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Autore: Dragana    14/11/2009    10 recensioni
"Hanno designato Volterra come loro dimora, vi si sono stabiliti con le loro mogli, hanno istituito il loro corpo di guardia e dalla cima del loro monte vigilano sul mondo."
Disordinata raccolta di one-shot sui Volturi e le loro guardie.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aro, Jane, Renata, Sulpicia, Volturi
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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IL GIORNO CHE HO QUASI CONVINTO AFTON

 

 

A cosa pensereste vedendo un gelso sotto un pergolato?

Alle more, forse, quelle grosse more scure che se le raccogliete con troppa foga o sono troppo mature macchiano la mano di un succo molto simile a sangue, e sembra che vi siate feriti o che abbiate appena ucciso qualcuno. Ma ai fini del mio racconto siete fuori strada.

Quelli che hanno pensato ai bachi da seta invece hanno seguito il filo giusto: grossi bruchi pallidi che divorano le foglie larghe e poi si chiudono nei loro bozzoli, ed è da quei bozzoli che si produce lo splendido tessuto chiamato seta, che adorna il corpo magnificamente se è nelle mani di un’abile sarta.

Ed io, senza false modestie, sono la più abile di tutte. Lo sono sempre stata. C’è la stoffa, ci sono i fili, c’è un ago: questo è il mio regno. Annodo i fili, li ricamo, li taglio, così come piace a me o come piace a chi mi commissiona il lavoro, e nessuno tranne Dio sa fare un lavoro migliore. Perfino se il tessuto è liso e sta per cedere io non mi scoraggio: aggiungo fili, rinforzo orli e cuciture ed eccolo lì, magari non proprio come nuovo ma fermo al suo posto. Se sostituite i termini “stoffe” a “persone”, o “tessuto liso” a “Marcus dei Volturi” il risultato non cambia: c’è sempre il lavoro preciso della sarta, dietro.

Ora, qual è l’abito in cui una sarta può mettere tutta se stessa, tutta la sua arte, sovrapporre tessuti,  cucire perle, ricamare merletti ed amare ogni più piccolo ed infimo punto?

Il proprio abito da sposa, ovvio. Questa era troppo facile.

Va da sè che per farsi un abito da sposa bisognerebbe avere al proprio fianco qualcuno disposto a fare lo sposo, altrimenti l’abito è inutile. E ci sono uomini felicissimi di ricoprire questo ruolo e che hanno approfittato della propria immortalità per ricoprirlo più e più volte, facendo la gioia di chissà quante sarte, e chissà quante mogli.

Poi c’è Afton.

Mettiamo subito in chiaro una cosa: a tutt’oggi Afton mi ama, ed io che vedo chiaramente la trama dei fili che Dio in persona tesse lo so con certezza. Non è questo il problema. Il problema si trascina da tempo, e precisamente dal giorno in cui io, in opposizione alle consuetudini dell’epoca che imponevano all’uomo di fare le proposte di matrimonio e che vigevano anche tra vampiri, proposi: -Perché non ci sposiamo?-

La sua risposta fu: -Perché dovremmo?-

Afton ha un potere ben preciso, ed è per questo che i Volturi lo vollero nella loro guardia: è in grado di far credere a chi vuole di starsi decomponendo. Non è per niente carino, lo so perché una volta l’ho provato, tanto per capire. Se c’è una cosa che abbiamo compreso su queste capacità peculiari che alcuni di noi hanno è che esse, in genere, sono l’amplificazione estrema di qualche tratto caratteriale o strana caratteristica che avevamo già da vivi: nel mio caso una sensibilità in grado di farmi intuire, già da umana, la trama di Dio, e la capacità di intervenite su di essa per unire o dividere le persone con frasi precise come fili che uniscono o che si spezzano; nel caso di Afton, beh… non riesce a non pensare costantemente all’ inutilità a lungo termine di tutte le cose, siano esse mortali, vampiri, edifici, governi, religioni, galassie: niente è eterno e tutto finirà, e di fronte a questa consapevolezza tutto il resto che importanza può avere? Lato positivo: è bravissimo a sdrammatizzare e ridimensionare ogni situazione, anche quelle che ti rendono disperato, mostrandotele inserite nel variegato mosaico del mondo di cui non sono che tessere. Lato negativo: a cosa servono tutte quelle stupide cerimonie, ivi compreso il matrimonio, dato che nessuna forma di autorità sopravvive abbastanza da rendere sensato santificarle? Per quanto lo riguarda lui mi ama, io lo amo, e fintanto che durerà questo stato di cose staremo insieme. Forse fino alla morte, forse no. Lui non può saperlo, io neanche, neanche un Dio che fino a pochi millenni fa nessuno venerava e tra pochi millenni nessuno venererà più, neanche i Volturi per i quali vale lo stesso discorso. E che senso ha celebrare una cerimonia priva di significato?

