I miei
venti metri quadrati
Capitolo
Diciottesimo
Preludio
Plenilunio Pediluvio
Fin sobbalzò quando il cellulare che
aveva appoggiato sul tavolino basso iniziò a vibrare, e appoggiando i
piedi per terra lo afferrò e rispose.
Fin era un cretino. Il fatto che a volte gli
avessero fatto gestire gli eventi modaioli del Luxury gli aveva dato fortemente
alla testa.
“Pronto?” disse perplesso.
“Fin?” ribatterono dall’altra
parte, “C’è qui una tipa che …ehi!” il ragazzo
al telefono si interruppe per un attimo per bisticciare con qualcuno che
evidentemente lo stava insultando “Sì, sì diamine te lo sto
chiamando!” sbottò arrabbiato il ragazzo.
“Ti ho detto che voglio salire!”
rispose una voce alterata di donna dall’altra parte, anche se sapeva di
averla già sentita non avrebbe intuito subito a chi apparteneva. Prese
una boccata di fumo dalla sigaretta e proferì “Allora?”
“Ah! C’è qui una
tipa…”ricominciò il ragazzino dall’altra parte.
“Nikka” precisò lei. A Fin
scappò un sorriso, allora era Nikka, probabilmente in qual momento stava
battendo il piede e prendendo a borsate il suo amico, e poco importava il fatto
che fosse un sedicenne senegalese alto il doppio di lei. A dire il vero era
anche molto più alto di lui. Di Fin.
Quell’ultimo pensiero lo turbò un
attimo. Non faccio fatica ad ammettere che quel tortellino coi capelli
imputriditi dal gel non era esattamente un lampione della luce per quanto
riguardava l’altezza. Al massimo poteva uguagliare un lampione in
lucentezza usando quegli stupidi orecchini a diamantino che aveva su entrambi i
lobi, e che io detestavo cordialmente. Perfino Joyce era lievemente turbato
dalla cosa, il ché è tutto dire.
Certe cose possono permettersele solo i rapper
americani.
“Vuole salire, dice che è
urgente” concluse il ragazzino senegalese, che stava insieme a un gruppo
di altri tre o quattro ragazzini a far finta di fare i bodyguards . Ovviamente
l’unico con la stazza però, era lui.
“Falla salire” disse con annoiato
tono superiore. Il ragazzino al piano di sotto gli fece l’imitazione non visto
dal diretto interessato e aprì la porta di lamiera che palesò una
scaletta angusta, anch’essa di lamiera.
“Sempre chic dalle vostre parti
Libara” commentò lei sprezzante guardando il ragazzino. Quando gli
ebbe dato le spalle Libara fece il verso pure a lei e chiuse la porta in
lamiera sbattendola.
Nikka sbuffò salendo le scale ripide e
scricchiolanti. Teneva la borsetta in vernice appesa nell’incavo del
gomito ed ancheggiava, neanche dovesse farsi vedere da qualcuno, era sola.
Spinse la porta a grata, chiusa con un paio di assi di legno ed entrò
nell’ufficio di Fin. Se quella cosa poteva essere definita ufficio. Il
realtà l’unico ad usare quell’epiteto era lui.
Nikka si sedette “Questo posto fa sempre
più schifo, Fin… dovresti disinfestarlo, secondo me è pieno
di topi e simili…” rabbrividì. Fin fece una smorfia
“Sei venuta qui per vedermi o per insultare il mio ufficio?”
sbottò lui spegnendo un mozzicone nel portacenere.
“Topaia, più che ufficio”
commentò Nikka appoggiando la borsa lucida sulle gambe.
“Su, su, cosa vuoi? Avrai bisogno di
qualche cosa se ti sei arrampicata fin dentro la pancia della balena”
fece lui con fare malizioso. Nikka fece una smorfia.
“Smettila con queste frasi idiote, siamo
solo nel retro del Luxury… non nel parco di Collodi… comunque si,
non vengo in questo postaccio a fare visite di piacere… al massimo
potrebbero essere di dispiacere e…”
“Va bene, va bene ho capito,
diamine!” sbottò lui a un certo punto interrompendola dato che
accennava a tirare per le lunghe con gli insulti.
“Vieni al dunque! Che cavolo
vuoi?” chiese poco cortese.
“Organizzare la festa di
capodanno” disse sibillina rovesciando la testa da una parte.
Fin fece una smorfia “Ti rendi conto che
oggi è il trentun dicembre?” fece con aria strafottente.
“Ti rendi conto che oggi è il
trentun di dicembre e tu non hai ancora organizzato nulla?”
ribatté lei perfida.
Fin si morsicò l’interno delle
guance.
“non è vero” disse con voce
poco sicura. Nikka se ne accorse “A no? e dove sono gli inviti? Dove sono
gli annunci sul sito della discoteca? E al grande capo che ti ha affidato la
festa cosa hai detto? Ammettilo che non hai avuto uno straccio di idea!!”
gongolò lei mentre il viso di lui si imporporava. Deglutì per poi
sbraitare sbattendo il pugno sul tavolo “Ma che cavolo vuoi? Dei soldi?
La gloria?” sbottò.
“Gloria? Credi davvero che si abbia
gloria a organizzare le feste del Luxury?” si interruppe per ridere
sprezzante. “Non voglio neanche i soldi, voglio solo divertirmi un
po’ ad organizzarla, e perché no, umiliarti un pochino…”
Fin alzò gli occhi al cielo e
sospirò. “Deduco quindi che tu abbia un’idea”
Nikka sorrise sempre più compiaciuta.
“Beh… ho qualche cosa in mente…”
Fin fece una smorfia. Gli scocciava quella
situazione. Nikka poteva essere carina ed elegante quanto voleva, ma era una
strega sclerotica. Aveva sentito parlare di cose strane che riguardavano
levrieri e un certo Gabriele D’annunzio, che sospettava essere il suo
perverso fidanzato.
“Oh, piantala, non vorrai mica che il
padrone del Luxury scopra che il ragazzo a cui ha affidato gli eventi non
è in grado di combinare nulla per la festa di Capodanno!!” fece
lei ammiccante. Fin non le piaceva, era un idiota, e forse non sapeva neanche
chi fosse D’annunzio.
Sbatté gli occhi civettuola
“Allora Fin? Festa speciale per lo staff del Luxury?”
Fin sbuffò molto rumorosamente e
sputò sul pavimento. Nikka si impegnò a non rabbrividire troppo.
“E va bene cavolo! Pensaci tu!”
decise infine messo alle strette. Nikka sorrise e si alzò.
“Ottimo!” esclamò allegra
per poi aggiungere quando già era sulla porta “Ci vediamo Sera-Fin-o” e scappò
giù per le scale.
Fin sbuffò e biascicò
“Strega” prima di sputare di nuovo a terra e prendere il cellulare
per chiamare Libara, da cui era separato solo da un paio di rampe di scale.
“Libara?” disse stancamente ma col
sorriso sulle labbra, mentre l’amico rispondeva scocciato rischiando di
far cadere il marsupio dal quale aveva estratto il cellulare.
“Che vuoi Fin? Sono qua sotto, puoi
scendere o urlare dalla finestra invece che telefonarmi!”
“Smettila di rompermi le scatole!
Comunque ho parlato con quella strega di Nikka, ci pensa lei a organizzare la
festa, noi possiamo goderci le vacanze di Natale in pace!”
Nikka gli passò accanto con un
sorrisino. Libara sospirò e chiuse la conversazione con un ciao poco entusiasta. Trovava che Fin
fosse estremamente stupido. Oltre che estremamente unto.
“Cos’è quel ghigno
soddisfatto? Sei contenta di aver umiliato un po’ Fin? Beh, ci hai anche
conferito la libera uscita” fece serio guardando l’indisponente ragazza.
Nikka fece un sorrisetto mefistofelico e
inclinò la testa da una parte “No, l’ho conferita solo a Fin
la libera uscita, voi venite con me a comprare quello che serve! E siete
fortunati, dato che chiederò a Millie di contattare il catering! Ma servono
un sacco di altre cose! E soprattutto delle lucine colorate, dato che qualche
idiota ha rubato quelle che avevamo comprato per la festa a casa della
Gandolfi!!” e così
dicendo si avviò verso l’uscita del cortiletto lasciando
Libara decisamente contrariato.
“Su su, gente” intimò agli
altri ragazzetti che fumavano e giocavano a carte sulle scale “Si va al
supermercato!”
“What’s happend?”
sbraitò Joyce irritato, seduto a gambe incrociate su una sedia della
cucina. “Come sarebbe a dire che…” si interruppe un attimo
smettendo anche di muoversi per un secondo. Rachele fumava tranquilla
dall’altra parte del tavolo senza curarsi di fissarlo troppo. Fece un
sorrisetto prendendo una boccata di fumo, mentre il piedino dondolava sotto al
tavolo.
