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Autore: endif    30/11/2009    19 recensioni
“«Edward…» non mi accorgo neppure di avere sussurrato il suo nome, ma forse l’ho fatto perché lo vedo girarsi verso di me come a rallentatore. Il tempo si cristallizza qui, in questa stanza, in questo momento, restando sospeso a mezz’aria.
Sgrano gli occhi a dismisura quando capisco chi è tra le sue braccia.
No. Non può essere.”
Piccolo spoiler per questa nuova fic, il seguito di My New Moon. Ci saranno tante sorprese, nuove situazioni da affrontare per i nostri protagonisti. Un E/B passionale e coinvolgente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Change' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Vi giuro che vorrei essere una farfallina sul vostro schermo per vedere le vostre facce ...
Ci si vede alla fine.

CAP.19


BELLA
“… «Bella, te lo chiederò solo una volta.
Torna a casa con me.
Adesso» …”

«Isabella, accomodati prego».
Mi riscuoto vedendo il professor Jensen aprire maggiormente la porta del suo studio e spostarsi di lato per farmi entrare.
Sento il suo sguardo su di me, mentre gli passo davanti.
Con la borsa stretta innanzi a me, come uno scudo, avanzo con passo incerto e mi lascio scivolare sulla sedia di fronte alla sua scrivania.
Decisamente questo non è il momento più opportuno per affrontare una riunione con Jensen, ma dopo trenta minuti passati a piangere nei bagni del Tandem e altrettanti nella mia camera al dormitorio nel tentativo di cancellarne le tracce, mi sono detta che non aveva senso rimandare. Anzi, avrei solo peggiorato la situazione.
Questa cosa la devo risolvere oggi. Poi andrò da Carlisle.
Ancora scossa per la discussione avuta con Edward, sobbalzo quando sento la porta chiudersi con un tonfo. I miei nervi sono troppo tesi.
Cerco di auto-infondermi un atteggiamento composto e professionale e comincio a prendere i miei appunti dalla borsa. Non voglio prolungare questo incontro più del necessario perché credo di non riuscire a reggere la facciata per molto tempo ancora. Bramo la solitudine della mia stanza, Helèna permettendo. E poi, mi sento particolarmente giù, non solo moralmente. Mi sento fiacca, stanca e spossata. Ho, senza dubbio, bisogno di una buona dormita.
Jensen gira attorno alla scrivania e si accomoda di fronte a me:«Allora Isabella, come procede il tuo lavoro?» chiede con un sorriso affabile e i suoi occhi mi studiano, mi scrutano come se fossi il più interessante dei reperti di uno scavo archeologico.
«Bene» dico sbrigativa e con lo sguardo puntato sui miei appunti comincio a descrivergli i progressi fatti con Joshua. Parlo ininterrottamente per quindici minuti, spiego, descrivo, chiamando a raccolta tutta la forza e il briciolo di convinzione che mi è rimasto per la realizzazione di questo progetto.
Jensen mi ascolta. In silenzio, i suoi occhi sempre fissi su di me.
Ogni tanto mi interrompe chiedendomi cosa ne pensa Joshua di un cambiamento o di un particolare del prototipo. Cerco di rispondergli in maniera pertinente, di essere esaustiva, ma la voce suona stentata perfino alle mie orecchie.
Ormai sono al capolinea. Non riuscirò a parlargli della revisione del budget  in modo appropriato, convincente.
E, forse, non mi interessa neanche più.
La mia voce cala pian piano in intensità fino a spegnersi del tutto.
Jensen continua ad osservarmi pensieroso.
Il silenzio nella stanza comincia quasi ad essere imbarazzante, quando lui emette un sospiro e si allunga a prendere alcuni dei miei appunti in mano. Li studia pensieroso. Ne approfitto per riprendere fiato e radunare le idee.
Edward aveva ragione. Non ne vale la pena. A questo punto non più. E non per la mia salute.
Se per andare avanti in questa cosa devo litigare con lui, è certo che non ne vale la pena. Il mio entusiasmo si è dissolto, finito nel lavandino dei bagni del Tandem insieme ai resti della mia colazione. Non riesco a non pensare ai suoi occhi, al suo sguardo ferito quando ho rifiutato di seguirlo prima in ospedale  e poi a casa.
