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Autore: endif    05/12/2009    15 recensioni
“«Edward…» non mi accorgo neppure di avere sussurrato il suo nome, ma forse l’ho fatto perché lo vedo girarsi verso di me come a rallentatore. Il tempo si cristallizza qui, in questa stanza, in questo momento, restando sospeso a mezz’aria.
Sgrano gli occhi a dismisura quando capisco chi è tra le sue braccia.
No. Non può essere.”
Piccolo spoiler per questa nuova fic, il seguito di My New Moon. Ci saranno tante sorprese, nuove situazioni da affrontare per i nostri protagonisti. Un E/B passionale e coinvolgente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Change' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Questo capitolo è per Grazia (kikkikikki): Tesorina, purtroppo non avevo null’altro da darti in cambio della tua gentilezza …

CAP.20

BELLA - Sarah McLachlan - Do What You Have To Do


Percorro il corridoio dell’ospedale ancora scossa, ancora turbata.
Sono uscita dal college come se il diavolo in persona mi stesse alle calcagna. In strada ho fermato un taxi e mi ci sono fiondata dentro, senza voltarmi indietro nemmeno una volta. Ho dato l’indirizzo dell’ospedale sprofondando nei sedili posteriori e cercando di calmare il battito impazzito del mio cuore.
Non ha più senso continuare questa farsa.
Oltre a mettere a rischio la mia salute, oggi ho messo a rischio anche il mio matrimonio. E tutto per la mia insicurezza, per le mie folli idee.
Avrei dovuto essere più accorta, meno ingenua. L’interesse di Jensen nei miei confronti si è palesato per quello che è: un’attrazione fisica, altro che interesse professionale.
E’ tutto inutile. Ovunque mi volti non faccio che trovare i miei fallimenti. Come studentessa, come moglie, come umana.

Lo scatto della porta mi ha restituito alla realtà e lo sconforto per la menzogna smascherata ha agito su di me con tale prepotenza, da darmi tutta la lucidità necessaria a ritornare con i piedi per terra.
Ho allontanato Jensen con un gesto della mano, terrorizzata da quello che stava lì lì per accadere. Ho cominciato a tremare come una foglia e a tentoni sono riuscita a recuperare le mie cose capace solo di ripetere a fior di labbra no.
No, non è giusto.
No, non è possibile.
No, devo andare via.
Jensen mi osservava dapprima silenzioso, turbato almeno quanto me. Tuttavia le sue parole, in seguito, non sono riuscite a scalfire il muro che ho innalzato nella mia testa.
Rimbombano nel mio cervello come un eco lontano.
“Isabella … non è colpa tua. Io … ho sbagliato, e ti chiedo perdono. Perché ho sempre saputo che il tuo cuore non è libero. Ti prego, ti supplico … non lasciare il progetto, non gettare via tutti i tuoi sacrifici, il tuo impegno.”
Delle altre sue parole non ho memoria. Del suo viso, nemmeno.
Non ha cercato di fermarmi, non mi ha sfiorato nemmeno più con un dito.
Ho spalancato la porta e mi sono diretta come un tornado lungo il corridoio. Con gli occhi bassi, quasi travolgendo la persona che mi sono trovata di fronte, senza nemmeno chiedere scusa.  Sono passata oltre senza soffermarmi neanche un attimo, incapace di reggere in questo momento alcuno sguardo.

Ed ora eccomi all’ospedale, dove sarei dovuta andare sin da subito.
Salgo al piano in cui sono ubicati gli studi medici. Giù in accettazione mi hanno riferito che la stanza di Carlisle dovrebbe essere l’ultima in fondo a questo lungo corridoio. Quasi alla fine noto una porta aperta. All’interno un uomo parla con una signora, presumibilmente una segretaria.
«Mi spiace, davvero. Le fisso un appuntamento.» Sta dicendo lei rivolta all’uomo.
Le sue parole esprimono un sentimento che è ben lontano dall’essere anche nella sua espressione. Poi, facendo capolino da dietro le spalle dell’uomo, mi nota e mi fa un cenno come ad indicarmi di attendere.
