Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
Segui la storia  |       
Autore: Black_Eyeliner    13/11/2009    1 recensioni
***Vincitrice del concorso "Quell'INFERNO di Contest", indetto da DarkRose86***
***Vincitrice inoltre del Premio Speciale "Miglior Trattazione del Pairing"***
“La menzogna sporca l’anima, la rende impura: lentamente la conduce all’inferno. E’ impossibile per chi ha rinnegato la fede aspirare al Paradiso; è impossibile cancellare dalla pelle un marchio a fuoco. Non si può cancellare l’odio, né il dolore. Ed è impossibile elidere dal corpo il seme del male inoculato da un demone…”
SebastianxCiel
Dedicata a tutte le ragazze che hanno partecipato al contest e a chiunque ami la coppia SebastianxCiel.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ed ecco il primo Interludio. Personalmente trovo il pezzo in apertura, uno dei miei preferiti degli Stones, assolutamente sexy e adattissimo a questa prima parte… Se volete ascoltarlo seguite il link^^Sympathy For The Devil

 

Che dire… Spero la storia vi piaccia.

 

 

 

 

 

 

Interlude # 1:

“Sympathy For The Devil”

 

 

“Just call me Lucifer
'Cause I'm in need of some restraint

So if you meet me
Have some courtesy
Have some sympathy, and some taste
Use all your well-learned politesse
Or I'll lay your soul to waste.

 

Pleased to meet you
Hope you guessed my name
But what's confusing you
Is just the nature

Of my game”

 

Rolling Stones

 

 

 

 

 

 

L’indistinto mugghio di Londra era finalmente solo un ricordo; difatti, durante la stagione sociale, la città gremita di nobiluomini e visitatori accorsi da ogni parte dell’Inghilterra rassomigliava ad una bolgia infernale che l’alta borghesia si ostinava a definire vita mondana: lo strepito degli hansom1 e delle carrozze sulle strade lastricate, le risate civettuole di dame in cerca di lascivi piaceri e il chiacchiericcio frivolo dei passanti accalcati in frotte sui cigli e sui marciapiedi delle vie principali accrescevano il desidero dei savi di sottrarsi a quel pandemonio goliardico, in cui anche la notizia di macabri omicidi seriali o il ricorso a narcotiche voluttà erano un ottimo divertissement.

Una volta assolto il compito di dissipare la nebbia per Sua Maestà sull’artefice della carneficina di cui il Times e Scotland Yard continuavano a speculare, la scelta più assennata per il conte era stata quella di ritornare alla propria residenza, nonostante la stagione non fosse ancora giunta al termine.

 

Lontano dal caos frenetico di Londra, la bellezza fiammeggiante dell’estate divampava nella campagna inglese come un incendio dalle mille sfumature d’arancio e di lillà e i raggi color albicocca del sole baciavano languidamente i grappoli di stelle delle orchidee violacee; il dolce vento estivo serpeggiava tra i rovi di rose in fiore, rubandone di tanto in tanto qualche candido petalo e portandolo ad adagiarsi sulla superficie del ruscello, che scorreva placidamente attraverso la rigogliosa radura a sud della villa.

Il barlume giallo miele delle ginestre sfavillava nella luce dorata del primo pomeriggio e il frinire di una cicala solitaria, nascosta tra le polverose radici di un platano, si accompagnava al gorgoglio dell’acqua e al ronzio errabondo di un’ape pelosa, avara del gusto zuccherino del nettare dei papaveri che brillavano sanguigni tra l’erba umida.

 

Le sontuose tende di seta tussorina erano state convenientemente tirate davanti all’ampia finestra per permettere alla luce del sole di inondare la stanza; dai vetri socchiusi l’odore pungente delle margherite era addolcito dalla soave fragranza del tè, versato con eleganza nella tazza di porcellana cinese, decorata a mano dai più raffinati artigiani d’Oriente.

 

-Earl Gray?

 

Le piccole labbra, delicate come ali di farfalla, si attillarono all’orlo della tazza rifinito da ghirigori dorati, lambendo appena il liquido bollente all’interno, e narici armoniosamente cesellate ne inalarono il profumo dolcemente effuso, prima di riporla sul basso tavolino in legno di ciliegio.

 

-Già, proprio così, signorino. E’ un aroma inconfondibile.

 

Le parole rispettose del maggiordomo furono accompagnate da un piccolo inchino del capo e un sorriso salace, sfuggito allo sguardo tronfio di Ciel, non mancò di arricciare le labbra di Sebastian.

Nessun’altra parola turbò il silenzio disceso sui due occupanti dell’immensa sala in cui, da quasi un mese ormai, era stato improvvisato uno studio di pittura; il divanetto imbottito di piume d’oca accanto al camino era stato ricoperto da un lungo drappo color crema, le cui frange argentate ricadevano sul tappeto persiano blu cobalto e un morbido cuscino dello stesso colore era stato posto sullo schienale per consentire al giovane modello una posizione più confortevole.

Ciel aveva cercato invano di opporsi al fatto di dover costantemente posare, ogni giorno prima del tè pomeridiano, per il ritratto commissionato dalla sua esuberante fidanzata; con le dita incrociate sul petto e un radioso sorriso dipinto sul volto, Lizzy l’aveva guardato con i grandi occhi verdi tracimanti di speranza, suggerendo che quel pannello vuoto nell’ingresso non era per nulla carino e che sarebbe stato più opportuno sostituirlo con un ritratto degno del prestigio dell’unico erede dei Phantomhive: malgrado le avesse spiegato di essere oberato dal lavoro, Ciel alla fine aveva ceduto a quella singolare richiesta, se non altro per non sorbirsi le ulteriori bizze e i piagnistei da ragazzina della sua promessa sposa.

