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Autore: Adrienne e Shomer    07/12/2009    2 recensioni
Un ragazzo e una ragazza, appartentemente diversi, costretti a vedersi una volta all'anno ad una noiosissima cena. Ma un passato spiacevole li accomuna, e scoprendo di non essere poi tanto diversi, i loro destini arrivano ad intrecciarsi. Possono due persone, da perfette conosciute, arrivare a non poter quasi più fare a meno dell'altro, in così poco tempo? Durerà fino alla fine?
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo due

Capitolo due

La notte non fu del tutto serena.
Gianluca andò a dormire tardi, e si girò diverse volte sotto le lenzuola: era troppo preoccupato e non riusciva a prendere sonno. E non era neanche il suo primo esame! Ma la giornata precedente l'aveva indebolito, e il fatto di non esser stato libero di ripassare come voleva la sera, l'aveva infastidito terribilmente. Se fosse andata male, probabilmente, avrebbe dato colpa a quel bambino e alla ragazzina, Rachele. Se ci pensava ancora, accidenti, ritornava ad arrabbiarsi..
Perciò quando la sveglia suonò, alle sette spaccate, Gianluca avrebbe preferito volentieri dormire un altro po'. Era sicuro di avere delle occhiaie terribili, per non parlare in che condizione avrebbe trovato i propri capelli, poi. Rimase cinque secondi a realizzare che era vivo e che aveva un corpo, poi di scatto allontanò la coperta da sé e si sedette in mezzo al letto. Si stiracchiò portando le braccia in alto e poi passò le mani in mezzo ai capelli. Nel frattempo, un timido sole aveva cominciato a disegnare dei pallidi disegni sul pavimento della sua camera, filtrando attraverso le tende della finestra chiusa. Gianluca fece un ultimo sbadiglio da spacca-mascella e si alzò dal letto, ciabattando a passo strascicato fino alla cucina.
Tirò su la tapparella della finestra, e la luce inondò la stanza. Gianluca si sentì improvvisamente meglio: gli piaceva il sole, e tutto ciò che era collegato ad esso. L'estate, la luce, il giallo. Il cielo. Avanzò verso la credenza, prese una tazza, poi un bollitore che riempì con dell'acqua e che mise sul fornello, accendendolo. Aspettando che l'acqua diventasse calda, prese dalla credenza delle bustine di thé colorate e alla fine scelse quella di colore arancio. Pesca e Frutto della Passione, diceva l'etichetta. Era interessante.
Spense il fornello e versò l'acqua calda nella tazza, la prese e la poggiò sul tavolo. Ci ficcò dentro la bustina di thé, e si incantò a guardare l'acqua che assumeva pian piano un colore ambrato. A lui piaceva bello scuro, quindi rimase un bel po' ad aspettare. In condizioni normali avrebbe accompagnato il tutto con qualche biscotto al cioccolato, ma sentiva che non era in grado di buttare giù neanche un singolo boccone.
E la cena del giorno prima sembrava galleggiargli ancora nello stomaco, oltretutto. Si mise a sorseggiare il thé, facendo attenzione a non bruciarsi le labbra, assaporando la pace che regnava a casa sua. Non avrebbe scambiato quel silenzio con niente al mondo, assolutamente. Dopo la colazione, fece una doccia ed infine si vestì. Preparò la sua borsa di tela verde e ci infilò dentro il libro di storia - la pagina strappata sbucava fuori dalla copertina rigida -, il suo amato Ipod da 30gb, il libretto degli esami ed alcune penne, la maggior parte con l'inchiostro esaurito. Uscì di casa fischiettando, dopo la doccia era riuscito a calmarsi e a rilassarsi, ed era più sicuro di sé. L'aria era fredda e strinse meglio al collo la sciarpa che portava in quel momento, ma non gli dispiaceva camminare a piedi: la facoltà di Lingue Moderne, dov'era iscritto, distava a cinque minuti di strada. Non aveva senso prendere la macchina, anche perché trovare un parcheggio nelle vicinanze era praticamente impossibile.
Gianluca entrò in facoltà con passo sicuro. Per fortuna l'esame si svolgeva lì, nella sua sede. Diede un'occhiata all'orologio appeso sulla parete: ore sette e cinquanta. Era persino in anticipo! Percorse il corridoio, e arrivò nell'aula sette.

