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Autore: ailinon    05/12/2009    4 recensioni
Nel lontano rinascimento, un ragazzo con una grande e sola passione: la poesia e la lettura.
La sua vita a Firenze, lo condurrà a conoscere molti personaggi importanti.
Dalla sagace intelligenza di Pico, alla filosofia di Marsilio.
Dalla gioia di vivere di Giuliano de Medici, alla grandezza di Lorenzo il magnifico, suo fratello.
Fino alla superbia della famiglia de Pazzi.
Ma uno su tutti saprà cogliere l'essenza del suo animo...
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
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Capitolo 77 – DUE UOMINI

Capitolo 77 – DUE UOMINI

 

L’uomo aprì gli occhi lentamente, sentendo i baci del ragazzo scendergli lungo il torace e il ventre.

 «Cosa combini?» chiese assonnato, insinuandogli le dita nei morbidi capelli castani.

 «Cerco di domare uno stallone» rispose Angelo, malizioso.

Quel espressione mandò all’uomo un fremito lungo la spina dorsale, riaccendendo il suo corpo rilassato.

D’istinto socchiuse le gambe e ribatté: «Provaci pure se vuoi. Non vedo l’ora!»

Con altrettanta intesa, il ragazzo strusciò il ventre contro la sua coscia, coprendogli il sesso con una gamba. Come per dimostrare che era di sua proprietà, quindi gli posò un bacio lievissimo sul collo. E poi un altro, e un altro ancora. Fino a sentirlo fremere d’impazienza.

Agnolo gli afferrò il capo, e gli imprigionò le labbra sotto la sua bocca. Una lunga tortura di baci e duelli li unì, mentre Poliziano si girava su un fianco, per accarezzarlo con più facilità.

Ansimò nella sua bocca quando si separarono, ma Angelo decise di non dargli tregua.

Non era stato per le sue parole che il suo poeta era lì con lui, ma per i fatti e i silenzi. Decise perciò di agire.

Prendendogli le guancie tra le mani, gli passò la lingua sul collo, e poi gli mordicchiò un orecchia, giocandovi con i denti e la lingua.

Poliziano emise un gemito di piacere simile alle fusa di un gatto. E lui proseguì.

Scese a mordergli e a giocare col suo torace, facendo scivolare la mano lungo il suo ventre. Lungo il suo bacino, sul pube bruno e giù, sui genitali. Come una carezza ad un bambino. Delicata, appena accennata.

Una volta, due, poi Agnolo sussultò, e in uno scatto gli fermò il polso.

«Non giocare con me!» esclamò scorbutico: «Non resisto a queste cose»

Gli occhi verdi dell’altro si socchiusero, luminosi: «Lo faccio proprio per questo»

Poliziano ammutolì. Si rese conto che era vero. Stava reagendo proprio come lui voleva. Forse era… Già stato domato?

Il pensiero lo colpì e gli diede da pensare, ma fu il suo animo a rispondere per lui. Era felice che fosse successo. Che qualcuno avesse trovato la chiave per gestire le sue emozioni.

Inconsciamente si rilassò. «Folle» sorrise, risistemandosi sul letto, continuando a studiare Angelo: «Allora non ti resta che mettermi la sella» e con un movimento esplicito del bacino, gli lasciò intendere cosa intendesse.

Angelo scivolò tra le sue gambe, intrecciando le dita nei serici peli del suo ventre. Sorrise: «Sono… Gli animali montati a pelo, che dimostrano ancora il loro carattere»

 «Davvero eh?...» ribatté Agnolo felice: «Ma ci vuole un cavallerizzo esperto, allora»

«Me la saprò cavare» ammiccò l’amante, sfiorandogli, con il pollice, la base del sesso agitato.

Agnolo sussultò e inarcò il bacino, tendendo i muscoli delle gambe e delle natiche, verso quello carezze.

Ne voleva ancora. Inutile negarlo, e il ragazzo lo sapeva.

 Inchiodando il suo sguardo negli occhi dell’altro, Angelo si portò le dita alla bocca e le succhiò lentamente.

Lo vide deglutire e trattenere il fiato, quando gliele portò alla delicata imboccatura tra le natiche.

Agnolo contrasse il corpo a quell’invasione ma l’altra mano del giovane, gli fece dimenticare il resto, se non il movimento delle dita attorno alla sua pelle tesa.

Ci volle poco. Si rendeva conto di essere davvero nelle sue mani e non riusciva, non voleva, opporvisi.

Con un gesto, Angelo gli afferrò una gamba e gli alzò il fondoschiena in modo da averlo più comodo davanti a sé.

Portò il sesso all’altezza delle dita che stava ancora muovendo gentilmente nel suo corpo, e quando le ritrasse, lo penetrò.

Avvertì il corpo del suo poeta irrigidirsi e stringersi attorno a lui. Attese qualche secondo che l’estatica sensazione di unione gli togliesse l’annebbiamento alla mente, al cuore, e gli pizzicò i capezzoli con una mano.

L’uomo, sensibile, si agitò eccitato, dimenticandosi della tensione.

Gli afferrò entrambe le gambe, e si mosse.

Agnolo gemette, ma di piacere. E lui, tendendo tutti i muscoli del corpo, si spinse in avanti. Ancora e ancora.

Le gambe di Agnolo gli si serrarono attorno al corpo.

«Ancora!» ordinò: «Ancora» e mentre parlava seguiva il movimento dell’altro corpo col suo.

Fu una danza, spinta al parossismo. All’estremo delle forze. Una lotta tra due uomini, fatta di abbracci e strette amorose.

 Era il suo poeta, pensò Angelo. Quello che faceva suo per sempre, era il suo poeta. Non c’era niente di paragonabile.

Niente di simile. Niente di altrettanto felice…

 «Ti amo» gridò Agnolo, quando il suo corpo pianse dentro di lui.

Si afflosciarono l’uno sull’altro, cadendo in un sonno appagato e felice.

***

 

   
 
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