E ancora mi domando da dove mi è venuta fuori questa idiozia. Perché la verità è che il mio più grande desiderio è stare con lui, e che ora mi sento sconfitta e mortificata.
Ma cosa volevo dimostrare? L’ho fatto preoccupare, gli ho rinfacciato le sue stesse parole, e ho preferito il progetto a lui.
No, non è così … mi dico scuotendo il capo.
Io non stavo facendo i capricci, non volevo imporre il mio volere a priori. Ho cercato di spiegargli, di fargli capire il carico emotivo che ho investito in questo lavoro, ma lui era così … così duro, implacabile. Mi è parso di parlare con un muro di gomma. Qualunque cosa dicessi o facessi non faceva che rimbalzarmi contro, che peggiorare le cose.
Era come se il mio parere non contasse nulla.
“Dobbiamo capire cosa c’è che non và in te” così ha detto. E sebbene sappia che si riferiva alla mia salute, non ho potuto fare a meno di pensare che sarebbe stato infinitamente più semplice cercare cosa, invece,  funzionasse in me. Avrebbe risparmiato un sacco di tempo e di fatica.
«Isabella?!» Jensen mi riscuote con un tono un po’ esasperato. Mi deve aver chiamato diverse volte.
«Professore mi scusi. Ero distratta» mi affretto a dirgli mortificata.
Mi osserva un attimo. «Decisamente» dice eloquente, per poi proseguire «Ti ho chiesto il motivo di questo interrogativo alla voce “funzionalità”»
Ecco, ci siamo.
Raduno tutta la restante energia e dico:«Vorrei inserire questo». Nello stesso istante prendo un bel respiro e spingo la piccola custodia quadrata verso di lui.
«Le chiedo di pensarci su e di prendere una decisione» e ritiro la mano per nasconderla nell’altra appoggiata sul mio grembo.
«Che cos’è?» chiede aggrottando le sopracciglia  e allungandosi a prendere l’oggetto dinnanzi a sé.
Inspiro brevemente, poi deglutisco.
«Ho … pensato che potrebbe essere interessante. Sono delle musiche. Musiche classiche»
I suoi occhi si stringono per un attimo e mi osserva. Reggo lo sguardo solo per una frazione di secondo. Non sono in vena di ingaggiare un “braccio di ferro”. Non ne avrei la forza, né il mordente.
«Mmm» mormora ed apre la custodia.
Sussulto un attimo nel vedere il cd di Edward tra le mani di Jensen. E’ un ricordo così personale e nello stesso tempo doloroso che sento la necessità di distogliere lo sguardo.
Mi stringo forte le mani l’una contro l’altra in grembo.
«Professore … è l’unica copia di cui dispongo» riesco solo a dire con un alito di voce. I tempi si sono così ristretti che devo anche ritenermi fortunata di aver trovato in Emmett un ignaro complice. Chiedergli, oltre che di portarmi il cd, anche di farne una copia mi era sembrato davvero fuori luogo e non volevo attirare troppa attenzione su questa cosa. In fondo lui mi considera un po’ una “Bella Addormentata nel bosco” e lasciargli credere che la mia fosse solo nostalgia di casa non è stato affatto difficile. Se non fosse stato per lui adesso potrei già salutare il mio progetto da lontano.
Jensen mi osserva pensieroso, ma con un’intensità quasi imbarazzante. Ed io in questo momento mi sento troppo vulnerabile.
Comincio a radunare le mie cose e nel contempo cerco di spiegarmi, gli occhi rivolti ovunque tranne che sul viso del mio interlocutore: «Utilizzarlo comporterebbe un innalzamento dei costi del prototipo. Le chiedo solo di ascoltarlo. Io credo che ne … valga la pena.» finisco facendo spallucce e lanciandogli uno sguardo.
Ha il viso rivolto alla finestra.
Emetto un sospiro. Mi ero ripetuta talmente tante volte le parole più adatte per convincerlo che adesso mi stupisco di quanto sia stato semplice pronunciarle senza quell’intento. Ho parlato e basta, senza alcuna pretesa, senza alcuna speranza.
