Ti adoro, papà.
Il
traffico di Washington era infernale. Benjamin impiegò almeno un'ora per arrivare
al suo studio. Già, il suo studio, o meglio era un associato: ma il suo nome
campeggiava a grandi lettere sulla porta. Era emozionato. Ricordava tutto ormai
della sua vera vita, ma quell'incubo era stato così...
realistico e odioso che ne era ancora scosso. Aveva paura di entrare nello
studio e scoprire di essere ancora nella giungla. Ma si fece forza, tirò un profondo sospiro ed entrò.
−
Buongiorno a tutti. − salutò con un sorriso.
−
Buongiorno a lei, avvocato. − gli rispose la sua segretaria che gli sorrise ammiccante.
Era una
bella quarantenne mora, ma a lui piacevano le bionde. E
poi amava follemente la sua Juliet. Una bionda mozzafiato.
−
Alla buon’ora, Benny! Non riuscivi a svegliarti stamane? − proruppe Mark,
il suo socio e amico.
Non immagini quanto hai
ragione, pensò Benjamin sorridendogli.
−
Ti chiedo scusa, ma questa mattina non solo mi sono
effettivamente svegliato tardi, ma ho trovato un traffico da paura. –
L’altro
fece un sorriso strano. − Beh, visto la bella moglie che ti ritrovi…
sfido io che la mattina non ce la fai ad alzarti. –
Benjamin
lo fulminò con lo sguardo. − Mark… ti
dispiacerebbe evitare di parlare così di mia moglie? Sai che non mi divertono
un granché le battute da bar. – L’altro sembrò sorpreso dalla sua reazione.
− Scusami amico, non volevo certe offendere la tua signora.
Siamo permalosetti oggi, eh? – e gli diede una pacca
sulla schiena.
Vaffanculo, lo insultò mentalmente. −
Già, può darsi. –
−
Mi scusi avvocato, c’è il signor Tower che l’aspetta nel
suo ufficio. Avevate appuntamento per le dieci. −
Benjamin
guardò l’orologio, erano già le dieci e mezza. −
Dannazione. − imprecò avviandosi verso il suo ufficio.
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−
Signor Tower, mi perdoni. − esordì Benjamin
entrando nel proprio ufficio.
Ad
aspettarlo c’era Arnold Tower,
un uomo di mezz’età magro e pallido, seduto su una
poltrona intento a leggere un giornale.
−
Non si preoccupi avvocato, l’importante è che ora lei
sia arrivato. Deve assolutamente aiutarmi. − gli disse in tono grave.
− Se posso, certamente. Prego si accomodi qui. − disse
indicandogli la sedia davanti alla propria scrivania.
− È per quella stronza di mia moglie, ha
chiesto il divorzio! − attaccò sedendosi. Benjamin lo fissò stupito.
−
Capisco. È una situazione dolorosa, per cui io… −
Ma Tower lo fermò. − Dolorosa un corno! Non me ne frega
niente che quella lì voglia andarsene. Voglio solo riuscire a non darle un
centesimo! Capisce cosa voglio dire? −
Cominciamo proprio bene, pensò Benjamin scoraggiato.
−
Non è così semplice, dovrebbe saperlo. Perché non
comincia col dirmi perché sua moglie vuole il
divorzio? −
L’altro
fece una smorfia. − Perché l’ho tradita. −
disse con noncuranza.
−
Ah. E non le sembra un buon motivo per chiedere il
divorzio? − gli fece notare l’avvocato.
Il suo
cliente lo guardò come se avesse detto un’oscenità. − Vuole scherzare?
Lei sapeva benissimo che non sono un uomo votato alla
monogamia, e mi ha sposato accettandolo pienamente. E
ora viene a dirmi che sono un disgraziato? Pazzesco! −
Benjamin
non sapeva se ridere o mandarlo al diavolo: e lui avrebbe dovuto curare gli
interessi di un tale bastardo?
−
Signor Tower, come suo …. avvocato,
comincerei col consigliarle di moderare i toni e di evitare certi aggettivi.
Poi, mi rincresce contraddirla, ma sua moglie potrebbe anche aver detto di
accettare la sua indole infedele per poi sentirsene offesa. Non è una bella
sensazione scoprire che la persona che si ama ha un amante. −
Come Juliet e Goodwin…. Basta! Era solo uno stupido sogno. Un incubo. Si rimproverò.
−
Beh non mi interessa, io gliel’ho detto dal primo
giorno che una relazione esclusiva mi stava stretta. E
ora lei usa questa scusa del sentirsi oltraggiata per spillarmi quanti più
soldi possibili! Lei deve aiutarmi a spuntarla, e non doverle
dare nulla o al limite, a darle il meno possibile! Cosa
farebbe lei al posto mio? − sputò tutto d’un
fiato il fedifrago.
