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Autore: Hypnotic Poison    04/11/2009    6 recensioni
Sono gli ultimi giorni alla East High per i Wildcats, poi sarà tempo di diploma! Ce la faranno a superare l'esame, e a rimanere insieme nonostante tutto? COMPLETA!!
Genere: Romantico, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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40. Now or never – Wildcats forever

 

“Giurami che non sei arrabbiato.” Troy e Gabriella erano stesi sul letto della ragazza, lui a pancia in su e lei appoggiata al suo torace. La porta era aperta, e loro erano sopra le coperte, come espressamente richiesto dal signor Montez, intento a guardare il baseball in salotto.

 

Troy guardò in giù, giocherellando con un boccolo corvino: “Certo che non sono arrabbiato. Solo che mi sarebbe piaciuto che tu ci fossi a questa partita.”

 

Gabriella alzò lo testa: “Anche a me! Ma mia madre ha come giorni libero solo questo weekend, ed è da un sacco di tempo che non mi vede! È colpa della sua cavolo di compagnia…”

 

“Ehi, tranquilla. Sai a quante altre mie partite potrai assistere? Non ho intenzione di lasciarti molto presto, signorina Montez. Anzi, non ho proprio intenzione di lasciarti.”

 

La mora ridacchiò: “Ricambio, Bolton. Prometto che chiamerò sempre Tay o Kelsie per farmi dire come sta andando!”

 

“D’accordo, ti credo.” il ragazzo si sporse per incontrare le sue labbra “Ma dovrai comunque farti perdonare.”

 

La ragazza rise di nuovo e lo baciò a sua volta, stringendogli la maglietta per tirarlo più vicino.

 

“Ragazzi! Non sento le vostre voci!” giunse allegra dal piano di sotto la voce del signor Montez.

 

La figlia alzò gli occhi al cielo: “Promise I’ll be kind but I won’t stop until that boy is mine… sei contento, papà?”

 

“Molto tesoro, grazie!”

 

Troy sorrise: “Tuo padre è forte, lo sai? Non potrò mai ringraziarlo abbastanza per averti fatto rimanere qui con me.”

 

Gabriella si girò sulla pancia, stendendosi di più su di lui: “Beh, lui dice che per adesso non vuole diventare nonno e vorrebbe che io mi diplomassi prima di mettere su famiglia. Quindi mi sa che dovrai aspettare, signor Bolton.”

 

“Tutto il tempo del mondo per te, Montez.”

 

Ricominciarono a baciarsi dolcemente, fino a che non udirono un “Ragazzi!” provenire dal di sotto.

 

Si staccarono di nuovo, con Gabriella che borbottò: “Meno male che è forte, vero?” mentre si alzava e tirava il suo ragazzo per le mani “Forza, scendiamo anche noi. Almeno sta più tranquillo.”

 

Il ragazzo sbuffò: “Ma così non ti posso baciare.”

 

La mora rise e scosse la testa: “Tanto non potresti farlo lo stesso, Wildcat.”

 

Troy fece per rispondere, ma il suo cellulare squillò in quel momento; sbuffò, e lo prese fuori dalla tasca: “E’ Chad,” bofonchiò guardando sul display “Pronto? No, sono da Gabriella. Okay, dammi mezz’ora e… no, Chad, cinque minuti no. Va bene, va bene, un quarto d’ora. Tra un quarto d’ora sarò da voi, promesso. Ciao.” chiuse la telefonata e alzò gli occhi al cielo “Devo andare al campetto nel parco. I ragazzi vogliono essere in forma per la partita. Credo di non averli mai visti così fissati.”

 

La sua ragazza rise e lo abbracciò, appoggiando una guancia al suo petto: “Mi mancherai, Wildcat.”

 

Il castano la cinse con un braccio: “Ehi, sono solo due giorni. Ci vediamo alla festa dopo la partita, giusto? E’ anche la fine delle nostre due settimane alla East High.”

 

“Non me la perderei per niente al mondo.” Gabriella strofinò il naso contro la maglietta di lui, inebriandosi del suo profumo “Sarà anche la prima volta che l’intero corpo studentesco andrà a scuola il sabato mattina.”

 

“Mmmh, che cosa entusiasmante.” ridendo, Troy le alzò il viso con due dita ed unì le loro labbra. Giusto per essere interrotti dall’ennesimo trillo del cellulare del ragazzo “Questo è Chad che mi dice di spicciarmi. Eppure io non faccio così quando lui è con Taylor.”

