Era da più di
tre mesi che Solaria era rinchiusa in quella stanza d’ospedale.
Subito
dopo il difficoltoso parto, avvenuto con tecniche magiche a causa dello stato
d’incoscienza della giovane donna, i medimedici l’avevano portata nel reparto
di rianimazione, le avevano messo una flebo e l’avevano attaccata ad una
macchina che le permetteva di respirare: le sue funzioni vitali erano ai
livelli minimi, e probabilmente, se non avessero agito in quel modo, sarebbe
morta.
Sirius le era stato accanto ogni singolo istante, assieme a
Gardenia. Molto spesso, quasi ogni pomeriggio, veniva anche a trovarli Remus,
non appena aveva concluso le lezioni di Difesa Contro le Arti Oscure ad
Hogwarts, e con lui qualche volta portava anche la piccola Tonks, che riusciva
sempre a risollevare il morale a tutti… o a fare perdere definitivamente le
staffe a Sirius, combinando uno dei suoi soliti, involontari, pasticci, e
permettendogli comunque così di sfogare tutta la sua frustrazione…(N.d.A.: povera Tonks…per
fortuna ha un animo d’acciaio!)
Anche James, quando poteva, veniva a trovarli: ma non era facile
per lui ritagliare uno sprazzo di tempo libero, preso com’era dal lavoro
(mancando un Auror dal servizio, gli altri dovevano lavorare di più) e dalla
moglie, che si avvicinava sempre più al parto e diveniva pertanto ogni giorno
più nervosa e irascibile.
Nelle ultime settimane però c’erano stati dei miglioramenti. La
febbre, che aveva devastato Solaria per tutto quel tempo, era scomparsa, e
l’attività del suo organismo era tornata a livelli normali, tanto che i
medimedici, ottimisti, l’avevano perfino staccata dal respiratore e avevano
assicurato Sirius che, entro pochi giorni, finalmente la moglie si sarebbe
risvegliata e sarebbe tornata come nuova, grazie soprattutto a tutte le pozioni
ricostituenti che le avevano somministrato.
Gardenia, seduta al capezzale di Solaria, accarezzò con dolcezza
i capelli della cugina, che sembrava dormire di un sonno beato.
Quando finalmente si sarebbe risvegliata, avrebbero dovuto
parlare di molte novità… la maggior parte delle quali probabilmente l’avrebbero
sorpresa parecchio. Altre, invece, l’avrebbero semplicemente fatta sorridere.
Come, ad esempio, la nascita del figlio di Lily un paio di
settimane prima, uno splendido bambino dai grandi occhioni verdi, che guardava
con curiosità tutto ciò che gli stava accanto.
Harry James Potter.
Il bambino che non sarebbe dovuto nascere ma, che grazie a
Solaria, era comunque riuscito a venire al mondo sconfiggendo il duro destino.
A questo pensiero la giovane sacerdotessa sorrise amaramente:
solitamente coloro che illudevano i piani che il destino aveva in serbo per
loro, poi venivano tartassati da esso per tutto il resto della loro vita.
Un sospiro la fece voltare, e i suoi occhi ricaddero sull’uomo
seduto ai piedi del letto, che teneva le mani strette intorno alla testa con
aria distrutta.
Sirius.
Come soffriva quel ragazzo.
Era rimasto al capezzale della moglie, ininterrottamente, per
quei tre mesi, dormendo sì e no due ore al giorno, tant’è che i medimedici di
quel reparto si erano preoccupati tantissimo. Ma nemmeno i consigli e le proteste
di questi esperti erano valse a farlo riposare un attimo, a staccare per più di
qualche ora lo sguardo dalla moglie.
Aveva accettato di dormire solamente quando le condizioni di
Solaria erano migliorate, ossia poche settimane prima, e questo gli aveva
giovato parecchio, anche se gli occhi tristi, la barba incolta ormai da tempo,
i capelli in disordine e gli abiti trasandati non gli davano certamente un
aspetto florido.
“Sirius, avanti, vai a dormire. Sei sveglio dalle quattro del
mattino, e ora sono le undici di notte. E’ meglio che ti riposi un poco anche
tu… anche perché, se Solaria quando si risveglia ti trova così, non oso
immaginare cosa tutto ti dirà!” Aggiunse poi, con tono ironico.
Sirius sollevò il capo dalle mani, e le sorrise. “Non vedo l’ora
che lo faccia… non sopporto vederla in queste condizioni. Mi ricorda troppo…”
Non finì la frase, portandosi una mano sugli occhi con fare disperato. Gli
ricordava troppo quando Solaria era entrata in stato catatonico per quasi un
anno… quando era diventata una sorta di bambola di porcellana, seduta su quel
letto d’oro, con quegli occhi vuoti che fissavano tutto ma in realtà nulla.
