai di sentimenti che andavano dalla rabbia alla paura.
Incredibile! Lui, cinico, misantropo, scorbutico e maledettamente
irritabile,
stava provando un sentimento probabilmente a lui sconosciuto: paura.
“ Ci sono vari tipi di paura.”
Pensava con il vento che colpiva in modo violento il viso
poiché galoppava
velocemente.
Voleva scoprire quale tipo di paura assaliva la sua anima, ma,
l’improvvisa
fermata brusca di House che tirava violentemente le redini facendo
alzare il
cavallo, lo distrasse da quel pensiero.
Entrambi scesero da cavallo e, tenendo stretto tra la mano le redini,
proseguirono a piedi il cammino.
Camminarono in quell’immenso campo di girasoli alti almeno
tre metri e con le
ligule chiuse poiché non c’era la luce solare.
Don Jimmy s’avvicinò di più al cugino
poiché il suo corpo fu invaso da una
tremarella nell’udire dei suoni agghiaccianti e lagnosi
provenire in quel
campo.
Man mano che loro avanzavano, quei suoni si fecero sempre
più vicini e
fastidiosi.
Don Wilson camminava guardandosi intorno. Aveva paura. Il suo corpo
tremava
nell’udire quei rumori tetri e persino gli occhi gli uscirono
dalle orbite ogni
qualvolta vedeva delle strane ombre bianche apparire e sparire di tanto
in
tanto.
Anche i denti gli battevano rumorosamente tra loro e le gambe
cominciarono a
farsi sempre più molli.
D’improvviso Greg si fermò di scatto e, nonostante
camminava con lo sguardo
rivolto a lato, Jimmy andò a scontrarsi contro la schiena di
lui.
< Ahi! >
Gridò Jimmy dal dolore.
Don House sbruffò silenziosamente roteando gli occhi per
aria e si girò verso
di lui. Portò l’indice della mano destra al
proprio naso e gli fece segno di
fare silenzio.
Il cugino alzò ambedue le mani in aria tenendo i palmi
aperti facendo segno di
scusarsi.
Greg si girò dandogli le spalle e puntò il dito
verso il famoso castello.
Don Jimmy rimase terrorizzato, ma allo stesso tempo, incantato nel
vederlo.
Il castello aveva una struttura al quanto complicata: la porzione che
si
affacciava sul campo aveva una forma ottagonale; le facciate erano
tutte in
precarie condizioni a causa dell’usuramento delle pietre
dovuto agli agenti
atmosferici e alla mancata manutenzione nel tempo.
In alcune parti si notava dei grossi ed enormi buchi di forma quasi
rettangolare probabilmente appartenuti, un tempo, alle finestre.
Don House camminò sempre diritto e poi ad un tratto
svoltò a destra.
Don Jimmy, in silenzio, lo seguiva come un’ombra, immaginando
il cugino come
guida turistica.
Entrambi si fermarono di fronte alla facciata principale del castello
diroccato.
Jimmy deglutì alla vista di un enorme portone un
po’ strano.
Forse era dovuto all’effetto della notte un po’
tetra oppure alla fantasia che
la sua mente si era lasciata travolgere in quel contesto se vedeva una
strana
incisione: una donna urlatrice con i capelli a serpenti e i denti di un
vampiro.
Sentiva le gambe tremare, aveva tanta voglia di scappare e di tornare a
casa
per buttarsi nelle braccia della moglie.
< Su, apriamo il portone! >
Sussurrò Greg avvicinandosi al cugino che era rimasto
indietro a lui con gli
occhi fissi su quell’immagine del portone e i denti che
tamburellavano senza
sosta.
< Do... do... dobbiamo pr... pr... proprio? >
Riusciva a stento a pronunciare qualche sillaba. Tanta era la paura di
entrare.
Se il castello gli incuteva terrore solo a vederlo
all’esterno, figuriamoci
come poteva essere all’interno.
Temeva che una volta entrato, non ne sarebbe mai più uscito
vivo.
< Non è ora di fare il pappamolle! >
Disse annodando le redini di entrambi i cavalli su una lunga linea
orizzontale
di ferro, appeso al muro perimetrale, che probabilmente in passato
doveva
appartenere alla ringhiera di un terrazzo ormai demolito.
Cominciò a spingere il portone con molta forza.
Vedendolo un po’ in difficoltà, con un pizzico di
coraggio, Jimmy lo aiutò ad
aprire il portone.
Il portone si aprì lentamente e un terribile eco
colpì violentemente le loro
orecchie.
Don House ne rimase illeso, ma Jimmy rimase pietrificato con gli occhi
spalancati
e le mani incollate al portone.
Vedendolo che non muoveva un muscolo, Greg gli diede qualche
schiaffetto sul
viso per svegliarlo.
Don Jimmy si svegliò e, con denti serrati,
proferì parola.
< Voglio mamma! >
Esclamò appoggiando le braccia su quelle di Greg.
< Non è ora di fare capricci! >
Lo rimproverò con tono serio e freddo.