 

“Forse dovresti iniziare.” la mora si alzò in punta di piedi e lo baciò ancora.

 

Il capitano dei Wildcats ghignò e si staccò a malincuore: “Devo andare, Gab, o qui finisce che non ti levo più le mani di dosso. Deve anche arrivare tua mamma tra poco, giusto?”

 

La ragazza annuì, improvvisamente con aria triste: “Mi chiamerai?”

 

“Così tanto che alla fine ti stuferai di me!”

 

“Ah, io non potrei mai stufarmi di te.” si scambiarono un ultimo bacio, poi Troy si avviò alla porta e l’aprì: “Ci sentiamo dopo, Gab.”

 

Gabriella sorrise dolcemente: “A dopo Wildcat.”

 

Di scatto, il ragazzo le prese una mano, tirandola a sé, e stampandole un velocissimo bacio sulle labbra: “Ti amo.”

 

Lei scoppiò a ridere, spingendolo fuori: “Anche io ti amo, ma ora vai! Non voglio aver un Chad arrabbiato sulla coscienza!”

 

Si salutarono un’ultima volta con la mano, poi Gabriella chiuse la porta, e cercò di far scomparire quell’allegro rossore sulle guance.

 

 

###

 

 

“Ehi Tay! Che ci fai qui?” domandò allegro Troy raggiunto il campetto e notando la ragazza lì.

 

“Porto le provviste per i nostri campioni,” alzò un cestino da picnic ricolmo di panini e bottiglie “Gabby è partita?”

 

“Credo di sì,” sospirò affranto il ragazzo “Quando l’ho lasciata sua madre stava per arrivare.”

 

Taylor ridacchiò, passandogli una bottiglietta d’acqua: “Coraggio, lover boy. La tua ragazza tornerà presto.”

 

“Sì ma non ci sarà alla partita.”

 

“Allora vedi di concentrarti molto, perché io non voglio perdere!” Chad li raggiunse e passò un braccio attorno alle spalle della sua ragazza “Quanta roba c’è da mangiare?”

 

Taylor alzò gli occhi al cielo: “Abbastanza per tutti. Cavolo, Danforth, a volte mi stupisco di quanto tu sia un maiale. E poi, santo Cielo, puzzi!”

 

“Non è puzza, è odore maschio. Denota la nostra mascolinità. La nostra forza.”

 

Troy e Taylor si scambiarono un’occhiata: “Dì un po’, amico, sei stato con le tue cuginette di recente?”

 

Chad si accigliò: “Sì, perché?”

 

“Perché le chance sono due. O hai guardato troppo Hannah Montana, o troppi documentari sul Fantastico Mondo degli Animali.”

 

Il ricciolino tirò il pallone al suo migliore amico: “Parla per te, Romeo. Come farai ora che la tua Giulietta è partita? Rischierai di subire la punizione capitale del tuo migliore amico se non pensi ad altro che a lei, oppure rimetterai la testa sulle spalle e schiaccerai i Knights?”

 

Troy incrociò le braccia ed alzò un sopracciglio, divertito: “Sai, questa tua rielaborazione di Romeo e Giulietta è interessante. Potresti proporla alla Darbus, chissà che non ne venga fuori un bellissimo spettacolo.”

 

Chad rivolse gli occhi al cielo: “Basta ci rinuncio. Bolton, quando avrai di nuovo sale in zucca, ti aspetto in campo.”

 

Taylor e Troy ridacchiarono: “Verrai alla partita?” domandò poi il ragazzo. La mora annuì: “Io e Kelsie abbiamo già i biglietti. Direttamente sopra la panchina dei Wildcats.” Gli fece l’occhiolino e continuò “Martha e Sharpay invece, come sai, saranno tra le cheerleader, per la gioia di Corinne O’Connors.”

 

Troy raccolse un pallone arancione da terra e lo fece roteare sopra l’indice: “Ho capito male oppure sarà Ryan a fare da mascotte?”

 

La ragazza rise: “No, è proprio vero. A quanto pare, Sharpay non si fidava della mascotte attuale, ed ha, uhm, gentilmente chiesto al fratello di prendere il suo posto.”

 

“Scusate, volete continuare a fare salotto laggiù?” urlò Chad alzando un braccio, sostenuto da Zeke e Jason, appena arrivati “Noi vorremmo giocare!”

 

Troy sospirò: “Ci vediamo alla partita, Tay. Sempre se arrivo vivo, credo che Chad abbia intenzione di massacrarmi.”

