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Autore: Abby_da_Edoras    14/11/2009    1 recensioni
Autrice: Lady Arien. Trama: la mia storia segue le vicende del film "King Arthur" di Antoine Fuqua, ma nella mia versione i cavalieri non muoiono nella missione contro i Sassoni e restano uniti a creare un nuovo Paese, la Britannia. Ho introdotto anche un amore omosessuale (senza scene hard) fra Tristano e Galahad, che sono i miei personaggi preferiti. Spero che la ff vi piaccia.
Genere: Drammatico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Galahad continuava a sentirsi strano e sempre più turbato

Galahad continuava a sentirsi strano e sempre più turbato. Non capiva se Tristano volesse qualcosa da lui o se stesse semplicemente prendendolo in giro, magari approfittando del fatto che aveva certamente notato l’adorazione del ragazzo nei suoi confronti.

“Mi stupisce che tu, scrupoloso come sei nel preparare il tuo equipaggiamento da guerra, abbia deciso di aspettare domattina per recarti nelle scuderie” gli disse, ritornando sull’argomento che gli premeva. “Sembravi tanto ansioso di partire per farti ammazzare dai Sassoni!”

L’ombra di un sorriso sfiorò le labbra del guerriero: il ragazzino voleva proprio rinfacciargli quella frase fino alla fine dei suoi giorni?

“Nemmeno tu ci sei andato, mi pare.”

“Io non vorrei nemmeno partecipare a questa missione suicida! Devo farlo per forza, sono ancora sotto il comando di Artù, ma non partirei se potessi decidere liberamente, stanne pur certo. Sei tu quello che aspetta solo di morire in battaglia…” ribatté Galahad in tono polemico, ma Tristano ne aveva abbastanza delle sue obiezioni e lo interruppe.

“Te l’ho detto. Sta a te convincermi che c’è qualcos’altro per cui vale la pena vivere…” disse con voce sommessa, avvicinandosi a lui ancora di più e prendendolo per le braccia. Galahad trasalì. A questo punto non poteva più fingere di non aver capito e, del resto, era ciò che desiderava fin dal principio, prima ancora di rendersene conto. Però c’era ancora qualcosa che lo tratteneva.

“Senti, lo sai che… insomma, lo hai capito, altrimenti non saresti qui” cominciò il giovane, sempre più a disagio, “Però forse non ti rendi conto del fatto che… è vero che io vorrei un legame più stretto fra noi due, ma ho anche paura che un legame simile poi non mi permetterebbe più di comportarmi come prima. Voglio dire, come potrei mai combattere preoccupandomi continuamente di te che te ne vai a cercare gli avversari più pericolosi per dimostrare a te stesso quanto sei bravo?

“Allora anche tu mi hai osservato bene e hai capito che tipo sono” ribatté il cavaliere in tono leggero, ma poi ridivenne subito serio. “Galahad, siamo guerrieri ed abbiamo dei doveri. Quello che può nascere fra noi due non deve cambiare assolutamente niente sul campo di battaglia. Il nostro primo dovere è quello di combattenti. Però in questo momento non siamo in guerra, mentre da domani uno di noi, o entrambi, potrebbe perdere la vita. Io non voglio avere rimpianti se questo dovesse accadere. Tu sì?”

Il giovane scosse il capo lentamente e si lasciò guidare dal compagno verso l’alloggio dove dormivano i cavalieri. Era una stanza molto grande, all’interno della fortezza, con dei pagliericci per terra che servivano da giaciglio per gli uomini. Un tempo era stata piena di giovani guerrieri, ma col passare degli anni molti fratelli d’arme erano morti e, poiché Artù aveva giurato di non sostituirli, il luogo adesso sembrava quasi abbandonato. Del resto Bors si era fatto una famiglia e dormiva molto più spesso da Vanora che con i suoi compagni, mentre Lancillotto spesso trascorreva la notte in compagnia di qualche bella fanciulla, per non pensare alle battaglie imminenti e alla morte che poteva sorprenderlo in qualunque momento. Il giaciglio di Tristano era addossato alla parete e lontano dagli altri, come se anche di notte il cavaliere non volesse smentire la sua fama di lupo solitario. Non c’era nessuno: probabilmente il resto dei guerrieri si trovava nelle scuderie a equipaggiarsi per la missione. Sempre rimanendo in silenzio, Tristano condusse Galahad al suo pagliericcio. 

 

