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Autore: Adrienne e Shomer    30/11/2009    0 recensioni
Un ragazzo e una ragazza, appartentemente diversi, costretti a vedersi una volta all'anno ad una noiosissima cena. Ma un passato spiacevole li accomuna, e scoprendo di non essere poi tanto diversi, i loro destini arrivano ad intrecciarsi. Possono due persone, da perfette conosciute, arrivare a non poter quasi più fare a meno dell'altro, in così poco tempo? Durerà fino alla fine?
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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But I'll be with you 'til the end

 

 

I remember all the good times
Sometimes I'd wonder would it last
I used to dream about the future
But now the future is the past

I don't wanna live in yesterday
Cross my heart until I die
Don't wanna know just what tomorrow may bring
Because today has just begun
No matter whatever else I've done
I'm here for you

So now I sit here and I wonder
What ever happened to my friends?
Too many bought a one way ticket
But I'll be with you 'til the end

You're my religion, you're my reason to live
You are the heaven in my hell
We've been together for a long long time
And I just can't live without you
No matter what you do, I'm here for you

Here For You – Ozzy Osbourne

 

 

« No, aspetta un attimo ».

Rachele si voltò a guardare la sua amica, nonché compagna di banco, con un’espressione visibilmente seccata.

« Spiegami ancora perché oggi, invece di fare ricreazione come tutte le persone normali, ho dovuto ascoltare uno Jacopo decisamente e anche stranamente arrabbiato che mi elencava i venti motivi per la quale non dovrebbe interessarsi a te ».

Rachele sbuffò sonoramente, continuando a camminare decisa verso casa sua.

« Te l’ho già detto », disse. « Oggi ho invitati a cena. E, anzi, considerando che sono le sette, probabilmente sono già a casa. Non posso uscire con Jacopo ».

Lisa le rivolse uno sguardo di fuoco. Rachele sospirò: dopotutto, non era certo colpa sua se quel ragazzo tartassava la sua amica ogni qual volta avessero qualche problema.

« Va bene », disse Lisa, cercando di mantenere la calma. « E ieri? Perché non ci sei uscita, ieri? »

« Perché dovevo studiare. Ricordi, oggi, compito di matematica? Non posso farci niente se lui è un genio e non deve studiare per il compito ».

Rachele fece una pausa. Davvero, non ne poteva più di quella situazione. Avrebbe parlato chiaro, sì, conscia del fatto che la sua amica avrebbe rivelato tutto a Jacopo per farlo stare tranquillo.

« Senti, Lisa », disse. « A me piace Jacopo, davvero. Però è troppo oppressivo e comunque io non gli ho mai promesso niente. Siamo usciti insieme solo una volta ».

« Mmh, è vero, te ne do atto. Comunque.. », fece, pensierosa. « Chi viene a cena da te? »

« Un’amica di mia madre con suo figlio. Beh, sono arrivata. A domani ».

Rachele salutò la sua amica con un cenno del capo e si avviò verso casa sua, dall’altro lato della strada. Mentre camminava velocemente pensò che quella sera sarebbe stata noiosa come tutte le volte che quelli là andavano a cena da loro, ovvero una volta ogni anno.

In primis perché sua madre non faceva altro che riportare a galla avvenimenti che erano successi quando lei e la sua amica erano giovani. Fatti che, Rachele si chiedeva costantemente perché, facevano morire dal ridere entrambe. L’unica cosa probabilmente buffa era lo sguardo omicida di suo padre che, scontrandosi bruscamente con le sue sopracciglia aggrottate, stava a dire “ridi anche tu, piccola ingrata”.

In secondo luogo, quando venivano loro a cena c’erano delle regole ben precise. La tv doveva essere rigorosamente spenta e Rachele non poteva alzarsi da tavola quando voleva, giusto per citarne alcune.

Come se non bastasse, c’era il figlio di questa donna che era un vero musone. Dunque non poteva neanche fare conversazione con qualcuno.

La rincuorava solo il pensiero che, probabilmente, suo fratello – Stefano, tre anni – ne avrebbe combinata una delle sue, tanto per cambiare.

Girò la chiave e aprì la porta.

« Sono tornata », mormorò, notando che il ragazzo si era già appropriato del suo divano.

 

 

Oddio che palle.

Era questo il pensiero che invadeva la sua mente all'incirca ogni due minuti. Che palle, esatto.

La stanza era calda e un chiacchiericcio continuo riempiva la sua mente, impedendogli di concentrarsi su qualcos'altro. Il libro aperto appoggiato alle sue gambe sobbalzava ad ogni suo movimento, e lui si assicurò che stesse ben fermo, tenendolo con una mano, mentre continuava a pensare: che palle.