 

Lei sorrise: “Buon allenamento, capitano. A sabato.”

 

 

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“Non ti vedo da sei ore. È troppo. Il mio povero cuore non può reggere.”

 

Gabriella ridacchiò, stringendo il cellulare: “Non è il tuo cuore a non reggere, Wildcat.”

 

Lo sentì fingere indignazione, all’altro capo della linea: “Ehi, Montez, cosa sono certe insinuazioni?”

 

“Oh, solo banali osservazioni derivanti dal fatto che anche a scuola non mi togli mai le mani di dosso.”

 

“Non è colpa mia se sei così dannatamente sexy in versione professoressa di matematica.”

 

Gabriella arrossì vistosamente, lanciando un’occhiata a sua madre che si stava pettinando davanti allo specchio, canticchiando, nella loro camera d’albergo a Phoenix, dove avevano deciso di passare il weekend: “Piantala.”

 

Troy rise: “Ohoh, abbiamo toccato un tasto dolente eh? O dovrei dire… godente?”

 

Se possibile, la sfumatura di rosso sulle guance della ragazza si scurì ancora di più: “Troy Bolton, se non vuoi che riattacchi immediatamente, smettila subito.”

 

“Va bene, va bene. Com’è Phoenix?”

 

“Bella, anche se abbiamo girato solo un’oretta. Adesso stiamo per andare a cena. Tu come stai?”

 

“Beh, se tralasciamo la stanchezza, la fame ed il fatto che Chad mi ha massacrato perché non voleva ammettere la sconfitta, direi bene. Ah, giusto, e la partita è dopodomani, e a quanto ne so ci saranno anche degli osservatori dell’NBA.”

 

“Dici davvero? E’ meraviglioso! Vorrei poterci essere anche io…”

 

“Ma tu ci sarai, piccola. Prometto che ti dedicherò ogni canestro.”

 

Di nuovo, un colore rosato si dipinse sulle guance di Gabriella: “Grazie. Ora devo andare, mia mamma è pronta ad uscire. Ci sentiamo domani?”

 

“Certamente. Divertiti, mi raccomando. Ti amo.”

 

“Anche io…” Gabriella chiuse la comunicazione e sospirò, guadagnandosi un’occhiata incuriosita da parte di sua madre: “Che succede, querida?”  

 

Lei scrollò le spalle: “Niente mamma. È solo che… beh, dopodomani c’è l’ultima partita dei Wildcats e mi sarebbe piaciuto esserci. Troy è così teso… ma non fa niente, la potrò sempre rivedere in DVD, Kelsie porterà la sua videocamera.”

 

Maria Montez sorrise comprensiva e le mise una mano sulla spalla: “No te preocupes, querida. Vamonos, vale?

 

 

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Il rumore della folla, dei tamburi e della banda era lontano, ma chiaro come non mai negli spogliatoi bianchi e rossi. O forse, l’emozione di essere lì, di nuovo, lo rendeva ancora più fragoroso, più presente, che schiacciava il silenzio concentrato e teso.

 

Taylor era appoggiata al muro appena fuori dagli spogliatoi. Mancava ancora più di mezz’ora all’inizio della partita, eppure la palestra era già gremita di colori rivali. Batteva impaziente la punta della sua ballerina bianca contro il pavimento, scandendo i secondi che la separavano dall’incontrarsi con Chad. Strano a dirsi, era agitata anche lei per la sfida incombente. Diede uno sguardo distratto all’orologio che portava al polso e sbuffò, scostandosi i capelli perfettamente lisci.

 

In quel momento, una porta degli spogliatoi si aprì e ne uscì Chad, già con la divisa addosso: “Ehi,” la chiamò “Siete già tutti qui?”

 

La ragazza annuì e gli si avvicinò: “Noi e tutta la scuola. Non ho mai visto la palestra così piena. Sharpay e le altre hanno già incominciato a trattenere il pubblico. Non stupirti, è brava anche come cheerleader.”

 

Chad le avvolse i fianchi e posò il mento sulla sommità della sua testa: “Sono nervosissimo.”

 

Taylor lo abbracciò ridendo: “Vedrai che andrà tutto bene. Siete i Wildcats, avete vinto due campionati, il vostro segreto sta nell’essere una squadra. Non dovete avere paura dei Knights.”

