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Autore: kiku77    08/12/2009    5 recensioni
Sanae e Tsubasa si sono sposati e vivono a Barcellona con i loro due gemellini. Sembra una favola, ma forse c'è qualcuno che ancora sta cercando se stesso...... Ce l'ho fatta........!!buona lettura!
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Vorrei ringraziare le persone che stanno leggendo questa storia e  un ringraziamento particolare va a coloro che hanno recensito i capitoli, esprimendo le loro opinioni e commenti, cosa che mi fa molto piacere e mi aiuta a capire come la storia viene recepita. Grazie a Hikarisan ( spero non rimarrai troppo delusa dal fatto che lo spettegolare di Yayoi non viene sviluppato…!) e Lara80 e un ringraziamento speciale a Elisadi80 che oggi compie anche gli anni! Buon Compleanno!

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Il giorno seguente fu un via vai di persone che vennero a salutarla e a farle una gran festa.

Poi, nel tardo pomeriggio, finalmente tornò suo padre. Non c’era mai stato un gran dialogo fra i due, ma per Sanae suo padre aveva sempre rappresentato l’autorità; aveva sempre cercato la sua approvazione in tutte le cose che aveva fatto, perchè lo stimava moltissimo come uomo. Anche se il rapporto era sempre stato piuttosto frammentario e fragile, c’era in entrambi una sorta di “urgenza” l’uno dell’altra, quando sapevano di potersi vedere.

Il Signor Nakazawa, appena varcò la soglia di casa, si ritrovò sua figlia di fronte. Non tradì alcuna emozione, come al solito. Ma sentì che le gambe gli tremavano perché il desiderio di stringerla a sé era qualcosa di complicato da gestire.

Era un ottimo avvocato. Era sempre stato un gran lavoratore. Aveva fatto tanta gavetta, perché non si era fatto comprare dal denaro, da proposte allettanti di rispettabili studi legali. Lui aveva continuato a stare in un piccolo ufficio in periferia con altri due soci, ex compagni d’università, ed insieme a loro aveva imparato ad attendere il pagamento delle parcelle dei suoi clienti per mesi e mesi, perché aveva deciso di fare l’avvocato per un amore sconfinato della legge  e non per arricchirsi. I suoi clienti erano sempre i più deboli. Sapeva bene cosa voleva dire perdere una causa (ne aveva perse talmente tante!) ma aveva anche provato sulla sua pelle l’euforia della vittoria: quel genere di vittoria che si meritano coloro che cercano giustizia. Quell’euforia, non era nemmeno lontanamente paragonabile alla riscossione di una parcella. Quell’euforia era la sua libertà.

Aveva fatto vivere la sua famiglia in modo modesto: niente vacanze, niente abiti costosi e così via; non era stato neppure in grado di pagare un biglietto aereo a Sanae per farla andare in Brasile da Tsubasa. Aveva sempre dovuto combattere con i debiti e quindi Sanae aveva dovuto lavorare per poter trovare i soldi. Ma suo padre aveva fatto per lei qualcosa che nessuno poteva portarle via: le aveva insegnato quanto fosse importante quello che faceva e aveva  cercato di trasmetterle un po’ del suo idealismo.

In parte vi era riuscito.

Il problema erano i sentimenti: lui proprio con i sentimenti non ci sapeva fare. Di sentimenti non sapeva parlare, soprattutto se riguardavano la sua sfera privata. Sua moglie aveva imparato a conoscerlo e ad amarlo così com’era. Ma Sanae… Sanae dentro era una ribelle; era una che i sentimenti se li mangiava, li divorava; a otto anni aveva già capito che avrebbe amato quel “tipetto che gioca bene a pallone” ( così lo chiamava lui, da padre un po’ geloso). Era normale che tra di loro le cose non fossero facili.

La osservò appoggiando la giacca all’appendiabiti e scorse un’espressione che solo un’altra volta aveva colto sul suo giovane viso. Non gliene parlò, per non ferirla o provocarla. Ci sarebbe stato tutto il tempo.

“Allora, come stai?”  - le chiese, per fare la parte del buon padre.

Lei non rispose. Anzi rispose a modo suo,  facendo una domanda: “Com’ è andata la tua causa?”

“ Non avevo la causa… io sono andato a fare delle ricerche. La causa comincia tra un mese. Roba che scotta. Non ne voglio parlare. Tsubasa?”

