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Autore: Abby_da_Edoras    09/12/2009    1 recensioni
Autrice: Lady Arien. Trama: la mia storia segue le vicende del film "King Arthur" di Antoine Fuqua, ma nella mia versione i cavalieri non muoiono nella missione contro i Sassoni e restano uniti a creare un nuovo Paese, la Britannia. Ho introdotto anche un amore omosessuale (senza scene hard) fra Tristano e Galahad, che sono i miei personaggi preferiti. Spero che la ff vi piaccia.
Genere: Drammatico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Artù e i suoi uomini, seguiti da un sempre più disperato Horton, stavano cavalcando all’interno di una fitta boscaglia: era il

Artù e i suoi uomini, seguiti da un sempre più disperato Horton, stavano cavalcando all’interno di una fitta boscaglia: era il tramonto e il segretario del vescovo pensava con orrore che avrebbe dovuto trascorrere anche quella notte in sella al suo destriero. Come potevano quei barbari viaggiare in un modo tanto incivile? Germanus aveva ragione, non erano altro che dei selvaggi. E lui adesso era costretto ad accompagnarli, ma non avrebbe resistito, sarebbe morto procedendo con quel ritmo!

I pensieri di Horton furono improvvisamente interrotti da un grido che proveniva dal gruppo di guerrieri davanti a lui. Cosa stava accadendo?

“È una trappola degli Woad!” esclamò Lancillotto. “Guardate, ci hanno tagliato la strada da questa parte.”

“Dirigiamoci verso est!” replicò Artù, spronando il suo cavallo. Gli altri cavalieri lo seguirono, ma la loro corsa ebbe breve durata: il sentiero dentro la foresta si interruppe davanti ai loro occhi a causa di una nuova trappola costruita dai guerrieri dal corpo dipinto, un intrico di corde attorcigliate che impediva il passaggio a chiunque.

“Torniamo indietro, presto! Vogliono imprigionarci” gridò Bors. Di nuovo Artù ed i suoi uomini furono costretti a far voltare le loro cavalcature e a riprendere il galoppo dalla parte opposta, ma anche quella via di scampo fu presto interrotta. La foresta era disseminata di trabocchetti preparati dagli Woad.

“Ci resta un’ultima possibilità, altrimenti dovremo affrontarli” disse Tristano, spronando il cavallo e imboccando uno stretto passaggio fra gli alberi. Dovette però arrestarsi bruscamente quando una fitta maglia di ferro comparve a sbarrargli il passo. I cavalieri che lo avevano seguito si fermarono. Non c’era altra scelta, erano prigionieri dei guerrieri della foresta ed avrebbero dovuto combattere, pur essendo in inferiorità numerica.

Artù, Lancillotto, Dagonet e Gawain estrassero le spade; Bors, Galahad e Tristano prepararono i loro archi con le frecce già incoccate; anche Jols, lo scudiero di Artù, tirò fuori la sua arma. Horton era sul punto di cadere da cavallo per la paura. Gli Woad, quei maledetti pazzi che combattevano nudi e dipinti di blu, avevano teso loro un’imboscata e adesso li avrebbero massacrati tutti. Li aveva già incontrati durante il suo viaggio con la scorta del vescovo ed il solo ricordo di quella terribile battaglia lo faceva tremare. Ora erano nelle loro mani e… Il codardo segretario di Germanus si sarebbe preso a schiaffi per non essere rimasto tranquillo e pacifico nella civilissima Roma. Quando però gli era stata offerta l’opportunità di quella missione in Britannia per conto del Santo Padre, lui vi aveva intravisto la possibilità di fare carriera. Perciò aveva accettato con entusiasmo, solo che ora sarebbe morto in una terra dimenticata da Dio e dei barbari sanguinari avrebbero fatto scempio del suo corpo.

Ignari dei pensieri turbinosi che tormentavano la mente del loro accompagnatore, Artù e i suoi si stavano disponendo per un combattimento dall’esito quanto mai incerto. Gli Woad erano nel loro territorio, potevano colpirli da ogni parte e loro erano in trappola.

Il giovane Galahad lanciò di sfuggita uno sguardo a Tristano, che però era totalmente concentrato sul proprio arco e non si accorse di lui. Doveva finire così? Sarebbero stati uccisi in quella foresta senza mai rivedere la loro patria? Quella notte che avevano trascorso insieme alla vigilia della partenza era stata davvero l’ultima consolazione e l’ultimo rifugio di calore ed affetto prima di una morte crudele e atroce? Se almeno lo avesse guardato una volta, una volta sola…

I guerrieri dipinti si avvicinarono, tenendoli sotto tiro. Li avevano circondati.

