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Autore: keska    22/11/2009    35 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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«Questa è la segreteria telefonica di Edward» «E Bella» - «Non dimenticatevi di Lilla!» «Emmett smettila, mia figlia non avrà il nome di un cane!»  - «Probabilmente volevate parlare con noi» «Ma al momento siamo impegnati» - «…E sì! A fare chissà cosa… uh-uh… povera Lilla!» Un ringhio - «Lasciate un messaggio dopo il bip, e non preoccupatevi, Edward non farà troppo male a suo fratello… ci penserò io!»”.

«Bella, Bella? Sono io, Reneè! Ma che razza di segreteria telefonica hai?! È bellissima, la voglio anch’io!».

Corsi velocemente dalla camera da letto fino al soggiorno, afferrando la cornetta prima che mia madre potesse perdersi in uno dei suoi soliloqui. «Mamma» risposi con il fiatone.

«Oh, Bella, tesoro! Quanto tempo che non ti sento, sono stata così in apprensione!». Da notare il fatto che ci chiamavamo puntualmente ogni giorno. «Come sta la mia nipotina, è cresciuta? Si vede la pancia? E Edward? Dimmi, come sta lui? Avete comprato tutto quello che serve per la bimba? Lo sai vero che c’è bisogno di tante cose!? Esme? Carlisle? Vi stanno dando una mano? E Charlie? Ha tolto il gesso oggi? Hai fatto l’ecografia? È bella la bambina? Oh… sicuramente sarà bellissima…».

Sorrisi, vedendo Edward comparire davanti a me, e lasciando che mia madre continuasse con la sua serie di domande insensate. Feci una smorfia, sollevando gli occhi al cielo, e fui contenta di vederlo sorridere. Potevo essere certa che quel sorriso fosse autentico, e considerando la paura che avevo di vederlo nei suoi momenti tristi, tentavo in ogni modo di saziarmi di quelli felici.

«Bella! Vieni qui, devo finire con te!» mi chiamò Alice dalla nostra camera da letto.

Edward mi sorrise, porgendomi una mano con la chiara intenzione di farsi passare la cornetta.

Mimai un “grazie” con le labbra prima di passargliela e lasciargli un bacio leggero.

Era arrivato il grande e atteso giorno di Halloween. Come promesso a mio padre, saremmo andati alla festa in paese. Subito dopo aver accettato, avevo notato in Edward una certa tensione a quella prospettiva, come se per un attimo la tristezza che mi era parso di vedere fosse riemersa, libera dal suo controllo. Al contrario, io, avevo le idee ben chiare. Avevo già chiesto ad Alice, quando mi aveva costretta ad andare insieme a fare shopping per la bambina, di dividere sostanzialmente in due tipologie gli abiti che avrebbe dovuto acquistare per me.

Quelli da mettere in università, decisamente sobri e che nascondessero quanto più la mia pancia, considerando che fino all’ultimo avrei voluto mantenere il segreto, come d’altronde avevo già fatto con Amber e il professor Philip.

Gli altri, invece, che urlassero quanto fossi incinta e orgogliosa di essere mamma. Beh, quasi mamma. In sostanza, volevo sfoggiare la mia piccola pancia, il mio seno grosso e il mio smisurato sedere in modo che nessuno avesse di che parlarmi alle spalle.

«Alice! Ma cosa mi hai messo?» chiesi, osservandomi allo specchio.

Lei batté un piede a terra, sbuffando. «Sei semplicemente deliziosa. Mi hai detto che doveva vedersi la pancia! Beh, si vede! Non è colpa mia se era troppo piccola perché potesse notarsi, l’ho dovuta mettere in risalto!».

Rotei gli occhi al cielo, uscendo infastidita dalla stanza.

Notai perfettamente Edward, appena dietro la penisola della cucina, soffocare una risata sotto i baffi non appena mi vide.

Gli indirizzai un dito contro. «Smettila» lo minacciai, puntando i piedi a terra.