Ecco: già erano partiti male. Sanae si girò per tornare in sala. “Tsubasa è in ritiro. Ha la serata libera  e andiamo tutti a cena dai suoi genitori. Spero che non dovrai lavorare anche stasera……”

“Sanae!” le gridò sua madre, come per rimproverarla. Doveva sempre difendere il marito, lei.

“Cos’ho fatto? Cos’ho detto questa volta? E ‘ così grave sperare che venga anche lui?”

Il Signor Nakazawa era molto acuto; capì subito che c’era qualcosa che non andava.

“Certo che vengo. Io adoro gli Ozora…” disse ironicamente.” Però se vuoi che venga, bisognerà che ti metta qualcos’altro addosso….. ” disse alla figlia, che per protesta infilò subito le mani nelle tasche della sua comodissima tuta.

“Perché? Guarda che mangiamo in casa, non andiamo mica al ristorante…” fece lei per giustificarsi.

“Che c’entra…ci vuole sempre un po’ di rispetto, no? Se il mio cliente è un disgraziato, io non è che lo accolgo in studio in tuta….e se vado a cena dai miei suoceri non mi presento in vestaglia. …..e poi Sanae la tuta mi ricorda più una liceale che la moglie del capitano del Giappone. Dai forza, vatti a cambiare ….”. Era un uomo che, pur nella poca disponibilità, non aveva mai rinunciato alla forma.

Sanae non volle fare polemica perché altrimenti sarebbero andati per le lunghe. Salì in camera e frugò nella valigia che era ancora da disfare. Non sapeva proprio cosa mettere. Vestiti non ne aveva. Alla fine s’infilò un bel paio di pantaloni scuri a vita bassa e una maglia un po’ scollata sulle spalle  e sulla schiena. Sapeva che suo padre avrebbe gradito.

 

Quando arrivarono a casa Ozora, Tsubasa era già lì da un po’ e stava giocando con i bambini,che erano stati dai nonni paterni tutto il pomeriggio.

 Con  il fratello Daichi si rotolavano per terra e facevano un gran chiasso.

“Ben arrivati” fece la Signora Ozora, aggiungendo “ Tsubasa è peggio dei piccoli……!”

Scoppiarono tutti a ridere e Sanae lo cercò con lo sguardo per salutarlo. Non si era cambiato e i capelli non erano ancora completamente asciutti. Aveva un buon profumo e con la tuta della nazionale stava davvero bene. Sanae avrebbe voluto avvicinarsi per appoggiare la testa sul suo petto, così da sentire i suoi addominali, il suo corpo perfetto. Ma lui non la guardava.

Tsubasa si alzò e andò a salutare il suocero stringendogli la mano, come faceva sempre, e poi tornò dai bambini.

Nessuno si accorse del suo atteggiamento, perché per tutti, il saluto a Sanae era stato implicito. Invece lei ci fece molto caso: non era mai successo da quando stavano insieme che si comportasse così. Praticamente non l’aveva calcolata.

Anche lei andò dai bambini che intanto, vedendo la mamma, le si erano precipitati incontro per farsi coccolare e baciare con affetto: poi lei sorridendo indicò loro il nonno. Il Signor Nakazawa ebbe il primo attimo di cedimento e li volle tenere in braccio per un po’. Sembrava un altro.

 

Daichi aveva cenato prima e rimase in salotto  a giocare con Hayate e Daibu, mentre i grandi si sedettero a tavola. Durante la cena, parlarono della Nazionale e della prima amichevole che si sarebbe svolta dopo due giorni. Tsubasa parlava tranquillamente, ma era molto serio e scuro in volto. Sua madre se ne accorse, ma fece finta di niente. Immaginò che fosse per via della tensione accumulata in vista del primo incontro. Continuava a parlare, soprattutto con suo padre e con il Signor Nakazawa, ignorando completamente Sanae.

Lei sapeva che c’era qualcosa, sapeva che lo stava facendo apposta.

E restò lì , in attesa di un segnale che non tardò ad arrivare.

 

Dopo qualche minuto di silenzio, Tsubasa ricominciò a parlare.

“ Ho saputo che ieri hai fatto il lavaggio del cervello a Yayoi…… Jun mi ha chiesto cosa ti avessi fatto di così tanto brutto per farti parlare così male del matrimonio…..”