“Fatevi avanti! Dunque, che aspettate?” li incitò Artù, logorato da quell’attesa, pur sapendo che la battaglia era già perduta.

Il capo degli Woad, però, fece cenno ai suoi uomini di mettere giù le armi. Fece qualche passo verso il comandante dei Sarmati e lo fissò, mormorando parole incomprensibili. Artù lo riconobbe: il giorno in cui avevano assaltato il vescovo e la sua scorta, i guerrieri della foresta erano guidati dallo stesso uomo. Lui lo aveva disarmato ed avrebbe potuto facilmente ucciderlo con la sua spada, ma poi aveva deciso di risparmiarlo. Evidentemente adesso lo Woad gli stava ricambiando il favore.

L’uomo pronunciò altre parole, questa volta a voce alta e rivolto ai suoi guerrieri. In pochi secondi tutti scomparvero di nuovo fra gli alberi. Il capo fissò ancora lungamente Artù, poi anch’egli scomparve.

“Ma cosa è successo? Perché non ci hanno attaccato?” chiese Lancillotto.

“Forse pensano che non siamo più noi i veri nemici, ma i Sassoni” rispose Artù. “Adesso però andiamocene di qui, in fretta! Dobbiamo sbrigarci se domani vogliamo raggiungere la tenuta di Marius Honorius.”

Il comandante sarmata, infatti, non si sbagliava: quello stesso giorno un esploratore degli Woad era ritornato dalla sua perlustrazione, aveva descritto a Merlino, sacerdote supremo del popolo della foresta, gli orrori e le devastazioni che aveva visto e gli aveva consegnato un pugnale. Merlino aveva riconosciuto i simboli sassoni che vi erano incisi sopra ed aveva spiegato alla sua gente che non dovevano più attaccare Artù ed i suoi cavalieri ma che, anzi, questi sarebbero stati presto la loro unica speranza contro l’avanzata di nemici ancor più terribili.

Nel frattempo i Sarmati continuavano a cavalcare, senza fermarsi per la notte e dormendo e mangiando ancora una volta in sella ai loro destrieri. Viaggiarono per tutto il giorno successivo e finalmente, nella tarda mattinata del quarto giorno, giunsero nelle terre di Marius.

Prima di recarsi verso la vasta proprietà terriera cinta di mura e le piccole casupole di paglia che la circondavano, Artù si rivolse a Tristano e gli chiese di allontanarsi in ricognizione per verificare che gli Woad non li avessero seguiti e che i Sassoni non si trovassero nelle vicinanze. Il cavaliere annuì e partì velocemente, mentre il suo falco volteggiava alto davanti a lui, quasi ad indicargli la strada da percorrere. Nessuno dei due si accorse del gesto di rabbia di Galahad, che aveva assistito alla scena. Il giovane cavaliere si rabbuiò in volto e spronò nervosamente il cavallo, seguendo malvolentieri gli altri, che si dirigevano verso i possedimenti del facoltoso romano.

I soldati di guardia li avvistarono dall’alto delle mura e il loro capitano gridò:

“Voi chi siete?”

“Sono Artorius Castus, comandante della cavalleria sarmata. Sono stato inviato dal vescovo Germanus di Roma.”

Nel frattempo un uomo grasso e ben vestito aveva raggiunto i soldati. Alle parole di Artù si illuminò in volto.

“Da Roma? Finalmente! Presto, aprite le porte, voglio parlare immediatamente con quest’uomo.”

Subito le porte della tenuta si aprirono e i cavalieri si avvicinarono lentamente, mentre attorno a loro la gente dei villaggi avanzava timidamente e li osservava incuriositi.

Marius Honorius raggiunse Artù, seguito dalla moglie e dal figlio Alessio e da un nutrito gruppo di soldati e mercenari, ma, prima ancora di salutarlo, si voltò verso i contadini e li redarguì con asprezza.

“Perché state qui a perdere tempo? Dovete lavorare! Avanti, tornate alle vostre occupazioni!”

Artù rimase stupito da queste parole e si guardò intorno. Le persone che erano state rimproverate si mossero lentamente per tornare al lavoro: erano magre, sciupate e vestite di stracci. Ma che cosa stava accadendo in quella tenuta? Anche gli altri cavalieri sembravano condividere il pensiero del loro comandante e sui loro volti si dipinse un’espressione disgustata e sdegnata.

