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Autore: kishal    23/06/2005    1 recensioni
La vita dei Malandrini, ora che un importante membro del loro gruppo li ha dovuti lasciare, anche se per un tempo relativamente breve....
Genere: Avventura, Azione, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'La vera storia dei Malandrini'
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Era da più di tre mesi che Solaria era rinchiusa in quella stanza d’ospedale

 

 

Era da più di tre mesi che Solaria era rinchiusa in quella stanza d’ospedale.

Subito dopo il difficoltoso parto, avvenuto con tecniche magiche a causa dello stato d’incoscienza della giovane donna, i medimedici l’avevano portata nel reparto di rianimazione, le avevano messo una flebo e l’avevano attaccata ad una macchina che le permetteva di respirare: le sue funzioni vitali erano ai livelli minimi, e probabilmente, se non avessero agito in quel modo, sarebbe morta.

Sirius le era stato accanto ogni singolo istante, assieme a Gardenia. Molto spesso, quasi ogni pomeriggio, veniva anche a trovarli Remus, non appena aveva concluso le lezioni di Difesa Contro le Arti Oscure ad Hogwarts, e con lui qualche volta portava anche la piccola Tonks, che riusciva sempre a risollevare il morale a tutti… o a fare perdere definitivamente le staffe a Sirius, combinando uno dei suoi soliti, involontari, pasticci, e permettendogli comunque così di sfogare tutta la sua frustrazione…(N.d.A.: povera Tonks…per fortuna ha un animo d’acciaio!)

Anche James, quando poteva, veniva a trovarli: ma non era facile per lui ritagliare uno sprazzo di tempo libero, preso com’era dal lavoro (mancando un Auror dal servizio, gli altri dovevano lavorare di più) e dalla moglie, che si avvicinava sempre più al parto e diveniva pertanto ogni giorno più nervosa e irascibile.

 

Nelle ultime settimane però c’erano stati dei miglioramenti. La febbre, che aveva devastato Solaria per tutto quel tempo, era scomparsa, e l’attività del suo organismo era tornata a livelli normali, tanto che i medimedici, ottimisti, l’avevano perfino staccata dal respiratore e avevano assicurato Sirius che, entro pochi giorni, finalmente la moglie si sarebbe risvegliata e sarebbe tornata come nuova, grazie soprattutto a tutte le pozioni ricostituenti che le avevano somministrato.

 

 

Gardenia, seduta al capezzale di Solaria, accarezzò con dolcezza i capelli della cugina, che sembrava dormire di un sonno beato.

Quando finalmente si sarebbe risvegliata, avrebbero dovuto parlare di molte novità… la maggior parte delle quali probabilmente l’avrebbero sorpresa parecchio. Altre, invece, l’avrebbero semplicemente fatta sorridere.

Come, ad esempio, la nascita del figlio di Lily un paio di settimane prima, uno splendido bambino dai grandi occhioni verdi, che guardava con curiosità tutto ciò che gli stava accanto.

Harry James Potter.

Il bambino che non sarebbe dovuto nascere ma, che grazie a Solaria, era comunque riuscito a venire al mondo sconfiggendo il duro destino.

A questo pensiero la giovane sacerdotessa sorrise amaramente: solitamente coloro che illudevano i piani che il destino aveva in serbo per loro, poi venivano tartassati da esso per tutto il resto della loro vita.

 

Un sospiro la fece voltare, e i suoi occhi ricaddero sull’uomo seduto ai piedi del letto, che teneva le mani strette intorno alla testa con aria distrutta.

Sirius.

Come soffriva quel ragazzo.

Era rimasto al capezzale della moglie, ininterrottamente, per quei tre mesi, dormendo sì e no due ore al giorno, tant’è che i medimedici di quel reparto si erano preoccupati tantissimo. Ma nemmeno i consigli e le proteste di questi esperti erano valse a farlo riposare un attimo, a staccare per più di qualche ora lo sguardo dalla moglie.

Aveva accettato di dormire solamente quando le condizioni di Solaria erano migliorate, ossia poche settimane prima, e questo gli aveva giovato parecchio, anche se gli occhi tristi, la barba incolta ormai da tempo, i capelli in disordine e gli abiti trasandati non gli davano certamente un aspetto florido.

 

“Sirius, avanti, vai a dormire. Sei sveglio dalle quattro del mattino, e ora sono le undici di notte. E’ meglio che ti riposi un poco anche tu… anche perché, se Solaria quando si risveglia ti trova così, non oso immaginare cosa tutto ti dirà!” Aggiunse poi, con tono ironico.