 

Ciò che realmente infastidiva Ciel, tuttavia, era non tanto sottrarre del tempo utile al suo gravoso lavoro, quanto il dover rivelare se stesso ad un totale estraneo; sebbene il signor Hurley fosse un artista risaputo per la sua discrezione, la sola idea di dover lasciare che un altro uomo scegliesse i sontuosi capi del proprio abbigliamento o suggerisse pose ed espressioni particolari bastò ad esacerbare il suo tipico cipiglio imbronciato.

Rimanere per ore ed ore semidisteso sul sofà lo irritava enormemente, ma la parte peggiore erano le bieche occhiate che l’uomo gli scoccava dal suo posto dietro il cavalletto, prima che le sue iridi cerulee e vispe tornassero a concentrarsi sulle trame di juta della tela a grandezza naturale, predisposta per quell’occasione più unica che rara; non capitava spesso di dover effigiare le nobili fattezze di un ragazzino, la cui impudente bellezza rammentava quella di un torbido cielo notturno sfregiato di fulgide stelle: e forse l’ebbrezza più squisita per un artista stava proprio nel cimentarsi a rendere, in olio su tela, l’irresistibile commistione di purezza e tenebra tipica dell’animo umano, meglio se ancora così provocantemente infantile.

Mai nella sua breve vita, Ciel si era sentito così vulnerabile come quando sedeva sul divanetto di piume, inerme mentre le dita del pittore vibravano nel furore estatico della sua ispirazione; il ragazzo non poteva fare a meno di sentirsi impotente, nudo con ogni sguardo rapito dell’uomo a scrutare l’ovale perfetto del suo viso, le sue labbra morbide, l’occhio scoperto che scintillava sotto la veletta di pizzo nero come un superbo zaffiro, le linee armoniose del suo corpo languidamente adagiato sul drappo avorio, come a voler carpire ogni sua emozione recondita, il segreto occultato nelle profondità spiraliformi della sua anima, per poi trasmutarlo in macchie tonali e colori sfumati su tela dalle morbide setole del pennello e rivelandone così inesorabilmente l’abominio.

 

Ciel esalò il lungo sospiro che non si era neanche accorto di trattenere, sporgendosi per racimolare dal piatto accanto alla teiera sul tavolino l’ultimo pezzo della torta di mele e uva passa che Sebastian gli aveva servito poco prima: la silenziosa presenza del suo maggiordomo, anziché placare la sua inquietudine, quel pomeriggio, non aveva fatto altro che accrescerla; infatti era stata del tutto imprevista la richiesta di questi di poter assistere all’ultima posa per il quadro e agli ultimi ritocchi e, quando il signor Hurley educatamente aveva preso commiato dalla villa, Sebastian era rimasto lì per riassettare la stanza.

Il giovane, seppur non avendolo dato a vedere, era rimasto spiazzato nello scoprire il morboso interesse di Sebastian verso qualcosa che non concernesse direttamente la sua anima: eppure Ciel aveva astutamente ribaltato le sorti di quel gioco perverso, portando le sue innate doti di seduzione sui binari della consapevolezza, potenziandole; compiacendosi dello sguardo di Sebastian, che adesso sapeva essere puntato unicamente su di lui, il ragazzino si portò la forchetta alle labbra, reclinando il capo all’indietro e socchiudendo le palpebre.

Poi la piccola lingua leccò, in una movenza inconsciamente libidinosa, lo strato superiore di glassa, prima che i denti affondassero nel soffice pan di spagna.

 

-Signorino?

Come al solito fu Sebastian a rompere il teso silenzio, puramente licenzioso, che permeava l’ambiente assolato della camera.

Con la forchetta penzolante tra le labbra, imbiancate per lo zucchero che ivi si era depositato, Ciel sollevò la gamba, poggiandola sul bracciolo del sofà e si adoperò a sciogliere il laccio intricato dello stivale in pelle nera, prontamente scalciato sul pavimento.

-Tira le tende, Sebastian. La luce mi infastidisce.

Rimbeccò acido, raccogliendo i chicchi d’uva passa rimasti sul fondo del piatto e masticandoli piano, mentre si accingeva a slacciare lo stivale sinistro che, ben presto, raggiunse l’altro con un breve tonfo sul tappeto; neanche si premurò di voltarsi verso il suo maggiordomo, intento a sciogliere i cordoncini dorati delle tende e tirandole a coprire la grande vetrata della finestra, come un sipario di seta cremisi sul cielo striato di rosa del crepuscolo.

-Perdoni la mia invadenza, ma mi sembra che oggi il suo umore sia più turbato del solito.

Asserì Sebastian atono, una volta ch’ebbe finito di sistemare le tende; nella luce ora soffusa del salone, le sagome degli uccelli che svolazzavano fuori dalla finestra ricreavano, attraverso il pesante tessuto, un curioso effetto d’ombre veloci lungo le pareti e il soffitto riccamente stuccati e, talvolta, sull’espressione sarcastica del maggiordomo, adombrandone il viso elegante.

Ciel si rifiutò di dar adito a quella subdola provocazione, continuando imperterrito nella propria e leccandosi lentamente le labbra zuccherate.

-Sai bene anche tu che non era nelle mie intenzioni prestarmi a questa inutile perdita di tempo.

