Anime & Manga > Alice Academy/Gakuen Alice
Segui la storia  |       
Autore: _Pan_    07/12/2009    4 recensioni
Mikan è al suo primo anno di superiori, ma niente si prospetta come lei lo aveva immaginato: tra l'amore, inganni, e addii, la sua permanenza nella Alice Academy si preannuncia molto movimentata.
La storia tiene conto del manga (a tratti da capitolo 51 in su), quindi ci sono spoiler disseminati un po' ovunque. Inoltre, sarà raccontata alternativamente sia dal punto di vista di Mikan che che da quello di Natsume, ma non ci saranno capitoli doppi, nel senso che uno stesso capitolo non sarà raccontato da entrambi.
Coppie principali: Mikan/Natsume, Hotaru/Ruka (accennata)
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hotaru Imai, Mikan Sakura, Natsume Hyuuga, Ruka Nogi
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 7 – Capodanno
(Mikan)

Eravamo stesi sotto le coperte, io avevo la testa sulla sua spalla, e mi accucciavo di più a lui, perché stavo morendo di freddo. Natsume mi strinse più forte, ma non aprì gli occhi; arrossii, ripensando al tempo appena trascorso.
«Hai freddo?» mi chiese, dopo un po', guardandomi un attimo per poi richiudere gli occhi. Io gli sorrisi, mentre sentivo che usava il suo Alice. Mi allarmai subito: l'altra volta gliel'avevo permesso solo perché non ci avevo ragionato su, ma la sua vita si sarebbe accorciata nella stessa misura in cui usava il suo Alice. Non potevo permetterglielo.
«Non devi farlo!» protestai, pregando perché smettesse. «È pericoloso!» lui mi accarezzò i capelli, che mi aveva sciolto. Lo faceva sempre, proprio non riusciva a sopportare le mie codine.
«Ne stavo usando talmente poco...» fu la sua debole replica, mentre si sistemava in una posizione più comoda. Non sapevo neanche se preoccuparmi o meno.
«Sì ma tu sei stanco morto.» osservai, mettendomi seduta. Lui aprì un occhio per guardarmi, poi fece un sorriso malizioso che mi fece arrossire un po'.
«Qualcuno mi ha tenuto impegnato per un pezzo.» rispose. Io distolsi lo sguardo da lui, sentendo le guance infiammarsi talmente che pensavo potessero scoppiare, anche se non capivo perché mi imbarazzavo sempre. Mi attirò di nuovo a sé, baciandomi la fronte e appoggiando la testa sulla mia. Io mi rilassai, anche se sentivo ancora freddo. «Dai, tremi come una foglia. Non fare storie.»
«Non serve il tuo Alice.» chiarii, decisa. Sul letto, l'unico indumento rimasto era la sua camicia, e optai per quella, dato che avevo già sperimentato che i suoi vestiti mi stavano abbastanza bene. La presi e la indossai. Era abbastanza strano vedere che mi arrivava a più di metà coscia e che, per vedere le mie mani, dovessi arrotolare la manica un po'. «Visto?»
Lui mi guardò, con entrambe le sopracciglia inarcate. «Avrai freddo comunque, e, come al solito, sapremo che ho ragione io.» pronosticò, con tono disinteressato. Riusciva a essere irritante anche quand'era stanco. Poi, sollevò le coperte, in modo che io potessi infilarmici sotto; mi morsi un labbro: non poteva essere antipatico e l'attimo dopo completamente l'opposto. Che razza di personalità aveva?
«L'offerta potrebbe non interessarmi.» gli feci notare, giocosamente. Lui sogghignò: sapevo che non mi credeva, anche perché gli avevo dimostrato più volte che non era vero.
«Potrebbe, in effetti.» convenne, come se davvero contemplasse l'ipotesi. Poi sorrise maliziosamente. Mi faceva sempre raddoppiare il battito cardiaco quando lo faceva. «Ma sappiamo entrambi che non è così.»
«Come siamo modesti, eh?» guardai l'ora prima di accettare il suo invito, e mi rilassai nel posto che avevo lasciato caldo. Quando poi lui mi strinse di nuovo, la temperatura divenne perfetta. Stavo quasi per contemplare seriamente l'idea di non muovermi di lì per il resto dell'inverno, e la temperatura era talmente ideale che mi sarei riaddormentata se lui non avesse cominciato a parlare.
«Quanto manca?» volle sapere, avendo sicuramente notato il mio gesto. Lo guardai stupita, non credevo che fosse riuscito a vedermi anche con gli occhi chiusi, o forse aveva solo immaginato che l'avrei fatto. Natsume mi conosceva davvero come le sue tasche.
«Solo qualche minuto.» risposi, improvvisamente raggiante e piena di energia: tra un po' sarebbe stato Capodanno, cioè il mio compleanno, e sprizzavo gioia da tutti i pori: finalmente avrei compiuto diciassette anni!
«Bene.» sussurrò, accarezzandomi il viso e guardandomi dolcemente. Mi si sciolsero le ginocchia; un sorriso mi nacque spontaneo sulle labbra, e sentivo anche l'ormai familiare sfarfallio allo stomaco. Se il solo guardarlo negli occhi mi suscitava tutto questo, ero davvero nei guai.
Si avvicinò a me e io chiusi gli occhi quasi automaticamente; la sensazione delle sue labbra sulle mie mi faceva sempre sentire straordinariamente leggera. Avrei anche potuto restare così per sempre, ma fummo interrotti poco romanticamente dal suono della sveglia, eterna guastafeste, che io avevo insistito per mettere. Natsume sussurrò qualcosa che, però, io non sentii.
«Come hai detto, scusa?» domandai, curiosa. Sembrava in imbarazzo: era così carino! Veniva solo voglia di abbracciarlo, a vederlo così.
Sbuffò, guardandomi storto come se lo stessi costringendo a dire qualcosa di tremendo, come quando mi aveva faticosamente fatto gli auguri di Natale. «Ho detto: buon compleanno, Mikan.» gli sorrisi, baciandolo sulla guancia. Non sapevo per quale motivo gli desse fastidio, ma se stavolta lo fece, non lo diede a vedere.
«Grazie.» mi strinse, appoggiando di nuovo la testa sulla mia. La temporanea energia che avevo guadagnato al pensiero dei miei diciassette anni, sfumò così com'era venuta.
«Ora dormi.» mi consigliò. Mi sembrò decisamente assonnato. «Altrimenti tra qualche ora, chi ti sveglia?» come se far alzare lui fosse una passeggiata!
«Antipatico.» fu la mia risposta, mentre sbadigliavo anch'io, sistemandomi contro di lui il più comodamente possibile.

