Fianchi rotondi
Capitolo 5
La luce fioca della lucerna scolpiva i lineamenti affilati e gli zigomi
prominenti di Aristandro regalandogli un’aria
decisamente inquietante e un sapore sibillino alla sua voce che ben
s’addicevano ad un indovino.
Alessandro si era prontamente accomodato su un
treppiede alquanto fragile e agitava nervosamente la gamba sinistra,
accavallata su quella destra, stringendo le braccia conserte al petto e
mangiandosi letteralmente il labbro inferiore.
Per un attimo, il cigolio del treppiede,
esasperato dall’agitazione del re, fu l’unico sinistro rumore ad
infrangere il grave silenzio che ottenebrava la stanza.
- Ricordi l’ultimo banchetto che avevi organizzato?
Alessandro si passò una mano fra i
capelli madidi di gelido sudore riavviandoli all’indietro e
corrugò la fronte dilatando le pupille come se dovesse sottoporsi ad un
enorme sforzo. La gelida maschera di Efestione era
rimasta impressa nella sua mente come marchiata a fuoco e non riusciva a
pensare ad altro. – Sì… sì, mi pare di ricordarlo.
Sono passate quasi due settimane da allora. Perchè?
Aristandro cercò qualcosa sullo
scrittoio e quando sembrò averlo trovato lo svelò da una delle
sue estrose mantelline, tinta di porpora ricamata d’oro con motivi
arabeggianti.
Alessandro sembrò risvegliarsi da un
agitato torpore e scosse la testa rilassando i lineamenti in un amaro sorriso.
Tra i soldati correva voce che Aristandro cambiasse la
palandrana più spesso che la biancheria.
L’indovino portò l’oggetto
alla luce della lucerna.
- Una coppa in
bronzo.
- Sì.
- Come mai è qui?
- Questo non ha importanza. Ricordi chi bevve
nelle coppe in bronzo?
- Sì, certo. I generali e anche…
tu.
- Benissimo. Sai dirmi se oltre al vino avevi
ordinato qualche altra bevanda dalla Macedonia?
- Avevo ordinato solo il vino, perché
lo prediligo a quello persiano.
- Solo il vino, quindi?
- Solo il vino. – inclinò il capo
a sinistra e alzò il sopracciglio destro – Dove vuoi
arrivare?
- C’è un enigma che mi turba da
qualche giorno a questa parte. Annusa questa coppa.
Alessandro vinse il suo scetticismo e
accostò il naso alla coppa. – Quindi?
- Non senti niente?
- Niente.
- Dannazione.
- Ma cosa stai
cercando di dirmi?
- E’ qualcosa di strano, Alessandro. Non
riesco a spiegartelo bene, ma sento che c’è qualcosa di strano.
Alessandro sbadigliò. – Se
è qualcosa di strano, come dici, allora io non
posso aiutarti, questa è una cosa che fa per te.
- Non mi credi, eh?
- Ti credo, Aristandro, finora non ti sei mai
sbagliato, ma se non mi spieghi quello che senti non
potrò mai aiutarti.
- E’ un odore… - i suoi tondi
occhi glauchi si alzarono al cielo come se volessero cercare qualcosa
d’inconsistente e le sue mani si persero a tracciare cerchi immaginari
nell’aria – Non so come dire… qualcosa di inebriante.
Qualcosa di dolce, di amaro, qualcosa di energico, di
soave…
Alessandro socchiuse
gli occhi per cercare di interpretare quegli incerti accostamenti di parole. – Non
capisco… forse è qualcosa che solo i sensi straordinariamente
affinati di un indovino possono percepire.
Aristandro si bloccò e fissò il
re con la bocca spalancata.
- Ho detto qualcosa che non va?
- Sensi affinati… - scandì quelle
parole e tenne le pupille ridotte a due puntini immobili su Alessandro come se
avesse visto il viso di Zeus in persona sostituirsi a quello del sovrano
– I sensi affinati di un indovino… i sensi
affinati… aspettami qui, Alessandro. Torno subito.
Alessandro, incapace di immaginare cosa stesse
per combinare il veggente e nemmeno tanto interessato a provarci, si
abbandonò sul letto e fissò il soffitto sopra di sé.
Completamente bianco. Nessun affresco, nessuna
decorazione. Aristandro aveva scelto una stanza
incredibilmente spoglia e umile, perché, diceva, il lusso non
accompagnava la meditazione. Mentre sentiva l’indovino armeggiare con
ampolle e strani contenitori nella camera adiacente, comunicante con quella da
letto tramite una piccola porta senza serratura, i suoi pensieri volarono fino
all’immagine di Diogene nudo e assorto nei suoi pensieri, con gli occhi
pressati in un’espressione di profonda concentrazione che aveva in
sé qualcosa di addirittura malefico, e alla sua casa spoglia e umile,
come la stanza di Aristandro. Evidentemente essere
speciali implicava essere strani. Sorrise. Chissà se qualcuno trovasse
strano anche lui.