Una tortura per il suo cuore.
Gardenia sospirò: così non andava, in queste condizioni Sirius
avrebbe passato di nuovo una notte insonne.
Con calma la Grande sacerdotessa di Avalon si alzò dalla sedia
su cui era seduta, dirigendosi lentamente verso il marito di sua cugina. Una
volta al suo fianco, gli poggiò una mano sulla spalla, sussurrando
contemporaneamente, con la sua dolce voce, parole in runico, l’antica lingua
scritta attraverso geroglifici di cui ancora Avalon si serviva.
Subito Sirius si accasciò sul letto ai piedi di Solaria, colto
da un improvviso e profondo sonno.
Gardenia sorrise. Dormi Sirius, e riposa il tuo cuore. Presto
la tua sposa tornerà da te.
Uscì dalla stanza: era ora di andare a visitare qualcuno…
Appena mise piede fuori dalla porta però, i suoi occhi
incontrarono quelli dorati di una figura che si apprestava ad avvicinarsi
proprio alla sua stanza. Un uomo giovane, dai capelli biondicci e il viso
dolce, vestito in maniera molto semplice.
Gli sorrise.
Anche oggi Remus era venuto, seppure più tardi del solito.
“Buonasera Gardenia.” Le disse il ragazzo, sorridendole
lievemente.
“Buonasera Remus. Come stai?”
“Bene, ti ringrazio… anche se ho avuto una giornataccia. Alcuni
studenti sono usciti dalle loro stanze oltre l’orario del coprifuoco e sono
stati scoperti dal custode, così sono stato richiamato dal Preside, giacché uno
di questi piccoli delinquenti era Tonks!”
“Ormai sei divenuto l’angelo custode della cugina di Sirius!”
“Più che altro sono l’unico a cui da ascolto… Ma, tornando a
noi: come stanno? Solaria è al solito?”
“Migliora a vista d’occhio.”
“E Sirius?” Chiese Remus, con un po’ d’apprensione. “Immagino
che lui peggiori a vista d’occhio, invece…”
Gardenia sospirò, e rivolse all’uomo un piccolo sorriso. “Ora
dorme. Lo ho fatto addormentare io con un piccolo incantesimo. Solaria si sta
per risvegliare, e voglio che quando accada, Sirius stia bene.”
Remus assentì col capo, e abbassò lo sguardo, immerso nei suoi
pensieri. “Allora penso che non entrerò a salutarlo... non voglio disturbarlo.”
Mugugnò poi.
Gardenia rimase a guardarlo, mentre lui era indeciso sul da
farsi. In quell’ultimo periodo erano entrati in stretto contatto, tanto che ora
riusciva a tollerare la sua presenza senza sentirsi in imbarazzo. Aveva capito
che era un bravo ragazzo, molto dolce, che voleva un bene dell’anima ai suoi
amici. Niente in lui faceva presagire che una volta al mese, con la luna piena,
se non avesse avuto la sua miracolosa pillola si sarebbe trasformato in
licantropo, in un orrendo mostro dalla natura violenta, assetato di sangue e di
carne viva.
Incredibile come le due facce di una stessa medaglia potessero
essere così differenti.
“Se vuoi, puoi venire con me al reparto maternità. Dovrebbe
essere l’ora della poppata notturna.” Consigliò Gardenia, e Remus alzò il capo,
sorridendole e assentendo.
“Andiamo a vedere i marmocchi!” Disse poi, con un sorriso in
volto.
“Posso farti una domanda? E’ da tempo che questa idea mi gira
per la testa e…” Chiese Remus, con voce titubante, mentre camminavano per i
corridoi diretti al reparto maternità.
“Certo Remus.” Rispose immediatamente lei, tranquilla.
“Ecco… ho scorto da parecchio tempo il simbolo che tu hai in
mezzo alla fronte, e… e poi, quella notte, hai sposato Sirius e Solaria nelle
acque del lago di Hogwarts. Senza contare che conosci bene gli elementi della
natura, e quasi sembra che tu la domini…”
Gardenia sorrise. “Cosa mi vuoi chiedere?”
“Non voglio essere scortese…”
“Non lo sei, infatti. Solaria è stata costretta a tacere per
motivi superiori, ma se tu hai capito, sono lieta di spiegarti.” Disse
Gardenia, bloccandosi in mezzo al corridoio e guardandolo negli occhi.
“Sei una sacerdotessa di Avalon?”Chiese subito il ragazzo, con
uno strano nervosismo evidente sia nel suo tono di voce che nel suo sguardo.
“Sì. Sono la Grande Sacerdotessa della Dea Madre, la Dama del
Lago di Avalon.”