Aprii stancamente un occhio, mentre la luce che trapelava dalla finestra mi infastidiva come una zanzara che ronza proprio vicino all'orecchio. Mi girai dall'altra parte: stranamente, mancava qualcosa. Aprii anche l'altro occhio, e potei notare, benché ancora quasi dormiente, che quel qualcosa era Natsume.
«Natsume?» mi sedetti nel letto: perché finiva quasi sempre così? Non sentivo il rumore della doccia, quindi, sicuramente, lui non era lì. «Natsume?» sbadigliai. La cosa che mi metteva in difficoltà era che i miei vestiti e i suoi fossero spariti dalla stanza, e che io avessi addosso soltanto quella camicia che avevo preso qualche ora fa. Chiaramente, conciata in quelle condizioni, non potevo pretendere di andare in giro per l'Accademia a cercarlo. Speravo solo che non fosse partito per un'altra missione, altrimenti, questa volta, l'avrei picchiato sul serio. Potevo capire che non volesse farmi preoccupare, ma mi aspettavo che me lo dicesse comunque. Un'altra giornata passata ansiosamente non era proprio ciò che mi serviva.
«Brutto idiota!» sbottai, ributtandomi sul materasso, sentendomi inutile. La porta scattò, facendomi fare un balzo che mi permise di coprirmi fino al collo. Strillai, senza neanche rendermene conto. «Chi è?» la mia voce era piuttosto isterica: mi spaventava l'idea che qualcuno fosse entrato mentre io ero mezza nuda nel letto di Natsume: altri pettegolezzi si sarebbero diffusi per l'Accademia – e non mi andava decisamente a genio che qualcuno mi vedesse così poco vestita: il nonno lo diceva sempre che è disdicevole. Già che avevano quasi smesso di parlare di noi!
«Aspettavi qualcun altro?» mi tranquillizzai quando sentii la voce di Natsume. Quando mi sollevai di nuovo, lo vidi con il cesto della lavanderia in mano. Arrossii per tutti i brutti pensieri che avevo fatto su di lui. «E chi sarebbe il brutto idiota?» certo che quando non doveva sentire, sentiva sempre tutto quanto. Che cosa potevo rispondergli, adesso?
«Niente... lascia perdere.» balbettai, non sapendo che altro dire. Lui sospirò, con la faccia di quello che lascia perdere, ma che ti fa capire che è solo una cosa temporanea. Sbuffai, piano: lui poteva insultarmi, ma io no. Che razza di giustizia era quella?
«Dai, alzati.» mi lanciò i vestiti puliti. A volte sapeva essere delicato come un elefante su un tappetino elastico. Contrariata, cercai di alzarmi, ma stare lì al calduccio era troppo invitante per rinunciare. «Mikan...» mi chiamò proprio quando ero sul punto di riaddormentarmi di nuovo.
Mugolai, irritata. «Che fretta c'è?» voleva proprio allontanarmi dal calduccio e dalla comodità? Lo sentii sospirare, di nuovo; forse avrei dovuto contare le volte che lo faceva in ventiquattr'ore e scoprire che erano molte di più di quelle che pensavo.
«È tardi, dobbiamo mangiare, preparare quei cosi e andare al tempio per quella faccenda di Capodanno, mi sbaglio?»
«Guastafeste!» commentai, mettendomi il cuscino sopra la testa. «E poi, i mochi sono buonissimi!» pensai che non ne avevo mai fatto uno per lui; dovevo assolutamente rimediare: la tradizione è la tradizione, dopotutto. Lui, per tutta risposta, mi strappò via le coperte; per fortuna che avevo quella camicia, altrimenti sarei morta di freddo! Mi raggomitolai su me stessa, in cerca di un po' di calore. «L'hai promesso a quella tua amica, no? Le hai detto che saresti andata al tempio. Sono due settimane che me lo ricordi. Forse tu l'hai dimenticato, ma io no.» non me l'ero dimenticato! Ma il tempio mica scappava via, no?
«Non sono stata così asfissiante.» puntualizzai, mentre combattevo per tenere il cuscino dove avevo appoggiato la testa, dato che lui stava cercando di portarmelo via. «Tu non sai cosa sia la delicatezza.» riusciva ad essere così... così... scortese. Non c'era un altro aggettivo per definirlo.
Sbuffò, rassegnato. «Senti, sono anche stato in lavanderia. Okay? Io, in lavanderia.» sottolineò, come se la sola idea fosse inconcepibile. «perché i vestiti che hai qui avevano bisogno di essere lavati e perché gli inservienti che di solito puliscono la mia stanza e mi portano le cose dalla lavanderia non ti vedessero così.» mi sentii improvvisamente in colpa. Ci scommetto che lo sapeva che, parlandomi in quel modo, mi avrebbe costretta ad alzarmi. «Adesso devo cambiare il letto. Se tu intanto ti preparassi, sarebbe tutto più veloce, non trovi?» mugolai di nuovo. «Dai, non costringere me a farlo.»
«Non lo faresti.» replicai, sicura delle mie parole. L'unica cosa che faceva lui, praticamente tutto il suo tempo, era stuzzicarmi a parole.
«Non dovresti esserne così sicura.» osservò, salendo sul letto con le ginocchia. «Potrei anche farti la doccia, in uno slancio di...» parve pensarci un po', prima di trovare la parola giusta. «...disponibilità.» arrossii, e mi tirai su di scatto.
«Maniaco...» sussurrai, ma lui non mi ascoltò, mi prese di peso, cominciando a dirigersi verso il bagno. «Fermati! Fermati, posso fare da sola!» scalciai in modo che mi mettesse giù.
«Finalmente!» commentò, sollevato, mentre sentivo i miei piedi toccare per terra. «Sbrigati, altrimenti quegli ingordi non ci lasciano niente per colazione.» dopo quelle parole, mi ricordai che a Capodanno, non si facevano più distinzioni in base alle stelle che si possedevano – che fortuna! –, quindi mangiavamo tutti insieme intorno a dei tavoli rotondi. Il mio stomaco, al ricordo di quei fantastici banchetti, cominciò a brontolare. «Visto che anche tu hai fame?»
Cercai di fare una smorfia, ma sorridevo. «Ma perché devi avere sempre ragione tu?»
«Perché sono troppo forte.» fu la sua modesta risposta. Alzai gli occhi al cielo, prima di entrare in bagno: si poteva adorare alla follia e trovare irritante nello stesso tempo la stessa persona?