Ho solo voglia di andarmene.
Mi alzo e aspetto di sentire un secco rifiuto, quasi in trepida attesa. Mi serve la giusta spinta per chiudere definitivamente con questa follia, questo desiderio di riuscire a combinare qualcosa di vero, di mio, di reale, in un mondo che di reale ha ben poco e in cui io sento di valere meno di un granello di polvere.
Gli occhi azzurri di Jensen si spostano su di me: «Aspetta» dice e si alza dalla poltrona.
Gira intorno alla scrivania e si avvicina ad un mobile dietro le mie spalle. Lo seguo con lo sguardo e quando mi rendo conto di ciò che vuole fare comincio a tremare come una foglia.
«Se è l’unica copia di cui disponi, non voglio privartene. L’ascolteremo insieme adesso» e comincia ad armeggiare con un impianto stereo non particolarmente sofisticato.
Saetto con lo sguardo alla porta.
Non posso restare qui se voglio salvare un briciolo di dignità.
Me ne devo andare.
Afferro il cappotto, la borsa e faccio un paio di passi incerti verso la porta. Riesco ad appoggiare la mano sulla maniglia, mi schiarisco la gola e dico: «Io devo andare, purtroppo» e la voce mi trema come tremano le gambe.
Imprimo giusto una modesta pressione per sentire lo scatto della porta che lui ci poggia su una mano impedendomi di aprirla, mi fissa intensamente e dice: «Non ci vorrà molto» e con l’altra mano mi indica la poltrona al mio fianco.
Apro la bocca per replicare, ma in quel momento la stanza viene invasa dalle note suonate da Edward al suo pianoforte.
Mi lascio andare sulla poltrona senza forze, il capo chino.
Jensen si sposta e si avvicina alla finestra. Resta a guardarmi, immobile.
Mentre la mia ninna-nanna diffonde nel silenzio quasi reverenziale che si è creato, il mio cuore sembra contrarsi con dolore ogni secondo che passa.
E’ come se volesse implodere.
Sento tutto più pesante. La testa, il respiro, l’animo.
Dio quanto mi manca! Gli occhi mi si velano e una lacrima rotola giù dal viso, bagnandomi le dita.
Ma non è solo questo. Questa musica, in questo momento … mi ricorda quello che non avrei mai voluto che ritornasse alla mia mente. Mai.
E’ un altro abbandono, di un tempo più lontano, un tempo che avrei voluto dimenticare, ma che ha lasciato il suo segno indelebile dentro di me.
Perché mi fa ancora così male, perché non riesco a dimenticare?
Perché hai paura Bella. Hai paura che tutto svanisca e che tu possa cadere di nuovo a pezzi.
E perché l’idea che lui possa amarmi, amare un essere così insignificante come me è più evanescente della musica che risuona nel mio corpo.
E il dolore ti serve. Ti serve per ricordarti che lui c’è stato.
Ecco perché fa così male.
“Non sei la persona giusta per me … giusta per me … per me … per me …”
In un attimo rivivo il mio passato, la mia angoscia e mi sento sopraffare.
Non sono mai riuscita ad accettarmi al suo fianco, a darmi un motivo valido che mi confermasse che la nostra unione fosse giusta. Mi sembrava tutto impossibile e credere per un attimo che avrebbe potuto essere reale mi aveva regalato la sofferenza più grande di tutta la mia esistenza.
Perderlo.
E adesso mi appare davanti agli occhi quanto in realtà tutto sia estremamente sbagliato.
Quanto io sia sbagliata per lui.
No, no non ce la faccio …
Mi alzo e in due passi sono vicino allo stereo. Premo sul tasto per fermare la riproduzione e la musica cessa d’un tratto. Istantaneamente è come se la morsa che avvolgeva il mio cuore si fosse dissolta ed i polmoni riprendono a guadagnare aria.
Resto ferma così, senza dir nulla, senza muovere nemmeno un dito.
«Sai Isabella, la vita è davvero curiosa» le parole di Jensen mi riportano alla realtà «ci affanniamo per anni a cercare qualcosa. Denaro. Potere. Dio. Amore». Sento che si muove, ma non mi volto, non dico nulla. Mi reggo con le mani al mobile su cui è poggiato lo stereo, il respiro irregolare, lo sguardo sfocato dalle lacrime.