Remus rilasciò con uno strano senso di sollievo il respiro che
fino ad allora aveva trattenuto. “Ma, se tu sei qua… significa che voi
sacerdotesse avete deciso di aiutare il nostro mondo con le vostre visioni?”
Gardenia rimase in silenzio, guardando i suoi occhi come se volesse vedervi dentro il suo stesso spirito. “Tu ci odiavi, non è vero? Tu odiavi il nostro Ordine.” Disse poi.
Remus si portò una mano ai capelli, nervosamente. “Io... io non
potevo soffrire che delle persone, che avevano il potere di evitare tante
disgrazie, lasciassero volontariamente morire tanta gente. Fin da
bambino, da quando ho saputo dell’esistenza di Avalon e delle sibille e
veggenti che vi vivevano, ho odiato questo loro comportamento… Pensavo sempre
che…”
“…che…?” Chiese Gardenia, con un sorriso bonario sulle labbra,
che incoraggiò Remus ad andare avanti.
“Che se qualcuno… fosse intervenuto… quella notte… io …
…io non sarei un licantropo…
…e i miei genitori sarebbero ancora vivi.” Abbassò subito lo
sguardo, mentre il dolore di quei ricordi si riappropriava del suo animo.
Gardenia, timidamente, gli prese una mano, e la strinse nella
sua, mentre con l’altra alzava delicatamente il viso del giovane uomo,
costringendolo a guardarla nei suoi begli occhi azzurri.
“Il mio Ordine era da tempo amministrato da donne che condividevano
l’idea che, essendo il mondo esterno sempre più corroso dalla malvagità, non si
meritava il nostro aiuto. Così si limitavano ad adorare la Dea, rinchiuse
nell’isola sacra, subendo le terribili visioni di futuri catastrofici e
lasciando che esse divenissero realtà.
Non capivano che, se avessero fatto ciò per cui erano nate, il
mondo che loro tanto criticavano sarebbe anche potuto migliorare…
Sì Remus… mi dispiace dirti che, se le mie antenate avessero
eseguito davvero i loro compiti, tu probabilmente ora saresti un semplice mago,
e la tua famiglia sarebbe ancora viva.
Tante disgrazie si sarebbero potute evitare.
Ma… mi duole affermarlo… non serve a niente guardare il passato
con rimpianto.
Esso non può essere modificato.
Io, come Solaria e tutte coloro che condividono il nostro dono,
possiamo solamente modificare il futuro.
E ti posso assicurare che farò di tutto affinché, nell’avvenire,
non accada mai più nulla del genere. Non riusciremo magari a riparare i danni
che col passare del tempo si sono accumulati… ma faremo del nostro meglio per
evitare che nuovi compaiano.
Solaria in primis. Solaria darà la vita per tutti noi. Lei
pagherà il prezzo dell’errore di Avalon.”
Remus la fissava, gli occhi sbarrati dalla tristezza. “Allora è
vero quello che lessi nella biblioteca proibita di Hogwarts riguardo le
veggenti… Solaria morirà e nessuno si ricorderà di lei?!”
Gli occhi della sacerdotessa si riempirono di lacrime. “Forse…
forse Remus, forse… nessuno sa con esattezza come andranno le cose… nemmeno il
Destino.
E ti prego, non raccontare nulla di tutto ciò agli altri:
soffrirebbero troppo. E Solaria non vuole.”
“Va… va bene.”
Ripresero a camminare, mano nella mano, in silenzio, dirigendosi
quasi meccanicamente verso la loro meta.
Quando vi arrivarono, e videro dietro quel grande muro di vetro
del Reparto maternità tutti i bambini accoccolati nelle loro culle, che
dormivano dopo il meritato pasto, non poterono fare a meno che sorridere.
“Lotteremo per loro.” Disse Gardenia, poggiando la testa sulla
spalla di Remus. “Sperando che ciascuno di loro possa vivere la propria vita.”
“La bimba avrà il dono di Solaria?”
“Probabilmente sì… il dono può essere trasmesso solo alle figlie
femmine… o almeno, sono rari i casi in cui i maschi diventano veggenti.”
“Lei… soffrirà?”
Gardenia sospirò. “E’ molto probabile Remus… è molto probabile
che la sua vita sarà più difficile di quella della madre. Soprattutto…
soprattutto perché sarà sola.”
“Non sarà sola, Gardenia. Non sarà sola. E lo puoi vedere bene
anche tu.”
I due ragazzi rivolsero lo sguardo verso una culla in fondo alla
stanza.
Al suo interno, avvolta in una coperta rosa, stava una bambina
con una folta chioma nera.
Dormiva.