“Daddy? What..what…Mom? che cavolo
vuol dire che non vieni? E che cavolo c’entra Papà?
Daddy!”urlò girandosi a guardare il corridoio sul quale si
affacciavano le camere. Non ricevette alcuna risposta.
“Io, io...he … you
are…” balbettò un po’ incerto sotto lo sguardo attento
di Rachele. Emily lavava i piatti indisturbata ignorando il baccano del
fratello, Jane era immersa nella lettura del suo libro di economia aziendale ed
era altrettanto disinteressata a Joyce.
“Come sarebbe? Non puoi, non puoi!
Adesso…Oh! Fuck!” sbottò e riattaccò il telefono in
faccia a sua madre.
Rachele increspò le labbra con aria
saccente senza distogliere un attimo lo sguardo dal ragazzo.
“Fammi indovinare… la mamma non
viene perché ha litigato con papà al telefono…” disse Emily senza neanche voltarsi e
continuando a dare più importanza al lavello, rispetto a tutto il resto.
“Già” sbuffò Joyce
appoggiando il cellulare sul tavolo.
“Millefoglie?” chiese Jane che la
considerava un’ottima cura per ogni malumore.
“No, devo andare all’aeroporto per
prendere Darcy”
“Oh beh, almeno Darcy viene, si vede che
la mamma ha capito che se lei litiga con papà non c’è
bisogno di tenere in Irlanda anche lei”commentò Emily tranquilla.
Joyce non l’ascoltò
“Rachele vieni con me in aeroporto?” chiese.
Lei alzò gli occhi al cielo e si fece
attendere “Solo se Jane mi prepara una millefoglie.. tutta per me”
Dopo dieci minuti erano
all’aeroporto con un cartello
di cartone su cui stava scritto “Darcy Swift”.
“Spiegami Joyce… non sapresti
riconoscere tua sorella, e hai bisogno di un cartello?” domandò
acida.
“No, ma nei film fanno
così… mi sembrava figo” rispose lui allungando il collo per
vedere se arrivava qualcuno. Rachele alzò gli occhi al cielo rassegnata.
“Comunque” continuò il
ragazzo prendendo un po’ di serietà “non fare parola a mia
sorella del tatuaggio con su scritto il suo nome”.
Lei alzò le spalle “tranquillo,
cosa vuoi che me ne freghi nel tuo stupido tatuaggio”.
Non ci volle molto perché
all’orizzonte apparisse una figurina dai capelli scuri e lunghi, occhiali
da vista enormi e un mucchio di lentiggini che si mordicchiava le labbra e si
portava dietro un piccolo trolley.
La figura era accompagnata da un uomo
decisamente più alto, con i capelli lunghi raccolti in una coda, la
barba incolta e completamente vestito di nero. Era sulla cinquantina ed aveva
degli occhi estremamente vivi e brillanti. Per un secondo Rachele pensò
fosse un barbone appena uscito da un cassonetto. Ma osservando meglio si rese
conto, che decisamente non poteva essere così.
L’uomo dagli occhi brillanti si
avvicinò a loro insieme alla ragazzina che Rachele suppose fosse Darcy
Swift.
Lei fece una smorfia mostrando il luccichio
argenteo dell’apparecchio ortodontico, ma Joyce non dava attenzione a
lei, bensì al tipo in nero, con sguardo perplesso. Rachele sbatté
le palpebre e guardò l’amico.
L’uomo si mise di fronte e lui e fece un
sorriso al di sotto la barba nera, in silenzio.
“Zio Rufus! Tu cosa ci fai
qui?”esclamò lui. L’uomo coi capelli lunghi gli
appoggiò paternamente e con eccessiva verve una mano sulla spalla, tanto
che Joyce barcollò un attimo.
“Ho saputo che si era liberato un posto
sull’aereo e ho deciso di accompagnare io la piccola Darcy nel suo
capodanno italiano, e poi una viaggio gratis non si rifiuta … e poi sai,
il primo marito di tua sorella non si scorda mai, e anche i primi nipoti mi
mancano. Anche se sono deplorevolmente italiani. Ma che diamine ti sei messo
addosso?hai deciso di cambiare sponda e così hai scuoiato un orso
arancione ?” blaterò ininterrottamente senza fermarsi con una
grammatica perfetta e un accento pessimo.
“E’ il solito zio Rufus”
rispose lui colpito nel vivo stringendosi nel pellicciotto “E’
andato bene il viaggio?” chiese poi.
“Oh, beh sì, abbiamo avuto
qualche problema con lo scalo a Milano, ma…” fece allegro.
“Sì, se fosse stato per lui
saremmo finiti a Mandalay”commentò Darcy con voce piatta
ricordando a tutti della sua presenza.
“E dove diamine sarebbe Mandalay,
scusa?” esclamò zio Rufus che in geografia non era mai andato
molto forte.
“In Burma” rispose Darcy stancamente.
Rachele si disse che sicuramente se lo avessero chiesto a suo fratello Mei, lui
avrebbe saputo rispondere altrettanto esattamente.
“Wow” fece suo zio decisamente
disinteressato tornando a dare udienza a Joyce.
“Joyce che diamine, come cavolo hai
fatto a diventare così? Tuo padre è uno scricciolo! Prendi degli
steroidi? Oppure Abigail gli ha fatto le corna… mi sembra la cosa
più probabile, è sempre stata una dai facili
costumi…” raccontò allegro perdendosi nelle sue parole.
“Zio Rufus, piantala è mia
madre!” sbottò offeso. Rufus gli appioppò la pacca della
comprensione dicendo, “Fidati caro nipote, la conosco meglio io di
te”
Rachele e Darcy erano rimaste a fare da
spettatrici a quell’increscioso spettacolo. La prima perplessa, la
seconda annoiata.
Poi Rachele decise che era ora di prendere la
situazione in mano, si giro versò Darcy e disse “Tuo fratello si
è tatuato il tuo nome sul sedere”
Darcy fece una smorfia schifata.
“Avevi detto che te ne saresti stata
zitta!” esclamò mentre Rufus alle sue spalle se la rideva di
gusto.
Rachele alzò le spalle e con
naturalezza spiegò “Beh, se mio fratello si tatuasse il mio nome
sul sedere vorrei saperlo, per poterlo linciare. Insomma, che disonore sarebbe
se Mei si scrivesse Rachele sul
deretano” si giustificò come se fosse in missione per Dio.
Joyce guardò sua sorella che svariati
centimetri più in basso se ne stava con le sopracciglia alzate e
proferì “io non mi farei mai scrivere Joyce sul sedere! E che
cavolo!”proferì con la sua proverbiale calma.
“Neanche io” commentò Rufus
per rincarare la dose, e non perché fosse necessario nel discorso.
“E non è la cosa peggiore!
Dovresti vedere il piercing” continuò Rachele impietosa.
Darcy chiuse gli occhi “Ti prego non
dirmi dove l’ha fatto…” disse con accento inglese.
Rachele sorrise e si chinò un poco
porgendole il piatto su cui stava la millefoglie.
“Questa Jane l’ha fatta per me, ma
se ne vuoi una fetta te la do volentieri” disse.
Darcy la guardò perplessa come per
vedere se scherzava. Rachele alzò le spalle e la ragazzina
allungò la mano per prenderne un pezzo.
“Io sono Rachele” disse con un
tono che non era solita usare.
“Io sono Darcy, ma suppongo che tu
già lo sappiassi…sappissi…sappia…”rispose
lei.
“Già” finì Rachele e
insieme si avviarono verso l’auto seguendo Rufus e Joyce.
“Avete qualche idea per sta sera?”
chiese Darcy sbocconcellando la torta e tirandosi dietro il trolley.
La ragazza blu la guardò sorpresa
“Non pretenderai mica che passi il capodanno in compagnia di gente
simile” rispose lei interpretando lo sguardo della ragazza e accennando a
zio Rufus.
Rachele alzò le spalle. “In
effetti… come darti torto”
Quando a casa Cumoli suonò il
telefono fu Emily a rispondere
“Buongiorno sono Mei, volevo parlare con Rachele, è in
casa?” dissero dall’altro capo del filo in tono da call center.
“Oh, Mei… sono Emily. Rachele
è andata all’aeroporto
con Joyce, credo che saranno di ritorno tra poco, le devo dire qualche
cosa?” spiegò allegra dimentica dei piatti ancora nel lavello.
“Oh” fece Mei preso alla sprovvista.
“no, non è importante…è che volevo chiederle qualche
cosa per sta sera… è san Silvestro… e beh, volevo fare
qualche cosa anche io…” spiegò non molto a suo agio.
Emily sorrise alla cornetta “Credo che
lo staff del Luxury organizzi una festa…potresti andarci con una
ragazza… ne conosci qualcuno che potrebbe interessarti?” chiese
senza peli sulla lingua.