Lì, appena fuori la porta dell'aula, incrociò qualche suo compagno di corso, che salutò con un cenno della mano. Erano molto più puntuali di lui. Regnava il silenzio: nessuno parlava, nessuno ne aveva voglia.
Ma Gianluca era più sicuro, sapeva che ce l'avrebbe fatta. Sapeva che avrebbe portato a casa un 28, come minimo.

*
Lesse quella svolazzante scritta in blu.
..27. Meno delle sue aspettative, ma non poteva assolutamente lamentarsi.
Gianluca posò con cura il suo libretto, appena firmato dal professore - che non era stato neanche tanto spietato, quando si dice fortuna - , dentro la borsa e uscì dall'università quasi immediatamente, percorrendo la strada a ritroso. Voleva tornare a casa e passare almeno una settimana sul divano a mangiare patatine e a guardare film idioti. Era contento, almeno: non riusciva a cancellare il sorriso dal suo volto. Non doveva avere più il pensiero angosciante di questo esame, e avrebbe potuto starsene in pace per un po', in compagnia del dolce far niente. Pensò di dover chiamare sua madre per farle sapere com'era andata, e poi voleva chiamare anche il suo migliore amico, Gabriele, che conosceva ormai dai tempi del liceo ed era forse l'unica persona di cui si fidava ciecamente. Gli avrebbe fatto piacere sentirlo e fargli sapere che era andata bene. Pensò di farlo in quel momento per non dimenticarsene, così si fermò in mezzo al marciapiede, sulla strada di casa, per rovistare nella borsa alla ricerca del cellulare. Ma non lo trovò da nessuna parte.
Cercò in ogni tasca, in ogni angolino della borsa, ma non c'era. Che fine aveva fatto? Fece mente locale, e si ricordò che quella mattina non l'aveva preso, uscendo di casa. Perché non c'era.
Si toccò le tasche, ma neanche lì c'era qualcosa.
Ho perso il cellulare, porc..
Gianluca lo diceva, di essere sfigato, e spesso veniva smentito.
"Ma che dici!" gli dicevano, "E' solo una tua impressione!"
Ma in occasioni come quelle, aveva la conferma di aver avuto sempre perfettamente ragione.

*

Rachele, quella mattina, si svegliò in un bagno di sudore. Spense distrattamente la sveglia e si strofinò gli occhi con le mani, senza stupirsi del fatto che fossero bagnati di lacrime.  

Ovvio.” pensò. “Questa storia non finirà mai, vero?”

Le capitava spesso di fare quel sogno, quasi come se qualcuno volesse ricordarle ciò che era successo. Ma lei lo ricordava bene, le immagini di quella sera le sembravano più nitide col trascorrere del tempo e lei piangeva imprecando, perché avrebbe dovuto essere il contrario.

Ricordava tutto: i rumori, le voci, le luci abbaglianti e la paura. E poi, la disperazione. Era successo due estati prima, il sette luglio, e tornava come sempre a tormentarla nella notte, appena le pareva di aver riattaccato i pezzi della sua vita.

Si alzò a rilento e aprì la finestra e, quasi per uno scherzo del destino, la stanza di riempì di sole. Rachele non si poteva certo definire meteoropatica.

La musica rimbombava forte nelle orecchie di Rachele, mentre la ragazza guardava la città svegliarsi attraverso il vetro dell’autobus. Di tanto in tanto rivolgeva sorrisi ai compagni che passavano, salutandola. Non si può dire che quella mattina si fosse svegliata di umore ottimo, ma di certo non era il tipo da mostrare agli altri i suoi sentimenti. Infatti, tendeva ad essere solare e allegra anche quando dentro di lei era tutt’altro. Probabilmente questo non faceva che accentuare la sua tristezza, alle volte, ma considerando che erano rari i momenti in cui era triste, era un prezzo che aveva accettato di pagare per recitare la parte della ragazza forte e indistruttibile. In più pensava, ingenuamente, che facendo finta che tutto andasse bene, alla fine sarebbe andato tutto bene realmente. Si era già una volta lasciata il passato alle spalle in questo modo, e doveva ricominciare subito a ricacciarlo indietro, adesso che era tornato a tormentarla. Le pareva quasi che  i ricordi volessero impedirle di far entrare qualche altro ragazzo nella sua vita.

Si tolse velocemente le cuffie vedendo Jacopo che saliva sull’autobus, e lo salutò sorridente con la mano.