< Una domanda: perché tu sei rimasto immune a quel
terribile eco? >
Domandò tutto tremante con le orecchie ormai frastornate.
< Che stupida domanda! Ho messo del cotone nelle orecchie!
>
Disse togliendo il cotone dalle orecchie e mostrandole a lui.
Nonostante tremasse di fifa, Jimmy aveva voglia di strangolarlo. Non
gli aveva
avvertito di questo terribile eco e né perlomeno offerto
qualche pallina di
cotone.
Senza perdere tempo, i due misero piede all’ingresso.
Jimmy si pentì subito poiché il portone si chiuse
rumorosamente da solo alle
sue spalle lasciando loro al buio pesto.
Don Wilson deglutì. Non gli era mai capitato di trovarsi in
quella situazione.
Sembrava di vivere in un castello stregato.
Improvvisamente vide una luce tenue e un’ombra gigantesca
apparire lungo la
parete del corridoio avvicinarsi a lui.
Sudava freddo per ogni passo che l’ombra compiva verso di lui.
Aveva una strana faccia! Sembrava Dracula in persona.
Appena quella figura gli si fermò di fronte, a Jimmy
scappò un urlo.
< Hey, sono io! Mi hai dimenticato? >
Esclamò avvicinando le fiaccole al proprio volto per il
riconoscimento.
Don Wilson sospirò nel vedere che era il cugino.
Greg roteò gli occhi per aria. Non credeva di avere un
cugino tanto fifone.
Gli diede una delle due fiaccole che aveva acceso e
s’incamminò in quel lungo
corridoio senza luce.
Jimmy camminava a passi felpati muovendo lentamente la testa in ambedue
i lati.
Vedeva degli strani quadri appesi alla parete lungo il corridoio. Erano
ritratti di persone che avevano vissuto in questo castello e che
probabilmente
erano defunti.
Aveva l’impressione che i loro occhi si muovevano e che dalla
loro bocca
uscivano delle risate isteriche.
Stava per svenire. Anzi aveva voglia di svenire.
C’era troppa tensione in quel castello.
Persino il cuore faceva il matto. I polmoni ricevevano poca aria e il
sangue
scorreva lentamente nelle vene.
Sotto ai loro piedi c’era un tappeto lunghissimo, molto
consumato e appiccicoso.
Sembrava di camminare sulla melma.
< Dio, Greg! Sai almeno dove trovarla? >
Ormai aveva perso la pazienza. Voleva ritirarsi dal gioco sporco di
“Boing-Boing”.
< No! Contento? >
Rispose con tono seccato.
I due proseguirono il cammino entrando e uscendo dalle varie stanze.
Povero Jimmy! Ad ogni stanza ne usciva con i capelli ritti e gli occhi
fuori
dalle orbite a causa di vari imprevisti. Volata furiosa di pipistrelli
addosso
a loro, puzza di animali decomposti, enorme ragnatele che coprivano
un’intera stanza.
Finalmente lasciarono il piano terra e salirono le scale che
disegnavano una
lieve curva conducendoli al piano superiore.
Alla loro destra c’era un arco che delineava
l’ingresso a una stanza,
probabilmente uno studio.
Incuriosito, don Wilson entrò in quella stanza, mentre don
House entrò in
un’altra stanza a lui familiare.
Jimmy non si accorse dell’assenza di Greg poiché
fu attratto da uno strano
oggetto che a prima vista sembrava un enorme tavolo da scrivano.
Ci soffiò sopra per spazzare via la polvere che si era
accumulata col tempo e
trovò dal ripiano alcuni quadri molto vecchi. Li prese uno a
uno osservandoli
col fare curioso.
Erano tutti dipinti originalissimi però, purtroppo,
ripetitivi. Ogni dipinto
avevo lo stesso oggetto: campi di girasoli, però diversi tra
loro a seconda del
tempo e delle giornate.
Annoiato, rimise i quadri al loro posto e cominciò a
perlustrare lo studio.
Notò l’enorme camino ormai in parte demolito e
coperto di ragnatele, una
piccola poltrona che molleggiava a causa di due piedi mancanti e un
piccolo
baule. Incuriosito, aprì quel baule. In quel momento
sentì l’aria farsi sempre
più pesante, più densa e per un attimo il respiro
gli venne a mancare come se
avvertisse una strana presenza sovrannaturale in quella stanza che gli
opprimeva il torace.
In quell’istante la sua mente fu invasa da pensieri
irrequieti.
Per distrarsi da quei pensieri, si concentrò a far uscire
dal baule dei libri
polverosi e stranamente ben conservati.
Improvvisamente il suo cuore cominciò ad accelerare
poiché notava sulla parete
di fronte un’ombra ingigantirsi sempre di più.
Vedeva una strana figura con i
capelli che sembrava strisciare come serpenti e subito si diede dei
pizzicotti.
Non poteva essere quella donna urlatrice che aveva visto inciso sul
portone. Si
girò e non fece in tempo a urlare e scappare che un oggetto
contundente lo
colpì in fronte facendolo svenire.