Lancillotto, Gawain e Dagonet rientrarono molto più tardi nell’alloggio che dividevano con i compagni. Il primo si era trattenuto a lungo a discutere con Artù su questa nuova missione che lo irritava alquanto, gli altri due si erano recati invece a sistemare i loro equipaggiamenti per la partenza. Bors era stato con loro, ma poi aveva preferito rimanere a dormire da Vanora, consapevole che poteva essere l’ultima notte che poteva trascorrere con la sua compagna fra le braccia e i suoi bambini che li attorniavano. Il giaciglio di Tristano era piuttosto lontano dagli altri e soltanto Gawain si accorse che il cavaliere non era solo. Scrollò le spalle, pensando che in fondo non erano fatti suoi, ma, dirigendosi al proprio giaciglio, notò che quello di Galahad era vuoto: allora capì quello che doveva essere accaduto durante la loro assenza e si sentì profondamente turbato. Fra tutti i guerrieri era quello più vicino al ragazzo e si era già reso conto della predilezione particolare che Galahad aveva per Tristano; non si sarebbe mai aspettato, però, che il misterioso e solitario cavaliere potesse ricambiare il suo affetto. In realtà non era il fatto in sé a scandalizzarlo poiché sapeva bene come tali rapporti potessero nascere in un mondo come il loro, fatto solo di violenza, morte e scarsissime presenze femminili. Ne aveva visti altri crearsi e sciogliersi, sebbene lui personalmente non avesse mai provato tali bisogni. No, non lo preoccupava questo: ciò che lo angosciava era come il giovane guerriero avrebbe potuto vivere una simile relazione. Sapeva che Galahad, a causa della sua giovane età, non era riuscito ad ambientarsi davvero in Britannia, provava continuamente nostalgia per la Sarmazia ed era disgustato dalle incessanti battaglie e uccisioni. L’unico appiglio che aveva trovato per sopravvivere in quell’inferno era la convinzione radicata che, alla fine di tutto, sarebbe potuto tornare a casa. Ora anche quella consolazione gli era stata tolta bruscamente da Germanus e lui si era evidentemente aggrappato a Tristano per non soccombere alla delusione. Ma cosa sarebbe accaduto se, per caso, il valente arciere fosse rimasto ucciso in quella missione? Oppure, più semplicemente, se Tristano, una volta soddisfatto il bisogno originato dall’imminente spedizione così pericolosa, si fosse stancato di lui e lo avesse respinto? Galahad non sarebbe stato in grado di reagire ad una nuova e cocente delusione, Gawain lo sapeva bene, era già al limite della sua resistenza. Girandosi e rigirandosi nel suo giaciglio senza riuscire ad addormentarsi, il cavaliere si augurò che andasse tutto bene, ma la preoccupazione continuò a tormentarlo per buona parte di quella notte.

 

All’alba del mattino dopo tutti i guerrieri sarmati erano nelle scuderie a preparare i cavalli, affilare le loro armi, controllare archi e balestre e caricare viveri e munizioni. Quando Artù entrò nessuno gli rivolse la parola e ciò lo ferì, ma sapeva che era giusto così: doveva lasciare ai suoi uomini il tempo di riflettere e farsi una ragione dell’ingiustizia patita che ancora bruciava troppo forte nei loro cuori. Ciò che più lo addolorava era comunque l’atteggiamento ostile di Lancillotto. La sera prima l’amico si era mostrato risentito e caustico nei confronti di Roma, del suo Dio e di tutto ciò in cui Artù credeva. I due si conoscevano da quando entrambi avevano quattordici anni, avevano affrontato insieme l’addestramento e ancora insieme avevano selezionato gli uomini che avrebbero fatto parte della loro cavalleria scelta; prima d’ora non avevano mai avuto una discussione tanto accesa come quella della sera precedente e Artù sperava di riuscire a sanare la ferita al più presto. Non si sarebbe mai perdonato, altrimenti, se Lancillotto non fosse tornato da quella spedizione. Si sarebbe sentito per sempre responsabile della sua morte e questa consapevolezza lo avrebbe distrutto.

“Portate solo l’essenziale” disse, rivolgendosi ai suoi cavalieri. “Non abbiamo bisogno di tutto l’equipaggiamento da guerra sarmata, dovremo anzi viaggiare leggeri e spediti attraverso la foresta fino ai possedimenti di Marius Honorius. Dormendo e mangiando a cavallo dovremmo riuscire a raggiungere la meta in tre giorni e poi, se la sorte ci sarà propizia, preleveremo quella gente e la ricondurremo al più presto oltre il Vallo, evitando i Sassoni.

“Se la sorte ci sarà propizia…” sottolineò Lancillotto con un sorriso amaro.

In quel momento nelle scuderie entrò Germanus, seguito da Horton. Il vescovo si guardò intorno con disgusto e disapprovazione poiché nessuno si era alzato per salutarlo, anzi, i cavalieri lo avevano ignorato a bella posta, concentrandosi ancora di più sulle loro occupazioni. Solo Artù gli andò incontro.

“Sono venuto qui per informarvi che il mio fedele segretario, Horton, vi accompagnerà in questa spedizione, in rappresentanza della Santa Sede.” annunciò. Le sue parole accrebbero il nervosismo che già aleggiava fra i guerrieri, ma nessuno parlò. Del resto lo stesso Horton non era propriamente un valoroso e avrebbe rinunciato volentieri ad un simile incarico.

“Bene” commentò Artù, nascondendo un sorrisetto. Ben conosceva, infatti, la codardia di quell’uomo. Si rivolse invece al suo servo Jols “Trova un cavallo per il segretario di Sua Eminenza.”

Horton salì di malavoglia in groppa al destriero gigantesco che gli fu offerto, ma non poteva disobbedire al vescovo. Quando tutti i cavalieri furono pronti per la partenza, Germanus volle benedirli.

“Iddio Onnipotente vi accompagni nell’adempimento del vostro obbligo di fedeltà verso Roma.” recitò.

“Il mio unico obbligo di fedeltà è verso i miei uomini!” replicò gelido Artù senza neanche guardarlo.

“Bene, allora riportali presto sani e salvi.” concluse untuosamente il vescovo.

I guerrieri, con Jols ed Horton che chiudevano la fila, partirono, mentre davanti a loro si aprivano le imponenti porte del Vallo di Adriano. Varcate le porte spronarono i loro destrieri, accingendosi a compiere quell’ultima impresa al servizio di Roma.

Viaggiarono per tutto il giorno e la notte seguente, senza accamparsi, fermandosi solo di tanto in tanto per abbeverare i cavalli a qualche fonte. Dormirono e mangiarono in sella e mantennero questo ritmo forsennato per tutta la prima parte del viaggio. I destrieri erano abituati a tali andature e anche i cavalieri, presi dall’eccitazione dell’azione, sembravano pian piano dimenticare la rabbia ed il risentimento provati inizialmente. Non sentivano né stanchezza né fatica.

Horton, invece, abituato a un ben diverso tipo di vita, era già distrutto prima che terminasse il primo giorno.    

   
 
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