 

“Ehi, io non ho paura!” rimbeccò il ragazzo, solleticandola “E’ solo che… beh, è tanto che non giochiamo in questa palestra, davanti a questa gente. Se li deludiamo, tutto quello che abbiamo cercato di insegnargli in queste due settimane andrà all’inferno. E poi non mi è mai piaciuto essere battuto da quegli antipatici della West High.”

 

La mora alzò il viso e gli diede un bacio leggero: “Allora metticela tutta. Almeno questo serve a darti un po’ di senso di responsabilità.”

 

“Io sono responsabile. Ma a volte le responsabilità sono noiose.”

 

Taylor rise: “Quindi io sarei noiosa?”

 

“No,” scosse i riccioli ribelli “Tu sei la priorità, che è diverso.”

 

Le guance della castana si tinsero di rosso: “Mmm, molto galante, signor Danforth. Non è che hai qualcosa da farti perdonare?”

 

“Non posso fare un complimento alla mia ragazza?” replicò lui, fingendosi offeso.

 

La ragazza in questione gli diede un’amichevole pacca sul petto: “Vai, Don Giovanni, ritorna nello spogliatoio. Sbaglio o il coach dice sempre che dovete concentrarvi sulla partita?”

 

“Aspetta,” Chad la tirò per una mano e la strinse a sé “Prima voglio il bacio portafortuna.”

 

Taylor rise e lo baciò teneramente, infilando una mano tra i suoi ricci selvaggi.

 

“Ragazzi, per favore, siamo in un luogo pubblico.” la voce ironica di Sharpay li fece separare di scatto. “Evans, che ci fai qui?”

 

La bionda, in tenuta bianca e rossa da cheerleader [quella del terzo film, avete presente? xD Nda], scosse le spalle: “Sono venuta a cercare Zeke. E siccome non ho intenzione di entrare in quello spogliatoio sporco e puzzolente, vammelo a chiamare.”

 

Il numero otto roteò: “Ai suoi ordini, maestà. Ci vediamo dopo.” dato un altro bacio a Taylor, corse negli spogliatoi, mentre la sua ragazza si rivolgeva alla sua amica: “Stai benissimo, Sharpay.”

 

Questa ultima sventolò una mano: “Naturalmente. Certo, se questa divisa fosse rosa… ma evidentemente in giro c’è questa strana, mh, cosa del ‘non puoi avere tutto dalla vita’, quindi… mi sono dovuta accontentare.” si spazzolò della polvere invisibile dalla gonna a pieghe, lanciando poi la sua magnifica chioma bionda, parte della quale raccolta da una coda, oltre la spalla. “C’è anche quella tra il pubblico?”

 

Taylor alzò gli occhi al cielo, divertita: “Sì, c’è anche Rebecca, Ryan è riuscito a trovarle un posto.”

 

Sharpay sbuffò, mettendo le mani sui fianchi: “Perché mio fratello non usa il cervello quando decide di fare una cosa? Anzi, perché non lo usa mai? Si vede che si è mischiato a quei… Wildcats!”

 

La mora scoppiò a ridere: “Credo che tu gli abbia appena fatto un complimento, Shar. Ora scusami, ma vado al mio posto. Ci vediamo dopo!”

 

“Riprendetemi bene con la videocamera!” le gridò dietro “Ma quanto ci mette Zeke?”

 

“Eccomi, eccomi, sono qui! Il coach ci stava dando le ultime istruzioni!” il ragazzo entrò correndo nel corridoio che portava dagli spogliatoi alla palestra “Ma… tu che ci fai qui?”

 

“Ehm…” Sharpay spostò il peso da un piede all’altro, nervosa “Sono venuta per… dirti in bocca al lupo per la partita.”

 

“Oh.” Il numero trentadue dei Wildcats spalancò la bocca, stupito. “Wow. Cioè, volevo dire, grazie, crepi!” le si avvicinò per darle un bacio, ma la bionda alzò una mano, fermandolo: “Zeke. Il trucco.”

 

“Ops, scusa.” si spostò all’ultimo momento, posandoglielo sulla fronte. “Farai il tifo per me?”

 

Lei sorrise e si girò, mostrandogli un bel numero 32 stampato sulla schiena della sua maglietta rossa: “Giusto per farlo capire a tutte quelle galline.”

 

Zeke rise e le fece l’occhiolino: “Ci vediamo dopo.”

 

 

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Gioco corretto e leale, aveva ricordato Jack Bolton prima dell’inizio della partita tra East High Wildcats e West High Knights. Ma quella, più che una partita, sembrava una battaglia all’ultimo sangue.