«Tu cosa cerchi, Isabella?» chiede con un tono di voce basso, quasi un sussurro.
Stringo gli occhi, cercando di allontanare le lacrime, di recuperare il controllo.
«Ho … ho commesso un errore» dico con la voce tremante «anzi troppi. Ho sopravvalutato le mie capacità, ho creduto di … di …» scuoto il capo, deglutisco il nodo che mi si è formato in gola. Prendo un respiro «Professore, la prego. Dimentichi il mio progetto, ormai non ha più importanza, non ne vale più la pena»
Un pesante silenzio scende tra di noi.
«No» dice secco e sento che è dietro di me.
«Sei entrata in questa stanza senza motivazione, senza alcuna determinazione. Sei spaventata. Cosa temi?» dice «Hai paura della mia risposta? Hai paura di essere giudicata?»
Scuoto il capo, non mi volto. Due lacrime scivolano giù bagnandomi le guance.
«Perché tu hai paura» dice con tono sicuro. «E cerchi qualcosa» e la sua non è una domanda «o qualcuno»
Dalla sua voce capisco che è ancora più vicino.
«Ho visto l’impegno che hai investito in questo lavoro. Ho visto la passione, il tempo, l’attenzione » la sua voce è calda, carica di tensione «Io e te siamo così simili Isabella … saremmo pronti a morire per le nostre convinzioni»
Chiudo gli occhi pensando a quanto siano vere le sue parole per me.
«Dicesti una volta che volevi dimostrare qualcosa a te stessa. Guardami negli occhi e dimmi che l’hai fatto. E ti lascerò andare.»
Il tono della sua voce, così suadente, carezzevole, ammaliante mi fa pensare per un attimo che Jensen sarebbe un vampiro perfetto. Le sue parole mi piombano addosso con la potenza di una valanga.
Mentre le lacrime scendono ancora più di prima, armeggio con lo stereo tentando di recuperare il cd. Le mie dita sono impacciate, nervose. Quando vedo uscire il disco lo afferro e senza voltarmi verso di lui, senza recuperare la borsa né il cappotto abbandonati sul divano, senza pronunciare nemmeno una parola mi avvicino alla porta aprendola leggermente.
«Aspetta, ti prego» la sua mano copre la mia, scende a stringerne il palmo e a staccarla dallo stipite. Con un movimento lieve cerca di farmi voltare e si accorge del mio viso inondato di lacrime.
I suoi occhi si spalancano.
Vi leggo tutta la sorpresa della scoperta, poi l’incertezza, infine la determinazione.
Piano le sue mani si avvicinano al mio volto e con i pollici prende a strofinarne le guance.
Trattengo il respiro, chiudo gli occhi. Penso ad un altro tocco, quello che vorrei sul mio corpo in questo momento, al gelo che vorrei sentire sulla mia pelle.
E allora la realtà mi appare in tutta la sua insopportabile crudezza.
Edward non c’è, è andato via.
Se n’è andato a causa mia.
E’ andato via, perché io sono meno di niente, solo un’umana. Un’umana e basta *. Con un fisico debilitato, una mente tormentata dalla vana speranza di dimostrargli di essere alla sua altezza, degna di lui, di loro.
Se fossi stata una immortale come loro, non mi sarei ammalata, non avrei mai dubitato di me stessa, non avrei mai sentito la necessità di mettermi alla prova.
Sarei stata perfetta per lui, la persona giusta
Il ricordo del passato comincia a confondersi con il presente.
Forks, il bosco, lui, io … i suoi occhi duri, le sue parole, le sue parole …
Non sei la persona giusta per me …
Mi è del tutto indifferente … ben altri pensieri per la testa …
Capire cosa c’è che non va in te … non va … non va …
La testa prende a girarmi sempre più velocemente, il respiro a spezzarsi e a farsi più rapido tentando di attingere più aria. Le mie mani si spostano in avanti febbrili, senza controllo solo per scontrarsi contro qualcosa, qualcuno e rimanerne imprigionate.