Sirius sollevò il capo dalle mani, e le sorrise. “Non vedo l’ora che lo faccia… non sopporto vederla in queste condizioni. Mi ricorda troppo…” Non finì la frase, portandosi una mano sugli occhi con fare disperato. Gli ricordava troppo quando Solaria era entrata in stato catatonico per quasi un anno… quando era diventata una sorta di bambola di porcellana, seduta su quel letto d’oro, con quegli occhi vuoti che fissavano tutto ma in realtà nulla.

Una tortura per il suo cuore.

 

Gardenia sospirò: così non andava, in queste condizioni Sirius avrebbe passato di nuovo una notte insonne.

Con calma la Grande sacerdotessa di Avalon si alzò dalla sedia su cui era seduta, dirigendosi lentamente verso il marito di sua cugina. Una volta al suo fianco, gli poggiò una mano sulla spalla, sussurrando contemporaneamente, con la sua dolce voce, parole in runico, l’antica lingua scritta attraverso geroglifici di cui ancora Avalon si serviva.

Subito Sirius si accasciò sul letto ai piedi di Solaria, colto da un improvviso e profondo sonno.

Gardenia sorrise. Dormi Sirius, e riposa il tuo cuore. Presto la tua sposa tornerà da te.

 

Uscì dalla stanza: era ora di andare a visitare qualcuno…

Appena mise piede fuori dalla porta però, i suoi occhi incontrarono quelli dorati di una figura che si apprestava ad avvicinarsi proprio alla sua stanza. Un uomo giovane, dai capelli biondicci e il viso dolce, vestito in maniera molto semplice.

Gli sorrise.

Anche oggi Remus era venuto, seppure più tardi del solito.

“Buonasera Gardenia.” Le disse il ragazzo, sorridendole lievemente.

“Buonasera Remus. Come stai?”

“Bene, ti ringrazio… anche se ho avuto una giornataccia. Alcuni studenti sono usciti dalle loro stanze oltre l’orario del coprifuoco e sono stati scoperti dal custode, così sono stato richiamato dal Preside, giacché uno di questi piccoli delinquenti era Tonks!”

“Ormai sei divenuto l’angelo custode della cugina di Sirius!”

“Più che altro sono l’unico a cui da ascolto… Ma, tornando a noi: come stanno? Solaria è al solito?”

“Migliora a vista d’occhio.”

“E Sirius?” Chiese Remus, con un po’ d’apprensione. “Immagino che lui peggiori a vista d’occhio, invece…”

Gardenia sospirò, e rivolse all’uomo un piccolo sorriso. “Ora dorme. Lo ho fatto addormentare io con un piccolo incantesimo. Solaria si sta per risvegliare, e voglio che quando accada, Sirius stia bene.”

Remus assentì col capo, e abbassò lo sguardo, immerso nei suoi pensieri. “Allora penso che non entrerò a salutarlo... non voglio disturbarlo.” Mugugnò poi.

Gardenia rimase a guardarlo, mentre lui era indeciso sul da farsi. In quell’ultimo periodo erano entrati in stretto contatto, tanto che ora riusciva a tollerare la sua presenza senza sentirsi in imbarazzo. Aveva capito che era un bravo ragazzo, molto dolce, che voleva un bene dell’anima ai suoi amici. Niente in lui faceva presagire che una volta al mese, con la luna piena, se non avesse avuto la sua miracolosa pillola si sarebbe trasformato in licantropo, in un orrendo mostro dalla natura violenta, assetato di sangue e di carne viva.

Incredibile come le due facce di una stessa medaglia potessero essere così differenti.

 

“Se vuoi, puoi venire con me al reparto maternità. Dovrebbe essere l’ora della poppata notturna.” Consigliò Gardenia, e Remus alzò il capo, sorridendole e assentendo.

“Andiamo a vedere i marmocchi!” Disse poi, con un sorriso in volto.

 

 

 

“Posso farti una domanda? E’ da tempo che questa idea mi gira per la testa e…” Chiese Remus, con voce titubante, mentre camminavano per i corridoi diretti al reparto maternità.

“Certo Remus.” Rispose immediatamente lei, tranquilla.

“Ecco… ho scorto da parecchio tempo il simbolo che tu hai in mezzo alla fronte, e… e poi, quella notte, hai sposato Sirius e Solaria nelle acque del lago di Hogwarts. Senza contare che conosci bene gli elementi della natura, e quasi sembra che tu la domini…”

Gardenia sorrise. “Cosa mi vuoi chiedere?”

“Non voglio essere scortese…”

“Non lo sei, infatti. Solaria è stata costretta a tacere per motivi superiori, ma se tu hai capito, sono lieta di spiegarti.” Disse Gardenia, bloccandosi in mezzo al corridoio e guardandolo negli occhi.