A quel punto scoppiò in una fragorosa risata, seguita da una folata di vento e un baciamano. «Tesoro, sei…» strinse le labbra, contraendole per non ridere ancora «deliziosa».

Lo fissai di sottecchi. «Sembro una meringa formato gigante» protestai poi, stizzita, osservando com’ero vestita. Avevo dei semplici e comodi jeans, su mia richiesta, e fin qui tutto bene. Le scarpe si poteva dire fossero simili a delle pantofole e sarebbero state perfette se non fosse stato per gli enormi pon pon che vi troneggiavano sopra! E poi, la maglietta… era così ridicola!

Edward infilò una mano sotto l’enorme quantità di tulle, arrivando fino all’elastico che mi stringeva sotto il seno dando alla maglia uno “stile impero”. «Questa maglietta è perfetta per accarezzare la bambina…» sussurrò con un sorriso. «I jeans ti sono sempre piaciuti e le scarpe sono comodissime».

«E che mi dici del fermacapelli?».

Nuovamente, sul suo viso apparve la smorfia curiosa che faceva quando tentava di non lasciarsi andare alle risate. «Bella, è Halloween! Chi vuoi che noti un cerchietto pieno di piume, glitter e… strass!?».

«Già, chi vuoi che lo noti?» chiese Alice, comparendo in un lampo davanti a me. Sentii in un istante le mani fredde sulle mie guance e il sapore amarognolo del rossetto sulle labbra. «Un bacio, ci vediamo piccioncini!».

Non appena realizzai, con il mio lento cervello umano, quello che era avvenuto, mi voltai, intontita, verso lo specchio. «Alice! Somiglio a un vampiro alla luce del sole! Erano proprio necessari i brillantin-» mi bloccai, voltandomi verso Edward e scoppiando a ridere.

Lui sbuffò, togliendosi il cerchietto con le antenne da grillo parlante.

«E no mio caro! Io sono la fatina e tu sei il grillo, avanti, su, indossa il tuo costume!».

«Non ci penso neppure» disse scappando via in una risata.

Provai ad afferrarlo, ma, ovviamente, mi ritrovai con un pugno di mosche in mano. «Vampiri» sibilai.

Fortunatamente, mentre lui era troppo impegnato a fare a pezzi se sue antenne verdi, potei liberamente attingere alle caramelle destinate ai bambini che avrebbero bussato alla nostra porta. Non che realmente credessi che dei bambini potessero spingersi così lontano dal paese. Nessuno avrebbe ammirato le meravigliose candele realizzate con amore da Esme e Rosalie con delle zucche. Di sicuro erano le più belle in circolazione.

Sentii il campanello suonare, così mi affettai a nascondere il corpo del reato. Forse avevo mangiato un po’ troppe caramelle.

Appena dieci minuti dopo, durante un breve viaggio in macchina in cui non feci altro che protestare per il fatto che fossi l’unica travestita da qualcosa, realizzai che eravamo quasi arrivati in paese. Bloccai le mie lamentele, voltandomi a fissare Edward.

Notai immediatamente il silenzio. Non silenzio nel senso assoluto, considerando che Rosalie e Emmett, sul sedile posteriore della Aston Martin, continuavano a chiacchierare animatamente.

Edward guidava, concentrato sulla strada. Ad un qualsiasi umano sarebbe risultato normale, considerando la nebbia fitta che impediva la visuale e del pericolo che si correva a causa delle foglie umide e scivolose, ovunque sull’asfalto. Ma lui non aveva certo bisogno di concentrasi, grazie ai suoi sensi super sviluppati da vampiro.

Posai, timorosa, una mano sulla manica del suo giaccone.

Si voltò, scattando, verso di me, come se l’avessi colto di sorpresa.

Corrugai le sopracciglia. «Tutto bene?».

Lui mi sorrise, distendendo immediatamente la sua espressione. Notai che ora anche Rosalie e Emmett stavano ora in silenzio. «Certo».