Quando arrivammo dagli altri, erano quasi le nove, ma ancora non avevano cominciato a mangiare, anzi, sembravano arrivati anche loro in quel momento. Sbadigliavano quasi tutti, e c'era anche chi era ancora in pigiama.
«Ehilà!» Nonoko agitò il braccio per attirare la nostra attenzione. Afferrai la mano di Natsume e lo trascinai nella direzione della mia amica, anche perché poco distante, era seduto Ruka-pyon di fronte ad Hotaru. Mi guardai intorno circospetta, aspettando di veder spuntare la sua fidanzata, ma non arrivò nessuno. «Buon compleanno, Mikan!»
«Grazie!» abbracciai la mia amica, sedendomi subito dopo accanto a lei. «Ovviamente, stasera siete tutti invitati alla mia festa!» era un'altra buonissima occasione per stare insieme a tutti i miei amici.
«Fai la festa?» chiese Anna, che mi parve stupita. Io la guardai, aspettando che dicesse altro. «Non saremo... ecco... come dire...?»
«D'intralcio.» concluse Sumire, acida, prendendo posto vicino a Youichi, scostandosi i capelli dalla spalla. Intralcio? Perché mi sembrava che parlassimo di due cose diverse, tutte le volte che intraprendevamo una discussione?
«Per quale motivo?» volli sapere, confusa. Non avrei detto una parola, se solo lontanamente avessi pensato che potessero essere d'intralcio! Ma... d'intralcio a che?
«È il tuo compleanno, maledizione!» osservò di nuovo Sumire, la qual cosa mi fece sbattere le palpebre, nel vano tentativo di capirci qualcosa. «Pensavamo che volessi passarlo... beh... in altro modo.» concluse sbrigativamente, come se la sola idea la disgustasse e mi chiesi cosa avrei dovuto fare se non la festa per il giorno del mio compleanno. Insomma, non riuscivo a immaginare come potesse essere un compleanno senza gli amici che ti stanno intorno e ti portano un regalo, con tanto affetto, perfino Natsume aveva organizzato la sua e lui, forse, era il meno incline a fare questo genere di cose nell'intero pianeta.
Quando finalmente ci portarono la colazione, mi accorsi di avere una fame da lupo, ma, come era sempre successo da che ero arrivata alla Alice Academy, arrivarono tutti prima di me e restarono solo cose che, com'è normale, non piacciono a nessuno. Il caso aveva voluto che non piacessero neanche a me. Insomma, la sfortuna più totale.
«Questa è ingiustizia.» protestai, infatti, guardando i piatti pieni di tutti quelli seduti al mio stesso tavolo, con l'acquolina in bocca. Oh, sì: era una grandissima ingiustizia. Mandai giù la saliva, desiderando che ci fosse anche qualcosa di commestibile sotto i miei denti. Incrociai le braccia al petto, fissando tristemente il mio piatto vuoto, il giorno del mio compleanno. Questo era ancora più ingiusto.
«No, è la legge del più veloce.» mi fece notare, molto carinamente, Natsume. Lo guardai male, suscitando, da parte sua, soltanto un sorriso malizioso. «Non sopravviveresti due secondi, se dovessi combattere per il cibo.» come se non fosse già tutto abbastanza triste, anche lui si mise a mangiare sotto il mio naso. Bisognava proprio dirlo: che galantuomo.
«Per fortuna, allora, non devo farlo.» replicai, sperando di riuscire a commuoverlo almeno un po'. Neanche mi passava qualcosa che si era preso per sé: era così sgarbato, certe volte. «Anche perché mi lasceresti morire di fame, brutto scemo.»
«Non puoi saperlo.» osservò, mentre addentava la sua fetta biscottata, che aveva un'aria particolarmente invitante. Avrei voluto rispondergli che, invece, lo sapevo con certezza, date le circostanze, ma non dissi niente, interrotta dalle sue parole. «Prendi, non ho fame.» spinse il suo piatto verso di me, alzandosi, e all'improvviso mi sentii ignobile ad aver pensato certe cose su di lui.
«Dove vai?» alzai lo sguardo su di lui, sinceramente stupita. Lui, per tutta risposta, alzò le spalle, come se la cosa non fosse importante. Ma che gli costava dirmelo?
«A fare una cosa.» rispose, sibillino, facendo accrescere ancora di più la mia curiosità. Ma il piatto che mi aveva lasciato davanti mi attirava troppo per permettermi di corrergli dietro e scoprire che aveva intenzione di fare.