Maledizione. Stavo già indietreggiando, per defilarmi silenziosamente …
L’uomo si gira e noto un vistoso cerotto sulla fronte, proprio al centro. Cammina verso di me e stropiccia un foglietto tra le mani, sbuffando fra i denti.
Entro nell’anticamera e mi metto da un lato per permettergli di passare. Lui lo fa senza neanche alzare lo sguardo, ma fissando sempre il foglietto.
«Signorina?»
Mi volto verso la segretaria e abbozzo un sorriso incerto.
«E’ qui per il  Dottor Cullen.» dice con ovvietà. Annuisco con il capo, e apro giusto la bocca per dire che passerò in un altro momento, quando un odore dolciastro mi arriva alle narici provocandomi un’ondata improvvisa di nausea. Mi volto verso la finestra e noto un vaso con dei fiori rosa. Il loro profumo è disgustoso, penetrante ed intenso.
«Mi dispiace, ma ha finito il suo turno. Deve tornare un altro giorno.» la segretaria è implacabile, parla con sicurezza e indifferenza, come se fosse abituata a recitare questa scena diverse volte al giorno.
Deglutisco i succhi gastrici - l’unica cosa che mi rimane nello stomaco - che sono arrivati alla mia gola e faccio un passo indietro, assentendo lievemente con il capo.
«Signorina … si sente bene?» mi chiede lei un po’ titubante.
Stringo la borsa al mio fianco e chiudo un attimo gli occhi.
Adesso passa, Bella. Mi ripeto cercando di auto-convincermi.
«Se vuole può lasciare un messaggio, glielo farò recapitare» il suo tono è più gentile ora, più materno.
Scuoto il capo in segno di diniego e mi volto per andarmene.
«Mi dica almeno il suo nome, riferirò che è passata» la sua voce mi coglie alle spalle e sembra davvero dispiaciuta, quasi preoccupata.
Con uno sforzo di volontà decido di risponderle:«Bella, Bella Swan».
Non finisco nemmeno di parlare che un’altra voce, melodiosa come quella di un angelo, mi fa bloccare prima che guadagni l’uscita.
«Bella»
E’ la sua voce.
Il mio personale e diretto contatto con il paradiso.
Mi volto e vedo Edward avvicinarsi a me, con passo rapido e aggraziato. I suoi occhi mi scrutano attenti, il suo sguardo sembra volermi trapassare  l’animo.
Incapace di reggerlo, punto gli occhi sul pavimento. Le orecchie cominciano a ronzarmi in maniera fastidiosa e una volta di più benedico quell’oscura anomalia che non gli consente di leggermi nella mente.
La voce della segretaria spezza il limbo in cui sono precipitata ma capisco che non è a noi che si sta rivolgendo: «Dottor Cullen, ho spiegato alla signorina che …»
«Non si preoccupi Lucy, è tutto a posto. Lei è la moglie di mio figlio» spiega Carlisle tranquillamente.
Intanto Edward, fermo al mio fianco fa scivolare un braccio intorno alla mia vita con fare rilassato, sereno.
Come se la nostra discussione di qualche ora prima non fosse mai avvenuta.
Come se non gli avessi mai rinfacciato di avermi spinta alle scelte che poi ho fatto e che ci hanno portato al litigio.
E che mi hanno condotta nello studio di Jensen …
«Vieni Bella, entriamo» dice Carlisle indicando con un gesto elegante della mano l’ingresso della sua stanza e poi aggiunge sbrigativo, rivolto alla segretaria:« Lucy, non ci sono per nessuno.»
Cercando di mantenermi il più lontano possibile dalla finestra, pienamente consapevole solo del braccio di Edward intorno al mio corpo come se fosse un tizzone ardente, metto un piede dinnanzi all’altro obbligandomi ad avanzare.
E’ come se mi trovassi in quella dimensione surreale, che precede appena il sogno prima di lasciarsi alle spalle la realtà.