Annuii, voltando lo sguardo verso il finestrino. Ero stata così certa del fatto che rincontrare da vicino gli abitanti di Forks non mi avrebbe causato alcun problema, che non mi ero affatto posta il problema di Edward. Accidenti, com’ero stata sciocca! Ma non avevo potuto minimamente pensare che si preoccupasse di quello che pensava la gente. E tutt’ora pensavo che per lui non fosse così importante.

«Edward» feci una pausa, voltandomi verso di lui «non è necessario che ci andiamo. Se non ti va…».

«Ma no Bella, cosa dici» mi sorrise, ma sapevo perfettamente, per quanto fosse un ottimo attore, che quel suo sorriso non era affatto autentico.

«Bellina, non puoi far saltare tutto all’aria, il folletto ti ammazzerebbe!» scherzò Emmett tirando scherzosamente un pugno sulla spalla di Edward.

«È vero» aggiunse Rosalie, con la sua voce composta «millantava le sue doti di truccatrice e costumista, ci rimarrebbe molto male».

Io non scostai i miei occhi da Edward, nuovamente concentrato sulla strada.

Emmett rise. «E poi siamo arrivati!».

Vidi le lunghe dita bianche, splendenti nell’oscurità della sera, stringersi attorno al volante.

Rosalie e Emmett scesero immediatamente dall’auto, forse per fretta, forse, per lasciarci un po’ soli.

Col cuore che mi batteva veloce per la preoccupazione, mi avvicinai a Edward, sentendo i sedili in pelle scricchiolare sotto di me. Gli posai una mano sulla guancia marmorea, fissandolo nei suoi profondi e meravigliosi occhi ambrati. «Edward, possiamo tornare a casa. Non mi importa di questa festa e poi» abbassai lo sguardo «sono anche stanca, tutto il giorno nelle mani di tua sorella» tentai di sdrammatizzare.

Vidi, con la coda dell’occhio, la sua mascella contrarsi.

Sentii il cuore battere velocissimo nel petto, mentre il silenzio sordo si spandeva fra noi. Avevo dannatamente paura per i miliardi di pensieri che, contemporaneamente, potevano affollare la sua mente da vampiro.

Quando, dopo un tempo infinito, spostò il suo sguardo cercando il mio, aveva un’espressione perfettamente serena. «Charlie ci sta aspettando, ma non sono ancora disposto a lasciarti andare».

Lo fissai, attendendo che continuasse, o che magari cominciasse a spiegarmi il motivo del suo comportamento.

«Prima voglio un bacio da mia moglie. Posso?» chiese, posando una mano sulla mia nuca e avvicinandomi a sé.

Annuii, sospirando e rinunciando a qualsiasi tipo di spiegazione.

«Bella, Edward! Siete arrivati finalmente!» esclamò mio padre venendoci incontro in un’originalissima divisa da sceriffo d’altri tempi.

Smisi di guardarmi intorno, distogliendo con disinteresse l’attenzione da tutti gli occhi curiosi, puntati su di me. Strinsi più forte la mano di Edward, che, sereno, fece passare un braccio intorno alla mia vita, stringendomi a sé. «Ciao papà, come stai? Sei un figurino».

«Non sono mai stato meglio. Una liberazione» disse, indicando la sua gamba senza il gesso.

«Buonasera Charlie» salutò cordiale mio marito. Poi mi sorrise, accarezzandomi una guancia bollente e rossa a causa dello sbalzo di temperatura fra l’esterno e l’aria riscaldata del centro comunitario di Forks. «Vuoi dare a me?» chiese, indicando il mio giaccone.

Lo ringraziai, voltandomi di schiena in modo che mi sfilasse con galanteria l’indumento.

Se fino ad un istante prima avevo costantemente percepito l’occhio inquisitore di tutti posato su di me, non appena videro l’evidenza dei fatti potei distintamente sentire un malcelato “Ohhh!”.

