Anime & Manga > Alice Academy/Gakuen Alice
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Autore: _Pan_    23/11/2009    5 recensioni
Mikan è al suo primo anno di superiori, ma niente si prospetta come lei lo aveva immaginato: tra l'amore, inganni, e addii, la sua permanenza nella Alice Academy si preannuncia molto movimentata.
La storia tiene conto del manga (a tratti da capitolo 51 in su), quindi ci sono spoiler disseminati un po' ovunque. Inoltre, sarà raccontata alternativamente sia dal punto di vista di Mikan che che da quello di Natsume, ma non ci saranno capitoli doppi, nel senso che uno stesso capitolo non sarà raccontato da entrambi.
Coppie principali: Mikan/Natsume, Hotaru/Ruka (accennata)
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hotaru Imai, Mikan Sakura, Natsume Hyuuga, Ruka Nogi
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 6 – Il ballo
(Natsume)

«Natsume!» sentii la voce di Mikan che mi riportava bruscamente alla realtà; sobbalzai per lo spavento, e mi tranquillizzai solo quando realizzai che era lei. Feci uno sbadiglio colossale, mentre lei saltellando per la felicità, faceva muovere il materasso come se il letto fosse stato una nave nel bel mezzo di una tempesta. «Dai, Natsume, alzati!»
Emisi un lamento, pensando che se avessi aperto la bocca avrei vomitato. Tutto quel movimento appena sveglio non mi aiutava granché. «Mikan...» mugugnai, quando lei smise di agitarsi, mettendomi a sedere. Mi guardò con gli occhi brillanti, come una bambina il giorno di... oh, no! Era il giorno di Natale! Il pensiero infausto mi mise subito di cattivo umore. A Natale c'era troppa aria di festa. E di chiacchiere, soprattutto: sembrava che tutti fossero incapaci di farsi gli affari propri, tutti si chiedevano che regali un altro aveva ricevuto, che cosa avrebbe fatto la sera della festa, come si sarebbe vestito... Nessuno smetteva mai di parlare, alla faccia mia che amavo il silenzio.
«Buon Natale!» strillò lei, infatti, gettandomi le braccia al collo, facendomi di nuovo stendere sul letto. Sorrisi, ricambiando il suo abbraccio. In fondo, potevano esserci risvolti positivi nel Natale. «Natsume?»
«Mh?» fu tutto quello che uscii dalle mie labbra. Lei mi guardò, sbattendo le palpebre, forse nell'intento di capire cosa ci fosse che non andava. La sua espressione si intristì, all'improvviso. Oh, cielo, altri sbalzi d'umore repentini? Sperai di no, non sapevo mai come prenderla in certi momenti.
«Niente auguri di Natale?» mi domandò poi, facendomi capire all'istante cos'aveva pensato prima. Appoggiai anche la testa al materasso, rassegnato: sapevo che quell'anno mi avrebbe costretto a farglieli, con quegli occhi da cane bastonato. Non si poteva dire di no quando faceva quella faccia! «Buon Natale.» pronunciai quelle parole come se fosse stata una confessione estorta con la tortura, tirandomi su, spingendo anche lei a cambiare posizione. Si sedette sulle mie gambe, con l'aria imbronciata. Io inarcai un sopracciglio, curioso di sapere cos'altro volesse che facessi.
«Davvero non ho un regalo?» il suo tono era dubbioso, e scoppiai a ridere: non si poteva resistere davanti a quell'espressione. «Dai, non ridere!» protestò, ma sorrideva anche lei.
«Tu adori il Natale per i regali, di' la verità.» commentai, con le mani appoggiate al materasso per sorreggermi. Lei arrossì e io scossi la testa, sconfortato. «Sei proprio strana.»
Lei sorrise timidamente e io mi chiesi se avesse una vaga idea di quanto in quel momento mi sembrasse carina. «Beh, non rispondi?» insistette, speranzosa. Sospirai, sorridendo: non aveva un briciolo di pazienza.
«Mi sembrava di avertelo spiegato a Central Town.» le ricordai, ma sapevo di stare mentendo spudoratamente, solo che lei non sembrava accorgersene. Si limitò a fare una smorfia. Ero un attore formidabile.
«Dai, non è possibile che tu mi abbia lasciata senza regalo!» protestò, stendendosi sull'altro lato del letto. Alzò lo sguardo verso di me. «Non ci voglio credere.» poi rivolse l'attenzione al soffitto.
«Potrei, effettivamente, avere un regalo fuori dall'ordinario.» confessai, con un ghigno: non avevo nessuna intenzione di dirglielo, non in quel momento almeno. Lei mi guardò con gli occhi che luccicavano per la contentezza. «Se proprio vuoi un regalo, potrei soddisfare questa richiesta... in natura.» mi morsi il labbro per nascondere un sorriso malizioso, aspettando la sua reazione, che sapevo perfettamente che sarebbe arrivata.
Lei, infatti, arrossì furiosamente. «Ma... ma che stai dicendo?» balbettò, mettendosi a sedere. Io risi sotto i baffi e lei mi guardò offesa, incrociando le braccia al petto. «Stavi scherzando, brutto pervertito.» beh, questione di punti di vista. Alzai le spalle, con noncuranza.
«Può essere.» bisbigliai, avvicinandomi per baciarla. Lei mi mise le mani sulle spalle mentre la sentivo accarezzarmi i capelli. In fondo, saltare la festa di Natale non era una così cattiva idea, se sapevamo come impiegare il nostro tempo...
«Aspetta... un attimo...» si allontanò leggermente, e io la guardai, aspettando che dicesse qualcosa. Ma lei si morse un labbro e non parlò, facendomi presumere che avrebbe detto qualcosa che non mi sarebbe piaciuto.
«Che hai?» sospirai, il più gentilmente possibile, spostandomi in modo che non potesse evitare di guardarmi negli occhi. Per un po' non facemmo altro che fissarci, poi, dopo il tempo limite che ci volle per farmi quasi perdere la pazienza, lei si decise a parlare.