Al suo fianco, vispo, e sorridente, si trovava un bambino, con
la copertina celeste arrotolata ai suoi piedi. Rideva allegramente, battendo le
manine davanti a se, e guardando con i suoi lucenti occhi color dell’ambra
un’infermiera che, attirata dalla sua vivacità, gli si era accostata.
Sirius iniziò a sbattere le ciglia… cavoli, si era addormentato,
e non se ne era nemmeno reso conto.
Si passò una mano in faccia… ci doveva essere qualcosa, forse
una mosca, che gli stava in continuazione punzecchiando il viso: proprio un bel
risveglio, non c’è che dire.
Chiuse gli occhi e aprì la bocca per respirare, portando le
braccia dietro al collo per stiracchiarsi: certamente non aveva dormito in una
posizione comodo, aveva la schiena a pezzi…
“Cof cof…”
Iniziò a tossire. Mentre stava sbadigliando, qualcosa… qualcosa
di grosso… era volato dentro la bocca, e ci mancava poco che lo soffocasse!
Si infilò una mano in bocca, con gli occhi che continuavano a
lacrimare, e ne tolse fuori… beh ecco… era un aeroplanino di carta… piccolo
piccolo e fatto davvero male…
Una risata lo costrinse ad alzare lo sguardo.
E rimase del tutto basito quando vide Solaria, bella pimpante,
dondolarsi sul letto con le gambe incrociate, presa da una vera e propria crisi
d’ilarità.
“Avresti dovuto vedere la faccia che hai fatto! Sembravi un TUCANO!”
Disse poi, continuando a ridere come una pazza.
Sirius non perse altro tempo, si alzò di scatto dalla sedia su
cui si era addormentato quella notte e si gettò letteralmente sopra la moglie,
stringendola in un caldo abbraccio.
Solaria smise subito di ridere, e con un sorriso felice si godette
quella calda e affettuosa stretta, che da tanto ormai non sentiva più attorno
al suo corpo.
“Mi sei mancato…” Gli disse lei. “Ti sentivo. Sentivo che eri
vicino a me, ma non riuscivo a raggiungerti. Mi spiace averti fatto soffrire
un’altra volta così tanto.”
Sirius la scostò un poco da se, il tanto giusto per poterla
guardare negli occhi, tuffandosi poi con estremo ardore a baciare le sue grandi
labbra rosse.
Poco dopo Solaria si scostò, mettendosi a ridere. “La tua barba
mi fa il solletico!” Spiegò poi, guardandolo divertita.
Anche Sirius sorrise, accarezzandole quelle guance tonde e
rubiconde, che tanto la facevano assomigliare ancora ad una bambina.
“Non riuscivo ad allontanarmi da te…” Commentò lui.
“Mi dispiace, davvero… se fossi stata più attenta e avessi dato
ascolto a Gardenia, permettendole di controllare lo stato della gravidanza,
tutto questo non sarebbe successo.”
“Non importa Soly… non importa. Ora voglio solo averti vicino.”
Rispose il ragazzo, stringendola di nuovo a se. “Anche se hai tentato di
ammazzarmi!” Aggiunse poi, sorridendole.
La giovane donna scoppiò subito di nuovo a ridere. “Mi sono
svegliata e non sapevo che fare! Così, dopo che la medimaga mi ha tolto la
flebo, mi sono messa a guardarti sperando che ti alzassi in fretta.
Ma tu non ti sbrigavi e così ho iniziato a fare dei
mostriciattoli con la pergamena che ho trovato qua vicino, e te li ho tirati
addosso!”
“Me li hai…” Sirius si voltò, guardando il posto in cui prima
era seduto.
Tutta l’estremità del letto, nonché lo spazio intorno ad esso e
intorno alla sedia su cui si era addormentato, era letteralmente ricoperto da
un mare di animaletti di pergamena.
Ecco cos’erano quei pizzichi fastidiosi che l’avevano svegliato…
altro che mosche!
Non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere a lacrime, per le
pazze idee che venivano alla moglie e anche per la felicità di riaverla di
nuovo al suo fianco, viva e allegra.
“Ehi, che c’è da ridere?!” Chiese questa, facendo finta di
essersi offesa.
“Sei assurda, Soly!”
“Senti chi parla… ti posso dire che sembri davvero un orso?”
“No.”
“Va bene, allora non te lo dico. – assentì lei, tranquillamente.
Tanto l’aveva già detto…- Però mi spieghi tu dov’è finito il mio ripieno?”
Sbottò poi, guardando interrogamene il marito, che per tutta risposta la fissò
con la sua stessa espressione
Solaria sbuffò. “Ma sì, Sirius! Possibile che tu non capisca mai
nulla? Te lo ricordi che per otto mesi interi avevo una pancia gigantesca?”