Così non mi sposa.

Ma una volta, una sola volta, tanti anni fa, l’ho quasi convinto.

Per merito di Eleazar.

Poi non se ne è fatto niente.

Per colpa di Eleazar.

E siccome l’ultima volta che ho visto Eleazar c’era una radura tra noi, un sacco di gente intorno, e ancora mi chiedo come mai non è finita in un bagno di sangue (Afton no. Afton non si è chiesto un bel niente. Si è guardato intorno, non ha fatto una piega, e quando una volta tornati in Italia sono scoppiati i pettegolezzi, i perché, le teorie, tutti facevano gli opinionisti che neanche Controcampo, l’amicizia con Felix è deleteria, lo so, e gli hanno chiesto: –Tu cosa ne pensi?-, lui ha risposto: –Certo che Carlisle Cullen vive proprio in un posto di merda-. E basta.), quella volta, dicevo, non sono potuta andare lì da lui a dirgli che è stato proprio stronzo, che poteva almeno aspettare ad andarsene, che Carmen secondo me avrebbe capito, se solo lui le avesse spiegato.

E invece se n’è andato, e io non sono ancora sposata.

Sono stati i bachi da seta.

Eleazar era bruno, bello e catalano, suonava magnificamente la chitarra ed aveva un atteggiamento calmo e serio capace di esplodere in momenti di estrema sensualità. Adorava le donne ed era abilissimo nel corteggiarle, ma siccome era un uomo d’onore non si permetteva di insidiare quelle già impegnate. Essendo io la compagna di Afton, persona con cui Eleazar andava molto d’accordo, i rapporti tra me e lui erano improntati ad uno scambio educato e cortese di saluti ed informazioni contingenti al nostro compito e nulla di più.

Le cose cambiarono quando, in seguito ad un viaggio compiuto da Marcus, Caius ed Aro nelle terre spagnole di Sardegna, viaggio al quale partecipò Eleazar perché sfruttasse i suoi contatti con la nativa Catalogna, con loro tornò una neonata timida, discreta e insicura dalla non indifferente capacità di creare uno scudo su di sè e su chiunque lei avesse toccato, in grado di sviare ogni tipo di attacco.

Renata.

Lo so, sembra che non ci arrivi mai a questi bachi. Abbiate pazienza. Vi sto cucendo una storia, la sto confezionando, sto ricamando il pizzo per adornarla. Alla fine sarà completa, sarà come se sollevassi l’abito che ho fatto per voi, ed allora mi direte se vi piace o no. Intanto lasciatemi lavorare, la sarta sono io.

Renata, dicevo.

Renata è la persona a cui sono più affezionata (dopo Afton, va da sè) e l’innesco del conto alla rovescia per far scoppiare Eleazar e fargli prendere la decisione di abbandonare i Volturi. Carmen… Carmen è stata la persona giusta al momento giusto, ma a volte mi chiedo se da sola, senza Renata, ci sarebbe riuscita. Perché fu Eleazar a vedere il potere di Renata, e lo vide quando lei era ancora mortale. Non potè esimersi dal comunicarlo ad Aro, un po’ perché Aro era lì, un po’ perché tanto l’avrebbe comunque scoperto prima o poi, e non è saggio cercare di nascondere qualcosa ad uno che legge nella mente. Ovviamente a quel punto il destino della ragazza era segnato: un potere già intuibile in un semplice mortale non sarebbe mai stato ignorato dal nostro Signore. Che infatti fece la cosa più logica: la trasformò.

Ed è qui che saltò il primo punto, e quando il primo punto salta c’è poco da fare: l’orlo si scuce.