Ero in camera mia che cercavo il mio kimono, per andare al tempio con le altre, con cui mi ero messa d'accordo per vederci di lì a mezz'ora, davanti alla fontana più grande che c'era nella sezione delle superiori. Il mio stomaco ancora brontolava: avevo ancora una fame da lupi, dopotutto quello che io e Natsume avevamo diviso non era una gran porzione. Avevo appena preso il mio splendido e nuovo kimono, quando arrivò a rovinare tutti i miei piani proprio Natsume, facendomi prendere un colpo: aveva spalancato la porta senza neanche bussare. Prima di tranquillizzarmi ci volle un po', ma lui non ci fece molto caso.
«Mettiti qualcosa di comodo, lascia perdere il kimono.» parlò sbrigativamente, mentre mi strappava il kimono dalle mani e lo buttava sul letto. «Ci vediamo giù tra cinque minuti.» concluse prima di uscire di nuovo, veloce come era entrato, tanto che mi chiesi se fosse stato passato davvero o era stata solo la mia immaginazione. Poi guardai il kimono e... no: c'era stato davvero; quando ritornò indietro, mi fece prendere un altro colpo, tanto che per poco non mi misi a gridare. «Possibilmente, evita le gonne.» che aveva in mente?
Fu quando scesi nel cortile che tutto mi fu chiaro. Beh, quasi tutto, in effetti. Il che significava che non immaginavo nemmeno il motivo per cui una cosa del genere fosse nel cortile dell'Accademia. «Ehm... Natsume?» lo chiamai, ma non ricevetti una risposta composta di parole, ma un casco, che non lasciai cadere a terra per pura fortuna. Comunque fosse, quello non spiegava un bel niente. Lo guardai confusa. «Che succede?»
Lui sbuffò, da sopra la sella della moto, infilandosi il casco con fare esperto, il che mi portò a chiedermi quando mai lui avesse imparato ad andare in moto. «Succede che andiamo a Central Town, come ti avevo già detto.» beh, d'accordo, ma... io non potevo andarci!
«E il tempio? E i mochi?» gli ricordai, sperando che, rammentando tutti gli impegni di noi studenti a Capodanno, rimandasse la nostra uscita. Ma, ovviamente, ogni mia speranza risultò vana.
«Chi se ne importa!» sbottò, facendomi cenno di mettermi dietro di lui. Altri problemi erano: perché non prendevamo l'autobus? E da dov'era spuntata quella moto? «Gli autobus ci sono solo oggi pomeriggio, perché è Capodanno anche per gli autisti, e se tu non vuoi fare la festa domani, è il caso che ci sbrighiamo.» era come se mi avesse letto nel pensiero, ancora una volta. Doveva avere altri Alice, oltre a quello del fuoco, nascosti da qualche parte. Cedetti. Sospirando, presi posto dietro di lui, dopo aver allacciato il casco, ma non ero sicura che dovesse stare così largo. Ma forse ero solo io che non avevo mai visto una moto in tutta la mia vita.
«Da quando tu sai guidare la moto?» ero proprio curiosa di saperlo. Insomma, non l'avevo mai visto al volante di uno di quei cosi. Lui fece un sorriso furbo, prima di abbassarsi la visiera del casco sul viso.
«Sono tante le cose che ancora non sai di me.» mi rispose, enigmatico, mentre gli passavo le braccia intorno alla vita. Ma ancora non spiegava come mai ne avesse una. «Non mi chiedi come l'ho avuta?» sussultai. L'idea che potesse leggermi nel pensiero mi fece rabbrividire.
«Natsume?» lo chiamai, cercando di attirare la sua attenzione, pensando che si fosse incantato. «Perché non me lo dici?»
Lo sentii ridacchiare, mentre inseriva la chiave nel quadro. «Sai quel tipo che mi venera come se fossi Dio?» pensai che, probabilmente, stava parlando di quel ragazzo che aveva il suo stesso taglio. «Beh, i suoi amici delle abilità Tecniche gli hanno fatto questo regalo, e lui è stato felice di prestarmelo, quando gliel'ho chiesto. Ma mi ha fatto promettere di riportargliela entro le cinque, dato che ha promesso di far fare un giro alla sua ragazza.» Non sapevo neanche se si potevano tenere mezzi di trasporto come quelli dentro il campus, ma a Natsume non sembrava importare molto. Il rumore prodotto dal motore che veniva acceso coprì le sue raccomandazioni, mentre mi scioglievo le codine in modo tale da non perdere i nastri per capelli che avevo appena riconquistato, e più volte rischiarono, durante il tragitto, di sfuggirmi dalle mani. Natsume partì a tutta velocità e mi diede appena il tempo di aggrapparmi stretta a lui.
Quando arrivammo a Central Town, ero praticamente certa di non voler più risalire su una moto, ma tanto sapevo che per tornare indietro era necessario – a meno di non percorrere la strada del ritorno a piedi e Natsume sarebbe stato capace di farmelo fare –, perciò mi rassegnai alla dura realtà e non gli dissi niente. Pensai anche che ci sarebbe rimasto male: dopotutto aveva chiesto un favore solo per fare una sorpresa a me.
Quando mi vidi riflessa nel vetro di un bar, ero certa che i miei capelli fossero la trasposizione odierna di quelli di Medusa della mitologia greca, mentre Natsume era fresco come una rosa e come se si fosse appena pettinato. Gli invidiavo la sua capacità di rimanere perfetto in qualsiasi situazione. Ma poi fui attirata dal paesaggio: non avevo mai visto Central Town così deserta; c'erano soltanto alcuni negozi miracolosamente aperti, per i ritardatari dell'ultimo minuto, come noi, per esempio, anche se i regali, nel mio caso, non erano quelli di Natale.
«Allora, dove vuoi andare?» domandò Natsume, attirando la mia attenzione. Io lo guardai, confusa: era stato lui a portarmi aveva portata a Central Town, perché voleva saperlo da me?
«Come, scusa?»
Lui sospirò, alzando gli occhi al cielo, per la seconda volta nel giro di poco tempo. Ma perché non parlava chiaro?
«Siamo qui per il tuo regalo, genio.» mi ricordò, indicandomi tutti i negozi visibili con un gesto del braccio. «Scegline uno, ed entriamo.» spalancai la bocca per lo stupore: mi ricordai solo in quel momento di tutta la discussione che avevamo avuto in camera.
Ci pensai su, per un momento, ma la scelta era troppo difficile. «Non posso.» decretai, infatti. Lui mi fissò con uno sguardo tra l'esasperato e l'incredulo. Mi sorprese il suo sguardo, ma solo perché non era mai successo che fossi io quella che dava spiegazioni. «Ci sono troppi negozi carini!» mi affrettai ad aggiungere, allora: non potevo decidere così su due piedi, con tutto ciò che mi trovavo davanti!
Lo scrutai, mentre si massaggiava lentamente una tempia. Certo che era proprio incline a perdere le staffe facilmente! «Allora, dimmi, cosa vuoi fare?» respirò profondamente, probabilmente per recuperare la calma.
«Facciamo una passeggiata, entreremo nel primo negozio che ci ispira.» proposi, cominciando a camminare. Lui mi seguii in silenzio. Mi sarebbe piaciuto che, per una volta, andassimo in giro come due ragazzi normali, ma non potevo chiedergli troppe manifestazioni d'affetto in pubblico, perfino appoggiami al suo braccio mi preoccupava per via della sua possibile reazione, e quindi andavamo in giro così: lui con le mani in tasca, io lungo i fianchi, mentre un autotreno e un carro attrezzi avrebbero potuto passare comodamente in mezzo a noi. Lo guardai di sottecchi, ma lui osservava soltanto la strada semi deserta che si estendeva davanti a noi. Cercai di concentrarmi sui negozi, dato che l'atmosfera romantica del momento era praticamente assente; le vetrine piene di colori mi misero subito di buonumore e non riuscii a tenermi lontana da nessuna. Guardavo tutto – e avrei voluto comprare tutto –, commentando quanto fosse carino questo o quell'oggetto, cercando, anche se inutilmente, di coinvolgerlo in una qualsivoglia conversazione. Macché: tutto fiato sprecato. Mi domandai a che stesse pensando.