“Ehm” non gli sembrava il caso di
inoltrare discorsi del genere con Emily, ma alla fine ammise “Beh, ne
conosco una carina.. ma non ho il suo numero di cellulare, non saprei come
chiederglielo…”
Emily fece una smorfia pensierosa “Come
si chiama? Magari potrei conoscerla…” poi le si accese una lucina
nel cervello ed esclamò “Non sarà mica la ragazza della
festa della vigilia! Quella che stavi baciando prima che Nikka facesse il suo
numero!”
“Ehm, beh ecco ehm, sì…si
chiama Alsazia” disse incerto.
“Oh, che nome del cavolo”
commentò.
“Geografico” sussurrò Mei
mesto dall’altra parte del filo. Emily ci pensò un attimo
“Aspetta un secondo, chiedo a Monica, lei lo saprà di sicuro,
rimani in linea”
Mei la sentì trafficare col cellulare,
ci fu qualche secondo di silenzio e poi in lontananza ricominciò a
parlare “Monica? Ciao sono Emily, devo assolutamente chiederti un
favore…come Edoardo Billi ha fatto le corna alla sua ragazza con
Mei si schiarì la voce
“Emily?”
Emily rinsavì “Ehm, si scusa
Monica, dopo finisci di spiegarmi ora devo chiederti un favore: hai presente
Alsazia? Si quella piccoletta con gli occhi troppo truccati che è sempre
in giro con le scarpe da ginnastica…già, un nome orrendo”
“Geografico” disse Mei tra
sé e sé.
“mi serve il suo numero di telefono, ce
l’hai?” attimo di silenzio
“sì…33847…si…si… come? Oh
sì…ah sì, hai presente Mei, si, il fratello della Pavesi,
si quello che è stato picchiato da Pallotti perché è
andato a letto con Nikka… sì”
“Non sono andato a letto con
Nikka!” sbottò Mei.
“Zitto tu! No, Monica non dicevo con te!
Oh, si la vuole invitare a una festa sta sera…oh, certo che sta sera
dobbiamo andare alla festa dello staff del Luxury, ci saranno tutti… ci
saranno sicuramente anche Edoardo Billi e la sua fidanzata voglio proprio
vedere se
“Emily…” cantilenò
Mei stancamente. “Oh, scusami Monica…ti richiamo più tardi e
te lo dico, tranquilla”. Emily riattaccò.
“Bene eccoti il numero, comunque dopo
che le hai telefonato devi dirmi se ci viene alla festa con te, perché
devo dirlo a Monica! Prendi da scrivere che te lo detto!”
Mei sospirò, ovviamente non avrebbe
richiamato.
“Nicoletta? Noi usciamo, chiudi tu tutte
le tapparelle!” strillò sua madre dalla porta. Nikka si mise sulle
labbra il rossetto color rosa pesca sistemandoselo ai lati con il mignolo.
“Arrivo! Aspettami!”
esclamò di rimando, spegnendo le luci al neon dello specchio del bagno.
La signora Marianna in piedi sullo zerbino
sbuffò intabarrata nella sua pelliccia di volpe argentata. Si era messa
i guanti di seta e una collana fatta di grosse pietre nere e lucide. Il trucco
era fin troppo pesante, i capelli sistemati di fresco dalla parrucchiera e i
tacchi troppo alti per quanto potessero sopportare i suoi piedi di mamma single
da troppo tempo. Ma per il nuovo fidanzato trentenne si faceva anche quello.
Lui se ne stava con la sua pelle abbronzata i
suoi ricci scuri e i suoi trent’anni dentro a un completo gessato un
po’ troppo appariscente. Affianco a una donna che cercava inutilmente di
essere più giovane. O almeno sembrarlo.
Nikka tirata a lucido, con l’aria
giovanilmente allegra, che Marianna attribuiva all’età più
che all’obbligo morale che sua figlia si dava attraversò il
corridoio battendo i tacchi a spillo sulla palladiana che non le era mai
piaciuta e sistemandosi il colletto del cappotto beige uscì sul
pianerottolo prendendo contro al fidanzato di sua madre.
“Ci sono, ci sono, buon san Silvestro
mamma, buon san Silvestro tizio cubano”.
“Sia chiama Cesar! Ed è il mio
fidanzato da tre mesi razza di figlia irrispettosa! E hai chiuso le finestre
per l’amor del cielo che siamo in ritardo per il cenone?”
strillò.
“No, mamma fallo tu! Io sono già
scesa!” rispose lei dal pianerottolo di sotto.
“Oh, per la miseria!”
sbottò la signora Marianna sbattendo un tacco per terra “Con suo
padre e quell’oca della sua Se-re-ni-ty non fa così! Non ti
preoccupare caro, prima a o poi imparerà come ti chiami! Ora scusami…ma
dobbiamo tornare dentro a chiudere le tapparelle di cui mia figlia si è
fregata altamente” e con un sospiro lo portò in casa. Cesar
silenzioso la seguì.
A casa Cumoli in quello stesso momento regnava
il caos.
“Rufus? Vuoi uscire dal bagno? Io dovrei
fare la pipì!” sbottò il signor Cumoli bussando per
l’ennesima volta.
“Rilassati Jhonny! Vai a chiedere se i
vicini ti prestano la toilette. Io sto facendo il bagno”rispose Rufus
tranquillo da dentro.
“Sfrattato da casa mia? Adesso non posso
nemmeno più nemmeno usare il MIO bagno?! E non mi chiamare mai
più Jhonny per la miseria!!”
Suo figlio passò gattonando dietro di
lui studiando il pavimento con molta attenzione.
“Papà hai visto le chiavi della
macchina?”chiese.
“Bah, guarda in frigo, di solito Emily
sbaglia cassetto e le infila lì…e non guidare se hai
bevuto!” si raccomandò in un eccesso di paternità.
“tranquillo al massimo faccio guidare
Darcy” rispose scherzando. Il signor Cumoli si incupì e
lanciò uno sguardo scrutatore a Darcy che glielo rispedì da dietro agli
occhiali tondi “Senza offesa, ma non mi va di stare con voi vecchi,
perciò vado con loro” spiegò cristallina.
“Vecchi a chi? Io e Jhonny siamo giovani
dentro!” urlarono da dentro al bagno.
“Basta chiamarmi Jhonny per
carità!ed esci da quella maledetta vasca!”
Rachele aspettava accanto alla porta
già col cappotto addosso e scrutava la casa con uno sguardo un po’
umido e stancamente famigliare. Dondolava un po’ il piede da una parte,
se avesse continuato per molto avrebbe rotto il tacco della scarpa blu.
Aveva un vestito dello stesso colore, che sua
madre aveva deciso di cucine apposta per capodanno. Aveva un’aria un
po’ stropicciata, effetto che la signora Pavesi aveva voluto , ma sua
figlia non aveva idea di come l’avesse ottenuta.
Rachele guardò Joyce con il busto per
metà dentro al frigorifero, ignorando Emily e Jane che facevano
trambusto per casa. La faceva ridere, Joyce. Quando non lo faceva apposta.
“Trovate!” esclamò gioioso
innalzando con un gesto vittorioso le chiavi incrostate di ghiaccio e
rialzandosi da terra.
Salterellò fino a trovarsi davanti a
Rachele. “Siamo pronti!” esclamò mostrando le chiavi gelide.
Lei fece un sorrisetto strano e lo studiò da capo a piedi. Aveva dei
jeans, color jeans, una felpa nera con le rifiniture dorate e una maglietta con
su scritto NY ♥s ME.
Lei ridacchiò “Sei quasi sobrio
sta sera” sussurrò mordendosi il labbro divertita.
In fretta Joyce afferrò degli occhiali
a forma di numero 2009, con gli zeri da mettere sugli occhi e li
inforcò.
Rachele
sospirò “Accidenti a me e alla mia boccaccia”si
disse, e se fosse stata il personaggio di uno dei fumetti che vendeva il signor
Cumoli le sarebbe apparsa una gocciolina sulla testa.
“Suvvia, è capodanno!”si
giustificò Joyce. Rachele aprì la porta e proferì
“Andiamo”, la prole irlandese la seguì diretta a prendere
possesso dell’auto verde.
Nikka si era messa un vestito rosa, con delle
frappe sulla gonna e un fiocco che si legava in vita, i tacchi color rosa
antico sprofondavano nell’erba, mentre lei imprecava cercando di
connettere gli ultimi apparecchi elettrici dentro una polverosa centralina.
“Quegli idioti dei tuoi amici hanno
comprato delle luci di natale normali, non da esterno! Diamine!”
sbraitò all’indirizzo di Fin che fumava tranquillamente poco
più in là.
“Suvvia, che cosa vuoi che cambi
scusa?” fece lui tranquillo.