Replicò alquanto seccato; non ebbe neanche bisogno di voltarsi per intuire, dalla nota beffarda nella sua voce, che l’espressione di Sebastian era rimasta immutata, ambiguamente divertita.

-E allora, se posso chiedere, perché mai lo ha fatto, mio signore?

-Perché anche tu mi avevi detto di assecondare Lizzy. E poi semplicemente non volevo che si rimettesse a fare i soliti capricci, dato che non ho tempo da perdere nei suoi giochi da ragazzina. Tutto qui.

Tagliò corto, procedendo nello sfilarsi coi denti i guanti di velluto amaranto.

-E quindi ha ben pensato di ingannarla, mostrandosi felice per la proposta solo per non farla soffrire?

Sebastian interloquì, portandosi con fare meditabondo un dito inguantato alle labbra e sollevando gli occhi al soffitto, prima di proseguire.

-Se me lo concede, direi che è un pensiero piuttosto arrogante…

-Arrogante dici, eh?

Un sorrisetto perverso increspò le labbra umide di Ciel; la veletta ricamata impediva agli occhi del ragazzino di abituarsi alla soffusa penombra e presto anche il cappello rosso, decorato da graziosi boccioli di rose azzurrognole, raggiunse i guanti e gli stivali sul pavimento, dove ancora giaceva la scatola di cioccolatini che aveva aperto poc’anzi.

-Conosci qualche essere umano che non lo sia, Sebastian?

-A dire il vero ne conosco soltanto uno, signorino.

-Cosa vorresti insinuare con questo?

Ciel sbottò velenoso; le dita diafane scartarono in brevi scatti collerici il cioccolatino, giocherellando convulse con la carta stagnola.

-Oh, nulla mio signore… Ad ogni modo, trovo che sia stato davvero amabile da parte di Lady Elizabeth omaggiarla con un dono così bello.

In piedi dietro la tela fissata in verticale sul cavalletto, Sebastian era completamente assorto nell’esaminare il ritratto, ancora fresco, del suo giovane padrone; l’artista aveva reso perfettamente il colore chiaro della pelle alabastrina di Ciel, aveva rifinito le sue labbra corrucciate con un bel rosso vermiglio che andava progressivamente asciugandosi in piccoli rilievi di colore brillante e l’iride sinistra rifulgeva nel buio di un vivace, pastoso turchino.

Se il signor Hurley non era riuscito appieno nell’intento di rappresentare l’anima del modello, sicuramente quel dipinto era stato realizzato con un sentimento tale da rivelare l’anima dell’artista stesso; Sebastian si portò un pugno stretto sotto il mento, sogghignando malevolo: a nessuno, a parte lui, era concesso di possedere quell’incantevole signorino londinese, la cui testardaggine e saccenza lo avevano così deliziosamente irretito.

 

Da tempo aveva smesso di divorare una ad una anime insulse, così orribilmente comuni e il gusto insipido dell’ignavia lo aveva portato poco alla volta a discernere il prelibato profumo di anime immacolate, eppure avvinte alla lusinga dell’Inferno; l’anima del conte, la clausola finale del contratto, così pura e cristallina, era stata affissa alla croce dai chiodi invisibili e appuntiti del martirio e Sebastian non aveva potuto fare a meno di adorare quel raro amalgama di bianco e nero, radicato in un corpo splendido e delicato, ancora così commoventemente acerbo.

-Sa, signorino…

Ciel strofinò tra loro i piedi scalzi, distendendo le gambe intorpidite sul sofà e, continuando impassibile a sorseggiare il suo tè rosso, assaporò sulla piccola lingua il retrogusto acre del limone.

-… Temo che Lord Hurley abbia fin troppo egregiamente colto le mille sfaccettature, a dire il vero, più esteriori che interiori della sua eccezionale bellezza.

-Non sapevo che una creatura come te potesse essere suscettibile ad una cosa tanto effimera come la bellezza.

Ciel ribatté prontamente, sorreggendo tra le mani il piattino e la tazza di porcellana e sollevando l’angolo destro della bocca in un mezzo sorriso soddisfatto; non  poteva negare che quel gioco di ruoli inversi, che traspariva da ogni arguto battibecco, cominciava ad appagarlo immensamente.

-In realtà non è questo. Mi prenderò la libertà di dirle chiaramente che c’è un certo grado di fatalità nella distinzione tra la bellezza del corpo e la bellezza dell’anima, forse la stessa fatalità che sembra seguire nella storia, come fedeli cani da guardia, i passi incerti dei re, o forse dovrei dire della Regina…

-Se hai qualcosa da dire, dillo chiaramente!

Ciel tuonò spazientito, posando la tazza ancora una volta sul tavolo di ciliegio e fissando Sebastian in tralice.

-Perdoni la mia eccessiva disinvoltura…

Sebastian, con una mano poggiata sul petto e gli occhi umilmente rivolti a terra, parlò piano, quasi sottovoce, in segno di profondo rammarico.

-… Volevo solo farle presente quanto possa essere deleterio essere troppo diversi dai propri simili, mio signore.

-Non è forse questa una delle cause del nostro contratto, Sebastian? In fondo il fato è clemente con la gente comune. I rozzi, i brutti, gli sciocchi sono solo misere pedine sulla scacchiera e, nella più ridente delle ipotesi, meri spettatori della partita.

Ciel sentenziò ieratico, alzandosi in piedi e brandendo il manico d’oro intarsiato del suo bastone, per poi muovere pochi passi verso il maggiordomo e il proprio ritratto.