Eleazar non era abituato a vedere mortali che venivano trasformati deliberatamente. Non aveva mai pensato più di tanto alla nostra natura, considerava la trasformazione un accidente come un altro: qualcuno si vuole nutrire, ti morde, poi capita qualcosa per cui ti lascia lì ed ecco servito un nuovo vampiro neonato. C’erano Alec e Jane, che certo sarebbero stati trasformati nel medesimo modo di Renata, ma quella volta i fatti si erano evoluti in modo che il senso di colpa di Eleazar non trovasse appigli: stavano morendo sul rogo, trasformarli era stato un atto misericordioso, la sola maniera di salvargli la vita.

Renata invece, semplicemente, era lì. Aveva la casa su un incrocio e solo per caso Aro, Marcus e Caius avevano deciso di farsi ospitare proprio da lei mentre attendevano Eleazar. Non aveva una vita particolarmente piacevole, ma neppure era in pericolo di morte; la sua umanità le era stata tolta per un semplice desiderio di Aro.

Specifichiamo: Renata era stata ben felice di ciò. L’aveva supplicato di togliergliela, la sua umanità, in ginocchio e piangendo. Viveva una misera esistenza, era orfana, povera e sola, confinata in un minuscolo paese della Sardegna dei primi anni del diciottesimo secolo: i Volturi per lei sono angeli redentori. Toccatele Aro, e la mite pecorella diventa una tigre feroce.

Eleazar tutto questo lo sapeva, ma secondo lui non era questo il punto: il punto era che per colpa sua una ragazza era diventata un mostro agli occhi dei mortali. Si sentiva in colpa nei suoi confronti e decise di prenderla sotto la sua ala protettiva, e tra parentesi anche nel suo letto. Dal canto mio appena Renata arrivò dovette fronteggiare, totalmente impreparata, il disappunto di Jane che non poteva sopportare che Aro avesse un’altra protégée; non che Aro si fosse stancato di Jane, lui è capacissimo di tenersi tutti i suoi tesori in equilibrio come un giocoliere, ma Jane, beh, è Jane. Così, cercando di calmare una e non fare impazzire l’altra, mi affezionai a Renata e di conseguenza ad Eleazar.

Per un po’ tutto andò bene, ed i dubbi di Eleazar si placarono davanti alle rassicurazioni di Renata. Fu l’arrivo di Carmen a destabilizzarci, come il drappo di stoffa rosso fuoco del toreador destabilizza il toro già ferito dai colpi delle banderillas.

La conobbe a Granada, nel corso di una missione dalla quale tornò sorridente, con una luce nuova e febbrile negli occhi: radunò me, Afton e Renata e annunciò: -Soy enamorado.-

Non capimmo subito la portata della cosa, perché pensavamo che gli sarebbe passata in fretta; insomma, era Eleazar, quello che trovava belle tutte le donne sulla faccia della terra, quello che, a suo dire, poteva amarle tutte perché ognuna di noi era splendida. E invece Carmen operò il miracolo.

Riusciva a tenere acceso il suo interesse in maniera magistrale. Rispondeva alle sue missive molto meno spesso di quante lui gliene inviasse, ma in modo da non farsi dimenticare: una volta gli mandò un fazzoletto di splendido pizzo spagnolo che conteneva i petali secchi di una rosa rossa, e non so cosa significasse per loro ma lui restò distratto per giorni ed ogni volta che credeva che non lo stessimo guardando aveva il naso infilato nel fazzoletto. Un’ altra volta, sempre per non so quale celia privata, trascinò me e Renata per tutta Firenze perché lo aiutassimo a comprare le calzature più belle e alla moda, e poi non gli sembrarono ancora abbastanza e mi ci fece aggiungere ulteriori decori, prima di mandargliele. Trovava ogni scusa possibile per andare a Granada o svicolare in Spagna in qualsiasi missione, fino a che Aro gli disse di mostrarcela, questa Carmen, non vedeva davvero l’ora di conoscerla di persona.

Avevo sempre pensato, da ottima sarta, che Carmen in vita dovesse essere stata un’ottima cuoca, di quelle che cucinano come fanno l’amore, con gioia, divertimento e sapiente uso di spezie. Una che, conosciuto Eleazar, avesse capito subito che certi piatti vanno cucinati dosando sapientemente la fiamma, a fuego lento, per dirla con parole sue.