“Non resistono all’acqua razza di
stupido! Cavolo! Non dovevo mandarci Libara e i suoi amichetti! E tu non me la
puoi dare una mano?” sbottò a chinino con i tacchi che affondavano
del terriccio.
“Sei una donna così indipendente,
non hai bisogno del mio aiuto… e poi non pioverà
tranquilla!” fece lui sbuffando fumo.
Lei si pulì le mani strofinandole tra
loro schifata da tutta la polvere che c’era dentro la centralina e diede
un’occhiata al suo interlocutore. “Bah” e tirò un
calciò all’anta di metallo per chiuderla.
“Fortunatamente al catering ci ha
pensato Millie!” disse avviandosi con passo militaresco verso
l’entrata del Luxury dove era già partita la musica e le luci
psichedeliche imperversavano copiose su centinaia di corpi e volti.
“Non dovresti essere così
nervosa, ti verranno le rughe!” commentò Fin, Nikka lo
mandò a quel paese tra i denti, mentre lui rimaneva all’aperto a
finire di fumare la sua sigaretta.
Fu più o meno in quel momento che Mei e
Alsazia arrivarono al Luxury.
“E scusa ancora per come è finita
la serata della vigilia” disse Mei mentre procedevano verso
l’entrata. Lei gli aveva preso la mano vari isolati prima, ma lui aveva
fatto finta di non essersene accorto.
“Figurati, è stata una serata
strana per tutti!” rispose lei comprensiva. Mei si morse il labbro e la
guardò dall’alto. Non si era vestita da sera, aveva dei jeans
sdruciti e una maglietta, ma era carina lo stesso.
Di certo Nikka una cosa del genere non
l’avrebbe potuta sopportare, lei che si metteva a lucido anche solo per
andare a buttare l’immondizia. Sospirò, perché stava
comparando Nikka ad Alsazia? Scrollò la testa come per scrollare anche i
pensieri “Che c’è?” chiese lei divertita vedendo in
quel movimento quello che fanno i cani quando si scrollano l’acqua.
Mei fece un sorriso tirato.
“Niente, entriamo?” disse tutto
d’un fiato facendo un sorriso e pensando che lei era carina anche senza
bisogno di tutti i vestiti di Nikka, il suo trucco e le sue accortezze folli.
Joyce e Rachele intanto se ne stavano seduti
su un divanetto bianco, lei sorseggiava stancamente il suo cocktail con le
gambe accavallate, lui a mezzo metro guardava perso nei suoi pensieri la palla
di specchi e se ne stava seduto sul bordo del divanetto con le gambe
divaricate. Ignorandosi reciprocamente, e occupandosi solo della propria
apatica chinesfera. Non troppo lontani, non troppo vicini.
“Mi sto annoiando” proferì
infine lei con lo sguardo un po’ annebbiato. Fu come se qualcuno avesse
dato un pizzicotto a Joyce, che tornò precipitosamente al mondo reale.
“Vado a fare due chiacchiere con il
deejay” disse alzandosi e sparendo tra la folla. Rachele fece una
smorfia, non era sicura di voler sapere cosa sarebbe andato a combinare.
Fu una sorpresa poco piacevole per entrambe
quando Nikka e Rachele si trovarono sedute affianco. Quando la ragazza in rosa
si era accomodata esausta sul divanetto non aveva notato
Rachele grugnì e tornò ad
affondare il naso nel suo bicchiere.
“C’è qualche cosa da bere
lì?” chiese rigida. La ragazza blu si girò lentamente a
guardarla in faccia, poi si allungò e le passò una bottiglia di
spumante.
“Non mi dirai che è una brutta
serata?” chiese strafottente.
Il sorriso che Nikka le mostrò
probabilmente fu il plastico della sua immensa collezione di sorrisi finti.
“No, è perfetta Pavesi, tu
fatti i fatti tuoi” disse attaccandosi allo spumate.
Rachele fece una risatina strafottente.
Entrambe alzarono la testa dalle loro bevande
quando la musica dal battere continuo passò ai toni revival di qualche
cosa d’altro.
“Pavesi?” chiese Nikka guardando
in alto verso la consolle “Non è quello che penso vero?”
continuò sperando di aver preso un abbaglio.
“Se stai pensando al Gioca Jouer, sì è
esattamente quello”. Nikka si lasciò andare sullo schienale del
divanetto, poi prese coscienza della situazione e decise che era ora di
strangolare il deejay. Si alzò come una furia e sparì tra la
folla attonita proprio mentre Joyce riappariva e allungava la mano verso
Rachele.
“Che diamine è questa
roba?” gli fece lei indisponente. Lui annuì allegro “Roba
decisamente più divertente di prima” rispose mostrando tutti i
denti che possedeva e con una mano la tirò in piedi per poi trascinarla
in mezzo alla pista.
“Non mi va di ballare questa
roba!” sbottò. Joyce sapeva che non era vero mentre in lontananza
vedeva un tizio con la cravatta leopardata salutare, nuotare e fare il macho.
“Pensavo che queste cose fossero rilegate nella zone revival” disse
Darcy con un bicchiere di succo di frutta in mano, parlando tra sé e
sé.
“SI dice relegate, non rilegate. I libri
si rilegano” spiegò un ragazzo dalla pelle scura , infinitamente
alto , spuntando dal nulla. Darcy alzò le spalle “Buono a sapersi,
comunque io sono Darcy”.
“Libara, piacere”
La folla non si era ancora resa conto di
ciò che era cambiato, e Nikka non era ancora riuscita ad arrampicarsi
fino alla consolle in modo da mettere fine alla vita del DJ che le luci si
spensero lasciando per un secondo la folla immobile e silenziosa.
Joyce afferrò Rachele e la strinse a
sé, lei gli tirò una gomitata. Poi un po’ di ragazze si
misero a urlare e varie imprecazioni più o meno educate salirono al
cielo.
Nikka ci mise un po’ a capire cosa era
successo. In piedi aggrappata alla ringhiera della scala strinse i pugni fino a
che le nocche non diventarono bianche. Fuori si sentiva un prepotente rumore di
pioggia che batteva sui vetri, sul tetto, sull’asfalto.
“Cavolo!” sbottò nel buio.
“Fin! Sta piovendo!” sapeva che il ragazzo era lì,
l’aveva visto prima che le luci psichedeliche si spegnessero.
“Sì sono qui” fece lui
afferrando una cosa di cavallo che poi si rivelò essere di una ragazza
che stava ballando fino a poco prima affianco a lui.
“Oh, scusa, pensavo fossi Nikka”
“Diamine” imprecò lei
irritata e abituandosi al buio lo afferrò per il polso e lo strascinò
giù per le scale nel turbinio di folla urlante.
“Cosa credi che sia successo?”
chiese lui con voce un po’ alticcia.
“Si è messo a piovere. Le lucine
di natale non erano d’accordo, e hanno fatto saltare la luce di tutto
l’edificio!” spiegò lei rassegnata.
Quando la luce si spense Mei era appoggiato al
muro intento a baciare Alsazia, e si sentiva contento, senza troppi pensieri,
lei si mise a ridere quando la luce si spense e si strinse un altro po’ a
lui. Non si sentì uno stupido. Nikka di solito lo faceva sentire un
idiota. Alsazia sembrava apprezzarlo, non lo stava prendendo in giro. Gli
stampò un altro bacio sulle labbra e disse “Ti va di fare una
passeggiata al buio per le viscere del Luxury?”
Poco più tardi mentre Nikka imprecava
sotto la pioggia riparata solo da un ombrello giallo Rachele seguiva Joyce qualche passo più indietro. Lui
procedeva per i corridoi bui facendosi luce, per quel che poteva con un
accendino di plastica arancione.
“Non posso credere di essermi
dimenticato di Darcy! e con sto buio non la troveremo mai! Non dovevo perderla
d’occhio! Sono un idiota!” si disse preoccupato. Dietro di
sé era rassicurante sentire i tacchi di Rachele che sbattevano sul
pavimento. Lei era silenziosa, e per tutto quel tempo non aveva detto niente,
mentre lui aveva continuato a lamentarsi e a preoccuparsi per sua sorella.
Sentì il tacchettio aumentare e in
pochi secondi si trovò Rachele affianco, più bassa di lui di
tutta la testa.
Fece un sospiro prima di cominciare
“Senti Joyce, Darcy ha tredici anni non quattro, e ha un cellulare, non
credi che se avesse avuto bisogno ti avrebbe telefonato?” fece con aria
un po’ strafottente.
Lui storse le labbra, in effetti, Darcy
probabilmente se la stava cavando anche meglio di lui. Rachele aveva ragione.
Aggrottò le sopracciglia e le
stampò un bacio veloce sulle labbra.
