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Autore: ChiuEs    17/06/2005    16 recensioni
Se lo ricordava ancora. Come fosse ieri. Perfettamente.
Ogni singolo, dannato dettaglio era rimasto impresso nella sua mente come un sigillo sulla ceralacca.
Nitide istantanee del momento in cui la sua vita era andata in pezzi. Per sempre
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Genere: Dark, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ryoga Hibiki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao!
Dunque… questa one-shot è stata scritta in un periodo un po’ buio ed è decisamente triste.
Comunque delle mie fanfiction questa è quella a cui sono più legata, e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate.
Buona lettura,

ChiuEs.



Cerco il nettare dell’oblio…


Se lo ricordava ancora. Come fosse ieri. Perfettamente.
Ogni singolo, dannato dettaglio era rimasto impresso nella sua mente come un sigillo sulla ceralacca.
Nitide istantanee del momento in cui la sua vita era andata in pezzi. Per sempre.


All’inizio si manifestavano solo loro. I suoni. Le voci.
Le stramaledette voci, distinte e reali. Implacabili.
Mesi di distanza non erano riusciti nemmeno ad attutirle, e ogni volta che abbassava la guardia, ogni volta che disgraziatamente

-stupidamente-

ricominciava a pensare, quelle subito si liberavano dal nero antro in cui aveva tentato di segregarle l’ultima volta

-invano-

e ritornavano a tormentarlo. Come tirsi acuti si conficcavano nel suo cervello, con la loro spietata verità, in modo da ricordargli ancora una volta la sua infelicità. La sua assoluta impotenza.

Poi bastava chiudere gli occhi.
Ecco che alle voci si aggiungevano dei contorni, si formavano delle immagini.
Ecco che lo strazio aumentava.


Strinse il capo fra le mani.
Non voleva sentirle ancora, non voleva vederle ancora. Non voleva!
Ogni volta che accadeva il suo cuore veniva dilaniato, il suo cuore...
- Ehi, tutto bene tesoro? - chiese la barista, sciatta e accaldata, con le mani premute sui larghi fianchi e con sincera preoccupazione dipinta sul volto. Come poteva un ragazzo così bello e aitante essere tanto affranto?
Lui alzò il capo. Gli occhi lucidi, lo sguardo vacuo.
- Versami un altro gin.
- Come vuoi dolcezza, ma non starai bevendo troppo?
Non le rispose.
Cosa voleva quella, ora? Glielo avrebbe pagato, il suo gin.
Quando hai bisogno di qualcosa, ti rechi nel posto in cui la puoi trovare, la chiedi e la paghi. È così.
Lui cercava l’oblio. Aveva chiesto del gin e lo avrebbe pagato. Naturale. Nessun problema.
Allora cosa gliene fregava a quella di quanto ne beveva? Aveva solo da guadagnarci ad aver trovato un così buon cliente…


Aveva sentito dire che bere aiutava a dimenticare. E lui voleva dimenticare.
Doveva dimenticare, visto che di morire non gli riusciva.
Era troppo orgoglioso

-troppo codardo-

per togliersi la vita con un gesto estremo.
E non poteva sperare neanche di perdere la vita durante un combattimento.
Non si allenava più.
Non combatteva più.
Per quale motivo avrebbe dovuto ancora farlo? Per chi?!
Nessuno lo stava aspettando, da nessuna parte. Neanche a Nerima.

Nerima… quel posto, dopo aver conosciuto lei, era diventato un po’ come una casa

-un posto dove fare ritorno-

per lui, dopo tanto peregrinare. Tutti i suoi sogni più grandi avevano quella cittadina come scenario. Ora invece quella era diventata solo un altro posto da evitare, un luogo tabù… perché lì vivevano loro. Insieme.


Ripensare al dolce viso di lei era come gettare sale sulle ferite del suo cuore lacero. Bruciava.
Adesso accanto a lei c’era un altro. Un altro che non era lui.
Ripensare a lei faceva male, malissimo. E lui lo faceva di continuo.


Doveva dimenticare, visto che di morire non gli riusciva.
La morte, che innumerevoli volte lo aveva minacciato in passato e da cui era sempre riuscito a scampare, talvolta per miracolo, ora

-ora che era lui stesso ad invocarla-

gli si negava crudelmente, come una donnetta stanca delle continue fughe del proprio amante.
Ma prima o poi sarebbe venuta comunque, lo sapeva. Bastava aspettare.
E se avesse continuato a annientarsi come negli ultimi mesi, di sicuro la Nera Signora non avrebbe tardato ad arrivare.
Pregò ancora una volta che questo avvenisse al più presto, poi bevve il suo gin.
Ne ordinò subito un altro. Cos’era? Il quinto? Il sesto? Poco importava…
Dimenticare. Parola d’ordine.
E chi se ne frega dello sguardo della barista.


Una fitta alla testa.
Eccoli. Di nuovo loro.
Non lo lasciavano in pace neanche per un minuto. Un fottutissimo minuto!
Voleva cacciare quelle visioni, allontanare quelle voci. Ma non ce la faceva.
Finiva sempre per ascoltarle.





- Akane io… io ti amo…
Le parole che avrebbe voluto dire.
- Anch’io ti amo… da sempre…
Le parole che avrebbe voluto sentirsi dire.
Un parco. Raggi caldi del sole. Una brezza leggera.
Sorrisi imbarazzati. Dita intrecciate. Un bacio. Una promessa di amore eterno.






Il suo sogno.
Il suo incubo.




Tutto ciò era successo realmente. Esattamente come se lo era tante volte immaginato.
Ma a dichiararsi non era stato lui. A ricevere la dichiarazione d’amore di Akane non era stato lui.
Lui aveva semplicemente assistito alla scena, nascosto dietro un albero. Immobile. Paralizzato.

Persa per sempre.

Gli era stata negata la cosa più importante che potesse desiderare. L’amore di Akane.
Lei lo aveva donato a un altro. Al suo peggior nemico.
Che fosse stata una cosa prevedibile non era di alcun conforto, anzi.



La piaga del suo animo si era dilatata ulteriormente.
Altro sale. Altro dolore.

Una lacrima gli rigò il volto e si posò sul bancone.
Guardò per un po’ la piccola goccia, poi con un gesto di stizza la asciugò con la mano e bevve d’un sorso il gin. Sbatté i soldi sul tavolo e uscì.




Osservò la notte attorno a lui.
Lacrime di disperazione cominciarono a solcargli il volto.
Prima di sparire nel buio, trasse dal suo zaino un pesante ombrello rosso.
Quella notte infatti anche il cielo stava piangendo insieme a lui.





   
 
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