-Chi resta ad osservare non conoscerà mai il sapore della vittoria, ma così almeno ci si risparmia l’amarezza della disfatta. A lungo andare, però, rimanendo a guardare ci si dimentica le regole del gioco e, una volta iniziata la partita, esitare può essere fatale. Proprio per questo continuerò a giocare… E non esiterò.

-Oh capisco… E’ il signorino a giocare, e gioca unicamente per vincere, nevvero?

Ciel si fermò non appena giunto dinnanzi a Sebastian, ogni espressione tracotante dissolta nel sorriso venato di malizia ad incurvargli le sottili labbra di corallo pallido.

-Esatto. E tu… Tu non osare tradirmi, Sebastian. Rimani al mio fianco. Fino alla fine.

L’intimazione, proferita con tono severo, riecheggiò solennemente nell’atmosfera densa della stanza; le iridi amaranto di Sebastian scrutarono i tratti affilati del volto del suo padrone e l’oscena tentazione di prendere quel corpo fragile, divorarlo e privarlo seduta stante di quello spirito tanto seducente, lo fece fremere nell’anticipazione del piacere che sarebbe derivato dal sentire Ciel urlare, gemere e singhiozzare nel tormento di sentirsi prendere, dilaniare senza troppe cerimonie e cadere esanime tra le sue braccia: ma la fine ancora non era giunta a reclamare lo scioglimento del vincolo benedetto dal sangue sacrificale e il demone dovette accontentarsi della deliziosa visione di quel ragazzino, con un gomito posato sul cavalletto e il bellissimo volto oscurato dall’ombra.

-A proposito, Sebastian. Non voglio che questo quadro venga appeso nell’ingresso. Dopo dì a Finnian di riporlo in soffitta. Lì starà benissimo.

-C’è qualcosa che non le piace in questo ritratto, o forse ha semplicemente il timore di mostrarlo, mio signore?

Il maggiordomo domandò serafico, avvicinandosi ancora un poco al suo padrone, ma mantenendo convenienti e ossequiose distanze.

-No. Semplicemente credo che non sia adatto per stare in un luogo tanto visibile.

-Lo sapeva, signorino… Ho sentito che ultimamente si sta diffondendo una certa tendenza2, diametralmente opposta a quella in voga un centinaio d’anni fa, per la quale l’arte deve mostrare soltanto se stessa, celando la propria anima. Questo ritratto vi risponde splendidamente, perciò credo che non vi sia nulla di cui lei si debba preoccupare.

 

Sebastian non poté fare a meno di godere perversamente in ogni singola fibra della propria essenza quando, alla parola anima, le spalle di Ciel furono attraversate da un breve fremito; nondimeno strabuzzò gli occhi e un’espressione di perplessità contorse i tratti imperturbabili del suo volto nel momento in cui le mani del giovane Phantomhive scesero in basso ad allentare i bordi incrociati sul petto della propria giacca; le dita di Ciel, senza preavviso, s’affaccendarono nel liberare dalle asole i bottoni dorati della blusa scarlatta che, con un flebile stropiccio di stoffa, ricadde sul pavimento, subito seguita dal fiocco di raso nero che portava in vita e dai pantaloni corti sfilati in uno slancio di inesperto e immaturo fervore.

Il tempo sembrò arrestarsi di colpo, il ticchettio delle lancette tacque e il pendolo dell’orologio di mogano a ridosso della parete parve immobilizzarsi, rimanendo fisso, di sghembo: i piccoli pollici si uncinarono al laccetto di seta chiara della biancheria intima, strappandolo con foga nell’impacciato tentativo di fare prima, quasi ad ingannare il disagio che lo aveva colto quando Ciel lasciò che la stoffa candida scivolasse oltre i propri esili fianchi, carezzandogli le gambe con un impercettibile fruscio e arrotolandosi provocantemente alle sue caviglie.

Colto alla sprovvista, il maggiordomo rimase immobile ad osservare quell’impudente ragazzino che, senza scomporsi, era rimasto in piedi davanti a lui, privo d’ogni abito, a fissarlo con aria di sfida; sicché, malgrado l’aria di apparente altezzosità, un lieve rossore aveva iniziato ad imporporare le gote altere di Ciel, mentre le sue mani tremule si erano mosse istintivamente per tentare di coprirsi; Sebastian schioccò la lingua al palato, dischiuse le labbra per lo stupore ma, non appena percepì l’adorabile imbarazzo del giovane conte, il suo sguardo allibito si addolcì.

 

-Mi permetta di farle notare che questo… Ecco, questo non è molto conveniente per un giovane del suo rango.

Lo provocò quasi divertito, godendo della brusca risposta.

-Taci, Sebastian! O forse hai dimenticato il tuo compito? L’hai detto tu stesso: per ora sei solo il mio fedele servo. Indi per cui, servimi e non obiettare.

 

Sebastian avanzò ancora di un passo, rapendolo in una invisibile stretta di sguardi allusivi e battiti veloci di ciglia; poi s’inchinò con dedito rispetto.

-Come desidera. Non sono altro che un perfetto maggiordomo…

Si posò una mano sul fronte dell’uniforme nera, con la testa china e senza distogliere lo sguardo dal pavimento.

-… Ordunque… Cosa vuole che io faccia, signorino?

Chiese ubbidientemente, ligio al proprio dovere.

-Voglio che mi prendi in braccio, come sei solito fare.

-Cielo, cielo. Mi sta forse mostrando il suo lato debole?

-E’ solo un semplice ordine. Eseguilo e basta, Sebastian.