«Ecco... hai...» inarcai un sopracciglio, curioso: avevo cosa? Prese un respiro profondo e mi fissò con sguardo dubbioso, così le feci cenno di continuare. «hai... hai avuto qualche...» distolse lo sguardo e capii che era uno di quei problemi tipo quello dell'altra mattina, cosa che rientrava nelle frasi che non mi sarebbero andate a genio. E credevo che lo pensasse anche lei, dato il suo atteggiamento.
«Qualunque cosa sia, no.» risposi, ancora prima di sapere la domanda. Non sapevo cos'avesse in testa, quale fosse il suo problema, ma pareva premerle in modo particolare. Lei mi guardò stupita, arrossendo.
«Che ne sai?» protestò, indignata, sospirando stizzita. La guardai dritta negli occhi: cosa poteva agitarla tanto?
«Beh, allora dillo e basta.» la incoraggiai, anche se non ero sicuro di voler sentire. Lei distolse di nuovo lo sguardo, indugiando sulla finestra.
«Hai avuto... per caso... qualche ragazza prima di me?» l'unica cosa che feci, appena sentii la domanda, fu sbattere le palpebre un paio di volte, senza pronunciare una parola. Non avevo intenzione di reagire come l'altra volta. Le spostai gentilmente il viso perché potesse di nuovo guardami negli occhi.
«Chi è quell'idiota che ti mette in testa certe idee? Perché ho la sensazione di doverlo bruciacchiare un po'.» lei non rispose. «Scema.» sorrisi, prendendo tra le dita una ciocca di capelli.
«Non...» cominciò lei, con le guance in fiamme. Se solo avesse potuto vedersi, probabilmente avrebbe riso. «Non prendermi in giro.» non avevo pensato di farlo. Le accarezzai una guancia, anche se normalmente lo reputavo un gesto troppo sentimentale, ma sapevo benissimo che a lei sarebbe piaciuto.
«Non farti più mettere in testa queste scemenze, per favore.» la avvertii. Lei annuì, ancora in imbarazzo. Scossi di nuovo la testa, divertito. «Dovresti smetterla di credere a tutto ciò che ti dice la gente» le ripetei, avvicinandomi a lei, che chiuse gli occhi. Io non ignorai il suo invito, sarebbe stato molto scortese da parte mia. Poco dopo averla baciata, sentii la porta che si apriva e una voce. Sia io che Mikan aprimmo gli occhi, ma senza separarci l'uno dall'altra.
«Natsume se non ti sbri...» era Ruka, che ci guardava allibito, fermo come una statua di cera. Sembrava che l'avessero imbalsamato. Rimase a fissarci per un po', poi, senza aggiungere altro, in assoluto silenzio, richiuse la porta e se ne andò così com'era venuto. Mikan si allontanò un po' da me, scoppiando a ridere.
«Non è divertente.» le feci notare, anche se veniva da ridere anche a me, ma solo perché la situazione era paradossale: eravamo già stati interrotti, quella volta, in sala da ballo, se adesso venivano anche in camera mia a rompere, potevamo dire addio alla nostra privacy. Forse avrei dovuto mettere il cartellino “DND” davanti alla porta, magari in questo modo la gente avrebbe girato a largo, o forse era solo un invito ulteriore a sbirciare. Sbuffai: non mi veniva più tanto da ridere.
Mikan, invece, era di tutt'altro avviso. «Dai,» mi esortò, alzandosi dal letto. «cambiati così andiamo a scegliere i vestiti per stasera.» le ragazze dovevano sceglierli; di solito noi ragazzi eravamo vestiti tutti allo stesso modo. «Credo che Ruka fosse venuto per questo.»
Sospirai, sconcertato. «Beh, poteva anche venire dopo.» notai, alzandomi svogliatamente. «Oppure andare a prendere la sua ragazza.» il che poteva anche essere una buona idea, o forse ero io che dovevo prendere l'abitudine di chiudere la porta a chiave.
«Pensi anche tu che abbia una ragazza, vero?» mi domandò lei, orgogliosa. Io la guardai, valutando le possibilità: o mi stava prendendo in giro, oppure davvero non sapeva che Ruka e Hotaru stavano insieme, e sospettavo anche che la cosa andasse avanti da un bel pezzo. Sapendo che lei non era in grado di mentire, perché una cosa del genere non le passava neanche per la testa, l'unica che restava era che non lo sapesse, e mi chiesi perché avrei dovuto dirglielo io, se la sua migliore amica non l'aveva fatto. Mi limitai ad annuire, scomparendo dietro la porta del bagno, facendo appena in tempo a sentire: «Lo sapevo!»

Quando uscii dal bagno, lei era ancora lì, seduta sul letto che mi aspettava, canticchiando. La reputai subito una cosa alquanto fuori dai soliti schemi: Mikan non canticchiava quasi mai, non se era tutto okay. Quando si accorse che ero uscito dal bagno, mi fissò con uno sguardo strano, che rese il mio dubbio una certezza. «Che è successo?» volli sapere, ormai sapendo che qualcosa era successa. Lei mostrò un'espressione quasi sorpresa – la solita pessima attrice – per poi guardarmi con i suoi occhioni innocenti, accorgendosi, presumetti, che il suo piano, qualunque fosse stato, non stava funzionando.
«Niente,» rispose, giocando nervosamente con una ciocca di capelli. «che sarebbe dovuto succedere?» la guardai sempre meno convinto, finché lei non si arrese. Alzò gli occhi al cielo, rassegnata. «E va bene! Ho solo cercato qualcosa che somigliasse a un regalo per me.» ora aveva assunto un'aria colpevole. Avevo capito che se non gliel'avessi dato subito, mi avrebbe dato il tormento. Quella mattina, in quel preciso istante, avevo avuto la piena conferma che Mikan non era una a cui piaceva l'attesa.
