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Autore: Pandora_2_Vertigo    01/12/2009    0 recensioni
Una storia. Presente e passato. Ambientata in un futuro ipotetico, dove le differenze tra gli uomini portano il mondo all'auto-distruzione. Gli umani da una parte, i mutanti dall'altra. In mezzo una giovane ragazza rifiutata da entrambi i mondi e una voce che l'assilla.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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9.

 

-          Caricateli in macchina! E allontanatevi, presto.

-          Generale Swatson cosa sta cercando di fare? – dice il pare della piccola Pan cercando di avvicinarsi all’uomo in uniforme, mentre alcuni uomini armati lo trattengono. La bambina lo guarda col volto rigato da calde lacrime, stretta tra le braccia della madre, i pugni serrati.

-          Presidente, o meglio Ex-presidente, si calmi per il bene della sua famiglia. A breve sarà allontanato dal palazzo. La prego di non porre resistenza o non rivedrà più la sua bellissima moglie! – gli risponde con un grassa risata.

-          Ma cosa… - non riesce a concludere l’uomo che viene trascinato via, mentre la moglie si rialza con in braccio Pan, circondata da due uomini che gli puntano addosso un paio di minimitragliette. Con sguardo a terra segue il marito rassegnata, sapendo di non avere scelta, ma cerano di non mostrare debolezza. La piccola invece vorrebbe urlare, chiamare il suo amico, di cui nemmeno conosce il nome…ma è a terra svenuto, un fine rivolo di sangue che gli cola dalle labbra…

Vengono accompagnati all’ascensore, dove il presidente stringe a se sua moglie e da una carezza alla piccola in braccio. Non servono parole, sarebbero inutili.

Scendono di un paio di piani e le guardie li scortano ad una macchina, una berlina nera, vetri oscurati. Vengono fatti salire, il motore viene acceso rombando e lentamente cominciano a muoversi verso l’uscita.

 

Uscendo dai cancelli del fumo scuro avvolge la macchina e riduce la visibilità. Le urla li avvolgono e un rumore sordo metallico, li fa voltare tutti verso destra: un uomo, carnagione scura, reso ancora più buio dallo sporco che ricopre a chiazze il suo volto, addossato sulla portiera della berlina, che urla parole quasi incomprensibili tanto i sentimenti di odio e rabbia lo offuscano.

Le persone nell’abitacolo, si spostano immediatamente dal lato opposto, ipnotizzati da quella visione, senza riuscire a staccare gli occhi dal finestrino. La madre cerca i coprire il volto alla piccola Pan, l’autista cerca di accelerare, ma presto, altri corpi, altre urla e la macchina viene a breve circondata.

Il volume delle voci sale, più numerose e più vicine.

-          Maledetti! Traditori!

-          Stanno scappando, blocchiamoli!

-          Non lasciamoli fuggire!

Decine e decine di persone, sporche, urlanti e armate con armi ed i più svariati oggetti sono li intorno, le ruote si muovono lentamente. L’autista stringe con forza il volante in pelle, mentre nessuno osa parlare. La bimba guarda inorridita le persone fuori, la spaventano, le urla le entrano in testa e le squassano il cuore di dolore. Non riesce a capire cosa vogliano a loro. Sua madre continua a tenerla stretta, il padre, nel sedile davanti del passeggero è immobile e silenzioso, impassibile.

-          Tenetevi pronti – dice l’autista senza quasi muovere le labbra – quando scattano verso l macchina si parte a razzo.

Un passo. Un altro e poi la folla che si getta su di loro. Le ruote che sgommano vorticando sull’asfalto, lo stridere dei pneumatici, la sbandata del posteriore per la perdita di aderenza e poi il movimento. Il botto. Il rumore sordo di corpi che colpiscono in parabrezza, di oggetti vari scagliati sulla carrozzeria. Un vetro infranto. Le urla! Della gente fuori. Di sua madre. E la piccola che la stringe forte, con le mani calde, rischiando di bruciarla. Gli occhi sbarrati.

