Capitolo due
La notte non fu del tutto serena.
Gianluca andò a dormire tardi, e si girò diverse volte sotto le lenzuola: era
troppo preoccupato e non riusciva a prendere sonno. E non era neanche il suo
primo esame! Ma la giornata precedente l'aveva indebolito, e il fatto di non
esser stato libero di ripassare come voleva la sera, l'aveva infastidito
terribilmente. Se fosse andata male, probabilmente, avrebbe dato colpa a quel
bambino e alla ragazzina, Rachele. Se ci pensava ancora, accidenti, ritornava ad arrabbiarsi..
Perciò quando la sveglia suonò, alle sette spaccate, Gianluca avrebbe preferito
volentieri dormire un altro po'. Era sicuro di avere delle occhiaie terribili,
per non parlare in che condizione avrebbe trovato i propri capelli, poi. Rimase
cinque secondi a realizzare che era vivo e che aveva un corpo, poi di scatto
allontanò la coperta da sé e si sedette in mezzo al letto. Si stiracchiò
portando le braccia in alto e poi passò le mani in mezzo ai capelli. Nel
frattempo, un timido sole aveva cominciato a disegnare dei pallidi disegni sul
pavimento della sua camera, filtrando attraverso le tende della finestra
chiusa. Gianluca fece un ultimo sbadiglio da spacca-mascella e si alzò dal
letto, ciabattando a passo strascicato fino alla cucina.
Tirò su la tapparella della finestra, e la luce inondò la stanza. Gianluca si
sentì improvvisamente meglio: gli piaceva il sole, e tutto ciò che era
collegato ad esso. L'estate, la luce, il giallo. Il cielo. Avanzò verso la
credenza, prese una tazza, poi un bollitore che riempì con dell'acqua e che
mise sul fornello, accendendolo. Aspettando che l'acqua diventasse calda, prese
dalla credenza delle bustine di thé colorate e alla fine scelse quella di
colore arancio. Pesca e Frutto della Passione, diceva l'etichetta. Era
interessante.
Spense il fornello e versò l'acqua calda nella tazza, la prese e la poggiò sul
tavolo. Ci ficcò dentro la bustina di thé, e si incantò a guardare l'acqua che
assumeva pian piano un colore ambrato. A lui piaceva bello scuro, quindi rimase
un bel po' ad aspettare. In condizioni normali avrebbe accompagnato il tutto
con qualche biscotto al cioccolato, ma sentiva che non era in grado di buttare
giù neanche un singolo boccone.
E la cena del giorno prima sembrava galleggiargli ancora nello stomaco,
oltretutto. Si mise a sorseggiare il thé, facendo attenzione a non bruciarsi le
labbra, assaporando la pace che regnava a casa sua. Non avrebbe scambiato quel
silenzio con niente al mondo, assolutamente. Dopo la colazione, fece una doccia
ed infine si vestì. Preparò la sua borsa di tela verde e ci infilò dentro il
libro di storia - la pagina strappata sbucava fuori dalla copertina rigida -,
il suo amato Ipod da 30gb, il libretto degli esami ed alcune penne, la maggior
parte con l'inchiostro esaurito. Uscì di casa fischiettando, dopo la doccia era
riuscito a calmarsi e a rilassarsi, ed era più sicuro di sé. L'aria era fredda
e strinse meglio al collo la sciarpa che portava in quel momento, ma non gli
dispiaceva camminare a piedi: la facoltà di Lingue Moderne, dov'era iscritto,
distava a cinque minuti di strada. Non aveva senso prendere la macchina, anche
perché trovare un parcheggio nelle vicinanze era praticamente impossibile.
Gianluca entrò in facoltà con passo sicuro. Per fortuna l'esame si svolgeva lì,
nella sua sede. Diede un'occhiata all'orologio appeso sulla parete: ore sette e
cinquanta. Era persino in anticipo! Percorse il corridoio, e arrivò nell'aula
sette.
Lì, appena fuori la
porta dell'aula, incrociò qualche suo compagno di corso, che salutò con un
cenno della mano. Erano molto più puntuali di lui. Regnava il silenzio: nessuno
parlava, nessuno ne aveva voglia.
Ma Gianluca era più sicuro, sapeva che ce l'avrebbe fatta. Sapeva che avrebbe
portato a casa un 28, come minimo.
*
Lesse quella svolazzante scritta in blu.