Benjamin
sorrise. − Se mia moglie mi lasciasse? Mi
sentirei morire, soprattutto se la colpa è totalmente mia, come nel suo caso.
Non me ne fregherebbe nulla dei soldi, delle macchine o delle case. La
supplicherei di perdonarmi, e di restare con me. −
Tower
boccheggiò senza emettere suoni. − Sta scherzando, vero? − disse
alla fine.
−
Oh no Signor Tower, sono molto serio. Ascolti, in
questo momento sto agendo contro gli interessi del mio studio, ma voglio farle una domanda da uomo a uomo: lei ha amato sua
moglie? −
−
Certo. −
− E la ama ancora? −
L’altro
gesticolò in aria. − E che c’entra? Tanto vuole
divorziare! −
Benjamin
annuì. − Sì, lo so. Ma risponda alla domanda: la
ama? −
− Sì, certo che la amo. Non l’avrei sposata altrimenti. Io ero contrario
al matrimonio, alla monogamia, eccetera. Ma lei voleva
il matrimonio e allora… l’ho accontentata. − raccontò l’uomo, cambiando
espressione come se avesse finalmente realizzato qualcosa.
− Ecco perché sua moglie non accetta il suo essere libertino. Era convinta che l’amasse e si è sentita presa in giro. Solitamente quando si ama, non si
tradisce. Forse questo è un concetto estraneo a lei, ma non a sua moglie.
Quando l’ha sposata, lei probabilmente era convinta
che sarebbe riuscita a farle cambiare idea riguardo la fedeltà. −
L’altro
non rispose, aveva perso ogni esuberanza e ora anzi
sembrava mortificato e imbarazzato.
−
Ascolti. Anche se, come presumo, sua moglie ha già
contatto il proprio legale, lasciamo in sospeso la sua pratica. Se lei si sente
ancora legato in qualche modo a sua moglie e in fondo
le piacerebbe restarle accanto… provi a ricucire lo strappo. −
−
Mi ha sfasciato la casa, non c’è proprio niente da
ricucire. − affermò l’uomo.
−
Lasci perdere la casa e tutto il resto, pensi a sua moglie. Le ripeto che io in
questo momento mi sto dando la zappa sui piedi perché a quanto mi è sembrato di
capire, lei è decisamente benestante e potrei
guadagnarci molto. Ma mi urta i nervi vedere persone
che per orgoglio o per paura, lasciano andare via il coniuge senza tentare di
ristabilire un contatto. Provi a chiederle perdono, se non c’è niente da fare
torni da me e le prometto che combatterò come una belva per farle vincere la
causa. −
− Va bene, ha vinto lei. − e si
alzò dalla sedia.
−
Io non ho vinto niente, anzi ho perso. Perché sono sicuro che lei e sua moglie metterete ordine nel vostro matrimonio e io non prenderò il
becco di un quattrino. Mi creda, ho avuto altri casi
simili al suo. − gli assicurò tendendogli la mani.
−
Vedremo, ma aspetti mie notizie, perché io invece ho la sensazione che sarà
solo fatica sprecata. −
Evviva l’ottimismo!
−
Vorrà dire che sarò qui ad aspettarla a braccia aperte. −
/-------------------/
Arnold
Tower uscì dal suo studio con
un’espressione strana, e tutti gli altri capirono cos’era successo.
−
Ecco fatto, ne ha convertito un altro. Questo ci farà fallire! − protestò
qualcuno.
− Lui
è fatto così, se può mettere a posto qualcosa, lo fa. È un cuore tenero. Per
nostra fortuna la maggior parte delle volte, i clienti
tornano più arrabbiati che mai! − disse Mark,
scatenando l’ilarità generale.
Benjamin
fece capolino dal suo studio. − Hai ragione Mark,
è così che è successo con il tuo divorzio, se non ricordo male. −
L’uomo
smise di ridere all’istante e si incurvò imbarazzato. −
Mi fa fare sempre figure di merda… − bisbigliò
all’uomo vicino a lui.
−
Sì, ma tu spesso te le meriti tutte. −
−
Già, me le leva proprio di bocca. − intervenne di nuovo Benjamin
avvicinandosi ai due.
−
Ma tu hai le orecchie alle sulla porta? − inveì Mark, indispettito.
Benjamin
sorrise e gli posò una mano sulla spalla. − Avanti non te la prendere.
Stavo solo scherzando! −
Invece
non scherzava affatto, non gli piacevano le libertà che quell’uomo si prendeva
con lui. Erano soci certo, ma non poteva permettersi di chiamare in causa la
sua famiglia. Per nessuna ragione.