Sorrisi, soddisfatta, voltandomi verso Edward e trovando la sua espressione tranquilla.

All’inizio restammo perlopiù con mio padre, in disparte, seduti su alcune sedie addossate in un angolo della grande sala. Beh, “grande” era un’esagerazione in confronto all’ampiezza a cui ero abituata.

Fu una piacevolissima sorpresa rivedere i volti di Angela e Ben, buffamente travestiti da Alchimista e Pietra filosofale. Sì, pietra filosofale. Infatti Angela era completamente avvolta in un vestito ambra lucente. «Bella! Aspetti un bambino?» chiese con gli occhi sgranati, saettando con lo sguardo fra il mio viso e la pancia, su cui stava posata la mia mano intrecciata a quella di Edward.

Sorrisi. «Sì, è una femminuccia, nascerà a maggio» spiegai velocemente.

L’entusiasmo che dimostrò alla notizia fu palesemente sincero. Mi raccontò con serenità della sua vita con Ben, al college, di come stavano andando gli studi. Parlava generalmente con me, in naturale disagio nei confronti di Edward. «Bella» disse infine, a bassa voce e con discrezione, prendendomi le mani fra le sue e sedendosi accanto a me. «Mi dispiace tantissimo per… quello che è successo. Sono stata molto in pena per te» mormorò timorosa, ma sincera. «Ho provato, ogni tanto, a chiamarti. Ma» il suo sguardo saettò per un istante su Edward «non sono mai riuscita a parlarti».

Sorrisi, stringendo le sue mani. «È stato un brutto periodo, purtroppo. Ma ora è passato, ed è questo l’importante».

«Ho portato qualcosa da bere!» esclamò Ben, tornando con quattro bicchieri di ponce.

Edward storse in naso. «Credo sia decisamente corretto. Penso ci sia più alcol che ponce. - Sono astemio, sento subito l’odore dell’alcol», aggiunse, a beneficio delle loro facce dubbiose. Ovviamente cedettero subito al tono suadente di Edward.

«Mi dispiace Ben, ma non posso bere alcolici» mi scusai, alzandomi in piedi e prendendo Edward per mano. «Noi andiamo a fare un giro, mi ha fatto piacere vedervi, ci vediamo!» salutai contenta.

Mi lasciai convincere da Edward a ballare per un po’. In verità ero partita da casa con l’originale intenzione di non demordere, ma vedendolo nuovamente felice e sereno non ebbi il coraggio di fare qualcosa che lo potesse rattristare.

«Mi spieghi una cosa?» mi chiese, facendomi volteggiare.

«Cosa?».

Mi guardò fisso negli occhi, con un sorrisetto. «Tu, prima di sposarci, mi hai fatto penare per convincere tutti del fatto che non fossi incinta, tirando fuori strane teorie su fantomatici “sguardi”. Ora invece lo urli alla tua vicina e chiedi ad Alice di fare in modo che si veda la tua pancia?» chiese sinceramente confuso.

Arrossii, mordicchiandomi un labbro e continuando a dondolarmi, appesa alle sue spalle. «Ora sono orgogliosa di mia figlia. Una donna può sempre cambiare idea. È… non c’è una spiegazione Edward» dissi, facendo una smorfia «è così e basta».

Sorrise. «E’ così e basta».

Parlai con molte altre persone di Forks. Colleghi di mio padre, amici, conoscenti. Anche Jessica e Mike - vestiti da Jessica e Roger Rabbit -, già a conoscenza del pettegolezzo, non persero occasione per fare riferimenti più o meno celati. Non fui del tutto certa della sincerità delle loro congratulazioni, ma le accettai comunque di buon grado.

Mi sembrava che l’atmosfera fosse molto meno tesa rispetto a quando eravamo arrivati, e ne ero compiaciuta. Oltre che a Rosalie e Emmett si aggiunsero, nel corso della serata, Alice e Jasper e poi Carlisle con Esme. Ero perfettamente tranquilla con loro accanto e mi sembrò che anche Edward sciogliesse definitivamente la sua tensione. Risi, spensierata, vedendo Rose e Emmett dare spettacolo con un “bacio alla mela”.