«Certo che tu non sai proprio aspettare!» le feci notare, infatti, aprendo il cassetto del comodino, luogo in cui cercare per primo, ma dove sapevo che lei non avrebbe mai guardato, troppo impegnata a chiedersi quale poteva essere il posto meno ovvio per nasconderlo. «Prendi, scema.» le lanciai il pacchetto, che lei prese al volo, con un sorriso enorme stampato in faccia. Scossi la testa, di nuovo, mentre mi passavo un asciugamano sui capelli per evitare di sgocciolare su tutto il pavimento.
«Lo sapevo!» strillò, eccitata come una bambina. Scartò la carta velocemente, non vedendo l'ora, presupponevo, di sapere che cosa le avevo comprato. «Lo sapevo che sei un tesoro!» prima di aprire la scatolina si avvicinò e mi schioccò un bacio sulla guancia.
«Dai...» dissi, un po' in imbarazzo, ma la mia voce suonò infastidita. Troppe smancerie in una mattina sola e nello spazio di poco tempo rischiavano di rendermi un romanticone! Mikan rise e lo aprì, trattenendo il fiato.
«Oh, Natsume!» sospirò, mordendosi il labbro inferiore e guardandomi felice. «Che pensiero carino!» sollevò i due nastri per capelli che mi ero ricordato di comprarle e se li mise subito tra i capelli, legandoli nelle due solite codine davanti allo specchio che avevo in camera, vicino al comodino. Mi sembrò strano osservarla con quella pettinatura: non ero più abituato a vederla così. «Mi piacciono tantissimo!» si girò verso di me, ancora con quel sorriso sulle labbra. Mi abbracciò, nascondendo il visto contro la mia spalla. «Li hai scelti tu?» e chi avrebbe dovuto sceglierli?
«Sì.» anche perché ero da solo quando glieli avevo comprati. Se mi avesse accompagnato Ruka chissà che commenti avrebbe fatto.
Lei mi guardò, senza smettere di sorridere. «Aspetta solo di vedere il tuo!» sembrava eccitatissima alla sola idea. Ridacchiava, e per un attimo la cosa mi spaventò. «Rimarrai senza parole, promesso!»
«Davvero?» domandai, scettico. In qualunque caso, avrei detto qualcosa per farla arrabbiare: era troppo divertente vederla cercare insulti abbastanza offensivi da rivolgermi. «Aspetterò con ansia.» per tutta risposta, lei mi fece la linguaccia, uscendo dalla stanza.

Sbuffai, mentre mi avviavo verso la stanza di Mikan. Erano quasi le otto e lei mi aveva raccomandato di essere puntuale. La cravatta mi dava una noia micidiale, mentre col riscaldamento alto che c'era, con quella giacca sentivo un caldo insopportabile. Avevo la simpatica idea di ricordare a chi aveva scelto i vestiti che avrei potuto bruciacchiarlo in qualsiasi momento. Era vero che preferivo il caldo al freddo, ma non troppo caldo. Bussai alla porta della mia ragazza e venne ad aprirmi la sua migliore amica; non mi finsi neanche sorpreso: avrei dovuto immaginarmelo.
«Entra.» fu tutto quello che mi disse, prima di spostarsi e di scomparire dietro la porta del bagno, da cui sentivo provenire gridolini eccitati di un sacco di ragazze. Mi chiesi come potevano più di due persone entrare nel minuscolo bagno della stanza di Mikan e quanto poco comode dovessero stare.
«Chi era?» sentii Mikan chiederle, mentre sembrava impegnata a fare chissà cosa.
«Il tuo ragazzo.» rispose Imai, gelida. Mi sedetti sul letto, in attesa che finissero le grandi preparazioni. Perché le ragazze ci mettono sempre un secolo? Un quarto d'ora dopo ero nella stessa posizione, aspettando ancora che uscissero dal bagno. Guardai l'ora, scoraggiato, pensando a quanto ancora sarei dovuto rimanere lì prima che fosse pronta. Fortuna che quello che aveva dovuto essere puntuale ero io.
«Natsume... sei ancora lì?» era la voce di Mikan. Sembrava ancora impegnata nello sforzo di fare qualcosa. Sentivo ridacchiare ed ero curioso di sapere se fosse per quello che Mikan aveva detto: pensavano forse che sarei andato via?
«Dove sarei dovuto andare?» ribattei, annoiato. Avevo la tentazione di stendermi sul letto e, magari, dormire, ma Mikan sembrava tenere particolarmente al ballo di Natale e, perlomeno, quest'anno nessuno mi avrebbe inseguito, o almeno così speravo.
«Aspetta, Mikan, se ti muovi in questo modo non finiremo mai!» sentii gridare una delle tante voci, subito seguite dal rumore assordate di cose che cadevano a terra. «Anna guarda che hai combinato!»
«Scusami, Nonoko!» gridò un'altra, mortificata. «Li raccolgo subito! Non ti preoccupare, Mikan, finiremo in tempo per il ballo.»
«Tutto bene lì dentro?» domandai, sospirando sconsolato. Ognuna di loro gridò qualcosa per tranquillizzarmi, ma non capii una parola a causa di tutte le voci sovrapposte. Erano quasi le otto e mezzo: ma si sa che la puntualità non è il forte delle ragazze. «Mikan, ci vuole molto?»
«Ho quasi finito, davvero!» non sembrava molto convinta, in realtà e, infatti, circa un'altra mezz'ora dopo, fu finalmente fuori da quel dannato bagno. Feci un sospiro sollevato, quando furono tutte uscite. Mikan era l'ultima. Rimasi a fissarla per un po', indeciso. «Allora, che ne pensi?» in effetti, non sapevo che risponderle.