Lei lo guardò con aria omicida, Joyce
si disse che forse quello non era proprio il momento più adatto per
darle un bacio. Forse aveva bevuto un po’ ed era indisposta verso
gentilezze di ogni tipo, e con ogni probabilità si sarebbe beccato un
calcio negli stinchi a momenti. Rimasero a guardarsi negli occhi per qualche
secondo. Poi indipendentemente da tutte le aspettative, Rachele gli
passò un braccio dietro al collo e lo strattonò alla sua altezza
baciandolo. Joyce mollò per terra l’accendino dicendosi che
infondo tutta quella luce non gli serviva e che sicuramente sua sorella Darcy
se la sarebbe cavata benissimo da sola. Le passò le braccia dietro la
schiena e la strinse sollevandola un poco da terra dove già lei arrivava
solo con le punte dei piedi. Lei gli prese il labbro tra i denti e Joyce si
chinò in avanti per appoggiarsi al muro. Ma il muro si aprì ed
entrambi caddero rovinosamente a terra con un tonfo sordo e un urlo di Rachele.
“Ahia! Joyce! Quanto cavolo pesi?”
sbraitò. “Non è colpa mia!” sentenziò lui
cercando di spostarsi. “Evidentemente quella a cui ci siamo appoggiati
era una porta e non un muro…” disse. Lei si mise a sedere e si
massaggiò la testa.
“Questo posto è lurido, che roba
è?” chiese riconoscendo la forma di un divano e di un tavolinetto,
fuse con la polvere che si era alzata dal pavimento dopo la loro caduta.
“Direi il ripostiglio-ufficio di
Fin” azzardò Joyce pensieroso. Rachele si alzò per poi
andare a sedersi sul divano tirandosi le ginocchia al petto. “Quanto
manca a mezzanotte?”
Joyce guardò il suo orologio con le
lancette fosforescenti.
“Un quarto d’ora”. Si
fissarono, per quanto possibile, al buio, lui seduto per terra lei sul divano.
“Credo che sia ora di andare a recuperare
uno spumante! Ne ho visto uno vicino a Pallotti, non farà storie per
darmelo!” sentenziò e si alzò disordinatamente raccattando
l’accendino da terra, poi corse fuori.
Un paio di piani più sotto Libara
seduto sui ripiani della cucina guardava insistentemente la luce di emergenza
verde.
“E così tu sei Irlandese eh?” chiese. Darcy
annuì.
“E quindi non sei della nostra
scuola” continuò.
“Direi proprio di no, dato che ho
tredici anni e abito a Gallway… sono due ore e mezza di volo…
sarebbe scomodo…” fece lei annuendo sarcastica.
“Vuoi mangiare qualche cosa? Qui
c’è il frigo, non credo già tutto avariato, anche se
è saltata la luxia…lucia..luce!” disse saltando
giù dal bancone e dirigendosi al frigorifero. Libara fece un sorrisetto
“C’è solo ananas surgelata e dell’uva…
credo…”disse lui.
“Vada per l’ananas allora”
disse procedendo a tentoni nel frigo.
Mei non aveva capito bene come erano finiti
lì dentro, e in realtà non aveva nemmeno capito dentro dove
fossero finiti, l’unica cosa che riusciva a capire era che nel buio
Alsazia lo stava baciando e abbracciando, che continuava a sbattere il fianco
sugli spigoli, che non aveva la più pallida idea di quanto mancasse a
mezzanotte e che non gliene fregava nulla. L’unica cosa a cui pensava era
a non voler far passare quella sensazione.
Era lei? Era il fatto che avesse di nuovo
bevuto e che proprio l’alcol non lo reggeva? Non avrebbe saputo dirlo.
La signora Pavesi estrasse dal frigorifero di
casa Cumoli lo spumante, a suo dire troppo freddo faceva male alla digestione,
quindi era meglio estrarlo un po’ prima di mezzanotte quando sarebbe
stata ora di berlo.
Probabilmente suo fratello Michele non la
pensava così, e nemmeno zio Rufus che già mezzi brilli si
avventarono su Arabella e la sua bottiglia. Ci fu un po’ di baruffa e i
due rincorsero la poveretta per tutta la casa per conquistare l’agognata
bevanda, finché lei non si chiuse in bagno.
Si sedette sul bordo della vasca e
sospirò, come gli era venuto in mente di passare il capodanno con loro,
non era meglio andare a guardare un film con la zitella del terzo piano come al
solito?, ma il signor Cumoli aveva insistito. E in effetti poteva capirlo,
passare una serata con quei due già ubriachi alle dieci di sera era
sicuramente faticoso.
Rufus e Michele erano stati compagni
d’università, che probabilmente avevano frequentato per sbaglio. E
dall’ora non erano cambiati molto. Si accigliò e si chiese come
faceva suo fratello ad aver trovato una moglie. E oltretutto si era anche
riprodotto.
La selezione naturale era sicuramente
ingiusta.
Il signor Cumoli scrollò una bottiglia
di liquore. “L’avete già finito? Ma come è
possibile?”
Joyce aveva recuperato una bottiglia di
spumante, ora la cosa difficile era ritrovare la strada per andare da Rachele.
Arricciò il naso, doveva andare a destra o a sinistra? Alzò le
spalle e andò a destra, con la bottiglia da una parte e
l’accendino dall’altra. Si chiese se avrebbe resistito, o il gas
sarebbe finito prima che la luce facesse la sua ricomparsa.
Poi si ritrovò a illuminare due ragazzi
troppo intenti a sbaciucchiarsi per notarlo, fu solo quando si schiarì
la voce un paio di volte che si accorsero di lui.
Lei non aveva i capelli blu, ma lui si
ricordava di lei, lui sorrise e Sofia fece lo stesso “Su, su ragazzi!
Almeno imboscatevi come fanno tutti. Sono quasi convinto che da queste parti ci
sia un bagno!”
Fu allora che tutti e tre furono illuminati da
un fascio di luce bianca.
“Enrico Rigatti insieme a una delle oche
blu! Non me l’aspettavo…Monica hai visto Pallotti sta sera? Dici
che si è trovato qualcuna?”disse una voce familiare. Joyce si
coprì gli occhi col braccio.
“Emily, per piacere!”sbuffò.
“Joyce non ti ci mettere anche tu, sta
sera sono di cattivo umore perché con sto buio non vedo se ci sono
uomini abbastanza ricchi da meritarsi di essere amati da me!” e
così come era apparsa sparì portandosi via la luce e lasciandoli
al buio. Joyce riprese a mano l’accendino che aveva spento ed
illuminò i due ragazzi che ancora abbracciati guardavano perplessi il
punto in cui Emily e la sua luminosità erano sparite.
“Ragazzi… odio chiedere
informazioni ma… avete idea di dove sia il ripostufficio di Fin?”
Nikka batteva i tacchi sul tombino su cui
stava in piedi, l’unico punto dove non potesse sprofondare
nell’erba.
“Allora? Razza di zotico? Hai concluso
qualche cosa?” sbottò proteggendo se stessa e Fin dall’acqua
con un ombrello giallo mezzo rotto. “Su, su dolcezza, non ti arrabbiare
troppo, che poi ti vengono le
rughe! Comunque mi servirebbe la cassetta degli attrezzi, non è che
l’andresti a prendere?” chiese sibillino. Nikka fece un smorfia
“Va bene, dov’è?” sbottò di malavoglia.
“Nel ripostiglio, quello del corridoio
vicino alla parete di specchi, è la terza porta a destra, al piano terra…dato
che sei così accondiscendente potresti darmi anche un bacio prima di
andare a prendere gli attrezzi”. Nikka lo fulminò con lo sguardo,
poi gli sbatté in testa l’ombrello e si diresse verso il Luxury con fare militaresco.
La signora Pavesi guardò
l’orologio dorato che portava al polso. Dieci secondi a mezzanotte,
sarebbe potuta uscire a quel punto. Fissò la porta bianca del bagno e
sospirò alzandosi dalla vasca, poi fece un sospiro e girò la
chiave nella toppa.
Si ritrovò davanti zio Rufus e zio
Michele in posizione d’attacco. “Mancano dieci secondi a mezzanotte
che cavolo! Non fate i bambini!”. Probabilmente i due non erano
d’accordo perché le piombarono addosso puntando la bottiglia di
spumante. “Giovanni aiuto! Aiuto, cavolo!” strillò
soccombendo.
Nove.
Nikka avanzava veloce per i corridoi vuoti nel
retro del Luxury, e le veniva da piangere, a mezzanotte del giorno di San
Silvestro girava da sola come un idiota per un corridoio buio con una torcia in
mano. Che cavolo ne era stato del suo eterno divertimento, della sua vita fatta
per il bello. Chi se ne fregava se poi non si divertiva davvero, era bello il
fatto che fosse bello. E in quel momento, alla festa più attesa
dell’anno era sola, senza un ragazzo, senza dello spumante, senza degli
amici e senza Millie e Vanessa che la idolatrassero. Che ne era stato di Nikka
e la sua vita lucente? Tirò su col naso sperando che la matita per occhi
non si fosse sbavata.