I suoi pensieri galoppavano, e pensava che avrebbe potuto trovarsi nella sua stanza, a casa sua, sulla sua scrivania, a ripetere, a sottolineare le righe di quel libro con il suo evidenziatore giallo fluorescente, a ripassare. Con quell'esame di storia moderna, che l'indomani mattina alle ore otto in punto l'avrebbe aspettato trepidamente dentro una delle polverose aule della sua università, non si scherzava. Il professore aveva l'aria di essere crudele e cinico, e lui lo sapeva. Sapeva che non poteva essere rimandato né racimolare uno scarso diciotto. Aveva studiato, ma c'era davanti tutta la notte per mettere a punto le ultime cosette. Ed invece, purtroppo, non si trovava nella sua stanza di casa sua: si trovava lì, in quella casa a lui totalmente estranea se non per quella volta all'anno in cui ci entrava, costretto a stare seduto in quel - comodo, sì, era vero, questo doveva ammetterlo - divano, ma impotente, totalmente fuori luogo con quel libro sulle ginocchia, mentre davanti ai suoi occhi due donne - tra cui una molto conosciuta, sua madre - sorseggiavano del buon vino rosso parlando allegramente del più e del meno. Voleva andarsene, era scocciato, non sopportava quei discorsi e il dover essere lì in quel momento. Cosa c'entrava lui se sua madre era amica con quella donna, e se suo padre era amico con il marito di quella donna? Non potevano lasciarlo stare? Cortesia, dicevano. E' buona educazione.

Beh, cortesia un corno. Che palle.

Un rumore improvviso spezzò le risate delle sue donne, e lui sobbalzò. La porta dell'ingresso si era aperta e ne era entrata una ragazza: la figlia dell'amica di sua madre. Ma come si chiamava? Non ricordava, non aveva memoria per queste cose, e c'era da considerare il fatto che aveva parlato con quella ragazza una volta, al massimo, e per chiederle di passargli il pane per giunta. Alzò lo sguardo dal libro per un secondo, osservando la ragazzina che entrava nella propria casa. I capelli ricci e rossi le sobbalzavano allegramente sulle spalle quando si muoveva.

« Tesoro, sei tu? Ciao. » disse la donna alla propria figlia, con un sorriso.

Gianluca scrollò le spalle, e riabbassando lo sguardo tornò alle cause della Guerra Fredda. Sua madre lo guardava con le sopracciglia all'insù, evidentemente contrariata dal suo atteggiamento.

 

Rachele si tolse distrattamente il cappotto e lo appese nell’appendiabiti, dopodiché andò in cucina per salutare gli ospiti.

« Salve », disse, dando i due soliti baci sulla guancia all’amica di sua madre. Poi, rivolta a quest’ultima, chiese: « dov’è papà? »

« Tornerà tardi, tesoro, ha una cena di lavoro » rispose. « La cena sarà pronta tra quindici minuti! » disse poi, un po’ più ad alta voce per farsi sentire anche dal ragazzo che studiava seduto comodamente sul divano.

Rachele andò controvoglia a sedersi sul tappeto. Si diede mentalmente della stupida, ma si vergognava realmente a sedersi sul divano, dato che era già occupato.

Un rumore disordinato di passi e un grido capace di perforare il cervello - « Cheeeeeeleee! » - annunciò l’entrata quasi teatrale di suo fratello che, a giudicare da come le fosse saltato addosso facendola letteralmente sdraiare sul tappeto, era molto felice di vederla.

« Sì, sì, ciao anche a te », rise Rachele. « Adesso per favore levati di dosso ».

« Facciamo un castello di carte? » chiese suo fratello, sventolandole sotto il naso il mazzo.

« Certo ».

Rachele si accorse con disappunto che il ragazzo seduto sul divano – Gianluca? – aveva storto il naso.

 

Perché sono così sfigato?

   Fu questo il secondo pensiero che attraversò la mente di Gianluca, cancellando il primo. Sua madre si era allontana con l'amica in cucina, probabilmente per aiutarla con la cena, ed adesso quei due dovevano mettersi a giocare proprio davanti a lui, che aveva ben altri problemi? In fondo erano a casa loro, ma lui era l'ospite, ed aveva sempre ragione. O forse era il cliente ad avere sempre ragione? Beh, a lui non interessava. Automaticamente storse il naso, anche a costo di essere scortese, ed alzò lo sguardo proprio verso la suddetta ragazza - Chele? Ma che razza di nome aveva, diamine? - e il fratellino più piccolo, che finché non parlava e non dava fastidio, era adorabile. La sua voglia di fuggire si fece più intensa. E poi perché stavano per terra? Sul divano c'era ancora posto. Non capiva, e non vedeva l'ora che la serata finisse.