«È difficile dirlo.» ammisi, non sapendo esattamente quali parole scegliere. Era davvero difficile. Come potevo dirglielo, lì davanti a tutte quelle ragazze? Mi avrebbero di sicuro soppresso.
«Difficile?» ripeté lei, confusa. Si guardò, prendendo tra le mani alcune pieghe di quella gonna di quel colore orribile, che faceva letteralmente a pugni con i suoi capelli, sistemati in un'acconciatura del tutto... non sapevo bene come descriverla: non conoscevo un aggettivo abbastanza forte. Con tutto il lavoro che dovevano aver fatto in quel bagno, di sicuro si sarebbero avventate su di me con furia omicida se avessi detto ciò che davvero pensavo, senza contare che Mikan teneva molto al mio parere e dirle che il suo vestito era orrendo non mi sembrava proprio una splendida idea.
«È...» iniziai, cercando la parola adatta, qualcosa che non mi facesse mentire spudoratamente ma neanche che potesse farla rimanere troppo male. «orrendo.» tuttavia, non riuscii a trattenermi. Lei mi guardò con gli occhi spalancati, prima delusa, poi offesa. Sbuffò, e mi sembrò anche un po' irritata. Beh, un ragazzo dovrebbe sempre dire la verità alla propria ragazza, giusto?
«Mai che tu riesca a farmi un complimento!» si lamentò ma, stranamente, non accennò neanche ad arrabbiarsi. «Anche se pensi il contrario mi dici lo stesso che è orribile solo perché vuoi che mi arrabbi.» stavolta non era proprio così. «Ma questa volta non lo farò, screanzato.» mi strinsi nelle spalle, per non dire altro. Meglio.
«Che facciamo? Andiamo?» le porsi il braccio, mentre mi accorgevo che tutte le altre si erano dileguate. Beh, c'era almeno un lato positivo in tutto quel casino. Mi arrischiai a guardare di nuovo il suo vestito: se quello era il suo, potevo solo immaginare quelli delle altre.
«Lo sai,» cominciò, tutta elettrizzata. «era il vestito più bello che ci fosse tra tutti.» evitai di commentare e mi limitai ad assentire con un semplice “Mh”, non sforzandomi neanche di fingermi interessato. «A proposito, te lo dico adesso così dopo non ci saranno più problemi. Ho promesso di ballare con Tsubasa-senpai, Narumi-sensei e Ruka-pyon.» Eh? Inarcai un sopracciglio, infastidito: non ero del tutto d'accordo con questa cosa. «Lo so, però li ho promessi l'anno scorso alla festa di Natale. Non prevedevo che sarei stata fidanzata.» lei mi guardò speranzosa. «Dimmi qualcosa, insomma!»
«Fa' come ti pare.» alzai le spalle, indifferente. Lei sembrò contrariata: ma che diamine si aspettava che le dicessi? Voleva o no ballare con quei tre? Sembrava avere così tanti impegni che mi domandai perché avesse voluto che venissi anche io.
«D'accordo.» strinse le braccia al petto, lasciandomi andare. «Visto che proprio insisti,» e io non avevo quasi detto una parola. «il primo ballo sarà tuo.»
«Come vuoi, hai fatto tutto tu.» le feci notare, con tono incolore. Lei sospirò spazientita, guardandomi con una smorfia quasi offesa.
«Potresti anche dimostrarti un po' più interessato.» si lamentò, imbronciata. Io alzai gli occhi al cielo: se mi interessavo ero troppo geloso; se non mi interessavo, ero un insensibile. In poche parole, non andava mai bene. Era lei che voleva ballare con tutta quella gente, dopotutto.
«Sì,» risposi, aprendole la porta per farla passare. «forse potrei.» lei mi fece la linguaccia, subito prima di entrare in sala, già piena di alunni dell'Accademia, chi seduto, chi in piedi. Eravamo in pochi, considerando quanti eravamo gli anni precedenti.
«Wow!» Mikan aveva l'aria più trasognata che avessi mai visto, mentre guardava la sala da tutte le angolazioni possibili. «Non è bellissimo?» annuii senza convinzione, guardandomi intorno circospetto. Aspettavo l'agguato di qualche ragazzina delle medie da un momento all'altro.

Due ore dopo, eravamo praticamente nella stessa situazione: i balli non erano ancora cominciati. Mikan chiacchierava con le sue amiche, che erano al stesso tavolo a cui eravamo seduti noi, mentre io avevo il mento appoggiato su una mano, annoiato.
«Di' qualcosa, musone.» mi incitò Mikan, guardandomi speranzosa. Già, peccato che io neanche sapessi di che stavano parlando. Lei mi fissò, probabilmente capendo tutto quanto. Alzò gli occhi al cielo, spazientita. «Come non detto.» non era proprio la mia priorità partecipare a una discussione tra ragazze.
«Non vedo l'ora che inizino le danze!» trillò, elettrizzata, quella che mi pareva si chiamasse Nonoko. «Anche se prima devono arrivare i presidi!» ah beh, se aspettavamo loro, potevamo anche invecchiare.
«E quanto tempo hanno intenzione di metterci, uffa!» sbottò Mikan, impaziente. «Dopo dobbiamo scartare i regali!» sorrisi alla sua affermazione, ricordandomi di quella mattina. Le altre ridacchiarono, eccitate quanto lei, tranne Imai, che sospirò stancamente. Ruka era seduto vicino a lei, ma non si scambiavano nemmeno due parole. Dovevano avere una relazione piuttosto insolita.
«Guardate!» strillarono eccitate le amiche di Mikan, indicando il soppalco su cui si trovavano i posti a sedere dei tre presidi. «Stanno arrivando!» entrò per primo il preside delle superiori, un uomo che sembrava appena trentenne da chissà quanto tempo. Mi chiesi come mai tutti i presidi avessero l'Alice della longevità o comunque qualcosa che impedisse loro di invecchiare. La preside delle medie era inquietante, soprattutto per le dicerie su di lei e quel suo “giardino”. E poi c'era quel maledetto del preside delle elementari, – desiderai che rimanesse fulminato sul posto, per un attimo – fondatore della classe di Abilità Pericolose. Ognuno di loro prese posto sulla propria poltrona, mentre tutti gli studenti erano in piedi, in segno di saluto.
