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Autore: ailinon    21/11/2009    3 recensioni
Nel lontano rinascimento, un ragazzo con una grande e sola passione: la poesia e la lettura.
La sua vita a Firenze, lo condurrà a conoscere molti personaggi importanti.
Dalla sagace intelligenza di Pico, alla filosofia di Marsilio.
Dalla gioia di vivere di Giuliano de Medici, alla grandezza di Lorenzo il magnifico, suo fratello.
Fino alla superbia della famiglia de Pazzi.
Ma uno su tutti saprà cogliere l'essenza del suo animo...
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
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Capitolo 75 – PENSIERI LONTANI

Capitolo 75 – PENSIERI LONTANI

 

La corte dei Gonzaga era sfarzosa ed elegante, eppure non riusciva a smettere di paragonarla alla città che aveva lasciato, in preda alla più nera angoscia.

La corte mantovana, per quanto bella e ricca, non aveva lo spessore di Firenze.

E’ vero, c’erano degli artisti al servizio di Federico Gonzaga, e qualche letterato di buona levatura ma non si parlava certo di filosofia e poesia durante le loro feste, cosa che invece aveva sempre incoraggiato Lorenzo de Medici. Nessun Ficino, o Cristoforo Landino o la mente brillante di Pico della Mirandola; ma su tutti mancava proprio un mecenate come Lorenzo.

 Eppure il suo signore era stato lontano per mesi e mesi, senza mandare nessuna notizia dal suo viaggio disperato a Napoli. E Angelo con lui.

Erano spacciati, aveva pensato. Aveva perso entrambi ed è stato allora che se né andato da Firenze.

Aveva girovagato per molte corti prima di finire a Mantova. In quella città l’avevano accettato come una bella gemma da esibire. Niente di più.

Gli avevano chiesto alcuni lavori, in cambio dell’ospitalità ma, niente di più che qualche traduzioni dal greco.

“La poesia è finita” pensò, passeggiando tra gli invitati della festa dei Gonzaga.

Palazzo ducale era splendido. Così come lo erano certi giovani e certe dame che aveva veduto; tutta apparenza senza contenuto. Sapevano solo parlare a vanvera, con sapienza retorica volevano entrare nelle sue grazie ma, c’era solo un ragazzo che  aveva saputo restarvi tutto quel tempo. Anche da lontano.

Angelo non parlava molto, anzi, spesso restava in silenzio ad ascoltarlo, guardandolo con occhi rapiti. La sua era la poesia che più apprezzava. Una poesia che solo pochissime persone sapevano fare.

La poesia del silenzio.

E immerso in quel vociare fatuo, si rendeva conto quando avvertiva la sua mancanza.  L’araldo aprì i battenti del salone delle feste e con voce stentorea annunciò: «Ser Belardi da Firenze»

 Agnolo si voltò, stupito, come la folla che si era radunata nel salone.

Il capitano Belardi a Mantova? L’aveva lasciato a Firenze, intento ad organizzare la difesa della città, ora che ci faceva lì?

 Mentre i signori di Mantova salutavano il nuovo ospite, Poliziano tentò di avvicinarsi per salutarlo, e fu allora che sentì la folla mormorare. Da come parlavano le donne, sembrava che il capitano fosse molto affascinante.

L’ospite prese a parlare mentre ancora non lo vedeva.

 «Miei signori, nobili protettori di questa splendida città, il vostro servo Lorenzo de Medici vi porge i suoi omaggi» esordì l’ospite in un inchino, togliendosi il cappello morbido, con una piuma bianca legata di lato.

Quel giovane araldo sembrava un signore, tanto che molti si chiedevano chi fosse in realtà. L’aspetto poi, dava da pensare.

Era uno splendido giovane uomo, saldo e slanciato. I capelli castani gli si arricciavano lievemente all’altezza del collo.

I Gonzaga lo apprezzarono enormemente quando, con ironia e deferenza, l’araldo disse: «Il mio signore Lorenzo si augura che stiate in salute e in fortuna, e sarebbe molto lieto di riprendere con sé uno sproloquiatore di belle parole, che voi avete protetto in sua vece»

 Madonna Margherita di Wittelsbach, moglie di Federico Gonzaga, rise cercando con lo sguardo il volto paonazzo di Poliziano.

 Il messaggero posò i suoi occhi verdi in quelli del poeta e poi, piegò le labbra in un sorriso.

Questi rimase senza parole. Era Angelo il ser Belardi che aveva annunciato il cerimoniere!

“Quel vecchio burbero l’ha adottato?” pensò, basito. “Ed è tornato da Napoli! Lui e Lorenzo, sono tornati vittoriosi!” ora era anche incredulo.

 «Se ser Lorenzo, nostro buon amico, rivuole un così piacevole fastidio, noi non gli diremo certo di no» sorrise Federico Gonzaga, dal suo trono posto contro un lato della bella stanza affrescata.

«Ovviamente se anche messer Poliziano vuole tornare» aggiunse, lasciando l’ultima parola al poeta.

Agnolo chinò il capo. Lorenzo era sempre una vecchia volpe. Usando come araldo la bellezza, l’aveva incastrato nelle parole. Ora non poteva dire di non voler tornare a Firenze, per non offendere Lorenzo e gli stessi Gonzaga che avevano dato il loro consenso. Si sarebbe detto incastrato se non fosse stato così felice di tornare tra le braccia della sua Firenze.

«Obbedirò alla cortese richiesta di messer Lorenzo, specie se per mandarmela ha scomodato angeli del corteo di Venere» esclamò, inchinandosi.

 Stavolta fu la volta del suo caro araldo, di sentirti in imbarazzo.

 Forse si era sbagliato. Forse i bei tempi sarebbero tornati!

***

 

   
 
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