“Già, sembravi una palla…”
“Magari fossi stata una palla! Almeno per muovermi mi sarebbe
bastato rotolare… No, comunque: dov’è il mio ripieno?”
“Non è un bel modo per chiamare i tuoi figli!”
“Vabbè, dov’è la marmocchia?”
La porta si aprì, e una giovane infermiera si affacciò, con un
piccolo involucro di coperte in mano. Sirius sorrise e, alzandosi dal letto,
ringraziò la donna e le prese il pacco dalle mani.
“L’altra arriva subito. Ce l’ha la signorina Gardenia.” Disse
l’infermiera, prima di andarsene.
Sirius si avvicinò al letto, tenendo fissi gli occhi,
incredibilmente dolci, sull’involucro che teneva in mano, da cui si iniziavano a
sentire provenire risate divertite.
Poi passò il piccolo pacco a Solaria, che lo guardava con un
sorriso sulle labbra e gli occhi scintillanti per la commozione.
Appena lo vide, il sorriso si allargò ancora di più. Le erano
sempre piaciuti i bambini! E quello era così tenero…
Aveva grandi occhi color ambra, un incredibile ciuffo biondo
sulla testa e pelle d’albicocca. Senza contare che era così dolce mentre
sorrideva con quella sua sottile bocca sdentata e portava le manine in avanti,
tentando di toccare il viso di Solaria, che si divertiva a farlo ridere facendo
delle incredibili boccacce.
“Che tesoro! Chi è?!”
Chiese, guardando il marito con sincerità.
Sirius si leccò le labbra, divertito. “E’ nostro figlio.” Disse
poi, con gli occhi scintillanti per la felicità.
Solaria lo fissò stranita. “Cosa?!” Gridò poi.
“Hai avuto due gemelli, Soly! Non dirmi che non lo sapevi,
perché lo ho capito che volevi farmi una sorpresa!- disse Sirius, avvicinandosi
a lei- e devo dire che è stata davvero ben accetta!” Aggiunse il ragazzo,
coinvolgendo la moglie in un bacio passionale.
Ma Solaria, ancora molto scossa dalla novità, non rispose per
niente al gentile ringraziamento del marito; anzi, si staccò poco dopo e
riprese a guardare il bambino che teneva in braccio con la bocca aperta e gli
occhi spalancati per lo stupore.
Si voltò infine da Sirius, che la fissava con un sopracciglio
alzato, e fece una risatina isterica.
Subito dopo la porta si aprì, ed entrò nella stanza Gardenia,
che teneva in mano un altro fagotto. Non appena vide la cugina sveglia, e
soprattutto, l’espressione che aveva sul volto mentre teneva il bambino in
mano, le si avvicinò con un sorriso sulle labbra.
“Soly! Come stai?!” Le chiese,
dolce.
“L’hai visto questo?!” Chiese invece la ragazza indicando il
bambino che continuava a ridere.
“Certo che l’ho visto! E ho visto anche lei!” Disse Gardenia,
sedendosi al suo fianco e mostrandole il piccolo contenuto del suo involucro.
Era una bambina… una bellissima bambina, dalla pelle rosata e i
grandi occhi grigi, che la fissavano curiosi mentre la piccola si assaporava le
ditina della mano infilandole nella grande bocca rossa a cuore.
Sulla fronte, poi, erano disegnate due volute di lacrime nere, che
partendo dal centro si diramavano all’esterno, dando maggiore profondità a
quello sguardo metallico: era il simbolo delle future sacerdotesse di Avalon, o
perlomeno, di coloro che avrebbero potuto diventare dame del Lago.
Tutte le bambine nate da un matrimonio benedetto dalla Dea
avevano quel simbolo.
“E già… lei l’avevo vista anche io…” Commentò Soly, mentre un
sorriso le compariva sulle labbra. “La piccola Selene… mamma mia quant’è bella
il mio tesorino!” Disse, avvicinandosi alla bimba e schioccandole un sonoro
bacio sulla guancia.
Poi ritornò a guardare il bambino, prendendolo sotto le ascelle
e portandolo davanti ai suoi occhi.
Rimase in silenzio per un po’, mentre Gardenia e Sirius la
fissavano interrogativamente, poi scosse la testa.
“No, non va bene! Anche lui è tutto a suo padre!” Disse poi.
“Ma non è vero! Guarda, è biondo come te! E ha il colore dei
tuoi occhi… senza contare che anche la pelle è uguale alla tua, io non ce l’ho
così scura!” Disse subito Sirius, prendendole il bambino dalle mani e tenendolo
sul suo grembo.