Otto.
Joyce sorrise quando finalmente ritrovò
la porta scorrevole che chiudeva l’ufficio di Fin. La aprì fino a
metà con la mano che teneva l’accendino. Non sopportava le porte
scorrevoli, faceva sempre fatica ad aprirle.
Rachele che seduta sul divanetto orrido
di Fin , si era tolta le scarpe si alzò e gli si mise davanti. Joyce
gioviale alzò la bottiglia di spumante che aveva recuperato. “Si
brinda?” chiese. Lei gli passo una mano sulla guancia e gli diede un
bacio. Joyce decretò che no, non si sarebbe brindato, appoggiò
distrattamente la bottiglia sul tavolino basso e lasciò scivolare per
terra l’accendino mentre l’abbracciava e le passava le mani tra i
capelli e sul vestito blu. Il blu era sicuramente il colore più bello a
parer suo.
Sette.
Mei appoggiò le labbra sulla fronte
della ragazza che al buio le stava davanti, lei lo stava abbracciando forte e
sentiva le sue mani sulla schiena, mentre i suoi capelli gli finivano in
faccia. Era minuscola e aveva un buon profumo, non avrebbe saputo dire di che
marca, Nikka di sicuro l’avrebbe riconosciuto. Avvertì un brivido
fastidioso, che scacciò subito, e diede la colpa del freddo che sentiva
al fatto che Alsazia gli avesse deliberatamente tolto la maglietta.
Sei.
Libara guardò Darcy trafficare dei
cassetti della cucina alla ricerca di qualche cosa di contundente con cui
squartare l’ananas. Darcy non era bellissima, era saccente, e parlava un
po’ sgrammaticato. Aveva gli occhiali, l’apparecchio per i denti, e
i capelli fin troppo lisci. Ma lui la trovava carina, e si stava divertendo,
avrebbe dovuto andare a visitare l’Irlanda, che fosse davvero così
bella?
Guardò l’orologio.
Cinque.
Fin sbuffò a chinino davanti alla
centralina elettrica, coperto solo da un ombrello giallo mezzo rotto. Era
quello il suo meraviglioso capodanno? Sospirò e si accese una sigaretta
alla belle meglio tenendo l’ombrello tra la spalla e il collo. E in tutto
questo Nikka neanche ci stava. Si chiese se avesse qualche altro ragazzo in
quel periodo, e pensò che era strano non averla vista ubriaca e
aggranfiata a qualche energumeno proprio il giorno della festa di capodanno.
Alzò le spalle e si disse che forse era meglio non aver concluso nulla
quella sera con lei, Nikka aveva la fama della schizzata.
Quattro.
“Io ti dico che sono le undici meno
quattro secondi, mica è ancora mezzanotte!” blaterò al buio
Vanessa cercando di togliere la bottiglia dalle mani si Millie.
“E io ti dico che il tuo orologio
è paurosamente indietro! È quasi mezzanotte! E se non molli la
bottiglia non stapperemo in tempo!” sbottò lei di rimando.
Tre.
“Piuttosto ragazze” disse qualcuno
illuminandole con un fascio di luce senza che loro potessero vederla in volto.
“Si brinda con lo spumante, mica col
gin! Come fate a fare il botto?” domandò Emily pratica seguita
dalle sue pettegole. Millie e Vanessa aggrappate entrambe alla stessa bottiglia
la guardarono perplesse.
“Comunque per dire la verità
ormai è mezzanotte, e noi brinderemo con voi”decretò solo
perché non aveva trovato né un marito ricco né una
bottiglia con cui brindare.
Due.
Marianna sorrise stringendo con una mano il
calice dello spumante e con l’altra il gomito di Cesar che con lo stesso
sorriso mostrava i denti bianchi.
La sala in cui si trovavano era enorme e
addobbata a festa. Se Marianna avesse conosciuto davvero sua figlia avrebbe
detto che somigliava alla sua mano, quella che l’aveva decorata. Sul
palco una donna di mezza età ben tenuta, o solo rifatta, strillava un
conto alla rovescia inguaiata in un vestito di lustrini argentati.
Cesar guardò i drappi lucenti e le
palline dorate appese ovunque e poi guardò i capelli biondi della sua
compagna. E pensò che non vi era differenza. Sorrise e alzò il
bicchiere.
Uno.
A mezzanotte in punto sul canale nazionale la
presentatrice urlò un Buon anno
che riempì l’aria. Partirono tappi di spumante, verso il soffitto,
verso il cielo, verso gli occhi di alcuni sfortunati astanti. L’ospedale
cittadino segnalò quattro ricoveri causati da tappi di spumante finiti
negli occhi.
E il signor Michelini, nominato con voto
unanime all’assemblea di condominio come incaricato ai fuochi artificiali
di san Silvestro imprecò a lungo perché non voleva smettere di
piovere.
Arabella guardò Giovanni negli occhi
con aria rassegnata. “Non sono riusciti ad aspettare dieci
secondi…” sbottò scocciata. Il signor Cumoli alzò le
spalle “Non sarà la fine del mondo infondo…” e
alzò il calice pieno di succo di frutta, dato che lo spumante se lo
erano scolato tutto gli altri due “Buon anno Arabella”
“Buon anno Giovanni” i bicchieri
tintinnarono scontrandosi.
Mei e Alsazia non sentirono tintinnare i
bicchieri, non sentirono i petardi lanciati da qualcuno in un bagno poco
distante, ma sentirono la porta aprirsi e videro un fascio di luce illuminarli.
Si scostarono l’una dall’altra, e
guardarono il nuovo venuto. O meglio, la nuova venuta, nel buio visualizzarono
la sagoma rosa antico di Nikka che teneva in mano la torcia.
Nikka li guardò, li vedeva meglio di quanto
loro potessero vedere lei. Si morsicò l’interno delle guance,
costringendosi a non dare intonazione alla voce.
“Stavo cercando la cassetta degli
attrezzi, questo è lo sgabuzzino” disse piatta. Fece un respiro
profondo e si voltò verso il mobile senza ante, in metallo, alla ricerca
di qualche cosa da portare a Fin.
Contrasse le mascelle e si sforzò di non chiudere gli occhi per non far
scendere tutta l’acqua salata che aveva intrappolata sotto le palpebre.
Trovò una cassetta metallica abbastanza
pesante, non era sicura che fosse quella giusta, ma non voleva rimanere
lì un momento di più. L’afferrò e si alzò
rigida, poi prima di uscire volse ancora il volto verso i due che erano rimasti
immobili a guardarla.
“Fate come se io non fossi mai
passata”proferì seria, con fatica uscì tirandosi dietro la
cassetta e chiuse la porta con un calcio.
Si avviò quasi correndo verso il
giardino e quando fu finalmente fuori si lasciò bagnare dalla pioggia e
lasciò cadere per terra sul vialetto la valigetta degli attrezzi, per
poi andare a piangere, senza meta e senza idee al bordo del marciapiede.
Si sentiva un’idiota. Mei era un idiota.
Era un maledetto secchione che non era in grado di combinare nulla. E presto
anche quella tizia dal nome assurdo
se ne sarebbe accorta, che oltre i suoi bei vestiti c’era solo uno
stupido intelligentone del tutto incapace di condurre una relazione
interpersonale. Un adorabile idiota dai bei vestiti. Tirò su con naso,
tanto nessuno l’avrebbe vista, e per una volta non gliene sarebbe neanche
importato.
Un tizio si sporse da un finestrino e la
guardò. “Ehi tu? Tutto a posto?” urlò, avvicinando la
limousine che guidava, a dove Nikka stava appollaiata.
Nikka annuì cercando di asciugarsi le
lacrime che si mischiavano con la pioggia.
“Sicura? Se vuoi ti do uno strappo a
casa… tanto mi hanno pagato in anticipo… comunque io sono Alfredo,
piacere di conoscerti”.
Nikka fece una specie di sorriso.
“Nikka… grazie” piagnucolò salendo sul posto davanti
della limousine accanto all’autista.
In quel momento un energumeno biondo
attraversò il prato correndo
all’impazzata “No, quella limousine è mia! L’ho
prenotata io!”urlò come indemoniato.
Ma l’auto di lusso era già
partita. E invece verso di lui si faceva strada con aria decisamente arrabbiata
una ragazza che gli tirò una sberla sulla guancia chiara “Mi avevi
detto che avevi prenotato una limousine per me! Ma a quanto vedo era solo una
scusa per adescare! Brutto pezzente!”urlò.