 

***

Quello che Rachele non capiva – e che probabilmente non avrebbe mai capito – era perché in casa sua dovessero osservare le buone maniere soltanto quando c’erano ospiti. Dopo un brusco cenno del capo di sua madre, infatti, si vide costretta a mettersi il tovagliolo sulle gambe, proprio come una brava fanciulla educata.

« Buon appetito! » squittì l’amica di sua madre, dopo aver servito il primo piatto a tutti ed essersi seduta. « Allora, Rachele.. » cominciò, costringendo la ragazza ad un violento movimento del capo. « A che punto sei con gli studi? »

Rachele ingoiò velocemente un boccone e si schiarì la voce. « Faccio il quarto anno », disse.

« Oh, ma allora sei diventata grande! » la donna – che Rachele ricordò improvvisamente chiamarsi Maria – rise insieme a sua madre. La ragazza dovette reprimere una smorfia e mordersi la lingua per non dire “sì, di solito succede, con il tempo”.

« Il mio Gianluca, » continuò, facendo un cenno del capo in direzione di suo figlio « quest’anno è all’università e indovina? Proprio in questa città! E’ stato così difficile lasciarlo andare via di casa.. quando sarai grande e avrai dei figli, Rachele, te ne accorgerai.. però è giusto così, bisogna lasciarli crescere.. »

E lì partì con un monologo sull’importanza dei figli in una coppia sposata, su quello che faceva e non faceva suo figlio, su quanto fosse intelligente e bravo, interrotto ogni tanto da qualche commento di sua madre - « Oh, come ti capisco! » « Complimenti al nostro Gianluca, sei proprio un caro ragazzo! » « Sì, è vero. Rachele quest’anno ha notevolmente migliorato i suoi voti.. » - e reso divertente dall’espressione esterrefatta di Gianluca ogni qualvolta dicessero il suo nome.

“Quanto durerà questo strazio, Dio?”, pensò Rachele, alzando gli occhi al soffitto.

 

   Gianluca sobbalzò ogni singola volta che sentì pronunciare il suo nome. Non perché fosse imbarazzato, ma perché era sorpreso. E anche un po' infastidito che si parlasse così di lui. In fondo,    loro     non sapevano    niente    , niente di lui. Quella che indossava in quel momento, era solo una maschera. Una delle tante. E, sopra ad ogni cosa, odiava quando sua madre cominciava con i suoi sproloqui, interminabili, e che - tra l'altro, miracolosamente - attiravano sempre l'approvazione di chiunque l'ascoltasse. Come in quel momento.

In una maniera terribilmente lenta, la cena finì e tutti si spostarono verso il salotto, dove venne servito il caffè. Gianluca sprofondò nuovamente sul divano col suo libro, nervoso ma sollevato al pensiero che la cena fosse finita.

 

 

Mentre sorseggiava il suo caffè seduta sul tappeto – e questa volta c’era un motivo valido: sul divano si erano sedute anche Maria e sua madre -, Rachele si chiese se quello fosse uno di quei momenti infiniti, di quei momenti che durano per sempre.

Suo fratello era intento a fare capriole sul tappeto e a guardarla ogni tanto in cerca di approvazione. Rachele annuiva e diceva « bravo! » ogni volta che i suoi occhioni imploranti si posavano su di lei.

« Maria », esclamò ad un certo punto, sua madre, facendola sobbalzare. « Non immagini neanche cosa ho trovato due giorni fa! »

« Che cosa? »

« L’album di fotografie del nostro primo anno di liceo, ricordi? Ce l’ho in camera da letto, vieni.. »

Si alzarono continuando a parlottare e salirono le scale. Rachele sbuffò.

« Scusa? »

“Oh”, pensò la ragazza, sorridendo tra sé e sé. “Allora sa parlare.”

« Dimmi », disse, attorcigliandosi un boccolo tra le dita.

« Potrei avere un bicchiere d’acqua? »

Rachele lo guardò, e quasi trasalì scontrandosi con l’azzurro dei suoi occhi. « C-c-cosa?! » balbettò, come un’idiota.

La ragazza rimase immobile per qualche secondo, prima di riordinare i pensieri. Non aveva mai guardato Gianluca negli occhi. Anzi, in realtà non l’aveva mai guardato in generale. L’aveva “visto”, sì, ma non l’aveva mai “guardato”. Non si era mai soffermata a lungo sulla sua figura, e non aveva mai notato che quell’azzurro fosse così terribilmente simile all’azzurro dei suoi occhi.