“Sì, ma ha i tuoi lineamenti! Guarda, ha le tue labbra
invisibili, e il visino, sono certa, è proprio il tuo! Soprattutto il naso…”
“Ah sì, per fortuna anche Selene ha il naso uguale al mio! Ci
mancherebbe altro che fossero nati col tuo naso a patata…”
“Ehi! Il mio naso è bellissimo!”
“…e speriamo che abbiano preso da me anche l’altezza…”
“Pfiu! Sirius Black, ti disconosco come padre di questi due
bambini! Li ho fatti con un altro!”
“Mi dispiace, hanno già fatto
l’analisi del sangue! Hanno tutti e due il tuo stesso gruppo sanguigno!”
“Questo dimostra che sono figli miei e
non tuoi!”
“Va bene, come vuoi tu. Allora, come
hai deciso di chiamare il nostro marmocchio?!” Chiese subito dopo Sirius.
“Cosa?!”
“Sì Soly: io ho scelto il nome della
bambina, tu devi scegliere quello del piccolo Blacknimbus!”
Solaria rimase senza parole. Cosa
doveva fare lei?! Dare un nome a quel piccolo marmocchio?! Ma… ma no… non
poteva… cavoli, non sapeva nemmeno che sarebbe venuto al mondo! Lui… lui era
nessuno fino a poco tempo prima… ed ora invece…
“Allora, come lo chiami?” Chiese
Sirius, guardando divertito il bambino che si dilettava a mangiucchiare il dito
del padre.
“Boh…” Disse Solaria. “Gardy, come lo
chiamo?!” Disse poi, rivolgendosi verso la cugina.
“Niente suggerimenti!” Ordinò però
Sirius.
Solaria sbuffò, e prese la piccola
Selene dalle braccia di Gardenia. “Selene… come chiamiamo il tuo fratellino,
eh?!”
“Ti ho detto nessun suggerimento…”
“E se lo chiamiamo Sirius?”
“Che fantasia che hai, Soly!”
“Antinoo.”
“Ma come ti è saltato in testa?!”
Sbottò Sirius, guardandola orripilato.
“Già, è vero… gli starebbe meglio
Odisseo…” Commentò Solaria, ricordando che il nome Odisseo significava per
l’appunto ‘nessuno’. “Che ne dici se lo chiamiamo Nemo?!” Aggiunse poi.
“Che nome anonimo!”
“Invece gli calza a pennello…”
“Solaria, muoviti! Sono tre mesi che
nostro figlio vive senza sapere nemmeno come si chiama!”
“Beh... potremmo lasciarlo senza
nome... così quando abbiamo bisogno di chiamarlo, ne spariamo uno a caso, tu
quello che preferisci, io il primo che mi salta in testa; e lui ci ringrazierà
perché, quando vorrà fare finta di non averci sentito chiamarlo, dirà che
quello non era il suo nome…”
“Muoviti…” Ordinò Sirius, perentorio.
Era meglio troncare in fretta il fiume di cavolate che la moglie stava per
riversare…
Solaria sbuffò di nuovo, reclinando la
testa sullo schienale del letto e portandosi Selene sul petto. Lei non era mai
stata molto brava con i nomi… in questo campo non aveva mai avuto tanta
fantasia, senza contare che spesso si dimenticava i nomi delle persone che
conosceva…
E ora, doveva decidere addirittura il
nome del figlio. Con Selene era stato facile, aveva fatto tutto Sirius e lei
non aveva avuto nulla da obiettare. Ma, a quanto pare, questa volta il marito
pretendeva che fosse lei a scegliere come chiamare il loro bambino.
Non voleva che fosse un nome banale.
Tutti, nella sua famiglia e nella famiglia di Sirius, avevano un nome con un
significato particolare.
E anche per quel bambino inatteso
doveva essere lo stesso.
Guardò Selene, poi il bel fratellino.
Infine, guardò di nuovo Selene.
Perché era nato quel bambino se non
per proteggere sua sorella? Altrimenti, non si sarebbe potuto spiegare in altro
modo questo nuovo gioco del destino. Quel bambino sarebbe diventato l’angelo
custode di Selene, colui che l’avrebbe aiutata in qualunque momento, colui che
le avrebbe indicato le vie giuste da scegliere. Colui che le sarebbe rimasto
per sempre vicino.
Colui che l’avrebbe difesa.
“Alèxandros.” Disse Solaria, gli occhi
fissi su quelli grigi della figlia.
“Aléxandros? Niente male… ma perché
non Alexànder?” Chiese Sirius.
“Perché Alexander è troppo comune, e
ci vuole un nome speciale per un bambino speciale nato da una mamma
specialissima.” Spiegò Solaria.
Sirius sorrise: in fondo, la modestia
non era mai stata una delle sue doti… e questa era l’ennesima caratteristica
che loro due avevano in comune!
“Va bene. Allora: Benvenuto in
famiglia, Alèxandros Blacknimbus.”