 

Il gioco veniva interrotto ogni due secondi dall’arbitro a causa di falli, scorrettezze e violenza in campo. Chad sfoggiava già un labbro spaccato, Jason aveva un taglio all’altezza dello zigomo, Troy aveva perso la sensibilità al gomito a forza di usarlo per spintonare gli avversari, e Zeke esibiva fiero un bernoccolo sulla fronte esito di uno scontro con un avversario. E tutto questo dopo solo dieci minuti di gioco.

 

Neanche tra le cheerleader c’era pace; poco prima dell’inizio della partita, per cause ancora sconosciute, c’era stato un vero e proprio scontro fisico tra le due tifoserie. Ryan, in costume da mascotte, aveva dovuto portare via a forza sua sorella, che stava rischiando di staccare il cuoio capelluto alla caposquadra dei Knights.

 

Non c’era bisogno di dire che, naturalmente, gli spettatori erano in delirio.

 

“Cretino di un arbitro, non vedi che è fallo?!?” strepitò Taylor, in piedi come il resto della folla “Ha fatto quarantamila passi con la palla in mano!!”

 

“Già, mettiti gli occhiali!” la supportò Kelsie, che aveva il berretto tutto storto.

 

Una sirena annunciò la fine del primo quarto d’ora di gioco, e le due squadre andarono a ritirarsi negli spogliatoi, mentre le cheerleader occupavano il campo e riprendevano a sfidarsi a colpi di coreografie.

 

“Avevo detto di giocare pulito!” ruggì Jack Bolton non appena tutti i Wildcats si furono seduti sulle panchine del loro spogliatoio, sbattendo la sua cartelletta contro l’armadietto più vicino “Mi sembra di essere davanti ad un campo di battaglia!”

 

“Noi ci proviamo a giocare pulito, ma sono stati loro ad iniziare, papà!” replicò ad alta voce Troy, così arrabbiato da dimenticarsi addirittura di chiamarlo ‘coach’ “Se non vuoi che perdiamo come delle femminucce, allora dobbiamo fare il loro stesso gioco!”

 

“E invece no, Troy!” il tono di voce del coach li fece sobbalzare tutti quanti “Non è questo che vi ho insegnato per quattro anni, non è questo che volete mostrare a tutti quei ragazzi che vi stanno guardando e fanno il tifo per voi! Non dovete abbassarvi al loro livello! Voi dovete far vedere che siete capace di batterli, siete capaci di essere i migliori anche giocando nel modo corretto! E non importa se alla fine non riuscirete a vincere, l’importante è aver dimostrato che non volete barare a tutti i costi solo per ottenere ciò che volete. È l’ultima volta che alcuni di voi indossano questa maglia, ragazzi. Fate vedere qual è il vero spirito dei Wildcats.”

 

“Il coach ha ragione,” Chad si alzò in piedi e guardò ad uno ad uno i suoi compagni di squadra “Il modo in cui giochiamo stasera è ciò che ci lasciamo alle spalle. Il ricordo di noi. E dipende da noi. E’ la nostra ultima occasione. Chi è con me?”

 

Il suo migliore amico lo raggiunse e gli posò una mano sulla spalla: “E’ la nostra ultima occasione per lasciare un segno. Quindi rendiamola indimenticabile.”

 

Il ricciolino sorrise, mentre tutti gli altri annuivano: “Chi vince?”

 

“Wildcats!”

 

Uscirono correndo, gridando e saltando dagli spogliatoi, ansiosi di ritornare in campo e dimostrare il loro valore, accolti dalle urla degli spettatori.

 

Chad catturò lo sguardo di Taylor nella folla, e le fece l’occhiolino, mentre si posizionava al centro del campo, davanti al suo avversario giallo-blu. Il fischio dell’arbitro segnò la ripresa del gioco.

 

 

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I corridoi della East High erano deserti e silenziosi; le grida della partita erano solo un ronzio lontano che si avvicinava sempre più nella sua corsa verso la palestra. Il rumore delle sue ballerine bianche a contatto con il pavimento rimbombava tra i muri, mentre il suo respiro affannoso le riempiva le orecchie. Scivolò mentre girava un angolo, decidendo di tagliare per il corridoio ovest. Sperava di essere ancora in tempo almeno per l’ultimo quarto di gioco. Si tirò leggermente su l’orlo del vestito bianco per poter correre meglio, e finalmente giunse in vista delle porte rosse della palestra. Già da lì, le grida erano assordanti. Prese fiato e spinse le porte.