In effetti, è da questa mattina che mi sembra di essere in un sogno.
Mi ritrovo seduta su una morbida poltrona senza sapere nemmeno come, con Edward in piedi al mio fianco. Carlisle si è già accomodato dinnanzi a me.
Mi sorride con calore: «Allora Bella, direi che dobbiamo fare qualche controllo.»
«Io … Carlisle se il tuo turno è finito, non vorrei … sì, insomma possiamo rimandare» dico d’un fiato colma d’imbarazzo. Forse lui ed Edward dovevano andare da qualche parte, ed io li ho interrotti …
Edward al mio fianco resta in silenzio, ma mi accorgo che si è irrigidito. Carlisle, intanto, prende una penna stilografica e comincia a scrivere velocemente su un blocco davanti a sé.
«Nemmeno per idea» dice lanciandomi un’occhiata «ci vorrà solo qualche minuto».
Sospiro rassegnata.
Lui riprende a parlare con la solita calma che lo contraddistingue:«Credo che sia opportuno sottoporti ad alcuni esami specifici, ma prima, se sei d’accordo,  vorrei visitarti»
Annuisco e lancio un’occhiata ad Edward, fermo sempre nella stessa posizione.
Non traspare nulla dalla sua espressione.
La rabbia, il dolore, il fastidio che hanno animato il suo volto qualche ora fa, paiono del tutto scomparsi. Ora più che mai sembra che i tratti del suo viso siano scolpiti nel granito. Ha gli occhi fissi sul padre e la mascella rigida. Mi pare che muova impercettibilmente la testa, ma forse è solo la mia impressione …
E’ ancora arrabbiato … mi dico fra me e me.
«Molto bene» e si alza con il foglio tra le mani. Mi muovo sulla poltrona a disagio. Non so bene cosa fare. Alzarmi anche io? Togliermi il cappotto? Distendermi sul lettino?
«Edward, vuoi intanto procurarmi questi farmaci?» dice rivolto al figlio che ha già la mano distesa davanti a lui per prendergli il foglio dalle mani, negli occhi un’espressione indecifrabile.
Li guardo entrambi interrogativa e un po’ allarmata.
Non posso negare che sottopormi ad una visita senza la presenza di Edward mi getti in uno stato di profonda agitazione, ma mi rendo anche perfettamente conto della tensione quasi palpabile che si è creata tra di noi.
Lo osservo mentre esce rapido e chiude la porta dietro di sé.
La stanza intorno a me, sembra improvvisamente troppo vuota, troppo fredda. E una sensazione di disagio mi piomba addosso.
Rimango a fissare lo stipite per qualche secondo, poi mi giro verso Carlisle, i cui occhi restano lontani, concentrati ancora per qualche attimo.
Poi, il suo viso si schiarisce in un lieve sorriso e mi guarda.
«Prego» dice indicando un separè di tela bianca.
Mi alzo, sfilo il cappotto e lo precedo sistemandomi su un lettino, ma restando seduta, la posa rigida.
Comincia a visitarmi accuratamente, a partire dagli occhi.
E a farmi una marea di domande, alle quali mi sforzo di rispondere con un minimo di sincerità. Ben presto le mie parole cominciano a diventare automatiche.
Sì, sono spesso stanca. No, non riposo bene. Sì, sì sono più o meno regolare nel ciclo. No, non ho avuto febbre di recente …
«Hai ancora nausea?» mi chiede intanto che poggia le sue dita gelide alla base del collo, risalendo sotto la mascella in un movimento circolare.
Annuisco.
«Quante volte hai vomitato?» mi chiede serio.
Sussulto. E’ evidente che abbia parlato con Edward. La cosa mi mette a disagio. Abbasso lo sguardo, imbarazzata.
«Bella, Edward non c’è. Devi dirmi la verità. Ti assicuro che non sbircerà nella mia mente e se dovesse provarci, non troverà nulla.» e distendendo le labbra in un sorriso, continua «Diciamo che Alice non è la sola a conoscere qualche trucchetto»
«Oggi una sola volta.» rispondo deglutendo.