Mentre il ragazzo si avvicinava a Rachele e si lasciava cadere sul sedile accanto al suo, la ragazza stava giocherellando con il braccialetto d’argento che le cingeva il polso sinistro e del quale non si liberava mai.

« Buongiorno, splendore! » disse il ragazzo mentre l’autobus ripartiva, stampandole un sonoro bacio sulla guancia.

« Ciao », disse lei, con un lieve sorriso. « Scusa per ieri sera ».

« Non preoccuparti, Lisa mi ha spiegato la situazione meglio di te ».

Jacopo rise, e Rachele si sentì in colpa per aver detto quelle cose a Lisa, la sera prima. Probabilmente era stata un po’ avventata: non avrebbe dovuto mettere le cose in chiaro così in fretta perché, ripensandoci a mente lucida, non sapeva neanche lei cosa volesse in realtà. Sapeva solo che, ogni tanto, il solo guardare gli occhi verdi di Jacopo riusciva a scaldarle il cuore, e questo, per il momento, le bastava.

« Com’è andata, ieri sera? »

« Noiosamente » disse la ragazza, sospirando. « Per fortuna ci ha pensato mio fratello ad animare la serata ».

« Ahah.. sì, me lo immagino, quel pazzo furioso. »

« Ragaaaazzi! »

Rachele e Jacopo voltarono subito la testa verso la fine del bus, dalla quale stava arrivando una Lisa che, considerata la faccia, si era addormentata sul sedile.

« Buongiorno » dissero i due, in coro. Lisa si piazzò davanti a loro barcollando per le curve, e pensò bene di aggrapparsi al sedile di Jacopo.

« Indovinate che giorno è oggi! » esclamò, radiosa.

« E martedì, Lisa » rispose Rachele, aggrottando le sopracciglia.

« Un punto per te, ragazza dai lucenti capelli rossi » fece, annuendo convinta. « Questa domanda è per Jacopo: che giorno sarà fra due giorni? »

Rachele si passò una mano sulla fronte: certe volte Lisa riusciva ad essere davvero snervante, non si capiva mai dove volesse andare a parare.

Jacopo, invece, aggrottò le sopracciglia. « Devo contare anche oggi o parto da domani? »

« Giovedì », disse Rachele, con uno sguardo di scuse rivolto al compagno di classe. « E che cosa succede giovedì, cara Lisa? »

chiese, dato che dalla sua espressione si capiva chiaramente che moriva dalla voglia di dirlo.

« Con l’autorità di cui dispongo in quanto rappresentante d’istituto, » cominciò, pavoneggiandosi come faceva sempre. « Ho, grazie alla mia mente brillante, organizzato niente poco di meno che.. », si interruppe, guardandoli.

« Ok, amica dalla alta carica, » disse sarcasticamente Jacopo, intuendo che la ragazza non avrebbe ripreso a parlare finché qualcuno dei due non avesse detto qualcosa. « Attimo di suspense finito ».

« Sei un dannato, Jacopo » rispose lei, altezzosa. « E io che faccio così tanto per voi! »

Dopo essersi guadagnata ben due occhiatacce, decise che era il momento di sputare il rospo.

« Ok, va bene, va bene. Dopo una settimana che organizzo tutto, parlo con le più alte autorità della scuola quali preside, vice-preside e compagnia, dopo averli assicurati che le previsioni del tempo per venerdì sono ottime.. sono lieta di annunciarvi che andremo allo zoo! »

Lisa era così orgogliosa di sé stessa che Rachele proprio non ci riuscì, dopo un attimo di stupore, a dirle che era una pessima idea.

Jacopo, invece, che era conosciuto per la sua quasi inesistente sensibilità, disse, con le

sopracciglia aggrottate: « Ah, ehm.. e perché?! »

Rachele si mise una mano davanti alla bocca e si girò dall’altra parte, guardando fisso

dall’altra parte del vetro, per evitare di scoppiare a ridere in faccia all’amica. Immaginò,

però, che la sua espressione dovesse essere tutta un programma, orgogliosa com’era.

Cinque secondi dopo, infatti – Rachele immaginò che quei secondi erano stati necessari alla ragazza per riprendersi dallo shock – la sua voce altera e acida ruppe il silenzio.

« Non mi aspetto che uno come te possa capire, Jacopo. E lo stesso vale per te, signorina! »

Rachele aspettò di sentire il rumore dei passi dell’amica che andava, molto risentitamente, a sedersi al suo posto, prima di guardare Jacopo e scoppiare finalmente a ridere.

  
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