“Colui che protegge il suo popolo.”
Sussurrò Gardenia, fissando la cugina negli occhi.
Solaria assentì col capo, voltandosi
poi a guardare il bambino. “E’ questo il suo destino.”
Nemmeno una settimana dopo Solaria fu
rispedita a casa insieme ai bambini.
Fatto sta che il piccolo appartamento
di King’s Cross Road sembrava essere divenuto troppo stretto per accogliere
cinque persone, senza contare che il dipartimento Principale degli Auror lo
richiedeva per ospitare nuovi allievi.
Per fortuna Remus Lupin, comparendo
un giorno in mezzo al salotto durante una fragorosa lite fra Sirius e Solaria
sul colore delle lenzuola della culla dei bambini, offrì gentilmente loro la sua
casa di campagna nel Galles: lui avrebbe vissuto in loro compagnia solo durante
l’estate, dato che, con l’arrivo di settembre, si spostava ad alloggiare ad
Hogwarts.
E Solaria e Sirius, alla fine, dopo
tanta insistenza del loro amico, accettarono.
Anche perché, l’unica alternativa,
sarebbe stata ritornare alla villa Nimbus in Francia. E nessuno di loro, tanto
meno Solaria, voleva rientrare in quel posto, pieno di ricordi troppo tristi…
senza contare che la presenza di una piccola schiera di Auror dell’ordine della
Fenice non avrebbe certamente garantito tranquillità e sicurezza per la
famigliola.
Così, ad Agosto inoltrato, si ritirarono tutti nella villa dei
Lupin.
Sirius e Remus raccontarono a Solaria
e Gardenia come loro e James l’avessero rimessa a posto, qualche anno prima,
grazie soprattutto all’aiuto di Lily. Se non ci fosse stata lei, probabilmente
alla fine sarebbero morti di stenti giacché la casa era così caotica che i
mobili impedivano l’accesso a qualsiasi stanza, soprattutto quella per loro più
vitale: la cucina.
Insomma, l’estate passò piuttosto
allegramente e, prima dell’avvento di settembre, a casa Lupin fu programmata un’allegra
cenetta fra amici, a cui avrebbero partecipato i Potter, Tonks e Peter Minus,
che Solaria non aveva ancora avuto il piacere di rivedere dopo il suo rientro.
Solaria passeggiava per il giardino,
sotto i grandi alberi che riparavano dal sole e lasciavano godere un po’ di
frescura, tanto ambita in quell’estate stranamente torrida.
I bambini dormivano. Sirius era a
lavoro. Gardenia e Lupin stavano preparando la cena: incredibile quanto quei
due fossero diventati uniti negli ultimi tempi.
Sorrise a questo pensiero: erano
davvero una coppia perfetta. Tutti e due molto pacati, semplici, intelligenti,
altruisti. Tutti e due così timidi… si chiedeva quando Remus si decidesse a
fare la prima mossa con sua cugina… perché, se aspettava che Gardenia facesse
qualcosa, l’attesa sarebbe durata fin’oltre la tomba…
Si sedette sotto un albero, fra l’erba
alta.
La testa le faceva lievemente male.
Trattenere tutte quelle visioni era
piuttosto difficile, le costava molte energie, senza contare che comunque esse
si accumulavano nella sua mente come una pila di compiti non fatti sulla
scrivania di uno studente poco dedito al suo lavoro…
Ogni tanto, era meglio affrontare
anche quella difficile faccenda. Altrimenti la testa, prima o poi, le sarebbe
scoppiata perché troppo piena…!
Chiuse gli occhi e sospirò.
Lentamente, molto lentamente, abbassò le difese, tenendo comunque sotto
controllo la sua empatia: non poteva permettere che le visioni le procurassero
dolore fisico, perché altrimenti riprendere il dominio sopra esse sarebbe stato
molto difficile e avrebbe corso seri rischi di rimanere stecchita dalla loro aggressività.
Subito un mare di immagini e di
sentimenti invasero la sua mente, come un fiume in piena irrompe su una diga
appena crollata. Solo, questa volta gli effetti devastatori erano molto
limitati.
Lievi fitte alla testa furono il danno
di quell’irruenza.
Eppure, molte di quelle immagini le causarono
forte dolore al cuore.
Come ad esempio la triste storia dell’amore
fra Remus e Narcissa. Leggeva nella mente del suo amico quanto fosse stata
difficile la fine di quel rapporto, il suo rancore verso la donna che per tanto
tempo aveva amato. La sua delusione per ciò che aveva fatto.