«Entriamo lì! Anche se sono sicura che il nonno avrebbe da ridire su questo.» lo trascinai verso un negozio di vestiti, di solito trovavo sempre lì quello che mi poteva interessare. Lo guardai e vederlo sempre meno partecipativo mi scoraggiò, e mi fece dubitare che si stesse divertendo. «Che c'è?»
Lui mi rivolse improvvisamente attenzione, e fece un sorriso malizioso. «Pensavo.» mi rispose, impedendomi di capire a cosa. «Ho avuto una grande idea.» ma non aggiunse altro, e pensai che volesse che glielo chiedessi direttamente. Annuii, cercando di incitarlo a continuare. «Te ne parlerò tra un po', devo ancora perfezionarla.»
Inutile, se non faceva il misterioso non era contento. «Potresti essere più chiaro?» cercai di esortarlo, perplessa. Lui non abbandonò la sua espressione malandrina, e mi chiesi se quella fosse stata tutta una scusa per giustificare la sua assenza mentale.
«No,» scosse la testa, cominciando a trascinarmi dentro il negozio. Ora era lui che aveva fretta? «non credo.» uffa! Non poteva comportarsi così, però! Io gli dicevo sempre tutto e subito...
«Antipatico.» commentai. Adesso che aveva suscitato la mia curiosità, doveva dirmelo. Così era crudele! «Non si dicono le cose a metà! O si dicono, o non si dicono!»
«Sei sempre la solita curiosona.» osservò, quasi... soddisfatto? Perché diamine doveva divertirsi tanto dei miei sforzi di capire a che pensava? «Ho detto che te ne parlerò, devi solo aspettare.»
«Lo sai che non so aspettare, che senso ha?» cercai di convincerlo a parlarmene. Non sapevo neanche io perché volessi saperlo, però volevo saperlo!
«Su, avanti,» mi spinse davanti a sé, verso il reparto di abiti femminili. «non avevamo un regalo da comprare?» lo fissai per circa due secondi, incerta sul da farsi. Ma l'idea di comprare il mio regalo di compleanno, in quel momento che mi trovavo davanti a così tanto bei vestiti, si faceva straordinariamente allettante. E poi, se aveva detto che mi avrebbe parlato di qualunque cosa avesse intenzione di parlarmi, dovevo fidarmi, perché l'avrebbe fatto di sicuro. In fondo potevo aspettare qualche ora! Lui ci metteva poco a perfezionare le sue idee. «Tu scegli quello che vuoi, io vado a farmi un giro, il reparto delle ragazze non mi attira particolarmente.» detto questo si dileguò, prima che potessi anche solo dire una parola. Sbattei le palpebre un paio di volte prima di realizzare che se n'era andato davvero.
Scossi la testa, rivolgendo la mia attenzione a tutti quei vestiti che mi si paravano davanti. Natsume avrebbe anche potuto abbandonarmi in un posto simile, non ce l'avrei avuta con lui. Mentre andavo avanti a cercare qualcosa di nuovo che avrei potuto indossare alla festa, mi ritrovai nel reparto bambini, quello in cui andavamo sempre io e Hotaru quando eravamo piccole. Sembrava passato così tanto tempo! Subito mi ricordai che, proprio lì accanto, c'era il reparto dei pupazzi, e nella mia mente si affacciò un pensiero: dopotutto non c'era niente di male se davo un'occhiatina, avevamo un mezzo di trasporto che non dipendeva da nessun orario, se non quello del pomeriggio, e potevo anche permettermi di perdere un po' di tempo.
Continuai a camminare finché non vidi dei pupazzi enormi: il sogno della mia vita, ma come pretendevo di portarne uno sulla moto? Un po' amareggiata, mi rassegnai all'evidenza: il sogno della mia vita era destinato a rimanere tale. Mi diressi, allora, verso quelli più piccoli, cercandone qualcuno che attirasse particolarmente la mia attenzione, evitando di guardare negli scaffali più alti, dove non sarei arrivata, perché sicuramente ne avrei trovato qualcuno carinissimo, ma non avrei potuto prenderlo. O meglio, questo era ciò che era sempre successo dalla prima volta che ero entrata in quel negozio. Oltretutto non c'era nessuno in giro che potesse aiutarmi, compreso Natsume che chissà dov'era andato.
Prima di arrivare alla fine, vidi un peluche che... non sapevo bene quale aggettivo lo descrivesse meglio, ed era riduttivo definirlo adorabile. Quello doveva essere assolutamente il mio regalo di compleanno: me n'ero completamente innamorata, e non era neanche troppo grande, di sicuro avrei potuto portarlo sulla moto. Adesso dovevo soltanto sentire l'opinione di Natsume, sempre che avesse avuto intenzione di metterci bocca... beh, dopotutto i soldi erano i suoi.
«Dovevo immaginare che ti avrei trovata qui...» sentii la sua voce e mi voltai, mordendomi il labbro inferiore. «trovato qualcosa?» annuii, senza dargli una vera risposta.
«Tu, piuttosto, dove sei stato?» lui mi sventolò sotto il naso una bustina: la seguii, come ipnotizzata. L'odore era buonissimo, il mio stomaco cominciò subito a brontolare. Qualunque cosa fosse, metteva l'acquolina in bocca!
«La colazione, madame.» mi spiegò, sorridendo, benché il mio stomaco l'avesse capito da un pezzo. Oh, cielo! Gli avevo mai detto quanto lo adoravo? Come aveva capito che avevo fame? Guardai la bustina, adorante. «Hai niente da dirmi?»
«In effetti... sì.» gli schioccai un bacio sulla guancia, sorridendo: finalmente potevo mettere qualcosa sotto i denti! «Grazie, sei un tesoro.»
«Divertente.» commentò, senza enfasi, facendomi mancare la presa sulla mia colazione per due volte. «Piuttosto,» continuò, avvicinandomi la busta, impietosito dai miei futili tentativi di raggiungerla. «dimmi cos'hai trovato che ti piace.»
Mi morsi di nuovo il labbro, improvvisamente imbarazzata. Sapevo che avrebbe capito al volo l'allusione, ma quel peluche sembrava fatto apposta! «Sì...» bisbigliai, guardandolo di sottecchi, mentre lui inarcava un sopracciglio. Gli indicai il peluche. «quello nero...» lo vidi spostare lo sguardo sugli scaffali, per poi fermarsi. Appena si fermò, lo vidi scuotere la testa, con l'espressione di quello che avrebbe dovuto aspettarselo. «Che c'è?»
«Non ci posso credere.» affermò, dandomi un colpetto affettuoso sulla testa. «Soltanto tu potevi trovare una cosa simile.» non era mica colpa mia se quel peluche mi era saltato subito all'occhio! Lo prese in mano, guardandolo con più attenzione. «Sicura che sia proprio questo?» che faceva? Mi prendeva in giro? Gli sorrisi, mentre masticavo il mio panino, annuendo. «D'accordo.»
«Ti adoro!» lui alzò le spalle, come se fosse qualcosa che non potesse essere evitata. Beh, adesso, sul mio letto, avrei dovuto fare spazio per quell'adorabile gattino nero con un mandarino tra le zampette. Era incredibile pensare alla terrificante coincidenza.