“Sei una sacerdotessa di Avalon?”Chiese subito il ragazzo, con uno strano nervosismo evidente sia nel suo tono di voce che nel suo sguardo.

“Sì. Sono la Grande Sacerdotessa della Dea Madre, la Dama del Lago di Avalon.”

Remus rilasciò con uno strano senso di sollievo il respiro che fino ad allora aveva trattenuto. “Ma, se tu sei qua… significa che voi sacerdotesse avete deciso di aiutare il nostro mondo con le vostre visioni?”

Gardenia rimase in silenzio, guardando i suoi occhi come se volesse vedervi dentro il suo stesso spirito. “Tu ci odiavi, non è vero? Tu odiavi il nostro Ordine.” Disse poi.

Remus si portò una mano ai capelli, nervosamente. “Io... io non potevo soffrire che delle persone, che avevano il potere di evitare tante disgrazie, lasciassero volontariamente morire tanta gente. Fin da bambino, da quando ho saputo dell’esistenza di Avalon e delle sibille e veggenti che vi vivevano, ho odiato questo loro comportamento… Pensavo sempre che…”

“…che…?” Chiese Gardenia, con un sorriso bonario sulle labbra, che incoraggiò Remus ad andare avanti.

“Che se qualcuno… fosse intervenuto… quella notte… io …

…io non sarei un licantropo…

…e i miei genitori sarebbero ancora vivi.” Abbassò subito lo sguardo, mentre il dolore di quei ricordi si riappropriava del suo animo.

 

Gardenia, timidamente, gli prese una mano, e la strinse nella sua, mentre con l’altra alzava delicatamente il viso del giovane uomo, costringendolo a guardarla nei suoi begli occhi azzurri.

“Il mio Ordine era da tempo amministrato da donne che condividevano l’idea che, essendo il mondo esterno sempre più corroso dalla malvagità, non si meritava il nostro aiuto. Così si limitavano ad adorare la Dea, rinchiuse nell’isola sacra, subendo le terribili visioni di futuri catastrofici e lasciando che esse divenissero realtà.

Non capivano che, se avessero fatto ciò per cui erano nate, il mondo che loro tanto criticavano sarebbe anche potuto migliorare…

Sì Remus… mi dispiace dirti che, se le mie antenate avessero eseguito davvero i loro compiti, tu probabilmente ora saresti un semplice mago, e la tua famiglia sarebbe ancora viva.

Tante disgrazie si sarebbero potute evitare.

Ma… mi duole affermarlo… non serve a niente guardare il passato con rimpianto.

Esso non può essere modificato.

Io, come Solaria e tutte coloro che condividono il nostro dono, possiamo solamente modificare il futuro.

E ti posso assicurare che farò di tutto affinché, nell’avvenire, non accada mai più nulla del genere. Non riusciremo magari a riparare i danni che col passare del tempo si sono accumulati… ma faremo del nostro meglio per evitare che nuovi compaiano.

Solaria in primis. Solaria darà la vita per tutti noi. Lei pagherà il prezzo dell’errore di Avalon.”

 

Remus la fissava, gli occhi sbarrati dalla tristezza. “Allora è vero quello che lessi nella biblioteca proibita di Hogwarts riguardo le veggenti… Solaria morirà e nessuno si ricorderà di lei?!”

Gli occhi della sacerdotessa si riempirono di lacrime. “Forse… forse Remus, forse… nessuno sa con esattezza come andranno le cose… nemmeno il Destino.

E ti prego, non raccontare nulla di tutto ciò agli altri: soffrirebbero troppo. E Solaria non vuole.”

“Va… va bene.”

 

Ripresero a camminare, mano nella mano, in silenzio, dirigendosi quasi meccanicamente verso la loro meta.

Quando vi arrivarono, e videro dietro quel grande muro di vetro del Reparto maternità tutti i bambini accoccolati nelle loro culle, che dormivano dopo il meritato pasto, non poterono fare a meno che sorridere.

“Lotteremo per loro.” Disse Gardenia, poggiando la testa sulla spalla di Remus. “Sperando che ciascuno di loro possa vivere la propria vita.”

“La bimba avrà il dono di Solaria?”

“Probabilmente sì… il dono può essere trasmesso solo alle figlie femmine… o almeno, sono rari i casi in cui i maschi diventano veggenti.”

“Lei… soffrirà?”

Gardenia sospirò. “E’ molto probabile Remus… è molto probabile che la sua vita sarà più difficile di quella della madre. Soprattutto… soprattutto perché sarà sola.”

 

“Non sarà sola, Gardenia. Non sarà sola. E lo puoi vedere bene anche tu.”

 

I due ragazzi rivolsero lo sguardo verso una culla in fondo alla stanza.