“Fiorellino! Ma io l’avevo
prenotata, ma me l’hanno rubata e.. e...”cercò di giustificarsi
impacciato.
Ma la ragazza era troppo arrabbiata per
ascoltarlo e cominciò a parlare con un tono di voce così acuto da
fare quasi l’effetto delle unghie sulla lavagna.
“Non mi farò prendere in giro
oltre!” e come era apparsa se ne sparì di nuovo all’interno
del Luxury .
Pallotti si lasciò cadere per terra
arreso “E’ la seconda volta… e che cavolo
però…”piagnucolò.
Nel ripostiglio intanto tutto era tornato buio
e Alsazia avvicinò Mei a sé passandogli la mano sulla schiena. Lui
appoggiò di nuovo le labbra sulle sue, come se nessuno gli avesse
interrotti.
Ma c’era freddo. “Tu non hai
freddo?” chiese spaurito guardando il soffitto a occhi sgranati.
“Non dire sciocchezze, il riscaldamento è al massimo” lo
rimbeccò lei ridanciana ricominciando a baciarlo.
Mei deglutì, lui aveva freddo. Ma non
era freddo vero, aveva i brividi. Pensò per un secondo al vestito rosa
che aveva appena visto. Si sentì soffocare nel freddo con le labbra
premute su quelle della ragazza. Si
allontanò di un passo, e lei per poco non perse l’equilibrio.
“non posso.. non posso… con
te”spuntò quasi in preda al panico. “Mi spiace” disse
infine senza sapere realmente come comportarsi e aprendo la porta fuggì
lasciandola perplessa e senza maglia in una ripostiglio buio.
Le luci in corridoio si accesero. E la porta
dello sgabuzzino si riaprì illuminandolo.
“Scusa , ho scordato la maglietta”
disse Mei, e sparì come era apparso.
Alsazia era sempre più stupita ed
attonita, non era nemmeno riuscita a dire qualche cosa. Quel ragazzo era fuori
come un balcone per mettersi a fuggire così. Ma non ebbe ulteriore tempo
per pensarci perché la luce dello sgabuzzino si accese e un paio di
figure maschili apparvero dal nulla.
“Oh, c’era qualcun
altro!”esclamò un tizio piuttosto anonimo coi capelli castani. Lui
e il ragazzo alla sua sinistra si guardarono.
“Tu non hai visto niente” aggiunse
poi rivolto ad Alsazia “Vorrei che certe cose rimanessero
personali…” ed entrambi se ne andarono.
Mei corse senza meta per un po’,
salì e scese scale a caso, senza avere idea di dove stesse andando.,
finché non incappò in una porta aperta e illuminata, dentro la
quale di sfuggita gli parve di vedere due figure conosciute. Tornò
indietro per capire cosa il suo subconscio aveva registrato che invece la sua
ragione non era riuscita ad afferrare, e si affacciò in quello che lui
non sapeva essere lo studio di Fin. Anche perché non aveva la più
pallida idea di chi fosse questo Fin.
La scena che gli si presentò davanti fu
forse la più sorprendente della sua vita, o comunque l’ultima cosa
che si sarebbe mai aspettato di vedere. Joyce e Rachele seduti sopra un divano
orrendo, che si baciavano.
Joyce e Rachele che si insultavano sempre, non
si sopportavano, si facevano le peggiori angherie, Joyce e sua sorella, che si
baciavano.
“Ehi!” esclamò senza
nemmeno rendersi conto di averlo fatto. Entrambi si voltarono verso di lui, per
nulla preoccupati.
“Ehi, Opossum…” disse sua
sorella con aria assonnata.
“Voi…voi…”
cominciò senza saper veramente proseguire la frase.
“Oh, siate
tutti qui…” disse una voce dall’accento un po’ stano,
mentre una testa bruna si sporgeva nella stanzetta.
“Darcy!” esclamò suo
fratello vedendola arrivare mano nella mano con un ragazzo dalla pelle color
ebano. Si disse che anche se non era andato a cercarla, lei se l’era
cavata benissimo. Darcy alzò le sopracciglia a mo’ di saluto.
Libara preferì rimanere in disparte.
“Come è andata la serata
Mei?” chiese Joyce stancamente sistemandosi meglio sul divano.
“Male!” sbottò deciso.
“Ho baciato Alsazia, ma poi è apparsa Nikka e…e credo di
essere impazzito” spiegò con fare poco comprensibile.
“Potrebbe essere un preludio, sta notte
è anche la luna piana”
sentenziò la piccola Irlandese.
“Darcy? hai idea di cosa voglia dire
preludio?” domandò Joyce perplesso.
“Assolutamente no” rispose lei
sibillina.
“Credo che sia ora di tornare a
casa…” decretò Rachele che fino ad allora se ne era rimasta
con le palpebre pesanti seduta sul divano senza dire nulla.
“Certo” rispose Mei con un sorriso
tirato che probabilmente somigliava a uno di quelli plastici di Nikka.
“Ma prima vorrei parlare con Joyce…in privato”.
Joyce si indicò stupito. Mei
annuì con aria sarcastica, non c’erano molti altri Joyce in quella stanza.
I due si sistemarono nel corridoio che era
tornato buio, illuminati dalla luce che usciva dall’ufficio di Fin.
“Allora?” chiese Joyce.
“Allora cosa? Sei mio amico! Come ti
salta in mente di sbaciucchiarti così mia sorella? Promettimi che non
succederà mai più!” sbottò Mei in un eccesso di
fratellanza. Per un secondo sentì tutti gli obblighi di fratello
maggiore che aveva ignorato per anni.
Joyce soppresse una risatina e alzò le
sopracciglia. Mei si irrigidì “mi stai dicendo che non è la
prima volta?” chiese con un sussurro senza voler davvero sapere la
risposta.
Joyce soppresse un sorrisetto e alzò le
spalle.
“Oh, mio Dio, da quanto va avanti questa
storia, su dimmelo…rapido e indolore”. Joyce fece una smorfia,
parve pensarci “Se la prendiamo alla larga direi la prima volta che mi ha
insultato” spiegò pensieroso.
“Cioè?”
“Quando mi sono presentato e lei mi ha
detto che nome del cavolo è
Joyce?... avevamo otto anni…circa, se la prendiamo per il fine invece
è da quando abbiamo tredici anni…”
Mei deglutì, meno divertito di quanto
pareva l’amico irlandese in quel momento.
“Joyce quando compi diciannove
anni?”
“A marzo…”
“Quindi sono sei anni che va avanti
questa storia e io non mi sono accorto di nulla?” chiese mesto più
a se stesso che a Joyce. Lui alzò le spalle “Rilassati Mei, fino a
due mesi fa non sapevi nemmeno che io esistessi! Dovresti uscire un po’
più spesso dai tuoi paradisiaci venti metri quadrati…”
Mei sospirò “Ho proprio bisogno
di andare a casa”.
Cesar avvicinò una fetta di millefoglie
a Nikka che stava seduta immobile e composta, con gli occhi allagati, al tavolo
della cucina. La guardava dall’alto, si era tolto la giacca e mostrava la
camicia a righe, con le maniche tirate su. Era perplesso, e in un certo senso
anche preoccupato, per quella ragazzina impertinente che in tre mesi non si era
neanche sforzata di imparare il suo nome.
Nikka non si era mai preoccupata di guardarlo
per bene.
Era il fidanzato di sua madre, perciò
non veniva considerato uomo, lo vedeva come una creatura asessuata. Come sono
tutti i genitori, anche se Cesar a fare il genitore non avrebbe neanche dovuto
provarci.
“Vuoi del tea?” chiese piano come
avendo paura di fare rumore. Senza avvicinarsi, rimanendo educatamente vicino
al bollitore per l’acqua, con la sigaretta appesa distrattamente alle
labbra.
Nikka scosse la testa, Cesar non avrebbe saputo
dire dove stava guardando in quel momento, di certo non lui. “No,
grazie…e non mangio neanche” piagnucolò riferendosi al dolce
che lui le aveva allungato.
Cesar lo guardò silenziosamente, come
vedendoci dentro un fallimento. Non capiva perché proprio non riusciva a
fare nulla per piacere a quella ragazza.
“Cos’è successo sta
sera?” chiese il più dolcemente possibile, mentre il timer del
bollitore squillava argenteo.
Lei alzò le spalle continuando a non
guardarlo, i suoi occhi erano fissi alla finestra, al cupo diluvio che
continuava a imperversare sulla città.
Eppure
sui colli,dove aveva passato tutta la sua serata, non pioveva, aveva pensato Cesar.
Ma dove c’era Nikka pioveva davvero a dirotto, anche sulle sue guance.
Silenziosi due rigagnoli scioglievano il fondotinta.