Quando tornammo in Accademia, erano appena le due del pomeriggio. Ci avevamo messo tanto perché Natsume aveva proposto di rimanere a mangiare lì, già che c'eravamo, e io, come al solito, non avevo saputo dirgli di no, anche perché l'idea non mi sembrava affatto da buttare. Erano settimane, cioè più o meno da quando tutti sapevano che stavamo insieme, che non eravamo riusciti a trascorrere un minuto da soli fuori dalle nostre stanze, e anche dentro non eravamo del tutto certi di essere lasciati in pace, a meno che non chiudessimo a chiave le porte. Andai a posare il regalo, rigorosamente incartato, in camera mia e poi mi diressi al piano terra, dove trovai tutti i miei compagni che preparavano mochi, con Tsubasa-senpai che mescolava nel pentolone, mentre Anna gli spiegava come fare.
«Ehi, Mikan!» mi salutò Misaki-senpai, agitando una mano, festosa. Le corsi incontro e la abbracciai. «Dov'eri stamattina, eh?» mi guardò con uno sguardo che giudicai strano: sembrava stesse alludendo a qualcosa, ma non capii dove volesse andare a parare. Ero andata a Central Town con Natsume, dopotutto... niente di così particolare.
«Non sei venuta al tempio, Mikan, e ti aspettavamo tutti per farti gli auguri.» mi rimproverò bonariamente Tsubasa-senpai, col suo solito sorriso stampato in faccia.
«Che bacchettone!» Misaki-senpai scosse la testa, con un braccio intorno alle mie spalle, mentre mi stringeva a sé. «Aveva altro da fare, no?» mi fece l'occhiolino, e io mi limitai a fissarla, incapace di capirla. Probabilmente avevano saputo della mia gita a Central Town, sperai che la moto non fosse un problema.
«Ah, certo.» rispose lui, come se avesse capito tutto. «Non ci avevo pensato, a proposito... il tuo principe azzurro dov'è, Mikan?» mi guardai intorno: non doveva essere lontano, dato che eravamo entrati in sala insieme. Lo vidi seduto a un tavolo, con Ruka-pyon che parlava con fare concitato, anche se dalla distanza a cui mi trovavo, non riuscivo a sentire una parola. Chissà... magari stavano parlando della fidanzata di Ruka-pyon! Mi domandavo quando l'avrei finalmente conosciuta: doveva di sicuro essere una ragazza deliziosa!
«Eccolo!» glielo indicai, e Tsubasa annuì, facendomi cenno di avvicinarmi. Io lo feci, curiosa.
«Dovresti portargli un mochi, dato che è qui.» mi suggerì, ad alta voce. «Come qualcuno non fa.» rivolse a Misaki-senpai , impegnata a chiacchierare con delle altre ragazze, probabilmente della sua stessa classe, un'espressione offesa, ma capii subito che non lo era davvero.
«Sì, adesso lo faccio.» promisi, ridendo. «A proposito, stasera, dopo cena, siete tutti invitati in camera di Natsume per la mia festa. La faccio nella sua perché è enorme, e non c'entreremmo tutti nella mia.» solo che... mi resi conto che ancora non gli avevo chiesto se lui era d'accordo. Ops... speravo che non mi avrebbe rivolto una di quelle occhiate che avevano il potere di raggelarmi.
«Incredibile quanto sia disponibile con te, ti lascia pure usare la sua stanza...» commentò Tsubasa-senpai, sinceramente sorpreso, continuando a mescolare l'impasto dei mochi.
Pensai di mettere Natsume a parte di quel piccolo dettaglio appena il mochi fosse stato pronto, forse l'avrei ammorbidito un po' e mi avrebbe detto di sì, o almeno lo speravo. Infatti, appena ne ebbi uno tra le mani mi diressi verso il tavolo dove lui e Ruka-pyon erano seduti, cercando di pensare alle parole che avrei dovuto usare. «Ehilà.» salutai, sedendomi lì con loro, con il piattino ancora in mano, cercando di mantenermi disinvolta, anche se, davvero, mi tremavano le ginocchia. «Tieni, Natsume, questo è per te.»
«È commestibile?» domandò, a bruciapelo, guardandolo diffidente. Gonfiai le guance, offesa: mai che riuscisse a dirmi qualcosa di carino! «Sei sicura?»
Mi girai dall'altra parte, evitando di rispondergli. «Antipatico! E io che volevo anche chiederti un favore!» lui mi guardò con l'aria di chi la sa lunga, invitandomi con un cenno della testa ad andare avanti. «Mi è solo sfuggito un piccolo particolare...» mi morsi il labbro, sperando che non dicesse di no, altrimenti non sapevo proprio dove fare la mia festa. «Ruka-pyon, tu vuoi assaggiare?» lo guardai speranzosa, sicura che non fosse scorbutico come il mio ragazzo. Lui sorrise e annuì.
«Sarà il mio primo mochi dell'anno!» ero felice di vederlo così contento. Era lo stesso entusiasmo che avrei preferito dimostrasse Natsume, ma forse chiedevo troppo. Lo prese dal piattino e lo addentò, complimentandosi con me. Io gli sorrisi.
«Grazie mille, Ruka-pyon.» replicai, mentre vedevo Natsume fissarci con uno sguardo poco amichevole. L'unico lato negativo della mia prima e, sicuramente, ultima piccola rivincita, era il fatto che ora fosse indispettito, e non sapevo se avrebbe detto di sì, adesso, dato che anche prima le mie possibilità rasentavano lo zero.
«Non avevi un favore da chiedermi, Lucertole Rosse?» tagliò corto, facendomi drizzare tutti i capelli sulla nuca. Come... quando cavolo le aveva viste, quel pervertito? Non avevo messo gonne, quel giorno!
«Non sono lucertole, sono draghetti!» poi mi tappai subito la bocca, in imbarazzo. «E comunque... per il favore... ecco...» mi torturavo le mani l'una con l'altra, provando ogni tanto a guardare la sua faccia, di sottecchi. «Sai... ho...» cominciai a balbettare e non riuscii ad esprimermi.
«Mikan, non sto capendo niente.» cercò di spronarmi a parlare con la sua solita gentilezza da carta vetrata. Presi un bel respiro profondo: tanto dovevo dirglielo, rimandare non avrebbe di certo cambiato la sua risposta, anzi, forse lo stavo facendo indispettire anche di più.
«Okay.» presi un bel respiro, cercando di farmi coraggio, ma se ne andò subito com'era venuto quando tornai a guardarlo negli occhi. Optai per la pura e semplice verità. «Dunque, ho invitato alla mia festa tutti i nostri compagni di classe più quelli delle abilità speciali...» lui mi guardò come se la cosa non lo riguardasse, perché ancora non sapeva quanto. «e non c'è abbastanza spazio in camera mia...» lui aggrottò la fronte: probabilmente già stava intuendo qualcosa. «e... mi chiedevo se... foss...»
«No.» mi interruppe, senza neanche lasciarmi il tempo di fare la mia proposta. «Non pensarci nemmeno, non lascerò che riducano la mia camera a un porcile.» cercai di fare lo sguardo da cucciolo bastonato, quello che, solo in situazioni straordinarie, riusciva a impietosirlo, ma questa volta sortì l'effetto che avevo sperato di evitare: la sua occhiataccia. «Non riuscirai a convincermi in nessun modo, Mikan. Ho detto di no.» abbandonai la testa contro il tavolo, sconsolata, mentre lui si alzava.