Ciel socchiuse gli occhi quando il braccio di Sebastian cinse le sue spalle nude mentre l’altro sgusciò dietro le sue ginocchia; anche se profondamente ostinato nel celare le proprie debolezze, più che mai in una simile circostanza, sussultò sommessamente quando si sentì sollevare velocemente da terra.

Dal canto suo Sebastian non si era aspettato che tenere in braccio quel piccolo corpo completamente esposto lo rendesse infinitamente più desiderabile, così come l’inconscio strofinarsi della guancia delicata e calda del conte contro il fresco della propria camicia: vedere quell’essere umano, quel ragazzino borioso, adesso così teneramente disarmato rinforzò la carica lasciva di averlo nudo tra le braccia; l’odore inebriante di quella pelle nivea come panna montata si diffuse lentamente, quasi fosse un profumo afrodisiaco sparso nell’aria vischiosa che saturava la stanza.

Ciel era del tutto ignaro del fatto che la propria morte gli sarebbe stata lesinata dalle stesse mani che ora lo sorreggevano devote e che non avrebbero esitato, in seguito, a defraudarlo di superflui indumenti; non sapeva che, nel giorno in cui avrebbero tirato le somme del loro patto, le carezze del demone sulla sua pelle nuda lo avrebbero condotto sinuosamente sull’orlo della follia, come piacevole ouverture all’atto successivo di una tragedia quasi romantica, in cui le labbra di Sebastian avrebbero violato ambiziosamente le proprie per sottrargli l’anima in un vile, fatale, esilarante bacio.

-Signorino…

La voce di Sebastian squarciò il silenzio, intervallato fino ad allora solo dal loro respiro, appena un po’ affannoso.

-… E adesso, cosa vuole che faccia?

Ciel si abbandonò al freddo abbraccio del demone; poi i suoi occhi orgogliosi tradirono ogni titubanza.

-Conducimi al divano… Distendimici sopra, Sebastian.

Le parole di Ciel suonarono flebili, soffocate dal proprio viso premuto contro il petto di Sebastian.

Senza contraddire il nuovo ordine impartitogli, il maggiordomo attraversò la stanza in poche, ampie falcate, giungendo all’orlo del sofà e chinandosi in avanti per adagiarvi Ciel che, nel contempo, aveva stretto spasmodicamente tra le dita la sua cravatta, costringendolo ad inclinare il suo viso verso il proprio: i loro profili si sfiorarono in un elettrizzante contatto e il respiro caldo si condensò sulle loro labbra, dischiuse per il fiato sempre più corto e frammentario; rimasero a lungo in quella posizione plastica e nessuna movenza turbò la stasi dell’attimo in cui il demone già pregustava il bacio che gli avrebbe offerto il più lauto dei banchetti, leccandosi lussuriosamente le labbra, tumide per l’eccitante anticipazione.

-Ed ora…

Sussurrò sensuale; il suo sorrisetto sardonico sottrasse attimi preziosi all’inevitabile prosieguo, esacerbando l’eros di quell’ammiccante pausa; sgranò le iridi che, vermiglie e minatorie, baluginarono ferine nell’oscurità.

-… Ora… Ora cosa desidera che io faccia, bocchan?

I loro ruoli definiti di servo e padrone nuovamente si invertirono in quella posizione di stuzzicante sottomissione, con Ciel seduto sul divano di piume d’oca e Sebastian in piedi davanti a lui; il demone protese le dita inguantate, bramose di accarezzare la gota di Ciel, di poter sfiorare le lunghe e tremolanti ciglia scure e scostargli le ribelli ciocche dei capelli che gli erano ricadute sul volto: ma la risposta del ragazzo lo colse in flagrante, facendogli realizzare che il tempo non era ancora maturo e che avrebbe dovuto pazientare ancora per impossessarsi dell’anima che, giorno dopo giorno, s’impreziosiva sempre di più come un diamante lavorato da mani sapienti e che necessitava di essere scalfito e accarezzato, con dolcezza e violenza al tempo stesso.

-Io te l’ho promessa, Sebastian.

Sebastian ritrasse le dita, rivolgendo a Ciel uno sguardo enigmatico; il suo respiro profumato di caramello gli solleticò il mento, l’innegabile tepore gli scaldò la pelle quando nuove parole proruppero dalle labbra del giovane.

-Assaggiala.

La mano del giovane Phantomhive lasciò andare la cravatta di Sebastian, ricadendo mollemente sul sofà, annullando con quel semplice gesto ogni sua orgogliosa difesa.

- Adesso. Dimmi che sapore ha…

-Signorino…

Le iridi rossastre di Sebastian sfavillarono ancor più strenuamente nel buio.

-Ritraimi.

-Ma bocchan, non crede che forse non…

-E invece si. Cogli la mia anima, Sebastian. Dipingimi così, senza nulla addosso. Entrami dentro e rappresenta la mia anima. O hai paura di non riuscire ad essere un perfetto maggiordomo in una situazione come questa?

Ciel asserì impertinente, ogni esitazione fugata quando si lasciò ricadere lentamente sul fianco sinistro senza distogliere gli occhi, ottenebrati da un velo di lascivia, da quelli puramente famelici e cremisi di Sebastian.

-Non potrei mai non esserle fedele e devoto, a prescindere dalla situazione. Per chi serve i Phantomhive è naturale poter fare anche una cosa come questa.

-E allora fallo. Ritrai il dolore della mia anima e rappresentalo. E’ un ordine, Sebastian.

 

-Si, mio signore.