Il preside delle superiori si alzò; fece il suo discorso, che evitai di ascoltare per intero, sull'importanza di quest'evento e l'impegno che gli studenti dovevano mettere nello studio per fare del loro meglio in campo lavorativo; cosa c'entrasse con la festa di Natale era un mistero, ma nessuno aveva mai fatto troppe domande. Quando, finalmente, ci concesse il suo benestare per cominciare le danze, tutti gli occupanti della sala si mossero per raggiungere lo spazio enorme tra ai tavoli, disposti vicino ai muri.
«Dai,» mi esortò Mikan, prendendomi per mano e trascinandomi in mezzo a tutti gli altri. «balliamo!» mi venne da ridere, pensando che avrei potuto trovarla anche al buio con quel terribile vestito rosa shocking e quei capelli che somigliavano più a un nido di piccioni. Annuii, seguendola. La musica cominciò, quindi le presi una mano e l'altra l'appoggiai sul suo fianco. Mikan appoggiò la testa sulla mia spalla, e cominciammo a danzare piuttosto difficoltosamente, per via della posizione. Quando, però, sollevò la testa per guardarmi, l'impulso di baciarla fu troppo forte per trattenerlo, e avrei ceduto, se qualcuno non ci avesse spintonato. Trattenni l'irritazione, solo per dissuadere qualcun altro dal provarci, e perlomeno evitai che cadessimo entrambi a terra.
«Ti sei fatto male?» mi chiese lei, preoccupata. Io scossi la testa, fulminando con lo sguardo le due sciagurate che avevano osato spingerci. Si allontanarono in fretta, e sperai che fossero le prime e le ultime.
«È pazzesco.» commentai, incredulo. Non potevo neanche baciarla in pubblico, solo perché c'erano ragazzine gelose di lei? Ma neanche per idea.
«Cosa?» insistette. Lei non sembrava aver notato che l'avevano fatto apposta. Scossi di nuovo la testa, anche perché avrebbe detto che sono paranoico, o qualcosa del genere. Tendeva a vedere il lato buono in ogni cosa, e forse era stata la sua ingenuità che le aveva permesso di vivere bene, fino a quel momento, in Accademia. Ci fermammo insieme alla musica; fu allora che colsi l'occasione per baciarla. Lei si strinse a me, e io desiderai che tutti guardassero, così che nessuno provasse anche solo ad avvicinarla e, soprattutto, speravo che fosse chiaro per Naru che non dovesse più metterle le mani addosso. La lasciai andare, prima che iniziasse il ballo successivo. «Vedi di farti trovare per il ballo in maschera.» che noi avremmo dovuto ballare senza maschera.
Sospirai, fingendomi poco felice dell'idea. «Farò quest'enorme sforzo.» lei rise.
«Che fatica!» commentò, allontanandosi per andare da Ruka. Non avrei dovuto essere irritato come mi sentivo, dato che anche lui aveva una ragazza, che era la migliore amica di Mikan, ma se avessi guardato ancora, probabilmente, avrei usato il mio Alice, per cui, andai a sedermi di nuovo allo stesso tavolo di prima, con l'unica differenza che – fortunatamente – le amiche di Mikan si erano tutte volatilizzate. Imai ballava con suo fratello, diventato insegnante fin da quando si era diplomato, mentre le altre due cercavano disperatamente di avere un ballo da Misaki, il professore di biologia delle elementari. Mi lasciai cadere sulla sedia, sbadigliando.
«Ehm...» disse una voce timida, diretta a me. «Ehm... Hyuuga-kun...» aprii gli occhi, per guardare chi era la sfortunata che mi stava disturbando. La guardai dalla testa ai piedi: a una prima occhiata mi sembrava una ragazzina delle medie, come da me supposto in precedenza, che cercava di avere un ballo con me. Lei mi sorrise, imbarazzata.
«No.» risposi, senza che lei mi ponesse la domanda. «Io non ballo.»
«Ho capito... mi dispiace.» fu tutto quello che disse prima di correre via. Beh, se non altro era stata meno insistente di tutte quelle che avevo incontrato fino a quel giorno. Prima che il ballo finisse, arrivarono, se non ne avevo tralasciata qualcuna, quindici ragazze a chiedermi di concedere loro il successivo. Li rifiutai tutti e quindici: non avevo avuto la minima intenzione di ballare con nessuna di loro.
«Sei gentile come una lastra di marmo» mi fece notare Imai, sedendosi al mio stesso tavolo. Io la guardai, chiedendomi che volesse. Lei stava dando dell'insensibile a me? «Mi chiedo proprio cosa ci trovi Mikan in te.»
«Potrei porgerti la stessa domanda, riguardo a Ruka.» la rimbeccai. Lei non si scompose affatto, anzi, sembrava addirittura più tranquilla, anche se non potei affermarlo con certezza, dato che la sua espressione non cambiava praticamente mai.
«Forse le piace semplicemente la gente che la tratta male.» ipotizzò lei, spingendomi a domandarmi perché stessimo affrontando quella discussione. Di sicuro, Mikan non era una masochista e io non la trattavo male, mi sarebbe piaciuto sapere perché diamine tutti credessero che lo facessi. «O forse pensa che la sua presenza possa aiutare le persone tristi a sorridere.»
«Probabile.» concessi, dimostrando scarso interesse. Non capivo dove volesse andare a parare con quelle parole. Mi morsi il labbro inferiore, quando vidi Mikan ballare insieme a Naru e sentii l'irritazione crescere. Forse avrei dovuto dirgli di starle un po' più lontano, almeno lo spazio per far passare in mezzo a loro un treno, o un camion con rimorchio.