Riemergendo dai suoi pensieri, poi, notò che in quel momento, quegli stessi occhi la stavano guardando con aria preoccupata.

« Tutto bene? », chiese il ragazzo, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

« Sì, certo! » rispose lei, forse troppo velocemente, alzandosi e rassettandosi la gonna. « Volevi un bicchiere d’acqua? E che bicchiere d’acqua sia »

« Ehm.. ok », disse lui, scettico, seguendola in cucina.

Mentre la ragazza versava l’acqua nel bicchiere, irruppe nella stanza Stefano.

« Cheeele! » gridò. « Guarda, in questo foglio c’è disegnato un signore con un fucile! »

Il bambino aveva in mano un foglio strappato, e lo agitava furiosamente cercando di attirare l’attenzione dei due ragazzi.

Rachele notò che Gianluca aveva stretto i pugni così tanto da far diventare le nocche bianche.

« Non è possibile », sussurrò. « Non è vero ».

 

Era impossibile che tutto questo stesse capitando a lui, proprio a lui.

Quel bambino, Stefano, stringeva nella manina chiusa a pugno un lembo di un foglio del libro. Il suo libro, che aveva lasciato incustodito per cinque secondi, sul divano, per un bicchiere d'acqua.

Improvvisamente, si accorse di non avere più sete.

« No, cacchio! », si lasciò sfuggire con poca eleganza, con un tono di voce che salì di un'ottava. Lui non diceva mai parolacce, e se le diceva era per un solo motivo: era veramente arrabbiato.

Rachele notò tutto questo e cercò di rimediare in qualche modo.

« Ops, scusa! Ma lo sai, è solo un bambino.. »

Gianluca sembrò esplodere. « Solo un bambino? Solo un bambino?! Io, domani, ho un esame! E il libro mi serve! » ribatté, con un tono di voce troppo stridulo.

Stefano sembrava non capire perché il ragazzo reagisse così, e continuava a tenere il foglio il mano. Gianluca fece qualche passo avanti e gli si avvicinò, così Stefano lo fissò con i suoi grandi occhi scuri, come quelli della sorella.

« Vuoi vedere anche tu il signore con il fucile? »

« No! »  esclamò Gianluca, « Non mi interessa! » e cercò di riprendersi il foglio, con una certa forza. Ma il bambino, prendendolo per un gioco, scoppiò a ridere e scappò via, uscendo dalla cucina. Gianluca fece una specie di verso rabbioso, e si sbatté una mano sulla fronte.

« Io al posto tuo non ne farei una tragedia.. Mi disp-» stava per dire Rachele, ma Gianluca la bloccò.

« No, tu non puoi capire, e comunque non c'è bisogno che ti scusi, adesso, il danno è stato fatto. »

Lui sapeva di non essere per niente gentile né cortese, ma quando era troppo era troppo. Non solo era costretto ad andare in quella casa di malavoglia, ma pure quella peste doveva rovinargli la serata, più di quanto non fosse già rovinata? Quello era troppo per uno come Gianluca. Per non contare che quella ragazzina - Chele? Rachele? Mio Dio - gli stava dando sui nervi. Che ne sapeva, lei?

Rachele alzò un sopracciglio con aria infastidita.

« Beh, scusa se ho cercato di essere gentile. La prossima volta sarò io a dire a mio fratello di stapparti tutto il libro, e non solo una pagina, che ne dici? »

Gianluca la fissò dritto negli occhi con un'aria gelida e la ragazza sembrò smarrirsi un attimo. « Non ci sarà una prossima volta» , disse a denti piuttosto stretti. Rachele stava per ribattere, quando sulla porta della cucina fece capolino Anna, la madre di Rachele e Stefano.

«Gianluca! » esclamò, « Mi dispiace immensamente, ma quel tornado di mio figlio non sa ancora come comportarsi, scusalo.. Ma è piccolo.»

Gianluca sospirò e seppe di odiarli tutti quanti. Non rispose neanche, si limitò a scrollare le spalle ancora una volta, e poi afferrò la pagina strappata che Anna gli porgeva.

«Grazie,» mormorò, « Adesso possiamo andare? » disse invece rivolto alla madre, che seguiva Anna nel corridoio.

Era davvero molto stanco. Non ne poteva più. E quella era l'ultima volta che sua madre lo trascinava in quelle cene del cavolo. Mai più! Del resto, non avrebbe sentito la mancanza di nessuno di loro.

 

 

  
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