Al suo interno, avvolta in una coperta rosa, stava una bambina con una folta chioma nera.

Dormiva.

Al suo fianco, vispo, e sorridente, si trovava un bambino, con la copertina celeste arrotolata ai suoi piedi. Rideva allegramente, battendo le manine davanti a se, e guardando con i suoi lucenti occhi color dell’ambra un’infermiera che, attirata dalla sua vivacità, gli si era accostata.

 

 

 

 

Sirius iniziò a sbattere le ciglia… cavoli, si era addormentato, e non se ne era nemmeno reso conto.

Si passò una mano in faccia… ci doveva essere qualcosa, forse una mosca, che gli stava in continuazione punzecchiando il viso: proprio un bel risveglio, non c’è che dire.

Chiuse gli occhi e aprì la bocca per respirare, portando le braccia dietro al collo per stiracchiarsi: certamente non aveva dormito in una posizione comodo, aveva la schiena a pezzi…

 

“Cof cof…”

 

Iniziò a tossire. Mentre stava sbadigliando, qualcosa… qualcosa di grosso… era volato dentro la bocca, e ci mancava poco che lo soffocasse!

Si infilò una mano in bocca, con gli occhi che continuavano a lacrimare, e ne tolse fuori… beh ecco… era un aeroplanino di carta… piccolo piccolo e fatto davvero male…

Una risata lo costrinse ad alzare lo sguardo.

E rimase del tutto basito quando vide Solaria, bella pimpante, dondolarsi sul letto con le gambe incrociate, presa da una vera e propria crisi d’ilarità.

 

“Avresti dovuto vedere la faccia che hai fatto! Sembravi un TUCANO!” Disse poi, continuando a ridere come una pazza.

 

Sirius non perse altro tempo, si alzò di scatto dalla sedia su cui si era addormentato quella notte e si gettò letteralmente sopra la moglie, stringendola in un caldo abbraccio.

Solaria smise subito di ridere, e con un sorriso felice si godette quella calda e affettuosa stretta, che da tanto ormai non sentiva più attorno al suo corpo.

 

“Mi sei mancato…” Gli disse lei. “Ti sentivo. Sentivo che eri vicino a me, ma non riuscivo a raggiungerti. Mi spiace averti fatto soffrire un’altra volta così tanto.”

Sirius la scostò un poco da se, il tanto giusto per poterla guardare negli occhi, tuffandosi poi con estremo ardore a baciare le sue grandi labbra rosse.

Poco dopo Solaria si scostò, mettendosi a ridere. “La tua barba mi fa il solletico!” Spiegò poi, guardandolo divertita.

Anche Sirius sorrise, accarezzandole quelle guance tonde e rubiconde, che tanto la facevano assomigliare ancora ad una bambina.

“Non riuscivo ad allontanarmi da te…” Commentò lui.

“Mi dispiace, davvero… se fossi stata più attenta e avessi dato ascolto a Gardenia, permettendole di controllare lo stato della gravidanza, tutto questo non sarebbe successo.”

“Non importa Soly… non importa. Ora voglio solo averti vicino.” Rispose il ragazzo, stringendola di nuovo a se. “Anche se hai tentato di ammazzarmi!” Aggiunse poi, sorridendole.

La giovane donna scoppiò subito di nuovo a ridere. “Mi sono svegliata e non sapevo che fare! Così, dopo che la medimaga mi ha tolto la flebo, mi sono messa a guardarti sperando che ti alzassi in fretta.

Ma tu non ti sbrigavi e così ho iniziato a fare dei mostriciattoli con la pergamena che ho trovato qua vicino, e te li ho tirati addosso!”

“Me li hai…” Sirius si voltò, guardando il posto in cui prima era seduto.

Tutta l’estremità del letto, nonché lo spazio intorno ad esso e intorno alla sedia su cui si era addormentato, era letteralmente ricoperto da un mare di animaletti di pergamena.

Ecco cos’erano quei pizzichi fastidiosi che l’avevano svegliato… altro che mosche!

Non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere a lacrime, per le pazze idee che venivano alla moglie e anche per la felicità di riaverla di nuovo al suo fianco, viva e allegra.

“Ehi, che c’è da ridere?!” Chiese questa, facendo finta di essersi offesa.

“Sei assurda, Soly!”

“Senti chi parla… ti posso dire che sembri davvero un orso?”

“No.”

“Va bene, allora non te lo dico. – assentì lei, tranquillamente. Tanto l’aveva già detto…- Però mi spieghi tu dov’è finito il mio ripieno?” Sbottò poi, guardando interrogamene il marito, che per tutta risposta la fissò con la sua stessa espressione

Solaria sbuffò. “Ma sì, Sirius! Possibile che tu non capisca mai nulla? Te lo ricordi che per otto mesi interi avevo una pancia gigantesca?”