 

Non appena Sebastian si issò in piedi, dandogli le spalle, un lungo brivido serpeggiò sotto la pelle nuda di Ciel; il ragazzino seguì con le iridi, brillanti d’un fuorviante languore, i passi felpati del demone verso il cavalletto e i guanti bianchi elegantemente sfilati a scoprire dita diafane e contornate da unghie perfette e squadrate, laccate di nero.

Sebastian non aveva neppure spalancato le tende, tanto i suoi occhi inumani dovevano essere avvezzi a discernere forme e contorni nel buio; adagio, sostituì la tela affrescata con una nuova più piccola, fissandola ai ganci d’ottone del cavalletto e, con un panno morbido imbevuto di solvente, s’apprestò a pulire le setole indurite dei pennelli.

Il pentacolo impresso nella pupilla destra di Ciel pulsò di luce violetta, reclamando il sinistro riverbero del compagno inciso sul dorso della mano sinistra di Sebastian; un filo sottile di luce ametista brillò, sferzando orizzontalmente le tenebre della sala nella sublime unione tra l’anima del ragazzo disteso sul sofà e la diabolica essenza del demone seduto al cavalletto: ad amplificare l’iniqua natura del loro rapporto, al centro vi era una tela bianca, pronta ad essere sporcata, ad essere partecipe del turpe mistero di quel legame inestricabile.

 

-Bocchan… Per favore, sollevi la gamba destra e la adagi sul cuscino.

Nonostante Sebastian avesse proferito quelle parole con un tono pacato e riguardoso, la loro stessa natura non riuscì a celare del tutto l’ordine in esse implicito.

-Così?

-Si, va bene così. Il braccio destro invece… Lo pieghi e lo appoggi sulla spalliera.

Ciel accondiscese rapidamente alla richiesta che, pensò, scaturiva direttamente dall’imposizione che lui stesso aveva precedentemente formulato; tuttora, però, non riusciva a spiegarsi il tremore che scuoteva le sue membra esposte: malgrado Sebastian l’avesse visto nella sua completa nudità innumerevoli volte, mai aveva percepito il proprio cuore battere così freneticamente, al punto tale da sembrare in procinto di esplodergli nel petto.

-Ed infine i suoi occhi. Mi guardi, la prego signorino, e cerchi di muoversi il meno possibile.

Con quella sentenza perentoria, Sebastian ricambiò lo sguardo arrogante del suo padrone con uno intriso di adorante ammirazione, prima di abbassarlo sulla tela davanti a sé.

Il pennello ammorbidito cominciò a scorrere sulla ruvida superficie in tratti prima delicati e poi sempre più decisi; linee armoniche, chiuse, spezzate, aperte, tratteggiate si susseguirono repentinamente in uno slancio d’esagitato, sovrannaturale estro.

Di tanto in tanto le iridi di Sebastian trafiggevano calorose le fattezze di quel corpo nudo e gracile, in una posizione di leggiadria talmente vicina al suo ideale di perfezione da essere addirittura pregna di un sentore quasi selvaggio, inumano, primordiale.

I movimenti sempre più veloci del polso ricalcarono fedelmente, in ogni oscillazione, i tratti equilibrati e perfettamente simmetrici delle gambe snelle, rilassate nella posizione di riposo, del conte; gli occhi di Sebastian si attardarono deliberatamente sull’inguine tenero e leggermente arrossato, godendo del senso di pudore inoculato da quello sguardo nel ragazzino, spostandosi poi al centro, sul frutto ancora prematuro del peccato di lussuria non commesso, non ancora: le iridi dell’artista risalirono ulteriormente, soffermandosi sulla piega morbida dell’ombelico, per poi posarsi sul petto glabro e pallido, che si alzava e si abbassava al ritmo del respiro veloce e sulla curva sinuosa del collo latteo.

Quando infine Sebastian indugiò sul viso del giovane, un lungo fremito pervase Ciel: il calore che percepì –cos’era quel calore?- nel suo basso ventre gli fece chiudere di scatto le gambe e un gemito minacciò di sfuggire alla sua gola riarsa, quasi avesse inconsciamente percepito la natura, inequivocabilmente sessuale, di quella sensazione a lui ancora sconosciuta.

-Non si muova, signorino. Ho quasi terminato.

Lo incalzò Sebastian quando, infinitamente compiaciuto della trepidazione che aveva colto in Ciel, si concentrò sui tratti severi del viso del suo padrone.

-Di già? Non immaginavo che le tue doti fossero così progredite anche nella pittura.

Rispose Ciel provocatorio per celare il proprio turbamento, muovendosi dispettosamente più del dovuto, quasi ad enfatizzare la sua piccola, infantile ripicca.

-Oh, non importa, signorino. Ho finito. Venga, le do una mano a rivestirsi.

Asserì Sebastian, sorridendo beffardo e porgendo al conte la veste da camera di seta oltremare, che gli aveva fatto indossare quello stesso pomeriggio prima di cambiarlo d’abito per il ritratto; le labbra imbronciate di Ciel non avevano lasciato presagire nessuna replica immediata: evidentemente il piccolo nobile aveva optato per un pedante di silenzio a precedere l’ovvia intimazione che seguì dopo qualche istante.

-Voglio vederla.

-Certamente, mio signore.

Disse semplicemente Sebastian, una volta allacciata la cintura di seta intorno ai fianchi stretti di Ciel.

-Prego, da questa parte, my lord.

Il ghigno del maggiordomo svanì nel momento stesso in cui il ragazzo osservò esterrefatto il proprio dipinto; in un tempo estremamente ridotto, Sebastian invero era riuscito a ritrarlo magnificamente, addirittura meglio di Hurley: eppure qualcosa stonava, come se il ritratto, almeno nelle forme plastiche del corpo raffigurato, mancasse di un particolare che all’arguto intelletto di Ciel non sfuggì.