 

Curve rapide, sbandate e il rumore che ruggisce. Altre macchine alle calcagna, un suoni di spari che non li abbandona. Stretti, tesi e silenziosi. La vita nelle mani del loro autista carceriere. Il rombo dei motori che si avvicina. Un incrocio, poi un altro e una curva stretta, insidiosa, a ridosso del guardrail. L’auto sbanda ancora, ma l’autista riesce a tenerla. Un sospiro di sollievo, quasi, troppo presto.

Il suono di spari, incessante, uno scoppio, l’auto che non può più essere controllata.

Lo scontro, rumore di lamiere.

 

Mi sveglio per il rumore stridente dei freni. Sul camion l’aria è irrespirabile, densa di umidità e polvere. Mi ritrovo sdraiata, circondata da varie casse che mi impedivano dall’andare a sbattere in continuazione a destra o a sinistra. Le mani sempre immobilizzate dietro la schiena, un atroce dolore alla sedere. Il sudore che mi appiccica i vestiti addosso. Sulla bocca un bavaglio ad impedirmi di urlare.

Ci siamo fermati. Dalla poca luce che filtra dai tendoni cerati del camion capisco che è giorno. Provo a rialzarmi o quanto meno a mettermi in ginocchio. Delle voci all’esterno che gridano comandi e risposte certe. Movimenti vari. Rumori di colpi diversi, di motori di macchine.

Poi un tuono, uno scroscio di pioggia. Un breve temporale di pochi minuti.

Al termine di nuovo movimenti e voci.

Il portello posteriore viene aperto. La luce che entra mi ferisce gli occhi.  Due uomini entrano e mi trascinano all’esterno. La mente ancora annebbiata, probabilmente per l’anestetico fatica a mettere a fuoco l’ambiente circostante. Vedo come sempre gli ammassi di nuvole nere nel cielo, il suolo bagnato, pozzanghere qua e la,ma nonostante la pioggia fa un caldo infernale, e l’umidità rende l’aria molto pesante. Respirare con un bavaglio sulla bocca poi è ancora più difficile. Degli alberi maestosi ai bordi della strada sterrata che stiamo percorrendo, incorniciano una piccola radura dove vedo uomini indaffarati ad allestire una serie di tende ai colori mimetici, intorno ad una già montata. Cinque in totale se i sensi non mi ingannano, e visto come sono messa potrebbero benissimo.

-          Forza cammina!

Mi spingono i soldati, guidandomi verso l’accampamento. Aprono la tenda montata e mi ci fanno entrate. L’ambiente è poco luminoso, infatti al’inizio non distinguo bene cosa contiene, ma lentamente focalizzo: un sacco a pelo, degli zaini, e una specie di tavolo da campeggio d’acciaio montabile, su cui troneggia un mini pc portatile, che non emette il minimo ronzio e non è alimentato praticamente da nulla. Davanti è seduto il comandante mascherato.

-          Bene, liberatatela.

-          Ma Signore…

-          Obbedite, niente storie.

A quelle parole sento le corde lungo i miei polsi allentarsi, posso finalmente muovermi liberamente, riportare le spalle doloranti in avanti e massaggiarmi i polsi, rossi e segnati. Mi levano anche il bavaglio, ma per quello non c’è problema, non ho intenzione di parlargli molto. Non ho proprio nulla da dire!

-          Bene. Portatela fuori e datele qualcosa da fare.

-          Signore è sicuro che…

-          Ho detto di darle da fare. Fatevi aiutare a montare le tende o altro…

-          Come ordinate. Ma in questo modo..

-          Se tenterà di scappare, sarà peggio per lei. Non sopravvivrebbe nemmeno un giorno.

-          Si signore.

Dopo l’ennesimo saluto militare mi condussero all’esterno. Non sarei scappata? Questo era da vedere! Chi si credeva? E non avevo la minima intenzione di aiutare queste maledette uniformi nere. Se lo potevano proprio scordare!

Le ultime parole famose perché mi piazzarono in mano una sacca pesantissima che quasi mi trascinò con se a terra. Fino ad ora non avevo osservato tutti i militari in uniforme che mi giravano intorno, odiandoli troppo per considerarli, ma l’uomo in nero che mi si parò davanti, era alto e grosso, praticamente mi oscurava il sole, coprendomi totalmente d’ombra, portava occhiali da sole e cappello militare nero.