Nel frattempo, Greg stava perlustrando la stanza a lui molto familiare
e vividi
immagini gli si presentarono sotto forma di flashback.
“< Come lo chiamiamo questo posto? >
Domandò curioso il bambino con la testa appoggiata a quella
della graziosa
bambina dagli occhi grigi birichini.
< Meraviglia di Girasoli! >”
Immagini di loro due in quella stanza a fare pic-nic di fronte a quel
panorama
di girasoli.
“< Ecco a te la ciambella! >
Disse Lisa con tono dolce estraendo due ciambelle dal cestino e
offrendone una
a lui.
< Grazie, Raggio di Sole! >”
Altri ricordi di loro piccoli che pulivano quella stanza rendendola
accogliente, i loro passatempi a realizzare e costruire un teatrino di
legno
per marionette divertendosi a imitare vari personaggi e, infine, il
ricordo più
doloroso, quello del loro addio.
“< Ti devo dire una cosa. >
Disse il bambino con voce seria e triste.
Fuori pioveva a dirotto con lampi e tuoni.
Un terribile tuono spaventò Lisa che si buttò tra
le calde braccia di lui. Il
suo abbraccio fece peggiorare le cose. Quell’abbraccio non ci
voleva poiché gli
metteva tristezza e nostalgia con quello che le doveva dire di urgente.
Seguì l’istinto di stringerla a sé
ancora più forte.
Gli piaceva tanto abbracciarla poiché gli dava un senso di
protezione e di
amore.
Già, amore! Delle lacrime gli rigarono il volto andando a
bagnare la clavicola
di Lisa.
Lei se ne accorse e si distaccò leggermente da
quell’abbraccio per guardarlo.
Si guardarono intensamente negli occhi. Solo un silenzio
c’era tra loro poiché
lasciarono che fossero gli occhi a parlare.
Parlavano così tanto da non accorgersi che i loro nasi si
toccavano e le loro
labbra si sfioravano. Un tenero contatto tra le loro labbra chiuse.
Delicato e
tenero. In quell’istante lampi e tuoni scomparvero lasciando
il posto a un
meraviglioso arcobaleno.
I due, dopo quel piccolo bacio, rimasero appoggiati fronte a fronte
perdendosi
negli occhi.
< Prometto che questo sarà un arrivederci! >
Cominciò a dire assumendo un tono tranquillo e sereno.
Nell’udire quelle parole, a Lisa scappò una
lacrima.
< Lo prometti? Ti rivedrò? >
Lui le asciugò il viso e sul volto stampò un
leggero sorriso. Un sorriso così
luminoso e soave.
< Tornerò e ci incontreremo dove
s’incontrano gli amanti! >
I due sorrisero e rimasero abbracciati per chissà quanto
tempo.”
A quel ricordo, Don House gli venne uno strappo al cuore.
Non era vero che se ne era andato! Quel giorno gli morì il
padre e di
conseguenza doveva prendere il suo trono. Il trono del signore dei
ricatti,
della malvagità e del terrore. Purtroppo lui era troppo
diverso dal padre e non
riusciva ad essere come lui poiché l’incontro con
quella fanciulla gli aveva cambiato
sia esternamente che internamente.
Per tutto questo tempo, dopo il loro “arrivederci”,
si era chiuso in se stesso
diventando arrogante, cinico e solitario signorotto del paese.
Tutti avevano terrore di lui immaginandolo simile al padre che uccideva
coloro
che non saldavano i debiti entro i giorni stabiliti.
Però da quando Greg era al trono, non ci fu nessuna
uccisione, ma più lavoro
per tutti.
Raramente andava in paese e i pochi che avevano avuto occasione
d’incontrarlo
né uscirono arrabbiati per le sue battute sarcastiche o
né uscirono felici per
ogni offerta di lavoro. Le giornate le trascorreva nascondendosi nel
bosco che
circondava il lago ad osservare quella graziosa bambina diventare
sempre più
bella e affascinante con l’età.
Non aveva mai avuto occasione d’incontrarla e di abbracciarla
temendo una
reazione negativa di lei nello scoprire la sua vera identità.
Questo, col passare del tempo, lo faceva sempre soffrire ed era anche
la causa
dei suoi pessimi umori.
Appoggiò ambedue le mani al vetro della grande finestra,
l’unica rimasta
intatta nel tempo, con lo sguardo rivolto verso l’esterno.
Tra quel buio pesto, scorse due sagome ben illuminate dalle fiaccole e
si
accorse che uno di loro portava in groppo il cugino svenuto e legato
come un
salame.
< Hanno preso anche Jimmy! Stanno andando verso il mulino ad
acqua! >
Si voltò di scatto, uscì dalla stanza e scese
correndo per le scale.
D’improvviso si fermò: una scena alquanto
disgustosa gli si presentò davanti
barrando la strada con il braccio teso verso di lui puntando la spada.
Una risata malefica uscì dalla sua maligna bocca.
< A noi due, House! >
TO BE CONTINUED...
Siete tutte vive?
*me che apre l'ombrellone in attesa di ricevere qualsiasi ortaggio
lanciato da
voi"