Il passo irrequieto dell’indovino che si
avvicinava allo scrittoio lo distolse dai suoi pensieri.
- Vieni qui,
Alessandro.
Il re si alzò svogliatamente dal
giaciglio e raggiunse Aristandro. Quando
vide cosa stringeva tra le mani non poté trattenere una smorfia di puro
ribrezzo.
- Cosa sono?
Aristandro appoggiò sullo scrittoio un
barattolo colmo d’acqua fino a metà, al cui interno si
diguazzavano tre o quattro creature dall’aspetto raccapricciante. –
Scorpioni. Li catturai mentre marciavamo lungo la
strada per Babilonia. – sorrise - Li osservo da giorni
ma non ne vogliono sapere di accoppiarsi. Chissà, forse non si
piacciono!
- O forse sono dello
stesso sesso tutti e tre.
- No! La femmina è leggermente
più piccola del maschio ed ha un colore diverso, più chiaro.
Vedi? – gli indicò lo scorpione più grande per fargli
notare la differenza.
Alessandro si abbassò e avvicinò
il viso al barattolo. – Sono orribili. E
velenosi.
- Questi sono niente a confronto di quelli del
deserto! – ridacchiò Aristandro.
- Perché li
hai portati qui?
- Perché i loro sensi sono molto
più aguzzati di quelli degli esseri umani, e potrebbero percepire molto
di più di quanto io non riesca. Per esempio, un
qualche strano sapore. Voglio fare un semplice esperimento.
- Credo di capire a cosa ti riferisci.
– le sue parole erano prive di ogni convinzione.
Aristandro senza battere ciglio infilò
una mano nel barattolo, prese per la coda lo scorpione
maschio e lo appoggiò all’interno della coppa, Alessandro distorse
la bocca ma assistette alla scena, assorbito dalla sicurezza con cui Aristandro
maneggiava i suoi animali e le sue intenzioni. Lo scorpione esplorò quel
nuovo ambiente con smaniosa curiosità, salendo e scendendo dalle pareti
insormontabili di quella nuova prigione, tastò il bronzo con le zampette
e serrò i cheliceri. La mano di Aristandro lo
afferrò di nuovo per la coda e lo ripose nel barattolo.
- Osserviamone la reazione.
Si chinarono per guardare meglio
all’interno del barattolo; anche Alessandro si scoprì interessato
a notare qualche cambiamento nell’aspetto o nel comportamento dello
scorpione.
L’animaletto corse come impazzito contro
la prima delle due femmine che intralciò il suo
percorso verso il fondo del barattolo e si ancorò ad essa, rilasciando
dei piccoli granelli che vennero subito raccolti dall’altra.
Alessandro aggrottò le sopracciglia,
tentando di capire cosa stesse succedendo.
– Per tutti gli dei! Hai visto? –
Aristandro sgranò gli occhi - Si stanno
accoppiando! – afferrò la coppa e la osservò da tutte le angolazioni manipolandola freneticamente - Lo dicevo, io,
che questo era amore a prima vista!
Alessandro non riuscì a condividere le
esultanze dell’indovino. Non riuscì nemmeno a capacitarsi di
quello che aveva appena visto. Riuscì soltanto a tenere gli occhi
incollati alla coppa di bronzo gettata all’aria e poi riafferrata dalle
mani di Aristandro.
- A
proposito, Alessandro. –
il veggente gli si rivolse con uno sguardo indecifrabile, forse storpiato dalla
luce difforme della lucerna – Ho come
l’impressione che ultimamente tra te ed Efestione non sia tutto come
dovrebbe essere.
Alessandro increspò le sopracciglia.
– Mi sembra di vivere un incubo, Aristandro…
è innamorato di una donna. E sembra
essersi completamente dimenticato di quello che provava per me. - gettò
gli occhi al pavimento e scosse la testa.
- Non ti sembra che ci siano un po’
troppe cose che facciano pensare a…
- So cosa stai per dire, Aristandro, ti
prego, non continuare. – sospirò – …E io che pensavo
che certe cose potessero prendere forma solo nella fantasia dei cantori e dei poeti… ma sei sicuro che…?