-          Porta questa borsa verso la tenda più esterna, quella quasi pronta. Le altre le trovi sul camion. Una volta completata, porterai all’interno tutte le borse che hai trasportato. Ci sarà uno degli uomini ad indicarti cosa fare.

Aprii la bocca per protestare ma non feci a tempo.

-          So che il comandate dice che non scapperai, ma io non mi fido. Ti tengo d’occhio ragazza, sappilo.

E dicendo questo posò la mano sulla fondina della pistola che portava stretta in vita. Fece un ghigno divertito e si diresse verso i lavori di montaggio dell’accampamento.

Sconsolata, ma di certo non sconfitta trasportai quella borsa dove mi era stato detto. Gli uomini lavoravano come tante api operaie, si impartivano ordini e altri eseguivano, ma sempre mantenendo un tono gioviale tra loro, come un allegra compagnia.

Sprezzante voltai loro le spalle e mi diressi verso il camion che mi era stato indicato, di certo non per scaricare borse. Assicurandomi che le uniformi fossero occupati e non mi stessero osservando, proseguii fino a girare dietro l’automezzo e sorpassarlo. Attesi un attimo, per essere sicura che nessuno avesse notato la mia assenza, e così fu. “Ti tengo d’occhio!”. Piuf, certo come no!

Baldanzosa e sicura di me, mi mossi fino al limitare della strada, sorpassai alcuni alberi e subito la luce che filtrava tra le foglie diminuii, tanto era fitto il manto verde sopra di me. Anche il calore diminuii, mentre l’umidità che si percepiva tra gli alberi era quasi opprimente e consistente come un muro solido, difficile da respirare. Le voci dei soldati giungevano attutite e lontane nonostante fossero a pochi metri di distanza, ero come isolata. Davanti a me il verde più fitto e scuro, dietro la prigionia, non avevo alternative. Nonostante tutto sentivo crescere la paura in me: non conoscevo quei luoghi, non sapevo in che direzione avessimo viaggiato durante la notte, non riconoscevo le piante che mi circondavano; erano rigogliose e maestose, ti avvolgevano e inebriavano col loro profumo. I piedi affondavano nel terreno soffice e nell’erba alta. Decisamente affondavano…stavo sprofondando, qualcosa mi tirava giù. Quasi non riuscivo  a muovere i piedi, ero come legata.

Osservando vidi come delle liane che spuntavano dal terreno avvolte intorno alle caviglie, come avevo fatto a non accorgermi di nulla e come era stato possibile in così poco tempo? Beh chi se ne frega! Dovevo fare qualcosa subito.

Guardandomi attorno vidi un ramo basso, che appariva resistente. Mi ci aggrappai e iniziai ad issarmi. La resistenza era notevole, ma lentamente sembrava riuscissi ad estrarmi da quelle specie di sabbie mobili. Non demorsi e continuai a tirare. Mentre lentamente uscivo dal terreno morbido le liane verdi mi seguivano e si allungavano uscendo dalla terra. Prima o poi sarebbero vero? Come risposta vidi spuntare qualcosa dal terreno una specie di bocca rossa aperta da cui provenivano le liane. Doveva essere un qualche tipo di pianta carnivora mutata o che so io. Dovevo assolutamente liberarmi, piuttosto le uniformi nere che finire trascinata nel suolo da una pianta mutante. Continuai ad issarmi e una volta estratta comincia a scalciare fino ad allentare una presa, liberai una gamba e con quella scaccia via la pianta carnivora, che ritornò al suolo con un suono sordo. Ansante e sudata all’inverosimile mi costrinsi a dirigermi di nuovo verso la strada, l’accampamento, il minore dei mali.

-          Avevo detto che non era sicuro scappare…

Quella dannata voce, di nuovo, lui. Me lo immaginai davanti al suo pc ultima generazione nella tenda mimetica. E lo maledissi.

  
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