Marius non si era accorto di nulla e iniziò a ciarlare amichevolmente con Artù.

“Dunque voi siete il leggendario Artorius e questi i vostri uomini? Per me è un onore ospitarvi nei miei possedimenti. Sarete stanchi ed affamati. Fulcinia,” latrò, rivolto alla moglie, “dai ordine ai servi di preparare un lauto banchetto per i nostri ospiti!”

La donna stava per allontanarsi a capo chino, ma Artù la fermò.

“Non c’è tempo per questo. Dovete preparare immediatamente le vostre cose e disporvi a partire con noi. Siamo stati mandati qui esclusivamente a questo scopo” tagliò corto l’uomo. Il ricco romano impallidì e tentò di protestare.

“Questo è impossibile. Tutto ciò che possiedo è qui, è un dono personale del Santo Padre” disse in tono lamentoso.  

“Beh, ora state per donare tutto ai Sassoni” ribatté Lancillotto, sarcastico. Quell’uomo gli aveva dato sui nervi fin dal primo istante in cui l’aveva visto.

“Cosa? Ma… no, vi sbagliate di certo, Roma manderà un esercito e…”

“L’ha già fatto: siamo noi. Adesso preparatevi, dobbiamo partire al più presto” replicò gelido Artù. I suoi cavalieri, intanto, sembravano nervosi e gironzolavano sui loro cavalli, lanciando occhiate di disapprovazione a tutto ciò che vedevano. Ora che avevano conosciuto la famiglia da salvare, quella missione sembrava loro ancora più spiacevole del previsto.

“Io mi rifiuto di partire. Questa è la mia terra e non la lascerò!” esclamò piccato Marius.

A quel punto Artù perse definitivamente la pazienza.

“Se non riconduco voi e la vostra famiglia sani e salvi al Vallo di Adriano, io e i miei uomini non potremo mai lasciare questo Paese. Perciò verrete con me, Marius Honorius, anche se dovessi legarvi dietro il mio cavallo e trascinarvi personalmente in questo modo fino a destinazione” disse con un tono che non lasciava dubbi sul fatto che lo avrebbe messo in pratica, se necessario. Poi, come per un ripensamento, aggiunse: “Mio signore.” 

Rosso di rabbia, ma senza trovare altri argomenti per controbattere, il romano si incamminò indispettito verso casa, urlando ordini alla moglie e ai servi perché preparassero ogni cosa per la partenza.

“Avete sentito?” continuò poi Artù, rivolto agli abitanti del villaggio. “Nessuno deve restare qui: i Sassoni stanno per arrivare. Chi è in grado di farlo prenda le sue cose e si diriga verso il Vallo, gli altri verranno con noi.”

La gente obbedì immediatamente. In quel momento giunse al galoppo Tristano. Galahad, che era rimasto immusonito e silenzioso fino a quel momento, fece per andargli incontro, sollevato di rivederlo sano e salvo; il cavaliere, però, lo ignorò e si diresse subito verso Artù.

“I Sassoni ci hanno aggirati e avanzano da sud per tagliarci ogni via di fuga” gli riferì, calmo ed essenziale come sempre.

“Quanti sono?”

“Un intero esercito. Saranno qui al tramonto, forse anche prima. Dobbiamo far presto.”

“Da dove passeremo?”

“Ci dirigeremo verso est. Ho individuato una pista. Dovremo passargli accanto, ma non c’è altra scelta. Piuttosto, Artù, chi è tutta questa gente?” chiese poi, notando gli abitanti del villaggio che si erano radunati in attesa.

“Loro vengono con noi” rispose lapidario il comandante, per prevenire eventuali lamentele. Tristano si limitò a scuotere la testa con un sorrisetto, come se la cosa non lo riguardasse affatto.

“Allora non ce la faremo” concluse.

Gli altri cavalieri si erano radunati per ascoltare. Galahad stavolta non riuscì a nascondere la sua stizza: ma come, Artù si era impegnato a riportare i suoi uomini sani e salvi e adesso metteva a repentaglio la loro vita per un gruppo di contadini sconosciuti? E, come se non bastasse, continuava a mandare Tristano in ricognizione, da solo, esposto a ogni pericolo. Ma lui non era più disposto ad accettare questo trattamento e si sarebbe fatto sentire! Artù non poteva trattarli come se fossero di sua proprietà, avevano una vita ed un futuro che li attendeva e non sarebbero morti in quella stupida missione voluta da Roma! 

   
 
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