Quando arrivò a Volterra la mia convinzione si rafforzò: Carmen era calda e generosa, aveva un sorriso splendido e rideva spesso e bene; Aro commentò che il nome Carmen, “canto”, le si addiceva perfettamente, ed aveva ragione. Di carattere amabile, andava facilmente d’accordo con tutti, e manteneva un atteggiamento educato e sereno anche con le eccezioni: ovviamente Jane, indispettita dal fatto che Carmen fosse donna, bella e che Aro si fosse sperticato in complimenti dopo averla vista ballare il flamenco, e Renata, perché Carmen aveva capito i suoi sentimenti per Eleazar molto più di quanto li avesse capiti Renata stessa.

Fu nello stesso viaggio in cui la presentò a Volterra che Eleazar mi portò i bachi da seta. Finalmente, dite? Finalmente.

A voler essere precisi mi portò le uova dei bachi da seta, e me le portò perché qualche anno prima erano stati piantati tre grandi gelsi in uno dei cortili interni, da un membro della guardia che qualche anno dopo ci aveva disgraziatamente lasciati per sempre dopo aver scatenato l’ira di Caius a causa di motivi assolutamente non pertinenti al mio racconto. Comunque c’erano questi gelsi, a Granada c’erano le uova dei bachi da seta, Eleazar era innamorato e generoso e me li portò in regalo. Chiesi e ottenni di poter mettere le uova sugli alberi e le sorvegliai come una chioccia; in breve divennero il diversivo del momento e vennero adottate da tutti i mantelli scuri dell’epoca, che chiedevano notizie sulle uova molto più di quante ne chiedessero sui loro compagni. Un giorno ci trovai perfino Marcus, assorto sotto i gelsi, la pelle tremolante di luce tra le mobili chiazze d’ombra prodotte dallo stormire delle foglie. Increspò la bocca in un millimetro di sorriso, e con voce di una sola nota meno apatica del solito mi disse: -Ti auguro che si schiudano, queste uova, Chelsea-.

Marcus.

Rimasi letteralmente a bocca aperta.

E pensai che quelle uova dovevano essere magiche, per radunare così tante persone sotto gli alberi su cui attendevano di schiudersi. Avevo ragione, in un certo senso, perché fecero molto di più di quanto sia mai riuscita a fare io, e sono passati trecento anni.

Le uova si schiusero verso fine aprile, e me ne venne a dare notizia Afton. Ci misi qualche istante a capirlo, perché le sue esatte parole furono: -I gelsi sono in decomposizione-, ma sono abituata al modo di esprimersi peculiare del mio uomo e corsi fuori a vedere i bachi che divoravano felici le foglie larghe.

Mangiarono per ventotto giorni esatti, precisi come la luna, rituali come il ciclo femminile che in me era congelato da secoli; poi si cercarono i rametti dalle foglie ormai divorate e per quattro giorni si avvolsero di seta, tra gli sguardi incuriositi e stupiti delle guardie vampire dal mantello grigio scuro. Io ero orgogliosa come una madre: quella era seta, era tutta mia, era luminescente sotto la luna e univa i miei belligeranti compagni molto meglio di quanto io stessa sapessi fare.

E convinse Afton.

La cosa più incredibile è che fu lui ad iniziare il discorso, anche se ad onor del vero non voleva assolutamente andare a parare . Guardava i gelsi costellati di bozzoli candidi mentre io riflettevo su quale sarebbe stato il momento migliore per raccoglierli, e ad un tratto mi disse:

-Quei bozzoli sono come noi due.-

Lo guardai perplessa, perché stavolta non riuscivo a cogliere assolutamente il nesso nelle sue parole. Lui me lo specificò con tono calmo, come se stesse spiegando una cosa ovvia ad un bambino.

-Un verme e un filo, no?-

-Non sono vermi. Sono bachi.-

Lui alzò le spalle. –Fa lo stesso. Si sono divorati i gelsi come i vermi divorano i cadaveri. Poi si sono avvolti con fili di seta bianca. Sono vermi bianchi avvolti in un sudario bianco di seta. Siamo io e te, no?-

Gli sorrisi e gli presi il viso tra le mani per baciarlo. Credetemi sulla parola, se si è la compagna di Afton questa è una delle cose più dolci che possiate mai sentirvi dire. Non mi dirà mai che siamo come il sole e le stelle, o roba del genere. No. Il verme e il filo. Io amo quest’ uomo.