“Già, sembravi una palla…”

“Magari fossi stata una palla! Almeno per muovermi mi sarebbe bastato rotolare… No, comunque: dov’è il mio ripieno?”

“Non è un bel modo per chiamare i tuoi figli!”

“Vabbè, dov’è la marmocchia?”

 

La porta si aprì, e una giovane infermiera si affacciò, con un piccolo involucro di coperte in mano. Sirius sorrise e, alzandosi dal letto, ringraziò la donna e le prese il pacco dalle mani.

“L’altra arriva subito. Ce l’ha la signorina Gardenia.” Disse l’infermiera, prima di andarsene.

 

Sirius si avvicinò al letto, tenendo fissi gli occhi, incredibilmente dolci, sull’involucro che teneva in mano, da cui si iniziavano a sentire provenire risate divertite.

Poi passò il piccolo pacco a Solaria, che lo guardava con un sorriso sulle labbra e gli occhi scintillanti per la commozione.

 

Appena lo vide, il sorriso si allargò ancora di più. Le erano sempre piaciuti i bambini! E quello era così tenero…

Aveva grandi occhi color ambra, un incredibile ciuffo biondo sulla testa e pelle d’albicocca. Senza contare che era così dolce mentre sorrideva con quella sua sottile bocca sdentata e portava le manine in avanti, tentando di toccare il viso di Solaria, che si divertiva a farlo ridere facendo delle incredibili boccacce.

 

 “Che tesoro! Chi è?!” Chiese, guardando il marito con sincerità.

Sirius si leccò le labbra, divertito. “E’ nostro figlio.” Disse poi, con gli occhi scintillanti per la felicità.

 

Solaria lo fissò stranita. “Cosa?!” Gridò poi.

“Hai avuto due gemelli, Soly! Non dirmi che non lo sapevi, perché lo ho capito che volevi farmi una sorpresa!- disse Sirius, avvicinandosi a lei- e devo dire che è stata davvero ben accetta!” Aggiunse il ragazzo, coinvolgendo la moglie in un bacio passionale.

Ma Solaria, ancora molto scossa dalla novità, non rispose per niente al gentile ringraziamento del marito; anzi, si staccò poco dopo e riprese a guardare il bambino che teneva in braccio con la bocca aperta e gli occhi spalancati per lo stupore.

Si voltò infine da Sirius, che la fissava con un sopracciglio alzato, e fece una risatina isterica.

 

Subito dopo la porta si aprì, ed entrò nella stanza Gardenia, che teneva in mano un altro fagotto. Non appena vide la cugina sveglia, e soprattutto, l’espressione che aveva sul volto mentre teneva il bambino in mano, le si avvicinò con un sorriso sulle labbra.

“Soly! Come stai?!” Le chiese, dolce.

 

“L’hai visto questo?!” Chiese invece la ragazza indicando il bambino che continuava a ridere.

“Certo che l’ho visto! E ho visto anche lei!” Disse Gardenia, sedendosi al suo fianco e mostrandole il piccolo contenuto del suo involucro.

Era una bambina… una bellissima bambina, dalla pelle rosata e i grandi occhi grigi, che la fissavano curiosi mentre la piccola si assaporava le ditina della mano infilandole nella grande bocca rossa a cuore.

Sulla fronte, poi, erano disegnate due volute di lacrime nere, che partendo dal centro si diramavano all’esterno, dando maggiore profondità a quello sguardo metallico: era il simbolo delle future sacerdotesse di Avalon, o perlomeno, di coloro che avrebbero potuto diventare dame del Lago.

Tutte le bambine nate da un matrimonio benedetto dalla Dea avevano quel simbolo.

“E già… lei l’avevo vista anche io…” Commentò Soly, mentre un sorriso le compariva sulle labbra. “La piccola Selene… mamma mia quant’è bella il mio tesorino!” Disse, avvicinandosi alla bimba e schioccandole un sonoro bacio sulla guancia.

Poi ritornò a guardare il bambino, prendendolo sotto le ascelle e portandolo davanti ai suoi occhi.

Rimase in silenzio per un po’, mentre Gardenia e Sirius la fissavano interrogativamente, poi scosse la testa.

“No, non va bene! Anche lui è tutto a suo padre!” Disse poi.

“Ma non è vero! Guarda, è biondo come te! E ha il colore dei tuoi occhi… senza contare che anche la pelle è uguale alla tua, io non ce l’ho così scura!” Disse subito Sirius, prendendole il bambino dalle mani e tenendolo sul suo grembo.