..27. Meno delle sue aspettative, ma non poteva assolutamente lamentarsi.
Gianluca posò con cura il suo libretto, appena firmato dal professore - che non
era stato neanche tanto spietato, quando si dice fortuna - , dentro la borsa e
uscì dall'università quasi immediatamente, percorrendo la strada a ritroso.
Voleva tornare a casa e passare almeno una settimana sul divano a mangiare
patatine e a guardare film idioti. Era contento, almeno: non riusciva a cancellare
il sorriso dal suo volto. Non doveva avere più il pensiero angosciante di
questo esame, e avrebbe potuto starsene in pace per un po', in compagnia del
dolce far niente. Pensò di dover chiamare sua madre per farle sapere com'era
andata, e poi voleva chiamare anche il suo migliore amico, Gabriele, che
conosceva ormai dai tempi del liceo ed era forse l'unica persona di cui si
fidava ciecamente. Gli avrebbe fatto piacere sentirlo e fargli sapere che era
andata bene. Pensò di farlo in quel momento per non dimenticarsene, così si
fermò in mezzo al marciapiede, sulla strada di casa, per rovistare nella borsa
alla ricerca del cellulare. Ma non lo trovò da nessuna parte.
Cercò in ogni tasca, in ogni angolino della borsa, ma non c'era. Che fine aveva
fatto? Fece mente locale, e si ricordò che quella mattina non l'aveva preso,
uscendo di casa. Perché non c'era.
Si toccò le tasche, ma neanche lì c'era qualcosa.
Ho perso il cellulare, porc..
Gianluca lo diceva, di essere sfigato, e spesso veniva smentito.
"Ma che dici!" gli dicevano, "E' solo una tua impressione!"
Ma in occasioni come quelle, aveva la conferma di aver avuto sempre
perfettamente ragione.
*
Rachele, quella mattina, si svegliò in un bagno
di sudore. Spense distrattamente la sveglia e si strofinò gli occhi con le
mani, senza stupirsi del fatto che fossero bagnati di lacrime.
“Ovvio.” pensò. “Questa storia non finirà mai, vero?”
Le
capitava spesso di fare quel sogno, quasi come se qualcuno volesse ricordarle
ciò che era successo. Ma lei lo ricordava bene, le immagini di quella sera le
sembravano più nitide col trascorrere del tempo e lei piangeva imprecando,
perché avrebbe dovuto essere il contrario.
Ricordava tutto: i rumori,
le voci, le luci abbaglianti e la paura. E poi, la disperazione. Era successo
due estati prima, il sette luglio, e tornava come sempre a tormentarla nella
notte, appena le pareva di aver riattaccato i pezzi della sua vita.
Si
alzò a rilento e aprì la finestra e, quasi per uno scherzo del destino, la
stanza di riempì di sole. Rachele non si poteva certo definire meteoropatica.
La musica rimbombava forte
nelle orecchie di Rachele, mentre la ragazza guardava la città svegliarsi
attraverso il vetro dell’autobus. Di tanto in tanto rivolgeva sorrisi ai
compagni che passavano, salutandola. Non si può dire che quella mattina si
fosse svegliata di umore ottimo, ma di certo non era il tipo da mostrare agli
altri i suoi sentimenti. Infatti, tendeva ad essere solare e allegra anche
quando dentro di lei era tutt’altro. Probabilmente questo non faceva che
accentuare la sua tristezza, alle volte, ma considerando che erano rari i
momenti in cui era triste, era un prezzo che aveva accettato di pagare per
recitare la parte della ragazza forte e indistruttibile. In più pensava,
ingenuamente, che facendo finta che tutto andasse bene, alla fine sarebbe
andato tutto bene realmente. Si era già una volta lasciata il passato alle
spalle in questo modo, e doveva ricominciare subito a ricacciarlo indietro,
adesso che era tornato a tormentarla. Le pareva quasi che i ricordi volessero impedirle di far entrare
qualche altro ragazzo nella sua vita.
Si
tolse velocemente le cuffie vedendo Jacopo che saliva sull’autobus, e lo salutò
sorridente con la mano.
Mentre il ragazzo si
avvicinava a Rachele e si lasciava cadere sul sedile accanto al suo, la ragazza
stava giocherellando con il braccialetto d’argento che le cingeva il polso
sinistro e del quale non si liberava mai.