Sto ancora divagando, ma le sarte chiacchierano ed io non faccio certo eccezione. Comunque, adesso o mai più, mi dissi. C’era Afton romantico, l’eco della chitarra di Eleazar innamorato nell’aria, i bozzoli magici che avevano incuriosito i vampiri grigio scuro e fatto fare un millimetro di sorriso a Marcus. Le mie mani scivolarono sul suo corpo leggere come un velo di seta, fino a trovare le sue. Le legai con le dita alle mie, come la trama e l’ordito.

-E allora perché non ci sposiamo? Forse arriverà il giorno in cui qualcuno ci butterà nell’acqua bollente, per uccidere te e srotolare me, o forse sarai tu a farmi a pezzi per andartene via. Ma cosa importa? Adesso siamo insieme, il verme e il filo. Sposiamoci, Afton.-

Lui parve considerare una serie di obiezioni, ma non ne trovò. E al posto di –Perché dovremmo?-, questa volta alzò le spalle e rispose: -Perché no?-

Quasi non ci credetti io, figuriamoci gli altri. E così commisi un errore, uno stupido errore da sciocca, che se non lo avessi commesso a quest’ora sarei la moglie di Afton e non la sua compagna: avrei dovuto tenere ben strette le sue mani, acchiappare al volo Eleazar e Renata, tirare giù dal letto il prete della prima chiesa che avessi incontrato e pronunciare il fatidico “sì” benedetti dal corpo, ma soprattutto dal sangue, di Cristo. Invece volli fare le cose con calma, organizzare nei dettagli il giorno che sognavo da secoli e cucirmi il vestito più bello del mondo. Capitemi, sono una sarta: l’abito da sposa che avrei indossato sarebbe dovuto essere il mio capolavoro.

E il vestito prendeva forma: estrassi la seta dai bozzoli, ne feci uno splendido filato e poi lo mescolai ad altre stoffe; giocavo con le trame, i pieni e i vuoti, con la diversa consistenza dei tessuti ed il loro modo di riflettere la luce. Era la cosa più splendida che mai avesse preso forma sotto le mie abili dita.

Afton, incredibilmente, pareva non avesse ripensamenti. Non dico che prendesse la cosa con entusiasmo, non esiste entusiasmo nella mente di uno che è un monumento vivente al memento mori, e chiedo perdono per l’ossimoro ardito; però osservava i miei preparativi con una certa curiosità mista al solito scetticismo della sua espressione, quella che sembrava chiedere al mondo “è proprio necessario?”. Lo era.

Un giorno Aro mi mandò a chiamare, nella stanza circolare. C’erano tutti e tre e sorridevano. Perfino Marcus aveva sfoggiato il suo millimetrico sorriso per me ed Afton.

-Ci è giunta alle orecchie la notizia… chissà che questa non sia la volta buona, tesoruccio!- trillò Aro, congiungendo le mani con grazia, come se dovesse catturare una farfalla.

Chinai il capo. –Io lo spero, Signore-, risposi. Caius esplose in una risata fragorosa. –Non sperarci troppo, bambina, che poi avrai tutta l’eternità per pentirtene e desiderare di poter tornare indietro e dartela a gambe!-, celiò. Sorrisi: chiunque ci avesse abbastanza a che fare (ergo, avesse il mantello abbastanza scuro) sapeva perfettamente che Caius si lamentava sempre del matrimonio, ma senza Athenodora si sarebbe sentito perso. –Daglielo, fratello!- incitò Aro, rivolgendo a Marcus un cenno del capo.

Lui si recò leggero verso di me, la sua espressione era come al solito impenetrabile ma il filo dei suoi legami con gli astanti era molto meno sfilacciato del solito; reggeva tra le mani un piccolo scrigno, un oggetto che doveva appartenere agli arredi sacri della basilica di Hagia Sophia prima che fosse depredata durante la quarta crociata. Nel porgerlo a me lo aprì lentamente.