«Mikan...» trasalii, quando la sua voce, che suonò tremendamente minacciosa, mi arrivò alle orecchie, mentre i ragazzi cominciavano a popolare la sua stanza. Lui era uscito dal bagno, con i capelli che gli gocciolavano; menomale che non era in pigiama, o peggio. Mi girai verso di lui, con la migliore espressione innocente di cui ero capace, ma non sono mai stata una brava attrice ed avrei dovuto ricordarmelo. «Di quale parte di “no” ti è sfuggito il significato, prima?»
«Mi dispiace!» assicurai, chiudendo gli occhi per non vedere la sua reazione. Si limitò a prendere un respiro profondo, da quello che potei sentire, e si sedette vicino a me, sul letto.
«Stabiliamo delle regole,» cominciò, a bassa voce perché potessi sentirlo solo io, mentre guardava tutti quelli che erano arrivati con sguardo omicida. «primo, tutto ciò che sporcano lo pulirai tu, da sola. Secondo, la prossima volta che fai qualcosa del genere, potrei anche non dimostrarmi così disponibile: diciamo che tutti questi idioti potrebbero ritrovarsi col posteriore bruciacchiato.»
Mi morsi un labbro con espressione colpevole, immaginandomi terrorizzata il posteriore del povero Ruka-pyon in fiamme, ma poi corressi il pensiero e mi immaginai Tsubasa-senpai: Natsume non avrebbe colpito il suo migliore amico col suo Alice. Mai. Anche se, in quel momento, mi sembrava capace di tutto. «Ti giuro che mi dispiace da morire.» mi affrettai a scusarmi. Speravo solo che non fosse troppo arrabbiato. Era Capodanno, dopotutto, dovevamo essere tutti contenti.
«Non ti preoccupare. È tutto okay.» ma non mi sembrava proprio convinto di quello che diceva. Lo guardai supplichevole. «Ho detto che è tutto a posto. L'importante è rispettare quelle due regole che abbiamo stabilito poco fa.»
Annuii con ritmo febbrile. Volevo solo che non mi parlasse con quel tono freddo come ghiaccio, mi metteva addosso una terribile inquietudine. Potevo affermare di avere appena scoperto la sua personalità glaciale, ed ero sicura che non volevo rivederla mai più. «Davvero non sei arrabbiato?» mi accertai, titubante, non riuscendo ad abbandonare la mia espressione. Lui distolse lo sguardo, ma potevo quasi giurare che si fosse addolcito, anche se non mi avrebbe mai dato la soddisfazione di averne la certezza. «Ti adoro.» confessai, dandogli un bacio sulla guancia. Lui mi fissò, per un attimo, poi mi rivolse un tiepido sorriso, che ebbe il potere di tranquillizzarmi.
«Stavolta è andata così,» mi ricordò, tornando serio. «ma la prossima li butto tutti fuori per davvero.» perlomeno, speravo che non ci fossi anch'io, tra tutti quelli che doveva buttare fuori a calci nel didietro bruciacchiato. Sorrisi.
Quando arrivarono tutti gli invitati, finalmente potemmo mangiare la mia torta, con una splendente candelina a forma di numero diciassette, accesa. L'avevano preparata insieme Anna e Miruku. Quello era il loro regalo di compleanno per me, e non potevano farmi niente di più gradito: adoravo i dolci e senza di loro non ci sarebbe stata nessuna torta! Soffiai sulla fiamma esprimendo il mio desiderio: di avere sempre tutti i miei amici e le persone a cui tenevo sempre con me, perché come diceva sempre il nonno, le persone che ci amano sono la nostra più grande fortuna.
«E adesso...» Nonoko lasciò la frase in sospeso, dopo che tutti ebbero finito di mangiare quella squisita torta al limone. «direi che è il momento dei regali per Mikan!»
Fremevo per l'eccitazione di ricevere i miei regali, non vedevo l'ora di scartare in particolare quello della mia migliore amica: di sicuro sarebbe stato quello che avrei apprezzato di più, anche se a Natale mi aveva lasciata un po' perplessa. «Chi comincia?» volle sapere Anna, rivolgendosi a tutti i miei amici, che si erano riuniti in cerchio nello spazio che separava le due camere di Natsume.
«D'accordo.» sospirò Hotaru, dopo due minuti di silenzio tombale, alzandosi. «Immagino che debba cominciare io, a questo punto.» il pacco che mi porse era piuttosto grande, il che mi fece presagire che fosse qualcosa di spettacolare, come tutto quello che costruiva lei, dunque, fremente, lo scartai immediatamente, troppo curiosa. Quando alzai il coperchio della scatola, sentii tutti gli altri trattenere il respiro, tranne Natsume che era seduto dietro di me, sul letto, ma da cui non mi ero aspettata la minima reazione. Aprii la bocca per lo stupore: era... era... cos'era?
«Hotaru...» iniziai, incerta, tirando fuori tre oggetti dall'aspetto decisamente curioso. Più li osservavo, più li ritenevo strani, ma erano troppo buffi! «che cosa sono?»
Hotaru alzò gli occhi al cielo, spazientita. «Avrei dovuto immaginarmelo che non l'avresti capito.» disse, scuotendo la testa, sconsolata. Perché, certe volte, lei e Natusme sentivano il bisogno di comportarsi così? Avevo fatto una domanda legittima, dopotutto. O no? Le scoccai un'occhiata preoccupata. «Sono due porta fotografie, collegati direttamente a questa macchina fotografica.» mi indicò ogni componente ogni volta che lo citava. La macchina fotografica era piccola e tascabile, mentre i portafotografie erano due, a forma di maialino. Erano così carini! «Non ci sono fili come puoi vedere, e ogni foto che tu scatti con questa macchina è immediatamente visualizzata nel portafotografie. Puoi catalogarle come più ti piace e rivederle in quale ordine vuoi, per data, per le persone che sono ritratte, o come ti pare. Questo è tutto.» era un regalo straordinariamente utile! Avrei potuto mandare uno di quei portafoto al nonno e mostrargli sempre come e dov'ero! «Ovviamente, il raggio d'azione dei portafoto può coprire la distanza terra-sole, perciò potrai vedere le foto scattate in qualunque parte del mondo i portafotografie si trovino, rispetto alla macchina fotografica.»
«Wow...» commentai, ammirata, rimettendo tutto dentro la scatola perché non rompessi tutto e subito. Con me non si poteva mai sapere. L'altro problema era riportare tutto in camera mia, dato che credevo che Natsume non fosse dell'umore adatto per aiutarmi. Fortuna che si erano solo seduti e dovevo solo buttare i piattini di carta sporchi di torta, se avessero sporcato la moquette sarebbe stata la fine per me!
«Mi raccomando, trattali bene! È una vita che ci lavoro su!» disse Hotaru, aiutandomi a mettere di nuovo dentro i suoi regali. Ora che ci pensavo... possibile che quella sera, avesse fatto tardi a mensa perché il progetto a cui lavorava era il mio regalo? Oh, Hotaru era sempre la migliore! Poi mi rivolse uno dei suoi rari sorrisi. «Buon compleanno, stupida.»
«È il nostro turno!» sbraitò Misaki-senpai, trascinandosi dietro Tsubasa-senpai, con un pacco tra le mani. «Tieni, Mikan. Tanti auguri!» le sorrisi di cuore, cominciando a scartare il regalo: era un vestito semplicemente delizioso. Neanche a farlo apposta, era a pois.
«Farà pendant con le tue mutande a pallini.» mi sussurrò Natsume, da dietro, sogghignando. Io gli feci la linguaccia, sentendo che le guance cominciavano a scottare.
«Grazie!» dissi, alzandomi per abbracciarli. Quando mi trattenni troppo con Tsubasa-senpai sentii Natsume schiarirsi la voce, e sorrisi. «Geloso.» sillabai, senza emettere un suono. Lui mi guardò probabilmente, con l'intento di farmi credere di essere completamente fuori strada, ma chi voleva prendere in giro? Non riuscii a trattenere un sorriso intenerito.
Ricevetti un sacco di altra roba quella sera, dai miei compagni di classe e dai ragazzi delle Abilità Speciali. Youichi e Ruka mi avevano comprato una borsa stupenda, grande, così avrei potuto metterci tutti i miei eventuali acquisti che facevo a Central Town e, meraviglia delle meraviglie, potevo anche abbinarla con tutto. Arrossii, quando guardai nella borsa da parte di Anna e Nonoko, e per fortuna non la mostrai a tutti gli altri: era un completino intimo estremamente succinto. Le ringraziai velocemente, mentre mi sentivo scottare tutta la faccia. Da Sumire e gli altri, un completino: una maglietta bianca con una fragola e un paio di jeans con le cuciture rosse che riprendevano il colore della maglietta. Mi piacque così tanto che decisi di metterlo il giorno dopo! Ero molto più che contenta dei miei regali, li adoravo tutti, senza esclusione. E quando andarono via tutti quanti, verso circa l'una, mi accasciai sul letto, mentre Natsume mi fissava, annoiato. «Non ti preoccupare, adesso butto tutto quanto, come stabilito nei patti.» sbadigliai, stropicciandomi gli occhi.
«Ho già fatto io, Draghetti Rossi.» mi fece notare, lasciandomi letteralmente spiazzata. Lui aveva fatto cosa? «Se aspettavo te, addio moquette.» ah, ecco, che gentile. Doveva sempre rovinare tutto quanto. Io mi limitai a sbadigliare di nuovo, per non insultarlo, infilandomi le scarpe. «Dove vai?»
«A dormire.» fu tutto quello che dissi, mentre raccoglievo i regali e me ne andavo nella mia stanza. Avrebbe anche potuto prolungare il suo slancio di disponibilità e aiutarmi a portare tutti i miei regali, ma già che si era pulito la stanza da solo, non potevo chiedere di più.