«Bella, tesoro, sei un incanto» si complimentò Esme.

Sorrisi, arrossendo. «Grazie». Poi mi guardai attorno, sospettosa. «Sai dov’è Edward?».

Lei mi sorrise gentile. «Credo stia parlando con Carlisle».

«Oh» mormorai «capisco». Mi persi nuovamente con lo sguardo nella sala, accarezzandomi la pancia. Sentii un senso di fastidio nascere prepotente. Ormai avevo acquisito una certa abilità nel distinguere le emozioni della bambina dalle mie. «Esme» chiamai, voltandomi verso il suo sguardo cortese e attento «io esco un po’ fuori, credo che la bambina sia irritata».

Le sue sopracciglia delicate si incontrarono un attimo. «Va tutto bene? Vuoi che venga con te?» mi chiese calma.

Sorrisi, alzandomi i piedi. «No, non ti preoccupare. Credo che per lei ci sia troppo caldo qui dentro, oppure non le piace l’effetto che mi fa la musica».

«Va bene» concesse, seppur titubante.

Uscii fuori dalla grande sala, prendendo delle boccate d’aria all’esterno e lasciandomi rassicurare dal freddo. Rabbrividii, stringendomi nelle spalle e sentendo un moto di serenità invadermi da dentro. Si era già tranquillizzata.

L’aria era così umida e densa che si potevano vedere le goccioline sospese per aria, e il forte vento riusciva a far sollevare le foglioline appiccicaticce e muovere l’acqua in viso come una frusta gelata.

Chiusi gli occhi. Ero così in pace, mi trovavo a mio agio nel vento freddo e turbinoso che faceva sollevare i veli della mia maglietta e rabbrividire anche la bambina.

Quando li riaprii, però, notai qualcosa che fino ad allora i miei occhi non avevano colto. Sentii il cuore cominciare a galoppare nel petto, mentre il respiro veniva smorzato dalla paura e dall’adrenalina che mi correva in corpo. Fra le fronde nere e lontane degli alberi vidi le montagne nere muoversi. Ansimai, terrorizzata, mentre diverse paia di occhi lucenti si rivelavano al mio sguardo, troppo in alto per un’altezza umana.

Sobbalzai, sentendo delle mani afferrarmi saldamente alle spalle. Mi ritrovai in pochi secondi, con il respiro ancora accelerato e una folle paura del cuore, stretta nella salda presa di Edward, che camminando velocemente mi riportava nel salone.

Le voci di tutte le persone mi parvero sorde e confuse, eppure tranquille, troppo poco importanti per capire cosa stesse accadendo. Vidi Esme avvicinarsi a noi, stringendomi per il fianco non occupato da Edward. Rosalie, Jasper e Emmett uscirono con discrezione, allontanandosi dalla folla. Alice e Carlisle parlavano con mio padre, appena sotto il palco.

«Saluta tuo padre» mi disse Edward, a bassa voce, avvicinandosi al mio orecchio «velocemente, di’ che andiamo via, non ti senti bene».

Carlisle e Alice si allontanarono, uscendo. Non riuscii a chiedermi il motivo dell’ordine di Edward, la mia mente umana stava elaborando tutto quello che stava accadendo troppo lentamente.

Mi ritrovai davanti a Charlie, che mi fissava preoccupato. Mentire non avrebbe dovuto essere così difficile. «P…papà» sentii la presa di Edward rafforzarsi e i suoi occhi lanciarmi un’occhiata di incoraggiamento. «Noi andiamo via» sussurrai, tentando di nascondere il tremore nella voce.

Il suo sguardo si fece ancor più apprensivo. «È successo qualcosa?».