−
Sì come no. Ma mi spieghi
come diavolo fai a sapere sempre cosa dire facendoci sempre tutti fessi? Anche quello che è appena uscito dal tuo studio. Quando è arrivato sembrava volesse scatenare una guerra e invece è
uscito sorridendo!−
Benjamin
si strinse nelle spalle. − Non è colpa mia se so sempre cosa fare. −
fu la sua risposta.
Lui
aveva sempre un piano.
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La
giornata passò rapidamente senza avvenimenti importanti. Poco prima di
andarsene, prese il coraggio a due mani e telefonò a casa dei suoi genitori.
Era stupido sentirsi in difficoltà, ma il suo cervello era ancora un po’ scosso
dalla notte precedente.
−
Pronto? − rispose una donna di una certa età. Benjamin la riconobbe
subito.
−
Mamma, sono Ben..jamin. − ricordò di detestare sentirsi chiamare
“Ben”.
−
Tesoro! Come stai? − gli chiese lei
affettuosamente.
−
Ehm.. benissimo mamma. Tu come stai? − non
riusciva a credere di parlare veramente con sua madre. Era emozionato.
−
Ringraziando il cielo, sto bene. È un piacere sentirti, caro! −
Benjamin
si commosse. Emily non aveva idea di che piacere era per lui, sentire sua madre… per la prima volta.
No, era
come se fosse la prima volta, dopo quella brutta esperienza.
Doveva smetterla di pensare a quello stupido sogno.
− Anche per me, mamma. Ehm… io e Juliet avevamo
pensato di invitarvi a cena una di queste sera. Sempre se vi va.
−
− Ma certo, grazie! Juliet è sempre un amore. Aspetta che
chiedo a tuo padre quando possiamo venire. Non vorrei
costringerlo a privarsi delle sue partire! Roger? Benny
e Juliet ci invitano a cena, quando andiamo? Va bene,
caro. −
Benjamin ascoltò la conversazione sorridendo: era meraviglioso tutto ciò.
− Benny caro, tuo padre dice che per lui va bene qualsiasi
sera. E lo stesso vale per me. −
− Che ne dici di giovedì? − propose lui.
−
Per noi va benissimo! Non vediamo l’ora di rivedere voi e le nostre nipotine! −
E
Benjamin non vedeva l’ora di rivedere lei. Anche se
riguardo a suo padre aveva ancora qualche riserva.
− Anche noi, mamma. Le ragazze impazziranno di gioia quando sapranno del vostro arrivo. − le disse.
−
Piccole care! Oh, non dove assolutamente dimenticare di fare quei biscotti che
piacciono tanto a Sarah!-
−
Non preoccuparti mamma, non c’è bisogno che ti metta a
cucinare. −
− Ma è un piacere! Tanto lo so che alla fine sarai tu quello a
mangiarne più di tutti. Hai sempre adorato quei biscotti! Ricordi? −
− Certo, mamma. Come potrei… dimenticarlo? −
I
biscotti di sua madre, quelli che gli faceva
praticamente tutti i giorni, da bambino. Lo ricordava davvero.
−
A presto mamma, e… salutami papà. − le chiese
prima di riattaccare.
−
A giovedì figliolo. Ti saluta papà dal salotto. −
−
Ciao, mamma. − ed entrambi riattaccarono il
telefono.
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Pochi
minuti dopo aver terminato la telefonata, Benjamin raccolse le sue cose ed
uscì, lasciando alle segretarie il compito di chiudere lo studio. Arrivato in
strada, si accorse immediatamente che il traffico era addirittura più intenso
della mattina.
− Ma che bello! Un’altra ora tra smog e clacson! −
sbottò entrando in macchina.
Aveva
fretta di tornare a casa, nella sua bella e accogliente casa.
E soprattutto, aveva fretta di tornare dalla sua
famiglia.
Un
trillo rapido e acuto gli segnalò che sul suo cellulare era appena arrivato un
messaggio. Era di Alex.
Papà scusami, potresti venire a prendermi? Sono a casa di Mary Anne. Sua madre è dovuta uscire e non so come tornare a
casa. Ti dispiace, papino?
Benjamin non riuscì a trattenere le lacrime. Pianse da
solo in macchina, come un idiota, semplicemente leggendo un messaggio di sua
figlia Alex. Le rispose con un altro messaggio, era
stata proprio lei a insegnargli come fare.
Aspettami tesoro, papà arriva subito. Traffico permettendo.
Una manciata di secondi dopo, un
altro messaggio da parte di Alex.
Ti adoro,
papà.
Benjamin sorrise soddisfatto. − Ti adoro anche io,
figlia mia. − e partì. Ricordava benissimo dove
abitava Mary Anne.
N.d.A. : Spero che a voi cari lettori, sia piaciuto almeno un po’
leggere questo capitolo, come a me è piaciuto scriverlo XD
Un grazie speciale a PaleMagnolia per l’idea dell’avvocato divorzista, una figata XD!!