Aristandro chiuse gli occhi e annuì
solennemente. – Mio caro Alessandro, nella mia
lunga vita ho assistito a fenomeni incredibili. E non stento a dare credibilità al parere che…
- No, Aristandro. Lo so. Non lo voglio neanche
sentire. – si alzò dal cigolante treppiede, che per un attimo
sembrò quasi respirare, e si diresse a passi strascicati verso la
finestra dietro di sé. La grande luna rossa era
parzialmente oscurata da una timida nuvola scura. – Efestione… non
posso crederci… ma chi avrebbe mai
potuto…? I cuochi non avrebbero avuto interesse… forse quella
strega di Narda… - la sua voce crepò e in un attimo Alessandro si
abbatté al suolo in un agghiacciante mugolìo,
attanagliandosi i capelli, tirandoli nervosamente, stringendoli fino a che le
nocche delle dita non divennero bianche, le sue labbra si deformarono in
un’espressione di inquietante disperazione; si
contorceva sul pavimento, scuoteva la testa e scalciava freneticamente come se
volesse scacciare il demonio in persona dalla sua mente, piangeva e delirava
incomprensibili imprecazioni, per poi addormentarsi di colpo.
Aristandro aveva assistito alla
scena seduto sul treppiede, limitandosi ad aspettare che il sovrano si
calmasse, dopodichè lo prese tra le braccia e lo distese sul letto.
Si addormentò accanto a lui, con una
mano sul suo petto, come se volesse infondere nel suo animo spossato il calore
che rigonfiava le sue vene.
Quando si svegliò, Alessandro dormiva
ancora saporitamente. Sul suo volto era dipinto un sorriso beato: evidentemente
stava godendosi un sonno tranquillo e ristoratore. Decise di
non disturbarlo, quella quiete avrebbe rigenerato i suoi sensi e i
riflessi del suo intelletto permettendogli di ragionare con maggiore
lucidità.
Si alzò dal letto e contemplò a
lungo la coppa di bronzo. Chi mai avrebbe potuto trarre favore
nell’allontanare Efestione da Alessandro? La donna che aveva visto
assieme al generale sul ballatoio? O qualcun altro?
Quella situazione sapeva davvero di assurdo, e
sicuramente l’artefice doveva essere una persona profondamente disturbata
dal rapporto che univa i due giovani amanti, ma l’abilità con cui
la droga era stata preparata e somministrata lasciava trapelare una certa
esperienza con infusi e boccette.
Agguantò la coppa e la strinse forte
nella sua mano.
Aprì gli occhi e la prima cosa che sentì fu un lurido
guanciale impregnato di lacrime aspre.
Quella notte non aveva trovato il coraggio di
rimanere accanto al re, e aveva preferito rifugiarsi nella sua camera,
caldissima e così umida, soffocante, come una punizione che aveva
sentito di volersi infliggere. Lì, lontano da tutti, coperto
dall’oscurità e ovattato dalle spesse mura scrostate, aveva
consumato il più drammatico dei suoi pianti, le lacrime erano scorse
impetuose sulle sue guance fino a scavarle come i fiumi scavano
il loro tortuoso percorso tra le pareti delle montagne.
Quando si alzò a sedere sul letto la testa gli girò turbinosamente.
Nonostante tutto, si alzò
e si vestì di tutto punto, doveva andare a svegliare Alessandro.
Camminò barcollando lungo il corridoio
e raggiunse la stanza del re.
Trasalì.
La porta era aperta e il letto disfatto.
In un certo senso si sentì sollevato,
non avrebbe dovuto affrontare lo sguardo mesto del suo re, ma decise comunque di aspettarlo, ovunque si fosse recato, e nel
frattempo si distese sul grande letto a baldacchino al centro della stanza.
Le coperte e il guanciale sapevano ancora di
lui, e mentre si allungava e rotolava tra le lenzuola per avvolgersi del suo
profumo, avvertì in lontananza un rumore di passi svelti e leggeri.
Incuriosito, si alzò e sbirciò fuori dalla
porta. Due gambe snelle si avviavano a passo veloce lungo il corridoio.
L’amante di Efestione.
Di quell’Efestione che non ne voleva sapere di restituire il cuore che
aveva rubato.
- Narda!
La donna si fermò e si voltò
nella direzione da cui aveva sentito provenire la voce. – Bagoas.
- Stai meglio, ora? – gli aveva fatto trovare sul comodino un
vassoio di biscotti dall’impasto semplice e friabile e una caraffa
d’acqua. Non voleva che s’appesantisse, perché appena
avrebbero ripreso a parlare dell’argomento lasciato drasticamente in
sospeso la sera prima lo stomaco avrebbe potuto
giocargli brutti scherzi.
- Sì, Aristandro. Grazie. – si
alzò e sciolse le membra intirizzite dal sonno con qualche flessione
degli arti.
- Ti va di parlare?