«Ascoltami bene, Hyuuga.» Imai attirò di nuovo la mia attenzione, con la sua voce incolore. «Mikan è una ragazza sensibile, come tu ben sai, o dovresti sapere.» mi voltai verso di lei, aspettando che arrivasse al punto. «Ho visto che avete risolto i vostri recenti problemi, o forse è solo Mikan che ingigantisce le piccole discussioni. Non lo so e non lo voglio sapere.» bene, forse era la prima persona che si faceva gli affari propri. «È molto attaccata a te, perciò, vedi di non farla soffrire più. Le mie invenzioni possono essere pericolose quanto il tuo Alice.» potevo dire che ci fosse una non troppo velata minaccia in quelle parole, ma non fece molto effetto su di me: ero abituato a cose ben peggiori. «Immagino che dovrei andare a recuperare il mio ragazzo, prima che le sue spasimanti lo sommergano.» il suo tono era improvvisamente cambiato, come se prima non stesse avesse minacciato di fare chissà cosa con le sue strane attrezzature. Sospirai, appoggiando la testa sulla mia mano. Sperai solo che il ballo di Mikan con Ombra non fosse troppo lungo.

Circa un'ora dopo, per l'apertura dei regali, avevamo – più che altro, gli altri – deciso di aprirli tutti insieme, nella stanza del rappresentante di classe. All'inizio avevano proposto la mia perché era la più grande, ma io mi ero rifiutato categoricamente: non volevo troppa gente in giro a curiosare tra le mie cose. E poi, ero di malumore, non solo perché Mikan, appena avevamo finito di ballare il “ballo in maschera”, aveva pensato di fare un regalo anche a Naru e Ombra, ma anche perché Naru e Ombra avevano pensato di farne uno a lei.
«Che guastafeste!» era stato il commento di Mikan, rivolto a me, mentre ci dirigevamo verso la seconda stanza scelta. Quando siamo arrivati, lui ci ha fatto strada e ci ha detto di comportarci come se fossimo stati in camera nostra. «Sei così gentile, Yuu!»
«Non esagerare, Mikan-chan.» fu la sua risposta, mentre ci apriva la porta. «Sedetevi pure dove volete.» eravamo troppi per le due poltrone e il letto, per cui alla fine decisero che ci saremmo seduti tutti a terra.
«Allora,» esordì Ruka, rompendo il leggero silenzio che si era creato. «chi vuole dare per primo i suoi regali?» tutti lo guardarono, e lui restituì lo sguardo, confuso.
«Potresti farlo tu, già che l'hai proposto.» propose Imai, indifferente. «E poi continuare col tuo vicino.» Ruka mandò giù la saliva rumorosamente. Poi, annuii, rigido come un robottino.
«Allora,» ricominciò, distribuendo regali per tutti. «Tieni, Hotaru.» a lei aveva regalato un portafortuna con una pietra Alice. Chissà se questo avrebbe detto qualcosa a Mikan. «Questo è per te, Mikan-chan.» a lei regalò una sciarpa a strisce colorate. A me, invece, l'ultimo volume appena uscito del manga che stavo leggendo. Beh, avrei avuto qualcosa da fare mentre gli altri si preparavano per gli esami. Il turno di Mikan – che aveva collezionato un libro per smetterla di dire idiozie da parte di Imai e tantissimi altri regali che non ricordavo – fu l'ultimo.
«Tieni, Sumire, questo è per te! Spero che scrivere ti aiuti a sfogarti dai tuoi problemi, qualunque essi siano!» le porse una specie di diario segreto, con qualche particolarità Alice. Lei la guardò, come se avesse voluto ammazzarla.
«Non lo fare,» la fermò Imai, tranquilla come se stesse facendo l'uncinetto. «non lo fa con malizia. È che proprio non ci arriva.» in questo caso, non aveva tutti i torti.
Mikan le guardò, come se aspettasse da loro una spiegazione che, però, non arrivò mai. Quindi, si concentrò sulla distribuzione dei regali che rimanevano. Aspettavo solo di sapere cosa c'era per me, dato che mi aveva assicurato che sarei rimasto senza parole. Fece il giro finché non arrivò quasi alla fine. «Questo è per te, Hotaru.» e le mise in mano un cappellino da cui spuntava un fiorellino, a caso, da uno dei lati. Imai non fece commenti. «Invece, questo è per te, Ruka-pyon. Appena li ho visti, ho pensato subito a te!» infatti, erano delle calze con dei conigli.
«Grazie mille, Mikan-chan!» disse lui, nascondendo in fretta le calze dietro la schiena. Mi domandai se le avesse comprate in un negozio per bambini: Mikan era proprio negata in fatto di regali.
«E questo è l'ultimo.» mi accorsi che teneva qualcosa gelosamente dietro la schiena. «Ci terrei a farti sapere che l'ho fatto a mano, e ci ho messo anche un sacco di tempo.» fece uno dei suoi sorrisoni, mentre avevo sentito un brutto presentimento alle parole “fatto a mano”. «Buon Natale, Natsume! Questo è per te.» mi diede il gigantesco pacco, che non impiegai molto a scartare. Dentro c'era un maglione. Non sembrava neanche tanto male, a prima vista e per un attimo mi ricredetti; ma quando lo girai per vederlo, ci rimasi di sasso: la promessa era stata mantenuta. Ero decisamente senza parole. Credo di non essermi mosso per un po', dato che non sapevo bene come reagire. «Mikan...» cominciai, mentre lei mi guardava speranzosa.
«Allora, ti piace?» mi domandò, con gli occhi che brillavano per la contentezza. Sorrisi un po' – molto – forzatamente.
«Mikan... come mi chiamo, io?» ero perfettamente cosciente che era una domanda strana, cosa che era confermata dagli sguardi perplessi e confusi dei miei compagni di classe. Lei mi guardò come se avessi avuto dei seri, irrisolvibili problemi. «Rispondi e basta.»