“Sì, ma ha i tuoi lineamenti! Guarda, ha le tue labbra invisibili, e il visino, sono certa, è proprio il tuo! Soprattutto il naso…”

“Ah sì, per fortuna anche Selene ha il naso uguale al mio! Ci mancherebbe altro che fossero nati col tuo naso a patata…”

“Ehi! Il mio naso è bellissimo!”

“…e speriamo che abbiano preso da me anche l’altezza…”

“Pfiu! Sirius Black, ti disconosco come padre di questi due bambini! Li ho fatti con un altro!”

“Mi dispiace, hanno già fatto l’analisi del sangue! Hanno tutti e due il tuo stesso gruppo sanguigno!”

“Questo dimostra che sono figli miei e non tuoi!” 

“Va bene, come vuoi tu. Allora, come hai deciso di chiamare il nostro marmocchio?!” Chiese subito dopo Sirius.

 

“Cosa?!”

 

“Sì Soly: io ho scelto il nome della bambina, tu devi scegliere quello del piccolo Blacknimbus!”

 

Solaria rimase senza parole. Cosa doveva fare lei?! Dare un nome a quel piccolo marmocchio?! Ma… ma no… non poteva… cavoli, non sapeva nemmeno che sarebbe venuto al mondo! Lui… lui era nessuno fino a poco tempo prima… ed ora invece…

“Allora, come lo chiami?” Chiese Sirius, guardando divertito il bambino che si dilettava a mangiucchiare il dito del padre.

“Boh…” Disse Solaria. “Gardy, come lo chiamo?!” Disse poi, rivolgendosi verso la cugina.

“Niente suggerimenti!” Ordinò però Sirius.

Solaria sbuffò, e prese la piccola Selene dalle braccia di Gardenia. “Selene… come chiamiamo il tuo fratellino, eh?!”

“Ti ho detto nessun suggerimento…”

“E se lo chiamiamo Sirius?”

“Che fantasia che hai, Soly!”

“Antinoo.”

“Ma come ti è saltato in testa?!” Sbottò Sirius, guardandola orripilato.

“Già, è vero… gli starebbe meglio Odisseo…” Commentò Solaria, ricordando che il nome Odisseo significava per l’appunto ‘nessuno’. “Che ne dici se lo chiamiamo Nemo?!” Aggiunse poi.

“Che nome anonimo!”

“Invece gli calza a pennello…”

“Solaria, muoviti! Sono tre mesi che nostro figlio vive senza sapere nemmeno come si chiama!”

“Beh... potremmo lasciarlo senza nome... così quando abbiamo bisogno di chiamarlo, ne spariamo uno a caso, tu quello che preferisci, io il primo che mi salta in testa; e lui ci ringrazierà perché, quando vorrà fare finta di non averci sentito chiamarlo, dirà che quello non era il suo nome…”

“Muoviti…” Ordinò Sirius, perentorio. Era meglio troncare in fretta il fiume di cavolate che la moglie stava per riversare…

 

Solaria sbuffò di nuovo, reclinando la testa sullo schienale del letto e portandosi Selene sul petto. Lei non era mai stata molto brava con i nomi… in questo campo non aveva mai avuto tanta fantasia, senza contare che spesso si dimenticava i nomi delle persone che conosceva…

E ora, doveva decidere addirittura il nome del figlio. Con Selene era stato facile, aveva fatto tutto Sirius e lei non aveva avuto nulla da obiettare. Ma, a quanto pare, questa volta il marito pretendeva che fosse lei a scegliere come chiamare il loro bambino.

Non voleva che fosse un nome banale. Tutti, nella sua famiglia e nella famiglia di Sirius, avevano un nome con un significato particolare.

E anche per quel bambino inatteso doveva essere lo stesso.

 

Guardò Selene, poi il bel fratellino. Infine, guardò di nuovo Selene.

Perché era nato quel bambino se non per proteggere sua sorella? Altrimenti, non si sarebbe potuto spiegare in altro modo questo nuovo gioco del destino. Quel bambino sarebbe diventato l’angelo custode di Selene, colui che l’avrebbe aiutata in qualunque momento, colui che le avrebbe indicato le vie giuste da scegliere. Colui che le sarebbe rimasto per sempre vicino.

Colui che l’avrebbe difesa.

 

“Alèxandros.” Disse Solaria, gli occhi fissi su quelli grigi della figlia.

 

“Aléxandros? Niente male… ma perché non Alexànder?” Chiese Sirius.

“Perché Alexander è troppo comune, e ci vuole un nome speciale per un bambino speciale nato da una mamma specialissima.” Spiegò Solaria.

Sirius sorrise: in fondo, la modestia non era mai stata una delle sue doti… e questa era l’ennesima caratteristica che loro due avevano in comune!