Alessandro si voltò verso di lui con
piglio accigliato. – Certo che mi va.
L’indovino si grattò la fronte
rugosa. – Credo che converrai con me che siamo
di fronte ad una situazione alquanto irrazionale. Conosco veleni potenti e
medicine altrettanto potenti, ma con filtri
d’amore non mi era mai capitato di avere a che fare. - abbozzò ad
un sorrisetto malizioso, ma i lineamenti duramente corrugati di
Alessandro lo turbarono non poco. – Di conseguenza, non ho la minima idea di come esso sia preparato. Di ulteriore conseguenza, non ho la minima idea di come esso
possa essere annullato.
Gli occhi di Alessandro
vibrarono, e fece appello a tutte le sue forze per non crollare come aveva
fatto la notte appena trascorsa. – E ora come
facciamo? Efestione è vittima di un incantesimo che potrebbe essere
irreversibile.
- Beh, una soluzione ci sarebbe.
- Cioè?
- Beh, come hai potuto notare dal
comportamento dello scorpione, si tratta di un incantesimo che dovrebbe far
innamorare chiunque lo beva del primo individuo che
vede. Come sai, nel cuore di una persona c’è
posto per un solo, vero amore. Di conseguenza, basterà scoprire
l’artefice, metterlo alle strette con qualche minaccia, far bere
nuovamente la pozione ad Efestione, e…
Alessandro alzò energicamente la mano
destra.
- Non ci pensare. Il suo amore
dev’essere sincero, non frutto di un artificio.
Tutto deve tornare come prima.
Aristandro scosse il capo tristemente e
Alessandro lo chinò ancora più tristemente.
- Pensavo che le leggi dell’amore
potessero essere governate solo da Eros. – affermò
l’indovino – E invece, a quanto pare,
esiste, tra gli uomini, l’empio che si permette di sfidare la
verità divina, spinto da chissà quale dissennato coraggio.
– osservò la coppa di bronzo appoggiata allo scrittoio. –
Questa, oserei dire, è degna opera di una strega.
- Già. Di una strega.
L’indovinò
guardò intensamente il sovrano. – Conosci qualche strega,
Alessandro?
Alessandro non occupava più i suoi pensieri.
Doveva capirlo, in qualche modo.
Quanto gli era costato pronunciare quel vattene davanti ai
suoi occhi umidi e a quel povero corpo snervato, risucchiato di ogni energia;
non avrebbe mai voluto fare del male al suo amico di infanzia, alla persona che
più aveva amato al mondo; si era già rivelato abbastanza vile nei
suoi confronti, e ora si sentiva in colpa per averlo ferito in quel modo,
quella notte. La sua faccia era la maschera della
disperazione, i suoi occhi tremavano dal desiderio di un amore perduto,
così vicino a lui eppure così lontano, irraggiungibile,
dolorosamente sottrattogli.
Dei, era incredibile quanto fosse ancora
in grado di penetrare nelle profondità della sua anima, di capire il
significato dell’increspatura delle sue labbra o delle sue sopracciglia,
del socchiudersi o dello sgranarsi dei suoi occhi.
Ma non avrebbe potuto
prenderlo in giro ancora una volta. Non se lo sarebbe mai perdonato.
Doveva essere, ahilui, sincero fino alla
crudeltà, un po’ per Alessandro, un po’ per il suo orgoglio
già ferocemente ferito.
Due mani leggere s’impadronirono delle
sue spalle e cominciarono a muoversi sapienti in un massaggio risvegliando la
sua carne nervosa.
Non c’era bisogno di voltarsi per
immaginare un corpo da pantera e due labbra carnose socchiuse nel lieve respiro
che si abbatteva alla base delle sue scapole.
- Narda…
- Amore… - le sue labbra
s’appoggiarono sulla sua schiena e cominciarono
a scorrere lasciando tracce di saliva sul loro lento ed esasperante percorso
– Voglio fare un viaggio con te.
Efestione si voltò.
- Ti andrebbe? Solo io e te… - i suoi
artigli affilati si ingarbugliarono tra i capelli di
Efestione. – Lascia questa terra piena di insidie
e questa corte di soldati stremati dalla fatica…
Efestione gettò la testa
all’indietro. Le dita di Narda s’insinuarono sulla sua nuca come se
volessero manomettere i suoi pensieri.
- Corri verso l’ignoto solo per
realizzare un sogno in cui ormai crede solo il tuo re. Invece noi vedremo il
mondo senza inutili ansie, senza la paura di non poter vedere la luce del
giorno dopo; soli, io e te… ci sentiremo dei.
Dèi padroni del mondo, Efestione…
Grazie a
Lisachan, Flora e Dappyna
per i commenti lasciati.