Poco dopo,
Alessia si ritrovò ad
assaporare una minestra di verdure dal sapore inusuale, ma ricco e
nutriente.
Riconobbe dei funghi nella ricetta, assieme a ortaggi bolliti comuni
quali
carote e patate. Mangiò le verdure e sorbì anche
il brodo, tanto era affamata.
Con piacevole sorpresa, si rese presto conto che quella singola
porzione di
zuppa l’aveva rinvigorita come se avesse mangiato almeno
quattro portate.
Sospettava che l’effetto ricostituente fosse strettamente
correlato al fatto
che il cuoco era un abile Necromante.
Calidius non
aveva pranzato in sua
compagnia. Alessia riteneva che si fosse ritirato in qualche antro
nascosto
della caverna, e ne identificava la ragione nella natura schiva del suo
ospite.
Malgrado avesse intrattenuto una lunga conversazione con lei,
l’avesse accolta,
curata e nutrita, la giovane percepiva in Calidius una natura
profondamente
solitaria e guardinga verso tutto ciò che poteva ricondurlo
al mondo degli
uomini.
Alessia
sapeva che ben presto si
sarebbe dovuta allontanare da quel luogo. Calidius probabilmente non
aveva
voluto infrangere la sacra legge dell’ospitalità,
ma allo stesso tempo non
v’era dubbio che condividesse l’opinione secondo
cui il miglior ospite è quello
che se ne va in fretta.
La giovane
fu interrotta nel mezzo dei
propri pensieri dall’eco di passi in avvicinamento, segno del
ritorno di
Calidius. Infatti, pochi istanti dopo, l’uomo ricomparve
davanti a lei,
scrutandola con i suoi penetranti occhi azzurri.
«Non
ti ho ancora chiesto come ti
chiami» esordì.
«Ero
sul punto di credere che nemmeno
questo ti interessasse» rispose la ragazza, più
divertita che stizzita.
«Comunque il mio nome è Alessialis».
«Che
nome ridicolo!» esclamò Calidius.
Alessia lo
scrutò torva, stavolta più
stizzita che divertita.
«Lo
so» replicò freddamente. «Infatti
tutti mi chiamano Alessia».
«Se
me lo permetterai, penso proprio
che anche io ti chiamerò così» disse
Calidius. «Come sei finita quaggiù?»
Alessia gli
raccontò nuovamente della
propria rocambolesca fuga dai Rinnegati e anche dei suoi propositi. Gli
parlò
del suo intento di valicare le montagne allo scopo di lasciarsi il
passato alle
spalle, e di come aveva sacrificato tutto pur di raggiungere tale
obiettivo.
Un abbozzo
di sorriso baluginò sul
volto ombroso di Calidius, ma scomparve rapidamente. Il Necromante
aveva una
strana espressione, come se dovesse comunicare alla sua ospite qualcosa
di
spiacevole. Sul tavolino adiacente ad Alessia era appoggiato un
bicchiere di
creta, ed accanto una brocca dello stesso materiale piena
d’acqua. La ragazza
si versò da bere.
«Immagino
che tu non sappia granché
sulle terre oltre il Confine...»
«Tu
invece sì?»
«So
alcune cose. Posso dirti
innanzitutto che hai fatto un viaggio inutile».
La sorsata
d’acqua che stava bevendo le
andò di traverso, facendola tossire e sputacchiare
più volte.
«Che
stai dicendo? Che intendi dire?»
«Il
Confine è chiuso» replicò pacato
Calidius. «Da diversi anni a questa parte, milizie
Ferrosanidi e legioni
dell’esercito di Libedonia controllano e presidiano gli
avamposti lungo le
strade che entrano ed escono dalla Lirosia. Tutte, senza eccezioni.
Pattugliano
persino i valichi sulle montagne e le vie più insidiose.
Sono tutte
sorvegliate. In questo momento, in Lirosia non si entra e non si esce.
Siamo
come pesci in una rete, per fartela breve».
Alessia era
sconvolta.
«Ma
perché? Per quale motivo fanno
questo?»
«Ho
qualche vaga ipotesi, ma nessuna
certezza».
«Ma
allora... se il Confine è chiuso,
io...»
«Temo
di sì» disse Calidius. «Sei bloccata
qui. Il tuo progetto di fuga è fallito, a quanto pare. In
Lirosia, i fuggitivi
e gli evasi sono ricercati secondi per importanza solo ai
Necromanti».
Alessia si
fermò a soppesare il
significato delle parole di Calidius. Se era vero che ogni strada, ogni
via
d’uscita da quella terra maledetta era protetta e
invalicabile, per lei non
rimanevano più speranze. Bloccata in un territorio ostile,
braccata dai
mercenari e priva di mezzi di sussistenza, si sentiva stretta in una
morsa che
di minuto in minuto la soffocava sempre di più. Il sogno era
infranto, sul suo
futuro incombeva un famelico sciacallo chiamato destino.