“Marianna mi ha detto che Serenity, la
fidanzata di tuo padre ti sta simpatica…”cominciò, non
avrebbe dovuto, e si odiò, probabilmente Nikka in quel momento stava
male per chissà cosa,magari Paris Hilton era uscita senza abbinare al meglio
i suoi accessori, o aveva scoperto che anche il tofu faceva ingrassare, o che
il fondatore della Luis Vitton era morto da un millennio... o qualche cosa
d’altro che a lui sarebbe sembrato idiota.
Ma non ce l’aveva fatta, aveva dovuto
tirare fuori quell’argomento. Era la prima volta che lui e Nikka
rimanevano da soli, Marianna era a fare la doccia.
Si era messo coi gomiti sul tavolo e la
guardava fisso. Nikka si decise a guardarlo, e pensò che era un
bell’uomo. Come aveva fatto ad adescarlo, sua madre? Chissà…
I muscoli erano tirati e i ricci scuri gli
ricadevano sulla fronte, con un’espressione estremamente ispirata.
“Selena” disse lei semplicemente.
Cesar aggrottò la fronte senza capire.
“Selena, la fidanzata di mio padre si
chiama Selena, non Serenity come crede la mamma…”spiegò
lasciandolo interdetto per qualche secondo.
Lui s’incupì e si voltò
verso la finestra “Il suo nome lo sai…” mugugnò.
“Tu ti chiami Cesar…”
continuò lei con un sorrisetto umido.
Cesar la guardò sottecchi
“L’hai imparato?” chiese perplesso. Nikka sospirò
“L’ho sempre saputo” spiegò alzando le spalle.
“E Serenity?”
“Selena non ha l’ambizione di
rimpiazzare mia madre” spiegò lei con calma, stava cominciando a
sorridere.
“Neanche io ho l’ambizione di
rimpiazzare tua madre! Cioè, tuo padre…”Sbottò
contrariato.
“Volevo chiedere a tua madre di venire a
vivere con me…ma immagino che a questo punto…” sospirò
quasi dicendolo solo a sé stesso.
Si fece silenzio. E Cesar rimescolò per
diversi minuti a occhi bassi il suo tea.
Poi si risvegliò “Che cosa ti
è successo? Ha chiuso il tuo rivenditore preferito di Chanel?”
chiese con un sorriso. Anche Nikka sorrise “No, è un
ragazzo” disse con un po’ di amarezza.
“E’ stato poco gentile con
te?” domandò Cesar interessato.
Nikka alzò le spalle senza guardarlo
“O forse io sono stata poco gentile con lui…”
Cesar annuì come sapendo come ci si
sentiva. Forse ci era passato anche lui con qualche ragazza. Anni prima.
“Sigaretta?” chiese porgendogliene
una straniera di quella che fumava lui.
“Io non fumo!”esclamò lei
fingendosi scandalizzata. Cesar fece una smorfia e alzò le sopracciglia
“Su, non prendermi in giro, non sono mica tua madre!!”
“non posso! C’è mia madre
in casa!” esclamò. Cesar alzò le spalle “Si sta
facendo la doccia ne avrà ancora per venti minuti buoni!” disse
tranquillamente.
Nikka lo guardò circospetta poi prese
la sigaretta e se l’accese mentre lui beveva il suo tea.
Si fece nuovamente silenzio poi Nikka
proferì seria e distaccata“Se vuoi venire ad abitare con noi, per
me va bene, ma non azzardarti a lasciare alzata la ciambella del water,
è una cosa che odio. Mio padre lo fa sempre…”.
Cesar sorrise.
Quando arrivammo a casa Cumoli Joyce stava
chiedendo a Libara perché cavolo ci avesse seguito fino a casa. E Libara
diceva che essendo salito in auto con noi, e non essendosi Joyce fermato a casa
sua non poteva lanciarsi dall’auto in corsa.
Oltre la porta trovammo l’immagine
più ridicola che abbia mai visto in tutta la mia vita, ovvero quattro
cinquantenni , tra cui due ubriachi fradici che facevano il pediluvio in
compagnia.
Mia madre mi guardò “Non ho mai
passato un San Silvestro più stressante!”
“E tu avresti cinquantenni?”
commentò Darcy osservando lo zio, mentre Libara la guardava con aria
sognante.
Emily era al telefono “Oh sì, e
hai visto
Mei fece una smorfia “Geografico”
commentò.
E tutti andarono a letto.
Salve a tutti, come potete ben vedere non sono morta,
mi scuso tantissimo davvero per il ritardo nell’aggiornare, ma l’ispirazione
era andata in vacanza, c’erano tanti film, anime e telefilm che bramavano
di essere visti da me, il lavoro mi ha decisamente distrutto le ossa, sono
stata malata, mi è venuta l’ansia per praticamente qualsiasi cosa,
compreso il fatto di non riuscire ad aggiornare, e per di più questo
capitolo mi ha seriamente dato del filo da torcere, tant’è vero
che non mi convince neanche ora. Temo di non essere ancora entrata
nell’ordine di idee che non sto scrivendo la sceneggiatura di un film,
perciò non posso saltare così da una scena all’altra, spero
che tutto ciò non faccia troppo schifo. Se avete qualche consiglio su
come sistemare al meglio quello che ho scritto accetto molto volentieri le
proposte! Perché così proprio non mi convince!!
Probabilmente molti di voi mi odieranno perché
in questo capitolo ci sono personaggi nuovi assolutamente inutili che avrei
potuto bellamente risparmiarvi, beh, credo che se ho questa passione perversa
sia colpa di Harry Potter, mi è sempre piaciuto come
Altra nota assolutamente inutile, a Joyce ho affibbiato
una maglia con su scritto NY Ys ME
perché questa estate l’avevo vista addosso a un tipo e mi
aveva fatto ridere perché mi sembrava tanto una presa in giro a I Y NY
, ma non ho idea di che cosa sia…magari ha un significato nascosto di cui
non sono a conoscenza! XD
Se trovate la grammatica errata nei discorsi di Darcy
sappiate che è fatto apposta, nel caso non abbiate capito ^.^
Ma ora passiamo alle cose serie, ovvero ai
ringraziamenti, prima di tutto ringrazio chi ha letto in silenzio, chi ha messo
la storia tra i preferiti ,chi tra le seguite e ovviamente chi ha commentato!
The Corpse
Bride:
Oooh… io adoro le atmosfere natalizie innevate…ma decisamente i
Pavesi non sono tipi da perdersi in Babbi e renne… è un peccato!
Tornando a Nikka, purtroppo so che l’anoressia non è solo un
problema fisico, ma soprattutto mentale. Diciamo che ho snobbato questo fatto
perché è infilato nel contesto della sua follia del bello e
del fatto che tutto ciò che le sta intorno debba essere perfetto, non so
se mi spiego O.o
In questo capitolo Joyce e Rachele sono un po’
troppo sbaciucchiosi forse, ma se
avessi potuto raccontarlo senza allungare inutilmente il capitolo e annoiando
tutti , avrei scritto come nel tragitto in auto per andare a casa si sarebbero
insultati come al solito. Insomma il momento di tenerezza è durato poco
come al solito! E beh, riguardo al fatto che Joyce si fa fare tutto, questo
è perché lui sa che lei gli vuole bene anche se probabilmente lei
non lo ammetterà mai, Mei e Nikka invece non si sono ancora capiti per
niente!!XD
E a questo punto devo darti una bruttissima notizia, il
Luxury non esiste… ma Luxury mi
pareva un nome abbastanza tarazzo per andare bene a una discoteca! Il motivo
per cui lo ritrovi ovunque è perché ambientando tutte le mie
storie a Bologna mi piace creare collegamenti!^.^ Spero che questo capitolo ti
sia piaciuto!!
DarkViolet92: Sono felice che tu abbia
apprezzato, a me non sembrava un granché, mi tiri su di morale!! ^.^
Melisanna_: Eh sì, a Joyce piacciano
le tradizioni, se non fosse per lui nessuno si ricorderebbe del Natale!
Non ti preoccupare Nikka non morirà, ne
cadrà troppo in depressione, anche se da questo capitolo potrebbe
sembrare!! E sì, hai ragione, gli orrori
ortografici ci sono, e sono dovuti soprattutto a errori di battitura, che
si potrebbero tranquillamente sistemare con un’attenta rilettura, ma
purtroppo sono tremendamente distratta!! Ma dato che me lo hai fatto notare mi
sono impegnata al massimo nella revisione di questo capitolo, e non dovrebbero
essercene, se ne trovi e me li segnali sarò felice di correggerli
immediatamente!!^.^
The Duck: Si ammettiamolo, un po’
se lo meritava! Ma adesso ci stanno male entrambi… due furboni! ^.^
grazie mille per aver letto, spero che anche questo capitolo ti possa piacere!!
Un bacio a
tutti e al prossimo capitolo, sperando di scriverlo in meno tempo!!