Lui resta in silenzio, aspetta che prosegua:«Ieri e l’altro ieri … in tutto sei volte» dico affranta.
Non fa alcun commento e con una mano mi aiuta a distendermi sul lettino,  cominciando a palparmi l’addome con delicatezza.
Ormai avvezza a cogliere anche i più piccoli cambiamenti nei loro visi di porcellana, perfetti  e diafani, mi accorgo subito che qualcosa l’ha turbato perché gli vedo stringere le labbra impercettibilmente.
«Che c’è?» chiedo agitata.
«Nulla di grave.» dice scuotendo il capo «il tuo fegato è un po’ indolenzito. Ma non c’è di che preoccuparsi» e mi regala un altro dei suoi luminosi sorrisi.
Lascio andare un sospiro.
«Bene» continua lui «abbiamo finito».
Mentre scompare dietro al divisorio comincio a sistemarmi gli abiti.
Mi sento stanca e spossata. E ho solo voglia di dormire, come non faccio ormai da tempo.
Quando lo raggiungo alla scrivania, noto Edward in piedi vicino alla finestra, di spalle.
Sussulto. Non mi sono resa affatto conto che era rientrato.
Carlisle mi indica la poltrona e accetto più che volentieri di sprofondare in essa.
«Bella, come ti ho già accennato vorrei sottoporti a qualche esame più approfondito» lancia uno sguardo al figlio e prosegue «voglio eseguire due prelievi bioptici»
Lo guardo interrogativa. Se parlasse turco, forse lo capirei meglio.
Prelievo, nel mio cervello equivale a puntura. La cosa non mi entusiasma affatto e gli domando flebile, ma rassegnata:«Vuoi farli ora?» mentre indico incerta con la mano la piega del mio gomito.
Meglio togliersi il pensiero subito, mi dico.
«Se tu sei d’accordo, sì» poi osserva ancora fugacemente il figlio.
Annuisco e afferro il bordo della manica della mia maglia pronta a tirarlo su, ma lui scuote il capo:«No, no. Non si eseguono sul sangue, ma sul midollo osseo. Prima devo … anestetizzarti» i suoi occhi saettano veloci verso la finestra.
Anestesia uguale altra puntura.
Perfetto.
Meno male che la mia testa è vacua, così può darsi che mi risveglio nel mio letto e mi accorgo che è stato tutto solo un sogno.
O meglio, un incubo.
«Carlisle, io non capisco …» dico stringendomi nelle spalle, quasi vergognandomi della mia ignoranza.
Allora finalmente Edward si volta verso di me e dice:«Bella, Carlisle deve prelevare dei campioni dalle tue ossa. Dallo sterno, l’osso principale del torace e dalla cresta iliaca, che si trova sul bacino» mi guarda intensamente «non sentirai alcun dolore, per lo più un senso di fastidio»
Prelevare campioni dalle ossa?!
Sento il sangue defluire dal mio viso, che sembra essere diventato insensibile, come se non appartenesse più al resto del corpo.
«O … ossa?» e la voce mi trema.
Deglutisco e in un attimo Edward è inginocchiato al mio fianco, le sue mani sulle mie.
Ancora più lenta del mio solito, abbasso il capo verso di lui e con esso i miei  occhi. Il suo sguardo è attento, serio, preoccupato. Saetta dall’una all’altra delle mie pupille.
«Devo … devo essere addormentata?» gli chiedo con la voce strozzata, per la prima volta rivolta proprio a lui.
Nella mia testa c’è la speranza che mi venga regalata un’incoscienza totale. Un’incoscienza che mi protegga dall’indagine cui devo essere sottoposta in primo luogo, ma che mi liberi anche della pesantezza che sento ancora nel cuore.
Lui scuote il capo:«Non è necessario, non è un’operazione in senso stretto» prende un respiro e i suoi occhi si addolciscono «Non mi muoverò dal tuo fianco. Sarò sempre vicino a te»
I miei occhi si spalancano. Mi sento prossima ad una crisi di nervi.