A metà del corridoio, ero sicura che sarei crollata a dormire, se qualcuno non mi avesse chiamata. All'inizio non lo riconobbi subito, probabilmente perché ero così addormentata che neanche vedevo più dove stavo andando. Mi venne in mente che non avrei più dovuto prolungare le feste di compleanno oltre mezzanotte, altrimenti non avrei retto.
«Mikan-chan...» mi sentii chiamare di nuovo. «hai bisogno di una mano?» mi voltai verso la direzione da cui proveniva la voce e riconobbi i tratti inconfondibili di Narumi-sensei. Che ci facesse nella sezione delle superiori era un mistero per me, ma non mi venne da chiederglielo, sul momento, dato che stavo praticamente dormendo in piedi.
«Sì, per favore.» risposi, con voce insonnolita, grata della sua gentilezza. Sbadigliai, appena ebbi le mani libere. Lui mi guardò, condiscendente, mentre si sistemava i pacchetti tra le braccia. «Regali di compleanno.» fu la mia spiegazione assonnata. Per un attimo il suo sguardo si accese di comprensione.
«Giusto.» esclamò, come se si fosse dimenticato qualcosa. «Ho anch'io una cosa per te.» annuii, mentre non riuscivo ad associare le parole “una cosa per te” con regalo. Solo quando posò gli altri sulla scrivania della mia stanza – in cui non ricordavo neanche di essere entrata, come anche il percorso che avevamo fatto da che lo avevo incontrato –, mi porse una scatolina, riuscii a realizzare che era il suo regalo per me.
«Cos'è?» chiesi, rigirandomelo tra le mani. Appena lo aprii vidi che era una collanina, ma il pendente era molto strano.
«Una pietra Alice molto speciale.» spiegò, riuscendo, tuttavia, a non spiegarsi affatto. Lo guardai perplessa, ma non aggiunse nient'altro di utile per permettermi di capirci qualcosa: avevo troppo sonno e, probabilmente, non ci sarei riuscita neanche in condizioni normali. «Buon compleanno, Mikan, e buonanotte.»
«Buonanotte.» riuscii a bofonchiare, prima di buttarmi sul letto, decisa a non alzarmi per le successive nove o dieci ore. Non seppi nemmeno se era uscito, se aveva chiuso la porta. Tutto ciò che volevo era farmi una lunga, sana dormita.

*****

Risposte alle recensioni:

nimi-chan: hai proprio ragione, io uno come Natsume lo tenevo legato in una stanza per non farlo vedere a nessuno XD.
_evy89_: no, non era per qualcun altro XP. È solo che Mikan è negata con qualsiasi cosa, e per lei era una “N”. Come si possa scambiare l'una per l'altra lo ignoro, ma faceva troppo ridere XD.
marzy93: infatti mi sono divertita un casino anche a scriverlo :D, specialmente la parte dei regali.
rizzila93: è vero! Io ho adorato questa coppia ancora prima di sapere che lo fosse XD.

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1.bella95
2.Erica97
3.Kahoko
4.mikamey
5.piccola sciamana
6.rizzila93
7.smivanetto
8.marzy93
9. nimi-chan
10. sakurina_the_best


E in particolare le new entry:

11. _evy89_
12. cicci89
13. Luine
14. Yumi-chan
15. Veronica91


E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1.Mb_811
2.punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
5. Miki89


E in particolare la new entry:

6. _evy89_

  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Alice Academy/Gakuen Alice / Vai alla pagina dell'autore: _Pan_