Calò il gelo fra tutti. Le donne sgranarono gli occhi fissandosi. Gli uomini attesero.

Sanae invece provò a non reagire al modo così provocatorio e malizioso con cui si era espresso lui.

“Non le ho fatto alcun lavaggio del cervello. E non le ho affatto parlato male del matrimonio. Mi sono solo permessa di consigliarle di terminare gli studi prima di sposarsi, tutto qui….”

“Certo…. Jun mi ha detto che era sconvolta,  e che tu lei hai detto che deve pensare a se stessa. Complimenti…. Che bei discorsi da fare ad un’amica che sta realizzando il suo sogno…Se non ti senti felice con me, non devi andare a raccontarlo in giro. Sarebbe meglio che ne parlassi con me, no?”

Lei fece per alzarsi perché non poteva sostenere una conversazione con lui in quella situazione.

“ Dove credi di andare? Ora ti siedi e non ti alzi fino a quando non abbiamo finito. Vuoi mancare di rispetto anche ai nostri genitori?”

“Ah perché tu gliene stai portando, parlando così?” gridò lei, tutta rossa in viso.

“Adesso basta, smettila Tsubasa! Se hai dei problemi con Sanae, gliene parli in privato. Non ti abbiamo insegnato niente?” disse il Signor Ozora.

“Ora ti faccio un semplice domanda. Una domanda così semplice che non puoi non rispondermi….” - fece Tsubasa, ignorando completamente l’ordine del padre. Era in preda all’ira più totale; era come se tutta la rabbia che in vita sua non aveva mai provato, perchè era sempre stata una persona serena e tutto sommato felice, si fosse concentrata in quel preciso momento. Se avesse potuto, l’avrebbe afferrata per un braccio e le avrebbe voluto fare  male.

“ Se io non fossi partito per la Spagna e ti avessi comunque chiesto di sposarmi per vivere insieme qui in Giappone, tu cosa avresti risposto?”

Tsubasa abbassò lo sguardo per ascoltare meglio la risposta. L’aspettava con ansia, perché era dal giorno prima che non aveva potuto pensare ad altro. Era stata troppa l’umiliazione dell’amico che gli mostrava un lato di sua moglie che non conosceva. Troppa era la  delusione di amare una ragazza che forse non meritava quello che lui stava facendo per lei. Perché il calcio non era solo per se stesso; era un lavoro privilegiato  per farla vivere bene, per poter crescere bene i loro figli. Lui aveva cercato di renderla felice. Poteva fare ciò che desiderava, spendere quanto voleva. Non l’aveva obbligata in nessuna delle cose che avevano fatto. Sanae sapeva perfettamente chi aveva sposato e come sarebbe stata la vita  al suo fianco. Adesso non poteva fargliene una colpa. Nella sua testa pesavano le due opzioni: o sì o no. Da lì non c’era via d’uscita.

Sanae, pur sconvolta dalla reazione di Tsubasa, non si perse d’animo. Lei aveva attraversato varie fasi del dolore. La gravidanza l’aveva resa più morbida e più forte allo stesso tempo. E forse nel tentativo spudorato di difendersi, o meglio, non tanto di difendere se stessa, ma quel figlio che di nuovo portava in grembo, decise che avrebbe lottato.

Non rispose né sì né no.

“ Non posso rispondere alla tua domanda Tsubasa. Non perché ho paura delle conseguenze. Ma semplicemente perché, come dici tu, la tua domanda è talmente facile, che non esiste. Se tu non fossi partito per la Spagna e fossi rimasto in Giappone, NON MI AVRESTI MAI CHIESTO DI SPOSARTI E OGGI FORSE NON CI SAREMMO NEANCHE ANCORA DATI IL PRIMO BACIO. Quindi, prima di farmi le domande, pensaci di più e meglio.”

Ora si alzò e fece un piccolo inchino agli Ozora, come a scusarsi, da brava ragazza giapponese, per aver parlato di cose private in pubblico.

“Voglio tornare a casa” disse al padre, pregandolo di non mollarla in quel momento.

Lui si alzò di colpo e i Nakazawa coi bambini se ne andarono.

 

“L’hai combinata grossa, Anego” le disse suo padre, in macchina.

 

 

   
 
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