Ansimai, ponendomi anch’io la stessa domanda. Cos’era successo? Mi voltai in cerca di aiuto, o magari una risposta, verso Edward, che fissava il vuoto, immobile. Era teso e preoccupato. Mi voltai, non sapendo cosa dire, verso mio padre, leggendo la sua espressione sempre più ansiosa e sospettosa.

«Bella non si sente molto bene» intervenne Esme, con tono perfettamente controllato e cortese «non credo sia grave, forse si è stancata troppo» un sorriso «sarà comunque meglio andare a casa».

Ovviamente mio padre acconsentì immediatamente, anzi, ci invitò lui stesso ad andar via. Velocemente mi ritrovai all’esterno, con addosso il giaccone e protetta su entrambi i lati da Esme e Edward. Non potei fare a meno di lanciare un’occhiata alle nere fronde erbose scosse dal vento. Le montagne erano scomparse.

Non appena fummo lontani da ogni sguardo, mi sentii sollevare in aria e in un istante mi ritrovai sul sedile posteriore dell’Aston Martin, dove ci aspettavano anche Alice e Carlisle. Esme si sedette accanto ad Alice, sul sedile del passeggero.

«Vai» disse solo Carlisle, un attimo prima che la macchina partisse ad una folle velocità.

Edward abbandonò un attimo la rigidità e la tensione in cui era caduto. Si voltò verso di me, leggendo chissà cosa sul mio viso. «Come stai?» chiese, parlando per la prima volta negli ultimi cinque minuti.

Tentai di ricompormi, umettandomi le labbra per far tornare una normale quantità di saliva nella bocca completamente asciutta. «Sto bene» mormorai, accarezzandomi la pancia, «cosa» deglutii «cos’è successo?».

Carlisle mi accarezzò la fronte, con un’espressione tranquilla. «Niente di troppo grave. I licantropi volevano parlare con te, dobbiamo capire che intenzioni avessero».

Mi zittii, stringendomi al petto di Edward. Lasciai che mi sollevasse e che mi posasse sulle sue gambe, facendomi appoggiare la testa nell’incavo del suo collo.

Da quando erano cominciate le serie tensioni fra i vampiri e i licantropi, a causa di Jacob, loro si erano sempre dimostrati dalla nostra parte, o quantomeno neutrali. Non avevamo trasgredito a nessuna loro legge. Io stessa ero stata a commettere l’omicidio… Non un vampiro, un’umana. Di cosa avrebbero potuto voler parlare?

Né io né gli altri riuscivamo a trovare una soluzione. Le variabili in gioco erano molteplici e i rischi alti. Dovevamo capire come poter agire.

«Non sono riuscito a leggere bene i loro pensieri, erano troppo distanti» disse Edward concitato, intrecciando le dita e posandoci su la fronte.

Esme gli posò una mano sulla spalla. «Edward, potevano avere delle buone intenzioni, non dobbiamo allarmarci così tanto».

Finii di bere la mia camomilla e andai a sedermi accanto a mio marito, sul divano. Gli accarezzai i morbidi capelli ramati, tentando di rassicurarlo.

Rosalie, compostamente seduta sulle gambe di Emmett, non la pensava allo stesso modo. «Mi chiedo, se non avessero avuto cattive intenzioni, perché presentarsi in forma di lupo? E perché si sono avvicinati mentre lei era sola, senza nessuno di noi accanto?».

«Forse perché avevano paura di una nostra reazione esagerata, come di fatto è stata, non pensate?» chiese Alice.

Sentii la testa Edward scattare, appena sotto la mia mano. «Non è stata affatto esagerata, Alice. Era sola. Ti rendi conto? Non possiamo permetterci nessuna negligenza, non finché non sappiamo cosa vogliono» sbottò.

Alice strinse i denti, serrando i pugni lungo i fianchi. «Pensi che non mi sia preoccupata anch’io per lei? Edward! Andiamo, non sono io quella che ha delle reazioni esagerate!».