Braccia forti mi sorreggono, mi sostengono, mi impediscono di frantumarmi, di perdermi nell’abisso della solitudine.
«Isabella» un respiro leggero mi sfiora il viso «A volte non è necessario guardare troppo lontano per essere felici» un attimo di silenzio, poi «basta saper cogliere il momento quando arriva e non lasciarselo scappare».
Mani mi tengono fermo il capo. Apro gli occhi e mi specchio in due iridi azzurre come il mare dopo la pioggia.
«Io penso che tu sia una donna stupenda, piena di passione, di vita e di talento. E …» inclina il capo verso di me «… penso che per questo ne valga sul serio la pena.»
Mentre il suo viso si avvicina al mio, resto immobile, incapace di qualsiasi movimento o parola, come incantata.
Ma proprio un attimo prima che avvenga il contatto, riesco a percepire un  rumore alle mie spalle.

EDWARD
Spalanco la porta dello studio senza aspettare che mi inviti ad entrare, senza la minima delicatezza.
I suoi occhi si soffermano sulla mia figura e mi vedo nella sua mente avanzare con passo nervoso e affrettato, lo sguardo fisso, a tratti folle.
Figliolo, cosa è successo … i suoi pensieri sono allarmati.
Carlisle mi ha visto raramente in questo stato di agitazione.
«Devo parlarti di Bella» gli rispondo sbrigativo.
«E’ successo qualcosa?» mi domanda cauto, con la voce composta e questo ha un effetto tranquillizzante su di me. L’atteggiamento di mio padre si mantiene sempre su questi toni e mitiga da più di cento anni il mio carattere impulsivo e i miei istinti più nascosti.
Prendo un respiro e dico secco:«Carlisle, sta peggiorando»
Edward, calmati … i suoi pensieri sono decisi, sicuri. Mi dà l’illusione che la situazione non sia così grave, che ci sia sempre una soluzione per ogni difficoltà.
Cerco di rilassare i muscoli delle spalle, prendo un altro respiro e deglutisco il veleno che continua ad affiorarmi in bocca da quando sono uscito dal Tandem, da quando ho lasciato Bella in lacrime che a malapena si reggeva sulle sue gambe.
Da quando lei ha rifiutato di venire con me in ospedale.
Tuttavia, la rabbia per la sua decisione non ha diminuito affatto la preoccupazione per la sua salute. Ho girovagato in auto per un paio d’ore, senza una meta, pensando. La consapevolezza di essere stato vicino tanto così a commettere una sciocchezza mi ha colto giusto in tempo e mi ha spinto ad allontanarmi da lei all’istante.
E, poi, a cercare la sola persona che avrebbe potuto aiutarla.
Ho raggiunto l’ospedale da mio padre, con ancora nella mia mente lei, i suoi occhi, le sue lacrime.
E ho odiato profondamente il college, i suoi libri, la sua ostinazione.
Bella ha una tale predisposizione naturale nel mettere a rischio la sua vita che non riuscirò mai a capirla, ad accettarlo.
E ho odiato me stesso sopra ogni altra cosa, perché io l’ho spinta a seguire questo dannato semestre a Dartmouth, a vivere le esperienze che le sarebbero state precluse di lì a breve.
D’accordo.
Ma non volevo certo che affrontasse una malattia, l’unica esperienza che me l’avrebbe potuta portata via, che mortificasse e devastasse il suo corpo fragile e delicato!
«Edward, spiegati meglio» mi dice in tono professionale e lo ringrazio mentalmente perché il suo comportamento mi obbliga a cercare un certo equilibrio.
«Ha perso ancora peso, non molto in realtà. Meno di un chilo. Ma è avvenuto in appena tre giorni.» comincio a spiegare lentamente, richiamando alla mente i segni clinici che so essere importanti per effettuare un esame obiettivo di un paziente. Poi continuo:«è astenica, pallida forse più di prima»e, puntando gli occhi nei suoi, aggiungo « ha avuto un episodio emetico, anzi … più di uno, ripetuti» e nelle mie parole sento tutta la frustrazione che la notizia datami involontariamente da Bella mi ha provocato.
Ha avuto degli episodi di sanguinamento? Epistassi, sanguinamento delle gengive, ecchimosi cutanee … pensa lui con attenzione.