Sono bachi da seta, fu il mio primo, incoerente pensiero. Invece erano perle, meravigliose, perfette perle birmane. A bocca aperta balbettai che era troppo, che non potevo accettare, che ancora facevo fatica a crederci perfino io che mi sarei sposata. Caius sbuffò,  Aro ribatté che non importava, che nessun dono era troppo per i suoi tesori. Marcus mi mise la scatola nelle mani. –Consideralo una ricompensa per tutti gli anni di onorato servizio-, disse. Accettai, commossa.

Le perle finirono sulla seta, per adornare il mio abito. Usai le più piccole per i delicati ricami del corpetto, quelle di misura media per i bottoncini sulla schiena, le più grosse le applicai in fili di cinque sulla gonna ampia, a trattenere le balze di seta come fossero i bachi pallidi sul gelso.

Però nel frattempo il sorriso di sole di Carmen si spegneva ogni giorno di più, i suoi vivaci occhi di rubino erano neri sempre più spesso, e sempre troppo a lungo. Conoscevo il motivo perché me ne aveva accennato Eleazar: lei non sopportava il nostro modo di nutrirci.

Raramente partecipava ai banchetti, preferendo cacciare da sola. Aveva i suoi metodi e le sue vittime: prediligeva gli stupratori, gli uomini che picchiavano la moglie, quelli che maltrattavano i bambini; detestava togliere la vita a persone innocenti. Eleazar era turbato, ma non condivideva con noi i suoi turbamenti, forse perché a parte Carmen non c’era nessun altro con cui potesse parlarne: non era il caso che si confidasse con Renata, non avrebbe trovato appigli discutendone con Afton (già lo sento rispondergli: -Tanto dovremmo morire tutti, prima o dopo che differenza vuoi che faccia?- ), e la paura di guastare la mia gioia perfetta respingeva le sue confidenze.

Col senno di poi immagino che gli fossero tornati in mente tutti i pensieri risalenti alla trasformazione di Renata, dubbi che Carmen non fugava, ma anzi alimentava con il suo modo di pensare.

Ed io commisi il mio secondo errore, e se pesco quello che dice che “la gatta frettolosa fa i gattini ciechi” lo divoro partendo dal cuore. Farà anche i gattini ciechi, però almeno lei è sposata.

Il filo che legava Eleazar a noi si stava sfilacciando a vista d’occhio. Ricordate quello che dicevo a proposito degli orli che si scuciono? È vero in parte: se la sarta se ne accorge in tempo li ripara in men che non si dica. Peccato che la sarta fosse troppo distratta dal suo abito da sposa per badare a degli stupidi orli.

Vedevo il legame tra lui e Carmen rafforzarsi sempre di più, cucito col filo luminoso del quale solo Dio possiede il rocchetto, e nella mia distrazione pensai che fosse a causa di quel contrasto che tutti gli altri fili mi sembravano più sbiaditi.

Fino a che un giorno, io ero nella mia stanzetta da cucito ed applicavo del finissimo pizzo ad un velo impalpabile, Renata spalancò la porta e rimase fissa sulla soglia a guardarmi con i suoi occhi immensi, l’ espressione talmente triste che mi sembrava di vedere fiumi di lacrime scorrerle lungo le guance pallide.

-Eleazar se ne va. Lascia i Volturi-, rispose al mio sguardo interrogativo.

-Cosa…? Quando…?- balbettai, in inglese credo, basita.

-Adesso. Non so cosa sia successo, ma ha lasciato Volterra assieme a Carmen. Pare che abbia preferito andarsene senza salutare nessuno.-

Sentii l’ago accartocciarsi tra le mie dita. –Ma… e Aro… Caius…-

-E che potevano fare. Dispiaciuti, sono. Ma non potevano costringerlo.-

Scossi la testa. –No, loro no… però forse io sì, se riesco a raggiungerlo, forse, io…-

-No che non puoi. Non contro Carmen. Lei è troppo forte per noi.-

Per noi. Capii subito cosa intendeva: non per la guardia dei Volturi, ma per me e per lei. Troppo forte per i miei poteri e per i suoi sentimenti.