Non poteva credere che Narcissa fosse
cambiata così tanto. Sì, è vero, prima di partire aveva sentito che il suo
cuore si era indurito molto. Ma Narcissa non era un mostro… non lo era mai
stata, e anche se il male delle famiglie in cui viveva le aveva avvelenato il
sangue, era abbastanza forte per uscire vincitrice anche da un tale attacco.
Cercò dunque la dolce cugina di Sirius
con la mente. E la trovò ben presto, seduta in un candido giardino di una
splendida villa che sicuramente doveva essere Malfoy Manor.
Era triste. Il suo cuore ancora
soffriva per ciò che aveva fatto all’unico uomo che avesse mai amato. Aveva
capito il suo errore. Aveva capito di essere stata debole a farsi soggiogare in
tal modo dalla vendetta.
Ma non si era pentita di ciò che aveva
fatto. Era fiera di ciò che aveva offerto al bambino che ora teneva in braccio,
il piccolo Draco, che guardava con curiosità una margherita che la madre gli
aveva messo in mano.
La possibilità di essere libero.
Sperava solo che la malvagità del
padre non oscurasse anche il suo cuore, riducendolo schiavo dei suoi ideali.
Draco era un bambino molto particolare…
quando stava in compagnia della madre, si comportava normalmente, come ogni
altro bimbo: curioso, molto curioso, attento, sempre vigile, sorridente e
allegro.
Quando era col padre, cambiava… non
rideva più, i suoi occhi rimanevano immobili, vitrei, fissi sulle cose orribili
che gi venivano mostrate, senza alcun sentimento espresso sopra.
Come quando Lucius lo aveva fatto
assistere alla decapitazione di un elfo domestico. Del sangue era schizzato
dappertutto, e un po’ era andato a macchiare il viso del bel bambino, che era
rimasto impassibile, ancora gli occhi fissi sulla testa mozzata della brutta
creatura.
Dopo quell’evento, per un’intera
settimana aveva continuato a schiacciare con particolare studio e freddo
divertimento tutti gli insetti, tutti i piccoli animaletti che gli passavano
vicino in giardino.
Voleva vedere il sangue: Narcissa lo
aveva definitivamente capito un giorno che, dopo aver afferrato e strappato le
ali ad una farfalla, il bambino l’aveva messa sotto i piedi e l’aveva
schiacciata per bene contro il pavimento, finché non aveva visto un poco di
quella ambita sostanza rossastra.
Narcissa, allibita, lo aveva preso in
braccio e gli aveva gridato che non doveva più fare cose del genere. E il
bambino era rimasto così, immobile, a fissarla.
Pochi giorni dopo, finalmente, pareva
essere tornato quello di sempre.
Il marito aveva una cattiva influenza su di lui. Influenza che, comunque, era sempre maggiore di quella sua su Draco. Lucius faceva più danni rimanendo pochi istanti con il figlio, che Narcissa cose buone rimanendo perennemente al suo fianco.
Era dunque
giunta ad una conclusione: Draco aveva bisogno di amici. Di semplici bambini…
che riuscissero a sedare con la loro ingenua allegria il mostro che il padre
lentamente stava risvegliando in lui.
Appena si allontanò dalla mente di Narcissa, nuove immagini le apparvero.
Provenivano da Sirius.
Sicuramente il marito era appena
rientrato da lavoro, ecco perché la sua aura era così vicina.
Lesse in lui la sua gran voglia di
rivederla, e di rivedere i suoi due marmocchi, e sorrise.
Quanto li adorava! Anche se il piccolo
Alex stava diventando ogni giorno più simile, caratterialmente, alla madre…
incredibile come qualsiasi cosa riuscisse a farlo divertire, rideva per tutto e
per tutti!
Selene, invece, era più pacata. Forse,
assomigliava di più a lui… anche se anche lui non era propriamente uno stinco
di santo…
Magari aveva ereditato i geni della
famiglia di Solaria. In fondo, Gardenia era una ragazza tranquilla e
intelligente…. Ed effettivamente, negli occhi di Selene leggeva la stessa amara
rassegnazione, lo stesso peso… che aveva letto negli occhi della sua Solaria,
ed in quelli di Urania. Eppure era solo una bambina…
Urania?!
Solaria corrugò la fronte,
concentrandosi più a fondo sui ricordi del marito.
Fu così che venne a conoscenza del suo
piccolo incontro con Silente… della storia di sua madre… e della vera identità
del preside.
Albus Silente
era suo nonno.
Aprì gli occhi di scatto, richiudendo
subito la sua mente. Era meglio finirla così, le scoperte di cui era entrata a
conoscenza erano davvero troppo pesanti…
Narcissa un angelo rinchiuso nell’inferno…
Draco un piccolo demone in quarantena… Silente suo nonno…
Bah… a quante cose doveva porre
rimedio, prima di lasciare definitivamente questo mondo.