All’improvviso sento tutto il peso degli eventi della giornata sulle mie spalle. Vorrei solo ritirarmi e leccarmi le ferite, ma prima devo affrontare quest’ultima cosa.
Bella, ancora uno sforzo …
Annuisco con il capo e lui mi stringe forte le mani, lasciando che il sorriso sghembo schiarisca, finalmente, il suo meraviglioso viso.

EDWARD - Sarah McLachlan – I will remember you-

Cammino al fianco di Bella, entrambi in coda a Carlisle che conduce il nostro piccolo gruppo, diretti al reparto di chirurgia.
La osservo senza farmi notare. Ha i tratti del volto tesi, tirati.
Gli occhi sono gonfi, ancora arrossati.
Dopo la nostra discussione al Tandem deve aver pianto.
E parecchio, anche.
Le tengo la mano nella mia. Vorrei che il mio tocco non fosse così gelido. Vorrei poterle infondere il calore necessario per scaldarla, per scaldare anche  il suo cuore.
Appena l’ho vista fuori dallo studio di mio padre, pallida e incerta, tutta la rabbia e la frustrazione che avevo accumulato si sono dissolti in una bolla di sapone.
Ho sbagliato.
Sono stato troppo rigido, troppo preso dalla preoccupazione per la sua salute da non rendermi conto che il mio atteggiamento al locale non era quello di un marito in ansia, ma di un tiranno prepotente.
Mentre lei tentava di spiegarsi in quella toilette, io cercavo solo il modo di  farla venire via con me.
Non ho avuto rispetto per lei.
Ho pensato che solo ciò che premeva a me avesse rilevanza, senza curarmi delle sue priorità.
Non si tratta così una persona che si ama.
Affatto.
Ma niente di tutto ciò che è stato ha importanza, perché adesso Bella è qui.
La mia dolce, coraggiosa, piccola umana …
Incede apparentemente tranquilla, lo sguardo fisso davanti a sé, la mano abbandonata nella mia.
Ma il battito forsennato del suo cuore non mente, e il suo passo è esitante.
Da parte mia, cerco di mantenere un atteggiamento composto, sereno.
In realtà fremo come non mai.
Vorrei poter scambiare tutta l’eternità della mia esistenza che si stende davanti ai miei occhi con i prossimi dieci minuti che, invece, aspettano Bella.
Vorrei potermi stendere su quel lettino al suo posto e farmi trapassare da parte a parte, non con uno, ma con un milione di aghi.
Tutti insieme, se questo potesse servire ad evitarle anche la più lieve delle sofferenze.
Mi inclino leggermente verso il suo capo, il respiro che le sfiora i capelli:«Bella, non hai nulla da temere. Carlisle ha il tocco più delicato che esista.» le sussurro piano all’orecchio, continuando a guardare in avanti.
Si volta un pò verso di me, sbatte le palpebre due volte come a riscuotersi da chissà quali pensieri e, muovendo appena il capo, mormora:«Non ha importanza».
Corrugo la fronte.
La sua risposta mi lascia perplesso e resto un attimo incerto sul suo reale significato.
Non riesco ad aggiungere altro che Carlisle si ferma e noi con lui. Pigia il dito su un interfono nella parete di fronte e dice:«Dottor Cullen»
Lo scatto automatico della porta fa sobbalzare Bella e stringo le labbra constatando quanto in realtà sia nervosa.
Entriamo e una donna bassina trotterella verso di noi tutta trafelata. Sulla sua divisa fa bella mostra di sé un cartellino con la dicitura “E.Stock-Caposala”
«Dottor Cullen è tutto pronto. Ho preparato personalmente la sala tre.» Non posso non notare quanto abbia strascicato la parola personalmente. E non posso non compatire Carlisle, il quale deve subire non solo le attenzioni suscitate dal suo aspetto, ma anche quelle scatenante dalla sindrome da camice bianco.
La “E.Stock.Caposala” si posiziona subito appena un passo dietro di lui, giusto davanti a noi, tallonandolo stretto.   