-E questo sarei io?

Le parole proruppero adirate dalla piccola bocca e un’espressione di sdegno alterò l’inconfutabile beltà del suo volto.

-Precisamente.

-Hai mentito, Sebastian! Avevi detto che avresti colto la mia essenza, ma qui non vedo nulla.

-Io non ho alcun interesse nel mentirle, mio signore. Osservi meglio.

Ciel colse la sfida, esaminando ripetutamente il disegno e, d’un tratto, sbottò.

-Gli occhi?!

Un breve inchino del busto in avanti accompagnò il rinnovato sorriso di Sebastian, ancor più beffardo, semmai fosse stato possibile.

-Esatto. Come vede, ho preferito evitare di rappresentarli.

-Cosa vuoi dire? Parla… !

Il maggiordomo, riportandosi in posizione eretta, incrociò lo sguardo inasprito del giovane conte, parlando piano, sussurrando quasi.

-Vede, bocchan… Una becera diceria, molto comune tra gli umani, vuole che siano gli occhi lo specchio dell’anima. Non c’è nulla di più falso, così terribilmente banale.

Ciel sgranò le iridi cobalto e il pentacolo, in quella destra, scintillò di un tenue viola nelle tenebre sempre più fitte per l’ora ormai tarda.

-Il vero specchio dell’anima, della sua anima, non è solo la forma armonica del suo splendido corpo. Sono le sue labbra, con ogni movenza e verbo proferito, a dar voce all’anima squisita che mi ha promesso, signorino.

-Le labbra… ?

Seppur non volendo, Ciel non riuscì a fare a meno di tacere, non sapendo come continuare; le parole di Sebastian sicuramente racchiudevano, nella loro forma apparentemente educata e rispettosa, una sinistra profezia di cui non ne comprese completamente il fine, troppo preso dal desiderio d’esorcizzarla.

-Si, signorino. E’ attraverso le labbra, le sue ostinatissime labbra, che davvero si può degustare l’anima e, parimenti, sottrarla delicatamente o divorarla dolorosamente. Dipende dai gusti.

Nulla aveva lasciato presagire l’impeto con cui Ciel afferrò la mano nuda di Sebastian, sollevandola con fare stizzito e portandosela alla bocca; Sebastian guardò rapito il proprio indice destro svanire in quella graziosa bocca da bambino.

Rimase senza fiato, eccitato voyeur condannato all’afasia, quando vide la morbida e umida lingua di Ciel posarsi sulla propria pelle gelata: percepì immediatamente quel piccolo muscolo muoversi sgraziatamente intorno al suo dito, strofinarvisi contro con fare goffo e maldestro, suscitando in lui un eccentrico senso di intenerita libidine; ne sentì la corposità, mentre disegnava cerchi bagnati sulla sua pelle e mai avrebbe rinunciato a quella sublime visione presentata ai suoi occhi demoniaci.

Per tutto il tempo il ragazzino non distolse lo sguardo indisponente da quello basito del suo maggiordomo, attillando le labbra brillanti di saliva intorno al dito nella sua bocca e continuando a succhiarlo con ingenua avarizia, come una caramella al sapore di lampone che fatica a sciogliersi; con un ultima, lasciva leccata, Ciel condusse il polpastrello umido di Sebastian a seguire il contorno delle proprie labbra: poi, con un gesto del tutto imprevisto, il giovane scostò la mano da sé, sospingendola verso la bocca del suo maggiordomo e costringendo quest’ultimo a leccare il proprio dito ancora umido.

-Allora, Sebastian, dimmi…

Le labbra di Ciel si incurvarono in una piega affascinante e perversamente sadica mentre il sentore della vittoria, che tanto adorava, si faceva strada in ogni meandro del suo corpo.

-Che gusto ha la mia anima?

-La sua anima…

Sebastian si leccò ancora l’indice, sorridendo di rimando al suo giovane, ammiccante padrone.

-La sua anima… Non c’è che dire, ha un gusto davvero unico… Sa di zucchero… E di lacrime, signorino.

-Ed è… Dolce?

Sebastian si chinò, sussurrando sensuale all’orecchio proteso di Ciel con l’intento di costringerlo a cedere alle sue maliziose lusinghe.

-Non immagina neanche quanto, per uno come me, my lord.

-Sebastian…

La voce di Ciel tremò quando il respiro caldo sotto il suo lobo forato lo fece tremare.

-Si… ?

-Cos’è quest’odore?

Ciel storse il naso, allontanando il maggiordomo da sé con una esasperata spinta contro il petto che Sebastian non esitò ad assecondare, profondamente divertito.

-Oh… Temo sia colofonia3, mio signore.

Scrollò brevemente le spalle, replicando placidamente.

-Beh, non lo sopporto! Pulisci tutto, Sebastian. E il ritratto di Lord Hurley… Oh, lascia perdere! Dì a Finnian di appenderlo nell’ingresso.

Concluse in un misto di rabbia e qualcosa di molto simile ad un imbarazzo mai provato, prima di incamminarsi verso il battente d’acero intarsiato sul fronte opposto del salone.

Sebastian guardò l’austero ed elegante incedere del suo signorino, con i piccoli piedi ancora scalzi sul tappeto e, prima che Ciel potesse lasciare definitivamente la stanza, si inginocchiò in un profondo inchino.

 

-Yes, my Lord.