«Natsume, perché mi fai questa domanda?» era confusa anche lei. Quindi, per farle capire meglio, girai il maglione verso di lei, che mi guardava ancora come se non capisse, ma gli sguardi dei miei compagni erano diventati quasi compassionevoli. Imai si limitava, invece, a scuotere la testa.
«C'è una “K” sul maglione, non so se l'hai vista.» le feci notare, indicandogliela. La cosa mi stupiva non poco, dato che non capivo come una “K” potesse far venire in mente il mio nome. «Non è che era per qualcun altro?» non che lo credessi seriamente, ma non riuscivo a trovare una spiegazione logica.
Lei fece una smorfia. «Sei uno scemo!» mi sgridò, strappandomi di mano il maglione, che, guardandolo meglio, mi sembrava anche troppo piccolo per me. Se lo strinse al petto, guardandomi male. «Non è una “K” è una “N”.»
Dopo quella frase capii ogni cosa, collegandolo con quel “fatto a mano” che prima mi aveva tanto fatto effetto. «Scusa.» ero incerto su come comportarmi. «Ehm... probabilmente ho visto male.» lei me lo porse di nuovo, ma mi guardava come se non si fidasse delle mie parole. Fissai di nuovo la “K”: non ci potevano essere errori. Era proprio una “K”. «In effetti, sembrano più dei bastoncini da shangai devastati.»
Lei me lo strappò di mano, di nuovo. «Screanzato!» mi schiaffeggiò un braccio e si girò dall'altra parte, offesa, tenendo il maglione stretto a sé, borbottando qualcosa sull'insensibilità dei ragazzi perfino il giorno di Natale. Chissà che avevo detto, poi: era vero, anzi, era proprio una “K” e io che avevo anche cercato di sdrammatizzare!

Mi ero appena steso sul letto quando la voce di Mikan mi raggiunse le orecchie. Appena mi alzai per andarle ad aprire, notai la giacca del mio vestito buttata malamente a terra. Non la raccolsi: per me poteva restare lì per sempre. Quando aprii la porta, vidi Mikan con un'espressione terrorizzata, e mi venne un colpo, pensando alla frase sibillina del preside di qualche giorno prima. Sperai ardentemente che non l'avesse incontrato di nuovo.
«Che succede?» volli sapere, tirandola in fretta dentro la camera per un braccio e richiudendo la porta alle sue spalle. Lei ci mise un po' prima di parlare. «Mikan?»
«Scusa, è che ho fatto una corsa micidiale.» replicò, prendendo fiato. Sembrava più tranquilla, ma temevo comunque che qualcosa la turbasse. «Ho cercato Hotaru dappertutto, ma non riesco a trovarla.» era questo il suo problema... Imai? Quella chissà dov'era a fare chissà cosa con Ruka! Ma lei mica l'aveva capito che stavano insieme. Ruka aveva confessato senza che gli chiedessi niente, e quel giorno, a Central Town, mi aveva reso partecipe dei dettagli: stavano insieme da quasi cinque mesi, ma la cosa non mi interessava particolarmente, in quel momento. «E non trovo nessun'altra ragazza.» avrei tanto voluto sapere quando avesse intenzione di arrivare al punto.
«E quindi?» la interruppi, capendo di essermi preoccupato per niente. Sperai che non dovesse più creare falsi allarmi come questo, o avrei avuto seri problemi di pressione.
«E quindi questo coso è impossibile da togliere, aiutami.» si indicò la chiusura del vestito che era fatta solo di stramaledetti, minuscoli bottoni. Un sorriso malizioso comparve sulle mie labbra.
«Andiamo,» la incitai, ritenendo impossibile che fosse tutto lì. «non sei qui solo per questo, di' la verità.» sul momento, mi sembrava quasi impossibile che fosse venuta lì con certi pensieri.
E infatti, lei mi guardò in un modo che mi fece capire che non sapeva a che cosa mi stavo riferendo. Sospirai. «Che intendi?» appunto.
Beh, di sicuro non avevo problemi a mostrarglielo. «D'accordo.» concessi, mettendomi dietro di lei, per cominciare a sbottonare quell'arnese. «Proprio questo vestito dovevi scegliere?» era una trappola, oltre che orribile. Il peggio del peggio!
«È bellissimo!» protestò lei, come se questo bastasse a pareggiare i conti con tutti quei bottoni. «E poi era uno degli ultimi rimasti.» potevo capire benissimo perché: era una tortura. Non tutte avevano un ragazzo servizievole come me che sganciava anche i bottoni del vestito, nonostante l'orribile regalo che aveva ricevuto. Al solo ripensarci mi vennero i brividi. La “K” era stata di sicuro la parte migliore. «Dannatamente idiota, chiunque abbia cucito questo coso.»
«Qualcuno con l'Alice del cucito, o qualcosa del genere, di solito pensano sempre loro agli abiti.» mi disse lei, pensierosa. «Fatto?» fatto? Ma se non avevo neanche cominciato!
«No.» Il fatto era che c'era una strada molto più breve. «Stavo pensando che...»
«No.» mi interruppe bruscamente, col tono di quella che, categoricamente, non cambierà idea. «Non provare nemmeno a proporlo.»
«Ma se non sai neanche che voglio dire!» protestai; effettivamente, dubitavo che potesse immaginare cos'avessi in mente... se non altro avrebbe preso fuoco bene.
«Lo vuoi tagliare, per caso?» si girò verso di me, con uno sguardo accusatore. Beh, non proprio.
«Bruciarlo, veramente.» ammisi, con naturalezza. Lei mi guardò anche più sdegnata e spalancò la bocca con orrore.