 

Una moltitudine di rosso, bianco, giallo e blu le si parò davanti agli occhi, mentre veniva circondata da ovazioni, fischi, cori di cheerleader e trombette. Guardando verso il grande tabellone segnapunti, vide che mancavano ancora dodici minuti alla fine della partita.

 

Sorrise, e lo cercò con gli occhi tra le frecce che saettavano nel campo. Eccolo là, sudato, i capelli appiccicati alla fronte, che cercava di intercettare un passaggio dei suoi avversari. Sapendo di non poter rischiare di chiamarlo, per non fargli perdere la concentrazione, si mise a tifare come tutti gli altri.

 

Ma ecco che, proprio mentre riusciva a prendere la palla, uno dei Knights si lanciò contro di lui e cozzarono l’uno contro l’altro.

 

Il colpo fu così duro che Troy cadde a terra, con l’aria che gli uscì d’un colpo dai polmoni. Gli sembrò che la scena rallentasse, che la palestra fosse all’improvviso più silenziosa. Cominciò a tossire; era stanco, dolorante, sembrava che i polmoni rifiutassero di accogliere l’aria al loro interno. Sentì Chad chiamare il suo nome mentre si rialzava a fatica, appoggiandosi al pavimento lucido; sentì suo padre che lo incitava, la folla che acclamava. E alla fine, sentì lei. No, era impossibile, Gabriella sarebbe dovuta arrivare dopo la partita! Aveva anche le allucinazioni, adesso?

 

“Troy!” si voltò verso la direzione da cui proveniva il suo nome. No, non era un sogno. Gabriella era davvero lì, con indosso un vestito bianco stretto in vita da una fascia rossa e il suo jersey con il numero 14 e il nome Bolton sulla schiena e sulla manica, che lo guardava con aria preoccupata ma sorridente. Si sentì come se avesse recuperato tutte le forze. Lei era lì, e lo stava guardando. Aveva voglia di attraversare il campo di corsa per stringerla e baciarla, ma sapeva che non era possibile.

 

Senza staccare gli occhi dai suoi, si strinse in pugno la maglietta all’altezza del cuore: “Faccio fatica a respirare…” mimò, ben sapendo che lei poteva capirlo.

 

Infatti, la vide annuire: “Ce la puoi fare. Sappi solo che io ci credo.”

 

Era come se le parole di lei, appena sussurrate, fossero le uniche che echeggiavano nella palestra rumorosa. Era impossibile, lo sapeva, c’era troppo frastuono, eppure lui le sentiva: “Ed è tutto quello che mi serve.”

 

Gabriella sorrise: “Allora forza.”

 

Troy strinse i pugni: “Rendimi forte.”

 

Chad lo raggiunse e gli mise una mano sulla spalla: “Stai bene?”

 

Troy annuì, continuando a guardare Gabriella, sorridente: “Andiamo.”

 

La scena sembrò riprendere a scorrere a velocità normale, se non accelerata. “Mancano quattro minuti.” lo avvisò il numero 8 mentre gli passava la palla per consentirgli di eseguire i tiri liberi che gli spettavano per il fallo subito.

 

Il capitano prese fiato e segnò un canestro dopo l’altro, ad occhi chiusi. Ogni respiro, un punto, tutti dedicati a lei. Eppure, ancora non bastavano. I Knights erano avanti di quattro punti, ed il tempo correva veloce.

 

“Forza Wildcats!” strillarono le cheerleader, sostenute dalla banda, che instancabilmente continuava a rullare i tamburi.

 

“Qual è il piano, capitano?” chiese Zeke, avvicinandosi a Troy mentre aspettavano l’inizio dell’azione.

 

Con un occhio fisso al centro del campo, dove Chad aspettava che l’arbitro lanciasse in aria la palla, Troy elaborò: “Marca il 23, Tibbits. Continua a fare falli per allontanare Jason dal canestro. Se riusciamo a tirare da fuori area, recuperiamo tre punti. Io cerco di tenere Dench lontano dal canestro; se sono libero, passatela a me o a Chad. Dobbiamo vincere.”

 

Il fischio dell’arbitrò risuonò nella palestra, e tutti i dieci giocatori scattarono. Chad prese la palla e la passò a Robert, che scartando uno dei Knights riuscì a farla arrivare fino a Jason, libero grazie a Zeke. Tirò, e il divario di tre punti fu recuperato, con un gemito di disperazione dalla folla giallo-blu.