“Va bene. Allora: Benvenuto in famiglia, Alèxandros Blacknimbus.”

 

“Colui che protegge il suo popolo.” Sussurrò Gardenia, fissando la cugina negli occhi.

Solaria assentì col capo, voltandosi poi a guardare il bambino. “E’ questo il suo destino.”

 

 

 

 

Nemmeno una settimana dopo Solaria fu rispedita a casa insieme ai bambini.

Fatto sta che il piccolo appartamento di King’s Cross Road sembrava essere divenuto troppo stretto per accogliere cinque persone, senza contare che il dipartimento Principale degli Auror lo richiedeva per ospitare nuovi allievi.

Per fortuna Remus Lupin, comparendo un giorno in mezzo al salotto durante una fragorosa lite fra Sirius e Solaria sul colore delle lenzuola della culla dei bambini, offrì gentilmente loro la sua casa di campagna nel Galles: lui avrebbe vissuto in loro compagnia solo durante l’estate, dato che, con l’arrivo di settembre, si spostava ad alloggiare ad Hogwarts.

E Solaria e Sirius, alla fine, dopo tanta insistenza del loro amico, accettarono.

Anche perché, l’unica alternativa, sarebbe stata ritornare alla villa Nimbus in Francia. E nessuno di loro, tanto meno Solaria, voleva rientrare in quel posto, pieno di ricordi troppo tristi… senza contare che la presenza di una piccola schiera di Auror dell’ordine della Fenice non avrebbe certamente garantito tranquillità e sicurezza per la famigliola.

 Così, ad Agosto inoltrato, si ritirarono tutti nella villa dei Lupin.

Sirius e Remus raccontarono a Solaria e Gardenia come loro e James l’avessero rimessa a posto, qualche anno prima, grazie soprattutto all’aiuto di Lily. Se non ci fosse stata lei, probabilmente alla fine sarebbero morti di stenti giacché la casa era così caotica che i mobili impedivano l’accesso a qualsiasi stanza, soprattutto quella per loro più vitale: la cucina.

Insomma, l’estate passò piuttosto allegramente e, prima dell’avvento di settembre, a casa Lupin fu programmata un’allegra cenetta fra amici, a cui avrebbero partecipato i Potter, Tonks e Peter Minus, che Solaria non aveva ancora avuto il piacere di rivedere dopo il suo rientro.

 

 

Solaria passeggiava per il giardino, sotto i grandi alberi che riparavano dal sole e lasciavano godere un po’ di frescura, tanto ambita in quell’estate stranamente torrida.

I bambini dormivano. Sirius era a lavoro. Gardenia e Lupin stavano preparando la cena: incredibile quanto quei due fossero diventati uniti negli ultimi tempi.

Sorrise a questo pensiero: erano davvero una coppia perfetta. Tutti e due molto pacati, semplici, intelligenti, altruisti. Tutti e due così timidi… si chiedeva quando Remus si decidesse a fare la prima mossa con sua cugina… perché, se aspettava che Gardenia facesse qualcosa, l’attesa sarebbe durata fin’oltre la tomba…

 

Si sedette sotto un albero, fra l’erba alta.

La testa le faceva lievemente male.

Trattenere tutte quelle visioni era piuttosto difficile, le costava molte energie, senza contare che comunque esse si accumulavano nella sua mente come una pila di compiti non fatti sulla scrivania di uno studente poco dedito al suo lavoro…

Ogni tanto, era meglio affrontare anche quella difficile faccenda. Altrimenti la testa, prima o poi, le sarebbe scoppiata perché troppo piena…!

 

Chiuse gli occhi e sospirò. Lentamente, molto lentamente, abbassò le difese, tenendo comunque sotto controllo la sua empatia: non poteva permettere che le visioni le procurassero dolore fisico, perché altrimenti riprendere il dominio sopra esse sarebbe stato molto difficile e avrebbe corso seri rischi di rimanere stecchita dalla loro aggressività.

Subito un mare di immagini e di sentimenti invasero la sua mente, come un fiume in piena irrompe su una diga appena crollata. Solo, questa volta gli effetti devastatori erano molto limitati.

Lievi fitte alla testa furono il danno di quell’irruenza.

 

Eppure, molte di quelle immagini le causarono forte dolore al cuore.

Come ad esempio la triste storia dell’amore fra Remus e Narcissa. Leggeva nella mente del suo amico quanto fosse stata difficile la fine di quel rapporto, il suo rancore verso la donna che per tanto tempo aveva amato. La sua delusione per ciò che aveva fatto.