Sebastian sorrise quasi che le sue labbra, quando si trattava dell’adorabile testardaggine del suo padrone, non sapessero fare altro.

Poco male, pensò.

Alla fine avrebbe tenuto per sé il secondo ritratto, dato che ne era stato proprio lui l’artefice: dopotutto non aveva rivelato alcunché della propria anima ma aveva rivelato, almeno in parte, l’anima del suo preziosissimo modello e la cosa lo aveva alquanto soddisfatto.

Se gli esseri umani e i meccanismi perversi della loro società erano per lui una fonte di interesse inesauribile, senza dubbio quel ragazzino era quanto di più allettante quell’universo caotico avesse da offrirgli.

Avrebbe conservato quel quadro nelle sue stanze, gelosamente, teneramente, come piacevole palliativo fino al giorno in cui invece avrebbe tenuto per sé il signorino stesso.

 

La sua anima.

 

Il suo corpo.

 

Le sue dolci labbra.

 

Per l’eternità.

 

Trascinandolo con sé all’Inferno.

 

 

 

 

 

 

 

Note al testo

 

 

1Tipica vettura inglese a due ruote.

 

2Riferimento al movimento letterario dell’Estetismo, sviluppatosi nell’ambito della più ampia corrente del Decadentismo di fine Ottocento, di cui il massimo esponente fu Oscar Wilde.

 

3Da un punto di vista chimico, la colofonia è un solvente in grado di sciogliere diverse sostanze; oggi è uno dei componenti dell’acqua raggia, che spesso di usa per diluire le macchie d’olio e di pittura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nda: Ed anche la prima shot è andata; quanto adoro questi personaggi *ç*

 

Ad ogni modo passo velocemente alle risposte ai commenti:

 

Red S i n n e r:  sono contenta che lo stile ti sia piaciuto: adoro cimentarmi nelle descrizioni e sì, i riferimenti religiosi sono stati inseriti appositamente, proprio a rendere l’idea di un’atmosfera in bilico tra il sacro e il profano; e sapere che hai trovato Ciel IC mi riempie d’orgoglio, non a caso è il mio personaggio preferito! Grazie ancora per il commento, spero che anche questa seconda parte di sia piaciuta^^ A presto.

 

Owarinai yume:  ciao! Mi fa davvero piacere ti piaccia il mio modo di scrivere e, soprattutto, spero che questo seguito non ti abbia deluso… Ad ogni modo, fammi sapere, aspetto altri commenti. ^*^

 

Saeko no Danna:  guarda, sarò sinceraXDXD. In realtà avevo già raccolto le idee, appuntandole su un quadernetto insieme a tutte le note che troverai sparse qua e là in questa fan fiction; poi, dato che mi riduco sempre agli sgoccioli, ho ricopiato il tutto, stravolgendolo completamente, in cinque giorni di “passione” intesa proprio come “patior”… Una sofferenza immane con due ore di sonno a notte XD.

A ogni modo è vero, nel raccogliere tutte le informazioni mi sono impegnata tanto e ho riguardato più volte l’anime e riletto il manga, proprio  testimoniare l’amore spropositato per questo fandom e sapere che un’autrice del tuo calibro abbia apprezzato lo sforzo mi rende davvero felice!

Per Grell… Devo dire che Grell insieme a Lau ed Undertaker è uno dei miei personaggi preferiti nell’anime… Solo in un contesto yaoi con Sebastian non riesco a inquadrarlo! Poi ovviamente, come si suol dire in questo caso, de gustibus non disputandum est.^^ A prestissimo, e grazie mille ancora.

 

Lolly:  credimi, il merito non è assolutamente mio, ma della Toboso per emozionarci tutti così tanto; io mi sono limitata a scrivere una storia che, spero, non abbia stravolto o rovinato i personaggi originali e sapere che il prologo ti sia piaciuto mi fa molto piacere e per quanto riguarda le descrizioni su Parigi, ho dovuto attingere a wiki e a tutte le informazioni sulla storia dell’arte che mi ricordavo dai tempi del liceo XD Sapere che una persona che ha vissuto a Parigi (beata!) le abbia trovate realistiche è sicuramente per me un ottimo risultato^^. Per i personaggi, hai colto nel segno: ho cercato proprio di descrivere questo rapporto complesso che lega i due protagonisti, quasi un gioco di ruolo in cui il vinto è vincitore e viceversa… Come si fa a non adorarli?! J Spero che anche il seguito sia di tuo gradimento.^*^

 

ballerinaclassica: è sempre un onore ritrovarti tra le recensioni alle mie storie, cara *____* Credimi, ciò che hai scritto, anche sulle mie altre storie mi ha davvero colpita… Sono felice che ti piaccia il mio modo di scrivere, così come mi fa piacere il fatto che, almeno finora, non ti abbia delusa. Sai che alla JokerxDagger non ci avevo mai pensato, troppo presa dalla SebastianxCiel (che è diventta la mia coppia Yaoi preferita in assoluto, soppiantando persino l’Uchihacest… E ce ne vuole!!) ?

Anyway… Povero Joker T____________T Le atmosfere stile Mary Poppins non sono un caso: adoro la Londra di quel film O_O

Comunque dico anche a te che sapere di aver azzeccato l’IC di Ciel mi fa saltellare di gioia perché semplicemente lo adoro^^

Grazie mille ancora, cara, spero che il seguito non ti abbia delusa.:)

 

P.s. Grazie mille ai Preferiti e alle Seguite.

 

Alla prossima.

 

Stè.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler / Vai alla pagina dell'autore: Black_Eyeliner