Scuoto il capo, poi mi ricordo del’episodio di un po’ di tempo prima e dico:«Un livido sul polso, una volta … ma è successo parecchio tempo fa. Ma non credo che fosse una generazione spontanea» concludo infastidito per poi precisare:«Almeno fino a quando era a casa».
Mio padre compie un breve movimento con il capo e abbassa gli occhi. So che vorrebbe tenermi nascosti anche i suoi pensieri, ma non è bravo come Alice in questo. Prima di leggere nella sua mente qualcosa che possa turbarmi lo invito ad esprimersi a parole:«Dimmi cosa ne pensi, Carlisle. La verità.»
Alza il capo e annuisce lentamente con la testa, puntando i miei occhi, che seguono ogni suo più piccolo movimento.
«Edward, voglio fare degli esami specifici. Una puntura sternale e una biopsia in cresta iliaca. E poi, ho bisogno di visitarla. Devo controllare fegato e milza.» mi dice e nei suoi occhi scorgo lo stesso gelo che sta avvolgendo in questo momento il mio cuore in una morsa.
Nonostante non riesca ad essere obiettivo quando si tratta di Bella, le mie lauree in medicina mi permettono di capire perfettamente cosa implicano queste indagini cliniche.
Mi appoggio con le mani alla poltrona in pelle di fronte a me. Non ho mai assistito al tipo di esami a cui Carlisle vuole sottoporre Bella, ma conosco le tecniche con cui vengono eseguiti. Dopo aver anestetizzato la cute e la parte più esterna dell’osso, Carlisle introdurrà un ago da aspirazione in profondità nell’osso fino a raggiungere il midollo ed effettuare il prelievo. Deglutisco visualizzando l’immagine di Bella sottoposta a questa pratica.
Ma è niente se penso cosa implica un esame del genere qualora risultasse positivo.
«Leucemia» dico e la voce mi trema.
Mio padre si alza dalla sua poltrona, mi viene vicino e mi poggia una mano sulla spalla: «Edward, non possiamo esserne sicuri. Per questo preferisco effettuare sia la puntura sternale che la biopsia profonda nel bacino. Voglio che non ci siano dubbi.» Prende un respiro e dice:«Cercherò di essere il più delicato possibile. Non sentirà nulla.»
Chiudo gli occhi per un istante e stringo i pugni per reprimere il desiderio inarrestabile di scaraventare la sedia di fronte a me attraverso il vetro della finestra.
E ancora di più cerco di tenere a freno l’istinto che mi suggerisce di montare in auto, andare al college, caricare Bella in spalla e condurla qui seduta stante.
«Quando vorresti eseguire l’esame?» gli chiedo, invece.
«Al più presto. Appena Bella sarà pronta.» mi risponde
Contraggo le dita sullo schienale della poltrona e annuisco.
«Edward, preferirei che non passasse troppo tempo. Voglio essere preparato … per ogni evenienza» aggiunge poi e i miei occhi si alzano sul suo viso.
La mia mente si rifiuta di assimilare queste parole.
Edward, non temere. Se qualcosa dovesse andare storto … c’è sempre la trasformazione. I pensieri di mio padre vorrebbero essere rassicuranti, ma in realtà mi gettano nello sconforto.
«Carlisle, io credo che lei non si senta ancora pronta per questo» dico con un certo sforzo.
Lui aggrotta le sopracciglia.
«Io non voglio che si senta obbligata a scegliere questa soluzione, come se fosse l’unica alternativa» chiarisco meglio.
Ma potrebbe esserlo … pensa lui e capisco che involontariamente ha fatto passare non il suo pensiero, ma un suo timore. Sul suo viso si delinea un’espressione dispiaciuta e allora si volta cominciando a togliersi il camice.
«Non ha senso preoccuparci di problemi che non sono ancora sorti» dice cercando di risultare confortante. Poi aggiunge:«Adesso torniamocene a casa, il mio turno è finito. E, poi, ne dobbiamo parlare con lei. Dobbiamo spiegarle la situazione» evita di aggiungerci la parola grave, ma è come se nella mia mente l’avesse urlata con tutta la sua forza.