Nei suoi pensieri, la prepotente speranza di essere elogiata per il lavoro svolto. Carlisle fa dei cenni ad alcuni colleghi che lo salutano, mentre ci dirigiamo alla sala tre.
«Grazie signora Stock. Efficiente. Come al solito» dice con un sorriso e la caposala rimane un attimo in adorante venerazione con lo sguardo perso su di lui.
Oh Gesù, farei di tutto per te! Pensa lei letteralmente in estasi.
«S’immagini, dottore. Dovere.» dice ed io inarco un sopracciglio al suo apparente tono noncurante.
Ci fermiamo all’ingresso della sala tre. Carlisle apre la porta e aspetta che io e Bella gli passiamo davanti per entrare nell’anticamera.
«Se ha bisogno di aiuto … per qualunque cosa … non esiti ...» continua lei con lo sguardo incollato al suo viso, mentre lui dopo un istante ci segue all’interno.
«Grazie» risponde e le chiude gentilmente, ma fermamente la porta praticamente sul naso.
Senza lasciar trapelare il minimo senso di irritazione per l’eccessiva “efficienza” della signora Stock, Carlisle si gira verso di noi e con un sorriso invita Bella a sedersi su uno sgabello per poi scomparire nella sala operatoria vera e propria, di cui non si vede nulla da dove siamo noi, se non una parte del tavolo operatorio.
Mi accorgo che sta preparando tutto l’occorrente alla nostra velocità e lo ringrazio mentalmente, perché so che questa è un’altra accortezza per Bella, per non farla attendere troppo e per non accrescere la sua ansia.
Mi accovaccio sulle punte dei piedi, le braccia vicine alle sue ginocchia ai lati dello sgabello. Bella ha lo sguardo basso e quando entro nel suo campo visivo alza leggermente il capo fino ad incontrare i miei occhi.
Le sorrido ed il suo sguardo si vela appena di un sottilissimo strato di lacrime.
Mi sento stringere lo stomaco constatando come, con ottime probabilità, sia  tutto merito mio.
E del mio comportamento decisamente discutibile di qualche ora prima.
Prendo le sue mani nelle mie, tiro un respiro e con gli occhi puntati nei suoi le dico:«Bella … scusami. Sono stato imperdonabile al Tandem. Avrei dovuto ascoltarti, aspettare con te che sbrigassi i tuoi impegni. Non avrei dovuto andarmene così, lasciarti in quel modo …»
Mi fissa intensamente e la sua espressione si fa sofferente. Scuote la testa, lentamente.
So che questo non è il momento opportuno per una confessione, e non voglio caricarla di ulteriore tensione, quindi decido di rimandare la cosa a più tardi. Adesso devo pensare solo a lei. Le scuse verranno a tempo debito.
Edward … Carlisle mi riscuote con i suoi pensieri.
Mi raddrizzo e l’aiuto ad alzarsi:«Vieni»
Mi segue docile, eppur timorosa, a piccoli passi incerti.
Appena nota il tavolo operatorio si irrigidisce e si ferma.
Carlisle le si fa incontro, sicuro.
«Bella, l’esame è molto banale.» Le fa scivolare un braccio sotto il gomito e l’accompagna dolcemente verso il lettino operatorio, mentre continua a parlarle con voce melodiosa, serena. «Sono quattro punture, ma tu ne avvertirai solo due, quelle delle anestesie.» Sta cercando di tranquillizzarla con estrema delicatezza, con gesti misurati e con toni lievi, musicali. Le spiega i tempi, i dettagli meno cruenti al fine di stemperare la sua tensione.
Bella si muove seguendolo, ma non mi perde di vista nemmeno per un secondo, pur evitando un contatto diretto con i miei occhi.
E’ come se temesse di guardarmi in viso, ma nello stesso tempo volesse assicurarsi della mia presenza nella stanza.
Adesso è completamente distesa.
Mi avvicino al tavolo operatorio, in modo da essere pienamente nella sua visuale.
Edward, devo bloccarle gambe e braccia. Cerca di distrarla. Pensa lui ad un certo punto.