«
Buongiorno, splendore! » disse il ragazzo mentre l’autobus ripartiva,
stampandole un sonoro bacio sulla guancia.
« Ciao », disse lei, con
un lieve sorriso. « Scusa per ieri sera ».
«
Non preoccuparti, Lisa mi ha spiegato la situazione meglio di te ».
Jacopo rise, e Rachele si
sentì in colpa per aver detto quelle cose a Lisa, la sera prima. Probabilmente
era stata un po’ avventata: non avrebbe dovuto mettere le cose in chiaro così
in fretta perché, ripensandoci a mente lucida, non sapeva neanche lei cosa
volesse in realtà. Sapeva solo che, ogni tanto, il solo guardare gli occhi
verdi di Jacopo riusciva a scaldarle il cuore, e questo, per il momento, le
bastava.
«
Com’è andata, ieri sera? »
« Noiosamente » disse la
ragazza, sospirando. « Per fortuna ci ha pensato mio fratello ad animare la serata
».
«
Ahah.. sì, me lo immagino, quel pazzo furioso. »
« Ragaaaazzi! »
Rachele
e Jacopo voltarono subito la testa verso la fine del bus, dalla quale stava
arrivando una Lisa che, considerata la faccia, si era addormentata sul sedile.
« Buongiorno » dissero i
due, in coro. Lisa si piazzò davanti a loro barcollando per le curve, e pensò
bene di aggrapparsi al sedile di Jacopo.
« Indovinate che giorno è oggi! » esclamò, radiosa.
« E’ martedì, Lisa » rispose Rachele, aggrottando le sopracciglia.
« Un punto per te, ragazza dai lucenti capelli
rossi » fece, annuendo convinta. « Questa domanda è
per Jacopo: che giorno sarà fra due giorni? »
Rachele si passò una mano sulla
fronte: certe volte Lisa riusciva ad essere davvero snervante, non si capiva
mai dove volesse andare a parare.
Jacopo,
invece, aggrottò le sopracciglia. « Devo contare anche oggi o parto da domani?
»
« Giovedì », disse
Rachele, con uno sguardo di scuse rivolto al compagno di classe. « E che cosa
succede giovedì, cara Lisa? »
chiese, dato che dalla sua
espressione si capiva chiaramente che moriva dalla voglia di dirlo.
«
Con l’autorità di cui dispongo in quanto rappresentante d’istituto, » cominciò,
pavoneggiandosi come faceva sempre. « Ho, grazie alla mia mente brillante,
organizzato niente poco di meno che.. », si interruppe, guardandoli.
« Ok, amica dalla alta
carica, » disse sarcasticamente Jacopo, intuendo che la ragazza non avrebbe
ripreso a parlare finché qualcuno dei due non avesse detto qualcosa. « Attimo
di suspense finito ».
«
Sei un dannato, Jacopo » rispose lei, altezzosa. « E io che faccio così tanto
per voi! »
Dopo essersi guadagnata
ben due occhiatacce, decise che era il momento di sputare il rospo.
«
Ok, va bene, va bene. Dopo una settimana che organizzo tutto, parlo con le più
alte autorità della scuola quali preside, vice-preside e compagnia, dopo averli
assicurati che le previsioni del tempo per venerdì sono ottime.. sono lieta di
annunciarvi che andremo allo zoo! »
Lisa era così orgogliosa
di sé stessa che Rachele proprio non ci riuscì, dopo un attimo di stupore, a
dirle che era una pessima idea.
Jacopo, invece, che era conosciuto per la sua
quasi inesistente sensibilità, disse, con le
sopracciglia
aggrottate: « Ah, ehm.. e perché?! »
Rachele si mise una mano davanti alla
bocca e si girò dall’altra parte, guardando fisso
dall’altra
parte del vetro, per evitare di scoppiare a ridere in faccia all’amica.
Immaginò,
però, che la sua
espressione dovesse essere tutta un programma, orgogliosa com’era.
Cinque
secondi dopo, infatti – Rachele immaginò che quei secondi erano stati necessari
alla ragazza per riprendersi dallo shock – la sua voce altera e acida ruppe il
silenzio.
« Non mi aspetto che uno
come te possa capire, Jacopo. E lo stesso vale per te, signorina! »
Rachele aspettò di
sentire il rumore dei passi dell’amica che andava, molto risentitamente, a
sedersi al suo posto, prima di guardare Jacopo e scoppiare finalmente a ridere.