Edward si alzò in piedi, fulminandola con lo sguardo. Non l’avevo mai visto così. Jasper si mise subito fra sua moglie e Edward in posizione di difesa.

Mi sollevai anch’io, troppo lenta per la loro velocità inumana, posando una mano sul petto di Edward con l’intento di farlo calmare e costringerlo a sedersi.

«Ragazzi, manteniamo la calma» li ammonì Carlisle, con tono misurato.

Alice si allontanò, con Jasper, fino a trovarsi nuovamente di fronte al camino, e Edward finalmente cedette ai miei deboli tentativi, stringendomi a sé e facendomi sedere nella sua presa protettiva sul divano.

Carlisle riprese a parlare. «Non è successo nulla di grave, e poi Edward, per quello che hai potuto capire, volevano solo parlarle, giusto?».

Suo malgrado Edward annuì, silenzioso.

«Bene, proviamo a parlarci, non è il caso di allarmarsi. Potrebbero spiegarci e comprendere quello che sta accedendo. È comunque palese che non avessero cattive intenzioni. Non c’è motivo di creare tensioni, se avessero voluto, sola com’era, non ci avrebbero messo nulla a farle del male».

Sentii la presa di Edward stringersi maggiormente.

«Rimane però il fatto che non può andare all’università finché non avremo con precisione compreso le loro intenzioni» disse Jasper.

«No» mormorai, sconsolata.

Gli occhi di tutti i vampiri si spostarono in un attimo su di me.

Sospirai, sentendomi tanto una piccola bambina immatura che faceva i capricci. Abbassai lo sguardo. «Mi dispiace».

«Oh, avanti!» esclamò Emmett con il suo gran vocione. «Non può mica un branco di licantropi tenere la nostra Mascotte segregata in casa! Usate il cervello! Non le faranno mai del male in pubblico».

Edward fece per parlare, ma Alice lo bloccò. «Emmett ha ragione, Edward. I licantropi non si avvicineranno mai a lei finché è fra gli umani; il loro più potente istinto è difenderli. E uno di noi rimarrà sempre nei paraggi per sicurezza».

Timorosa, sollevai lo sguardo su Edward, aspettandomi che iniziasse una nuova sfuriata.

«Va bene» concesse, stupendomi. «Ma risolviamo questa storia, il più presto possibile».

Mi tolsi, stanca, la maglietta, osservando silenziosa il mio ombelico. Ripensai alla scarica di adrenalina che avevo provato poche ore prima. Chissà se anche la bambina l’aveva avvertita. Ripensandoci, era da allora che non si faceva nettamente sentire.

Posai una mano sul ventre, facendo una leggera pressione. «Piccola? Ci sei?» chiamai in un sussurro. Accarezzai la pancia, massaggiandola in attesa di una qualunque risposta e mi preoccupai quando non arrivò.

«Tutto bene?» chiese Edward, entrando in camera.

«Non so» mormorai preoccupata, alzando lo sguardo. «La bambina, non sento le sue emozioni».

In un attimo fu davanti a me, accarezzandomi la pancia.

Non sentii ancora nessuna risposta. Eppure era sempre felice quando Edward l’accarezzava!

«Non ti preoccupare» mi rassicurò, vedendo la mia espressione ansiosa e le lacrime al bordo dei miei occhi. «Adesso chiamiamo Carlisle, okay?» disse, accarezzandomi il volto.

Annuii, tirando su con il naso.

Carlisle mi visitò, misurò la pressione, sentì i battiti della bambina. Edward era accanto a me, sul letto, accarezzandomi e tentando di farmi stare tranquilla.

«È tutto apposto» mi rassicurò infine Carlisle, quando ebbe finito di visitarmi.

Edward mi aiutò a mettermi a sedere, passandomi poi la maglietta del pigiama.