 

“Sì!” esultò Troy “Forza, ragazzi, non molliamo!”

 

Corse vicino al canestro, ma fuori dall’area dei due punti. Era pazzo, lo sapeva, stava rischiando troppo, mancavano solo quarantacinque secondi, ma voleva un tiro da tre. Voleva riuscire a batterli con due punti di vantaggio, come non succedeva da due campionati. “Zeke!” chiamò, attirando l’attenzione del suo amico che aveva il possesso palla “Passala a Chad!”

 

Il battito del suo cuore gli rimbombava nelle orecchie, si scostò con un cenno della testa i capelli dagli occhi. Il suo migliore amico si avvicinò, scartando con un’ottima finta un avversario. Si guardarono negli occhi, capendosi in un lampo. Troy scattò a destra, aggirando il capitano dei Knights; la palla volò sopra quest’ultimo, e il numero 14 a prese al volo, si girò e senza quasi mirare, tirò.

 

Il tempo, di nuovo, sembrò rallentare; tutta la tribuna dei Wildcats trattenne il respiro, osservando la traiettoria della sfera arancione che si avvicinava sempre di più al canestro. Rimbalzò contro il tabellone, fece un giro contro l’anello metallico, e poi, dopo un tempo che apparve infinito, entrò nel cesto, un secondo prima che suonasse la sirena di fine partita.

 

Un boato esplose dalle gradinate della scuola, che si rovesciarono i campo assieme alle cheerleader. L’intera squadra sommerse Troy, si abbracciarono tutti, finchè la spinta di centinaia di studenti non tolse ad ognuno il respiro. Jack Bolton riuscì a farsi largo tra la folla, in mano la coppa, e la passò a suo figlio, che fu caricato sulle spalle dei compagni. Altre urla nacquero quando essa fu alzata in aria.

 

“Fatemi scendere, ragazzi!” gridò, dopo aver scorto tra la folla una chioma corvina di suo interesse. Lasciò la coppa a Chad, che iniziò a coccolarla come se fosse sua figlia, e corse tra la gente finchè non trovò quel vestito bianco e quel sorriso dolce.

 

La prese tra le braccia e la fece girare: “Cosa ci fai qui? Pensavo arrivassi solo stasera!”

 

Gabriella ridacchiò, tenendo le braccia incrociate dietro al collo di lui anche quando ritornò coi piedi per terra: “Diciamo che mia mamma si è intenerita e ha deciso di riportarmi a casa subito. Non ho idea di come sia fatta Phoenix!”

 

Troy rise e appoggiò la fronte contro quella di lei: “Non finirò mai di ringraziare tua madre per averti portata qui, Montez.”

 

Lei arrossì e chiuse il divario tra le loro labbra. “Sei sudato. E puzzi.” borbottò dopo un po’.

 

“Ehi, ho appena segnato il canestro del secolo, puoi concedermelo!”

 

La mora rise e lo spinse via: “Vatti a lavare, ti aspetto fuori insieme agli altri.”

 

Il capitano le strappò un altro bacio, poi corse insieme alla sua squadra negli spogliatoi, mentre tutta la scuola sciamava fuori, in festa.

 

 

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Il campo da rugby della East High brillava sotto il Sole; là, dove c’era stata la cerimonia dei diplomi, si stava scatenando la festa per la vittoria. Era un tripudio di rosso e bianco, la musica era diffusa dalle casse che erano state, ehm rubate dal teatro della Darbus. La squadra vincente arrivò nel campo, mischiandosi ai loro compagni. Taylor corse verso Chad e gli saltò in braccio: “Abbiamo vinto!!!”

 

“Ti amo, piccola. Giuro, domani ti porto fuori e ti compro tutto quello che vuoi!”

 

Troy, accanto a loro, rise e cercò Gabriella tra la folla; prima che potesse raggiungerla, però, un uomo dall’aria simpatica gli si parò davanti: “Troy Bolton?” annuì, e l’uomo continuò “Sono Kyle Matthews, osservatore dei Lakers. Vengo da parte della UCLA di Los Angeles. Mi è piaciuto il suo modo di giocare. Suo e del suo amico laggiù, Danforth, giusto?”

 

Boccheggiando per lo stupore, il ragazzo si schiarì la gola: “Ehm, sì! Sì, grazie!”

 

Il signor Matthews sorrise, accendendosi un sigaro: “Abbiamo avuto ottime notizie su di voi, e venire a vedervi oggi me le ha confermate. Non ci dispiacerebbe avervi nella nostra università, l’anno prossimo. Potrebbe aprirvi le porte per i Lakers.”