Il viso di Renata era il perfetto riassunto di tutta la filosofia di Afton: il ritratto di chi si trova di fronte il momento che temeva ma che sapeva ineluttabile, quello contro cui non si può lottare, in cui tutto finisce e si decompone. Andai ad abbracciarla, sperando di riuscire a tenerla insieme.

Ed è qui che il mio racconto finisce. Sto fermando tutti i fili, ci siamo quasi.

Renata riuscii a tenerla insieme, perché il suo posto è questo e questa è la sua casa. Di Eleazar non parla quasi mai, ma io conosco bene la nostra natura bastarda e so che nessuno riesce a farglielo dimenticare, nonostante lei neghi ogni legame. Ha sempre negato, a pensarci bene.

Di Eleazar non ebbi che sporadiche notizie, sparse in questi tre secoli: è andato nel Nuovo Mondo, si nutre solo di sangue di animali, si è unito al clan di Tanya e le sue sorelle. Sempre con Carmen al fianco, ovvio. Chissà se riesce ad immaginare che gli sarebbe bastato aspettare qualche giorno in più per andarsene ed ora io sarei la moglie di Afton; chissà se gliene è arrivata qualcuna, di tutte le maledizioni che gli ho indirizzato.

Del matrimonio non se ne fece più nulla: l’abbandono di Eleazar fu come una gelata improvvisa, che uccide tutte le uova prima che possano diventare un verme e un filo. La magia era stata spezzata, io ebbi il mio bel daffare a badare che nessun altro membro della guardia si scucisse e trascurai di finire l’abito.

Passata la tempesta era passato anche il momento giusto, e Afton era di nuovo il fiero portabandiera dell’infinita vanità del tutto. Il mio vestito bianco era lì, perfetto di seta e perle, ed inutile. In questi anni l’ho disfatto e ricucito non so più quante volte, seguendo le mode del tempo ed il mio estro di sarta, per essere pronta nel caso in cui capitasse di nuovo qualcosa, come la magia del gelso e dei bachi, capace di convincere Afton.

Eccomi qui, dunque, a mostrarvi il lavoro completo. Vi prego di credermi, sono la prima a rammaricarmi che questo racconto non finisca con un bel matrimonio, come dovrebbero fare i racconti perbene. Spero che sia di vostro gradimento, come usano dire le sarte attendendo una risposta.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:  la cosa dei “mantelli grigio scuro” la dice in Breaking Dawn: Qui Quo e Qua hanno il mantello nero, i vampiri talentodotati grigio scuro, e gli altri di varie gradazioni di grigio che si schiariscono man mano che si scende nella gerarchia. Immagino che le “scale di grigio” non si mescolino più di tanto, e un conto è Felix, un conto Sconosciuto Vampirizzato Ieri che magari non ha neppure l’accesso al giardinetto con i gelsi in cui ogni tanto si ferma anche Marcus.

Se la storia è venuta troppo lunga è colpa di Chelsea che non la smette mai di chiacchierare, se invece va bene è merito mio. 

Come sempre, grazie a tutti quelli che proseguono indefessi a leggere le storie di questi omarini snobbati solo perché sono piccoli e grigi scuri!

lon8tana: non sentirti Bella, mai! Corri il rischio di convincerti che uno stalker che non ti toglie gli occhi di dosso nemmeno mentre dormi possa essere l’uomo della tua vita! Tornando seri: neanche a me piacciono gli OOC (con le dovute eccezioni, va da se’), e sentirmi dire che i personaggi sono credibili anche quando fanno gli scemi è una gran soddisfazione. I Volturi non sono una famiglia come i Cullen, ciò non toglie che vivano insieme da secoli e passino insieme 24 ore al giorno senza mai dormire. Quanto è credibile che le passino tutte dicendo cose gotiche in pose plastiche? Ti ringrazio per i complimenti… oddio, adesso mi hai messo in ansia! Mi raccomando, se combino una schifezza non aver paura di dirmelo!

OttoNoveTre: “tamarrate”! Evviva! Lieta di averti fatto ridere… nonostante Tuailàit sia, come recita la copertina della mia edizione economica, il manifesto della generazione emo, io cerco di mantenere l’emitudine lontano da me. Se non dovessi riuscirci, fammi un favore: fammi esorcizzare dal sacerdote amico di Machete!

 

   
 
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