La osservo.
Sembra un angelo … penso colpito.
La pelle del suo viso, incorniciata dalla massa ondulata dei suoi capelli scuri, è pallida come non mai. I suoi occhi sono limpidi, due pozze infinite di dolcezza.  
Scuoto il capo e mi concentro su questi ultimi:«Bella» le dico e nel contempo mi inclino un po’ verso di lei «credi di riuscire a rimanere immobile?»
Mi fissa seria per un lungo istante. Poi abbassa lentamente le palpebre annuendo e voltando il capo dritto dinnanzi a sé.
Dopo aver sistemato un telo davanti al suo viso, mio padre comincia a prepararla. Scopre i lembi di pelle che devono essere disinfettati e descrive passo passo ogni suo movimento, giusto un attimo prima di compierlo, a beneficio di mia moglie che non può vedere i suoi gesti, ma sentire solo il suo tocco.
Mi sistemo con il viso all’altezza del suo e le punto gli occhi addosso. La mia mano scende sulla sua e la stringo dolcemente, ma con fermezza. Le sue dita si modellano intorno alle mie, i suoi occhi restano chiusi.
Edward comincerò dal bacino è …  meno doloroso. Pensa mio padre con sicurezza e calma.
«Bella, adesso avvertirai una sensazione di freddezza» comincia lui «E’ il disinfettante»
Non appena il batuffolo di cotone impregnato di antisettico tocca la sua pelle, Bella aumenta impercettibilmente la stretta sulla mia mano e prende un respiro profondo. Un brivido percorre il suo corpo e si propaga fino alle sue dita intrecciate alle mie.
«Ora sentirai un lieve pizzicore» continua Carlisle.
Con gli occhi non abbandono un attimo il suo viso. Quando l’ago penetra attraverso la sua pelle, le sue labbra si stringono ed il mento le trema per lo sforzo di non emettere alcun suono.
Chiudo per un istante gli occhi, blocco il respiro e mi concentro con tutte le mie forze. Vorrei strapparla da questo tavolo, stringerla a me e portarla il più possibile lontano da qui.
Riapro gli occhi e le carezzo il dorso della mano con il pollice.
Adesso non sentirà più nulla … pensa mio padre.
Riprendo a respirare.
Dopo meno di un paio di minuti, i pensieri di Carlisle ritornano a farsi strada nella mia mente. Perfetto, il primo prelievo è andato benissimo. Adesso lo sterno …
«Ha quasi finito» le sussurro con voce bassa. Le sue dita si stringono un po’ sulle mie, gli occhi sempre chiusi.
«Ora, Bella, farò le stesse cose di prima. Freddo e pizzicore» spiega lui sempre tranquillo.
La seconda puntura di anestetico le fa più male. Quando l’avverte corruga la fronte e piega un po’ il capo sul collo, irrigidendosi. Un gemito le sfugge dalle labbra.
«E’ passato, Bella» dice Carlisle.
Piano riappoggia la nuca sul lettino e sento i suoi muscoli rilassarsi lentamente.
Edward, preleverò poco midollo per causarle meno dolore, ma devo aspirare con lentezza e incidere la pelle di qualche millimetro … non voglio perdere cellule ritirando l’ago … Mi sembri troppo … teso, vuoi …? Lascia il pensiero inespresso, ma ho compreso benissimo la sua delicatezza.
Mio padre mi conosce meglio di quanto non mi conosca io stesso …
«Nemmeno per sogno» rispondo a denti stretti.
Sento che si muove velocemente dietro il telo. I suoi gesti sono precisi, accurati.
Appena avverto l’odore del sangue di Bella permeare l’aria, impedisco ai miei polmoni di incamerarla.
Penso fugacemente all’ironia della situazione: chi rischia in questo momento non è lei, ma Carlisle.
Ma, poi, mi ripeto che quello che le sta facendo, lo fa solo per il suo bene e cerco di calmare i miei istinti omicidi.