 

“Da-davvero? Wow! Cioè, volevo dire, sarebbe fantastico! Però… dovrei prima sentire i miei genitori, e Chad…” e mentre diceva così, l’occhio gli cadde su Gabriella, che poco distante rideva assieme a Martha.

 

“Oh, non preoccuparti, ragazzo. Avete tutto il tempo per pensarci. Basta sapere la vostra risposta entro il prossimo settembre. Ma, fossi in voi, ci penserei bene. È una grande opportunità.” Matthews masticò il suo sigaro “Comunque, vi arriverà una lettera. Spero di vedervi, l’anno prossimo. Arrivederci.”

 

Lasciando uno spiazzato Troy nel mezzo del campo, se ne andò seguito da una scia di fumo puzzolente. Il ragazzo, intanto, stava ancora metabolizzando la notizia. Lui, Chad, Los Angeles, i Lakers… gli sembravano un sogno! E poi, davanti ai suoi occhi, balenò l’immagine di una ragazza bruna dal sorriso più bello del mondo… la stessa ragazza che in quel momento gli buttò le braccia al collo: “Ehi, Wildcat! Sei nel mondo dei sogni?”

 

Troy le sorrise: “No, scusa. Pensavo.”

 

Gabriella si accigliò: “A cosa?”

 

“Niente di importante,” scosse la testa e la prese per mano “Vieni, andiamo.”

 

Fece un cenno a Chad, che gli fece l’occhiolino e gridò: “East High! Venite con me!”

 

Seguendolo, si spostarono tutti nel cortile antistante l’entrata della scuola, senza smettere di festeggiare.

 

Gabriella si tenne stretta a Troy, per non rischiare di perderlo tra la folla; quando si fermarono, salendo sul bordo della fontana, controllò che nella borsa aperta ci fosse la busta bianca con lo stemma di Stanford che aveva trovato nella buchetta delle lettere quella mattina.

 

“Guarda lassù!” la istruì all’orecchio Troy, passandole un braccio attorno la vita e stringendola a sé. Lei alzò lo sguardo verso il tetto della scuola, sopra l’orologio: là stava Chad, che aveva steso un lenzuolo a mò di striscione con scritto Wildcats forever e il loro stemma.

 

Alzò le braccia al cielo e gridò: “What team?”

 

E la folla, unita, tutta insieme: “Wildcats!

 

What team?”

 

Wildcats!

 

What team?”

 

Wildcats!

 

Wildcats! Get’cha head in the game! Forever!”

 

 

 

 

~ The end ~

 

 

 

 

Eh già, ragazze, avete letto bene: Fine!! Dichiaro ufficialmente conclusa Wildcats forever!! Dopo ben un anno e otto mesi di lavoro (sul mio computer è stata salvata l’8 febbraio 2008 ^^), è finita!! L’ultimo capitolo era in lavorazione da un pezzo, e l’ho finito oggi a scuola, tra filosofia e latino (sìì, certo, Hypnotic Poison è sempre moooooolto attenta alle lezioni ^^).

 

Ringrazio sentitamente tutte coloro che hanno commentato il capitolo scorso: ciokina14, Angels4ever, lovely_fairy, kikka93, romanticgirl, Armony_93 e Titty90; a te, cara, ti ho lasciata per ultima perché questo capitolo è il tuo regalo di compleanno un po’ in anticipo. Non smetterò mai di dirti che solo dopo aver letto le tue ficcy ho avuto il coraggio di aprire quella pagina bianca di Word e buttare giù una storia che al principio non doveva essere così lunga, e nemmeno così sorprendentemente tanto amata. Perciò, grazie ancora e buon compleanno ^^

 

Naturalmente, ringrazio anche tutte/tutti coloro che mi hanno seguita fin dall’inizio e che hanno commentato precedentemente; vorrei nominarvi tutti, ma siete davvero troppi.

 

Prometto che cercherò di non farmi attendere troppo con altre fic; finita questa, mi tolgo un grave peso dalle spalle, ma la mia vita è abbastanza incasinata in questo momento, e sono davvero rarissimi i momenti in cui riesco a scrivere. Per questo mi sono sforzata così tanto di concludere con questo capitolo, che spero vi abbia soddisfatto.

 

Un bacione davvero, ed ancora mille grazie.

 

Your Wildcat forever,

 

Hypnotic Poison  

   
 
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