«Come hai potuto anche solo lontanamente pensare una cosa simile?» sbottò, sempre più sconcertata, avvicinandosi. Beh, non c'erano molte soluzioni, a dire la verità. «Lo sai quanto può aver lavorato, chiunque abbia cucito questo vestito?» si avvicinò ancora, con aria sempre più accusatoria. Io alzai gli occhi al cielo: quante paranoie per un pezzo di stoffa. «E poi, non pensi che potrebbe essere un pochino, ma solo un pochino pericoloso bruciarmelo addosso?» e secondo lei, io non ci avevo pensato?
«Non sono mica un idiota.» le feci notare, infatti. «So come controllare le fiamme. E poi pensavo di bruciare le asole dei bottoni.» ma lei continuò a scuotere la testa, irremovibile. Sbuffai: come rendere complicata una cosa semplicissima.
«Non mi interessa.» mi rispose, piccata. Certo che quando ci si metteva, era proprio una testona. «Sbottonalo come farebbe un normale essere umano. Senza Alice.» evitai di dirle che non c'era bisogno di specificarlo. Sbuffai di nuovo: ci avrei messo tutta la notte. Io odiavo i bottoni, specialmente quelli piccoli.
«D'accordo,» sospirai, rassegnato. «ma la prossima volta che vieni qui con una cosa del genere, ti assicuro che la brucerò, qualunque cosa tu dica.»
Lei annuì, come se credere a ciò che avevo detto fosse l'ultima cosa che avrebbe fatto. «Ti adoro.» confessò prima di baciarmi leggermente sulle labbra. Si girò di nuovo, lasciando che facessi il lavoro pesante. «Dai, su, che prima cominci, prima finisci.» mi venne da chiedermi, per un attimo, se mi stesse prendendo in giro.
Iniziai il mio gravoso compito, e quando dopo non so quanto tempo arrivai alla fine, scoprii che, sotto, c'era un'altra fila di bottoni. Avevo davvero una voglia irrefrenabile di dargli fuoco. «Chi è stato il santo che te l'ha messo?» le chiesi, spazientito.
«Hotaru.» sbuffai: parlava più di lei che di tutto il resto, quasi. Non era normale essere geloso di una ragazza. Cioè: era abbastanza umiliante. Quante volte l'aveva nominata nello spazio di dieci minuti? Quando cominciai a sbottonare la seconda fila, decisi che non avrebbe dovuto pensare né a lei, né ad altro, quella sera. «Ma cos'è, un'armatura?» mi chiese poi, ridendo.
«Non vuoi davvero saperlo.» le assicurai, dopo aver sbottonato l'ultimo, dannatissimo bottone, cingendole la vita con le braccia e avvicinandola a me. Lei lasciò che lo facessi. Mi avvicinai di più, ma quell'impalcatura che aveva in testa, e che Mikan si ostinava a chiamare acconciatura, era troppo fastidiosa; per cui, per prima cosa, me ne liberai. Si era conciata in modo assurdo, per la festa di Natale. Buttai distrattamente a terra ogni malefico arnese che aveva in testa e che le teneva i capelli: sembrava un intricato e sadico groviglio di serpenti. Quando finalmente furono sciolti, glieli scostai dalla spalla per baciarle il collo, strappandole un sospiro, che mi fece sorridere sulla sua pelle.
«Natsume...» adoravo come suonava il mio nome quando lo diceva con quel tono. «un... aspetta un attimo...» mi staccai da lei, sinceramente curioso di sapere quale fosse il problema. Lei girò leggermente la testa per guardarmi, appoggiandola sulla mia spalla. «La porta... non facciamo come stamattina.» un sorriso malizioso comparve sulle mie labbra e lei distolse lo sguardo, balbettando qualche giustificazione, ma non capii neanche una parola. Chiusi la porta a chiave e tornai esattamente dov'ero, ma stavolta lei posò le sue mani sulle mie, come aveva fatto qualche giorno prima in sala. «Devi ancora chiedermi scusa per il maglione.» mi ricordò, anche se non sentivo particolare convinzione nella sua affermazione.
Sorrisi. «Scusa.» le sussurrai all'orecchio. Lei rabbrividii. «Altro?» chiesi, lei dissentì. Ricominciai a baciarla, stavolta partendo dalla guancia. «Sicura, nient'altro?» rispose allo stesso modo. «Bene.» la sentii sospirare di nuovo, quando le mordicchiai il collo, facendo attenzione a non farle male. Stringeva la presa sulle mie mani tutte le volte che facevo qualcosa che le piaceva particolarmente. Poi, però, si allontanò un po', per girarsi verso di me, senza ascoltare le mie proteste. Mi circondò il collo con le braccia, per poi avvicinare il suo viso al mio. Mi morsi il labbro inferiore, in attesa che facesse qualcosa. Si fermò a poca distanza da me e sorrise, tenendo gli occhi chiusi. Era così adorabilmente irritante. Le diedi un leggero bacio sulle labbra, interrotto da una delle sue mani che mi afferrarono la camicia. Mi sentii trascinare, finché non cademmo sul letto.
«Interessante.» commentai, quando lei aprì gli occhi. Dopodiché avvertii soltanto la sensazione delle sue labbra a contatto con le mie, e pensai pigramente che non volevo sentire nient'altro, almeno per quella notte.

*****

Risposte alle recensioni:

marzy93: allora? Che ne pensi del regalo di Mikan per Natsume? È stato abbastanza traumatico XD?
nimi_chan: infatti! XD Natsume non si smentisce mai. I capitoli non sono tanto lunghi, anzi, alcuni mi sembrano anche troppo corti. :P
mikamey: di solito aggiorno a distanza di due settimane. Per il manga, io non vedo l'ora che esca il prossimo capitolo *.*

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1.bella95
2.Erica97
3.Kahoko
4.mikamey
5.piccola sciamana
6.rizzila93
7.smivanetto
8.marzy93
9. nimi-chan
10. sakurina_the_best


E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1.Mb_811
2.punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
5. Miki89

  
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