Non poteva credere che Narcissa fosse cambiata così tanto. Sì, è vero, prima di partire aveva sentito che il suo cuore si era indurito molto. Ma Narcissa non era un mostro… non lo era mai stata, e anche se il male delle famiglie in cui viveva le aveva avvelenato il sangue, era abbastanza forte per uscire vincitrice anche da un tale attacco.

Cercò dunque la dolce cugina di Sirius con la mente. E la trovò ben presto, seduta in un candido giardino di una splendida villa che sicuramente doveva essere Malfoy Manor.

Era triste. Il suo cuore ancora soffriva per ciò che aveva fatto all’unico uomo che avesse mai amato. Aveva capito il suo errore. Aveva capito di essere stata debole a farsi soggiogare in tal modo dalla vendetta.

Ma non si era pentita di ciò che aveva fatto. Era fiera di ciò che aveva offerto al bambino che ora teneva in braccio, il piccolo Draco, che guardava con curiosità una margherita che la madre gli aveva messo in mano.

La possibilità di essere libero.

Sperava solo che la malvagità del padre non oscurasse anche il suo cuore, riducendolo schiavo dei suoi ideali.

Draco era un bambino molto particolare… quando stava in compagnia della madre, si comportava normalmente, come ogni altro bimbo: curioso, molto curioso, attento, sempre vigile, sorridente e allegro.

Quando era col padre, cambiava… non rideva più, i suoi occhi rimanevano immobili, vitrei, fissi sulle cose orribili che gi venivano mostrate, senza alcun sentimento espresso sopra.

Come quando Lucius lo aveva fatto assistere alla decapitazione di un elfo domestico. Del sangue era schizzato dappertutto, e un po’ era andato a macchiare il viso del bel bambino, che era rimasto impassibile, ancora gli occhi fissi sulla testa mozzata della brutta creatura.

Dopo quell’evento, per un’intera settimana aveva continuato a schiacciare con particolare studio e freddo divertimento tutti gli insetti, tutti i piccoli animaletti che gli passavano vicino in giardino.

Voleva vedere il sangue: Narcissa lo aveva definitivamente capito un giorno che, dopo aver afferrato e strappato le ali ad una farfalla, il bambino l’aveva messa sotto i piedi e l’aveva schiacciata per bene contro il pavimento, finché non aveva visto un poco di quella ambita sostanza rossastra.

Narcissa, allibita, lo aveva preso in braccio e gli aveva gridato che non doveva più fare cose del genere. E il bambino era rimasto così, immobile, a fissarla.

Pochi giorni dopo, finalmente, pareva essere tornato quello di sempre.

 

Il marito aveva una cattiva influenza su di lui. Influenza che, comunque, era sempre maggiore di quella sua su Draco. Lucius faceva più danni rimanendo pochi istanti con il figlio, che Narcissa cose buone rimanendo perennemente al suo fianco.

Era dunque giunta ad una conclusione: Draco aveva bisogno di amici. Di semplici bambini… che riuscissero a sedare con la loro ingenua allegria il mostro che il padre lentamente stava risvegliando in lui.

 

Appena si allontanò dalla mente di Narcissa, nuove immagini le apparvero.

Provenivano da Sirius.

Sicuramente il marito era appena rientrato da lavoro, ecco perché la sua aura era così vicina.

 

Lesse in lui la sua gran voglia di rivederla, e di rivedere i suoi due marmocchi, e sorrise.

Quanto li adorava! Anche se il piccolo Alex stava diventando ogni giorno più simile, caratterialmente, alla madre… incredibile come qualsiasi cosa riuscisse a farlo divertire, rideva per tutto e per tutti!

Selene, invece, era più pacata. Forse, assomigliava di più a lui… anche se anche lui non era propriamente uno stinco di santo…

Magari aveva ereditato i geni della famiglia di Solaria. In fondo, Gardenia era una ragazza tranquilla e intelligente…. Ed effettivamente, negli occhi di Selene leggeva la stessa amara rassegnazione, lo stesso peso… che aveva letto negli occhi della sua Solaria, ed in quelli di Urania. Eppure era solo una bambina…

 

Urania?!

 

Solaria corrugò la fronte, concentrandosi più a fondo sui ricordi del marito.

Fu così che venne a conoscenza del suo piccolo incontro con Silente… della storia di sua madre… e della vera identità del preside.

 

Albus Silente era suo nonno.

 

Aprì gli occhi di scatto, richiudendo subito la sua mente. Era meglio finirla così, le scoperte di cui era entrata a conoscenza erano davvero troppo pesanti…

Narcissa un angelo rinchiuso nell’inferno… Draco un piccolo demone in quarantena… Silente suo nonno…

Bah… a quante cose doveva porre rimedio, prima di lasciare definitivamente questo mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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