«Il suo cuore batte forte e sta bene. Penso che per un po’ non si farà sentire con le sue emozioni perché tu l’hai inibita con le tue» mi spiegò cortese, rimettendo a posto lo stetoscopio nella sua borsa «l’adrenalina non piace ai bambini. Rilassati, riposa questa notte, e vedrai che ricomincerai a sentire le sue emozioni».

«Grazie» sussurrai, posando la testa sulla spalla di Edward.

Lui lanciò un’occhiata al figlio, poi mi sorrise, prese la borsa e uscì, raggiungendo il resto della famiglia.

Chiusi gli occhi. Avevo un forte timore. E non per i licantropi. Nonostante la mia prima emozione, dopo averli visti, fosse stata la paura, ragionando a mente fredda avevo realizzato che per me non costituivano una minaccia. Sam, così ligio al rispetto delle regole, Quil, Embry, Seth, il piccolo e astuto Seth. Non mi avrebbero mai fatto del male, anche dopo tutto quello che era successo, ne ero sicura. Più che altro, ora, provavo solo la curiosità di scoprire cosa, di tanto importante, volessero dirmi.

La paura invece era tutta dedicata alla piccola e a Edward.

A lei per quella assenza di emozioni. A Edward… per la paura che era emersa subitaneamente in lui. Infatti, nonostante fosse molto ansioso e premuroso nei miei confronti, solitamente, almeno di fronte a me, riusciva a mantenere il sangue freddo necessario e a nascondere il suo tormento.

«Alice ha ragione» disse tranquillo, continuando ad accarezzarmi i capelli e distogliendomi dai miei pensieri.

«Su cosa?» chiesi confusa.

«Sul fatto che i licantropi non ti farebbero del male».

Mi immobilizzai, voltandomi per fissarlo negli occhi chiari. «Lo dici per farmi stare tranquilla? Edward, davvero, non ce n’è bisogno, io non ho paura di loro. Non c’è bisogno di mentirmi».

Sul suo volto spuntò un sorriso divertito. «Cosa ti fa pensare che io stia mentendo? Dico sul serio Bella» l’umorismo scomparve, «mi dispiace di aver avuto quella reazione esagerata, i loro pensieri mi sono sin da subito sembrati tranquilli. Ma…».

«Ma?» lo spronai a continuare.

Sospirò, stringendomi forte far le sue braccia, molto più di quanto, spesso, si era concesso di fare. «Non voglio perderti» mormorò assente.

Mi lasciai stringere, senza dire nulla. Quando le mie labbra si trovarono a contatto col suo collo bianco e freddo ne approfittarono per lasciare una scia di baci. In fondo non ero poi così stanca, e quello sarebbe stato un ottimo modo per allontanare la tensione, sia mia che di Edward… Continuai a baciarlo, con sempre maggior impeto, sulle labbra, chiarendo le mie intenzioni. Inoltre, sempre per una serie di infiniti e futilissimi motivi, era così tanto tempo che non facevamo l’amore…

I miei polsi, che fino a pochi istanti prima erano poggiati fra i suoi capelli, si trovarono stretti nella presa della sua mano.

«Bella» ansimò «c’è tutta la mia famiglia di là».

Ricominciai a baciarlo con foga, ridacchiando. «Cosa importa? La stanza è completamente insonorizzata».

Si staccò nuovamente. «E se entrasse Emmett?».

Mugolai, aprendogli i primi bottoni della camicia. «Alice non glielo lascerebbe mai fare» mormorai inarcandomi, a cavalcioni su di lui.

«Bella».

Mi staccai, stupita. Per un istante pensai a tutti gli altri casi in cui, per un motivo o per l’altro…

Che pensiero sciocco. Non poteva essere così.

«O-okay» feci, titubante, sollevandomi e indossando i pantaloni del pigiama. «Vado dagli altri» dissi, guardandomi intorno. Lo fissai un’ultima volta, seduto compostamente sul letto con un’espressione serena.

Eppure… No. Non poteva essere.

Sentii la bambina, curiosa e sospettosa quanto me.

   
 
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