La lunghezza e la robustezza dell’ago che penetrerà nel petto di Bella entrano per una frazione di secondo nel mio raggio visivo.
Ogni più piccola fibra del mio corpo si irrigidisce, fino alla punta dei piedi.
Se potessi, darei libero sfogo a tutto il tormento che opprime il mio animo, radendo al suolo l’intero ospedale.
E, invece, immobile attendo.
Visualizzo dalla mente di mio padre tutta la sequenza: il piccolo taglio sulla pelle, l’accostarsi della siringa ai margini perfettamente incisi bordati di sangue, l’inserimento dell’ago nel suo corpo.
Nel preciso istante in cui comincia ad aspirare il midollo dallo sterno, gli occhi di Bella si spalancano, dilatati, sconvolti. Un rantolo strozzato le sfugge dalle labbra e cerca di inarcare la schiena in un movimento automatico, inclinando la testa all’indietro.       
La sensazione che sta provando adesso è simile alla mancanza di aria, amplificata in più dal dolore.
Con la mano, Carlisle le tiene ferma una spalla, bloccandole il busto sul lettino.
«Edw …» cerca di dire lei, ma la voce le resta bloccata in gola.
Mi muovo alla rapidità della luce e mi pongo con il viso perfettamente sul suo. Il suo sguardo è  vitreo, congelato nella sofferenza.
«Bella, sono qui» le dico con voce vibrante «Guardami, sono qui» e le mie mani scivolano sulle sue guance. I miei occhi incatenano i suoi, e quando vedo le sue pupille mettermi a fuoco, ripeto con tono più basso «Amore, sono qui»
Mi guarda fisso, con un’intensità quasi dolorosa.
Poi, un luccichio comincia ad affiorare e quando le sue palpebre si abbassano lentamente, una lacrima solitaria rotola indietro, lungo la sua tempia, bagnandomi le dita.
Nel medesimo istante, le sue labbra si piegano in un sorriso triste e sussurra piano:«Lo so».
Sento Carlisle dietro di me muoversi rapido. Ritira la siringa con le preziose cellule e la ripone con cura. Poi passa alla medicazione con gesti sicuri e precisi.
«E’ tutto finito, Bella» le dico soffiandole sul viso. I suoi tratti si distendono alle mie parole ed emette un sospiro leggero, senza tuttavia riuscire a rilassarsi completamente.
Non appena Carlisle si allontana con i campioni, l’aiuto a mettersi in posizione seduta, pensando che voglia rimanere così per qualche altro secondo ancora.
Ma, inaspettatamente, lei si alza subito in piedi, di fronte a me.
Restiamo a fissarci per un lungo istante, i miei occhi attenti, i suoi spiritati.
Non dico nulla, aspetto che sia lei a parlare. Non voglio più commettere gli stessi sbagli di qualche ora fa.
«Ti prego … » chiude gli occhi, per riaprirli subito dopo «… ti prego. Portami via» mormora a filo di labbra «Ho bisogno di restare sola»


NOTA DELL’AUTRICE: Mie cari, GRAZIE.

La risposta al capitolo scorso è stata molto positiva e di ciò sono contentissima. Vorrei poter procedere più velocemente, ma i miei tempi non sono così ampi e questi capitoli li scrivo con più attenzione del solito, perché sono … come sono.
Scusatemi anche se non rispondo alle vostre recensioni in questo capitolo. Nel prossimo cercherò di farmi perdonare.
Complimenti a Keska, il teaser su fb non è stato un mistero per lei e non ne avevo dubbi.
Grazie a chi ha voluto commentare le foto dei teaser.
Grazie a ginny89potter, kikkikikki, tsukinoshippo, cloe cullenlisa76, Aleu, _zafry_, sily85, keska, RenEsmee_Carlie_Cullen, arual93, rodney, Marika_BDerika1975, Piccola Ketty, LOVA, per aver voluto recensirmi.
Grazie a chi mi segue su facebook e su twitter.
Grazie a chi legge.
Bon, mi ritiro in buon ordine.
M.Luisa


   
 
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