Un parlottio sommesso arriva alle nostre orecchie.
Proviene dall’esterno.
Mentre mio padre appende il camice e prende il suo cappotto, ascolto distrattamente la conversazione che sta avvenendo fuori dallo studio.
«Se vuole può lasciare un messaggio, glielo farò recapitare» La segretaria di Carlisle, Lucy, una timorata ma determinata cinquantenne, parla con un tono gentile.
Mio padre si volta a prendere la sua valigetta e si gira verso di me: «Ok, possiamo andare»
Oddio, forse è meglio che chiami il dottore … questa ragazza non sembra affatto stare bene. I pensieri di Lucy sono un misto di preoccupazione e dispiacere.
«Mi dica almeno il suo nome, riferirò che è passata» continua lei ancora più incerta dall’esterno.
Spalanco gli occhi non appena sento la voce del suo interlocutore.
«Bella. Bella Swan»
E mi fiondo sulla porta spalancandola.


*Piccolo omaggio personale a New Moon.

Sterno e cresta iliaca sono due ossa piatte, rispettivamente del torace e del bacino.

NOTA DELL’AUTRICE: Riponete le armi e sappiate che no, non sono affatto cattiva … Un po’ sadica, magari … XD.
Scusate le risposte un po’ “striminzite”, ma se non volete attendere troppo per il prossimo cappy …

tsukinoshippo: Eccola la mia ciliegina sulla torta …XDD Dunque cara, certi capitoli a volte fanno piangere pure me, lo confesso. E fatico un po’ a scrivere questi perché devo sentire tutto il loro dolore prima di metterlo sulla carta. La risoluzione? Leggete, leggete, leggete!!! Baci
LOVA : Mai dire mai tesorina … a volte è necessario essere DAVVERO esasperati prima di fare qualche caz…. !!! Kiss
ginny89potter: Mmmmm così tu sei un’impaziente, eh?! Allora ti dico questo: quando sembra di vedere la luce, si può anche correre il rischio di rimanere del tutto abbagliati!!! Baci
sily85: Ale, Ale tu sei una santa!! Grazie per le tue parole di conforto su fb… mi sono state utili. La mia giornata dovrebbe essere di 48 ore per riuscire a fare tutto  … e poi complimenti sei arguta ragazza!!! Ho creato un mostro!!!!!XDDD
erika1975: no no… otto nanosecondi sono troppo pochi … devi farlo durare un po’ di più, altrimenti come si fa con l’astinenza!!:) Baci
keska: Mia cara per fortuna che te, come qualcun altro, vedi non solo Ed e Bella … le scene periferiche mi servono per creare l’atmosfera, per alleggerire la tensione e non rendere tutto troppo cupo. A volte, come in questo cappy, non riesco ad infilarcele … il dolore è dolore!! Kiss
RenEsmee_Carlie_Cullen: Non sono d’accordissimo con te … il matrimonio è importante, ma annullarsi per l’altro credo che sia sbagliato. In fondo Bella tenta di dimostrarsi degna agli occhi di suo marito, non cerca delle distrazioni!!! Ha deciso di rinunciare alla sua vita per stare con lui, un po’ di soddisfazione personale dovrà anche averla!!!Ti bacio forte …XD
Aleu:Grazie mia cara, i tuoi complimenti sono rinfrancanti!!! Qui Ed lo tratto un po’ male … dopo sarà peggio… Sei ancora qui?! XDD
Piccola Ketty Mamma tesoro tu mi vuoi commuovere!!!! Grazie. Bacioni
cloe cullen: Opsss (me si sposta di lato ed evita l’accetta puntata alla testa)!! Hai proprio ragione, con me non c’è da stare tranquilli. Affatto. -.-
Shinalia: Mmmm sono colpita! Ti sei sorbita tutta la storia in una notte, che dire se non … grazie? XD


Ringrazio tutti coloro che mi hanno aggiunta su facebook e vi lancio un'altra sfida … @endif1  (PS: ditemi chi siete!!!)
Lo so, lo so … sto impazzendo!!! XDDDD
Prossimamente il teaser su fb.
Bon, vi lascio a rimurginare …!!!
Baci
M.Luisa
 
   
 
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