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Autore: subaku no temari    15/12/2009    1 recensioni
Un attimo e quello sguardo si posò su di lui, tanto fu fulmineo che arrossì, e poté notare il verde scuro dei suoi occhi cattivi ma caldi. Si rintanò nella soffice nuvola, creandosi un piccolo spazio per guardare meglio le sue azioni di nascosto senza essere captato dall’altro. Ma appena cominciò a scrutare lo stesso punto con i suoi occhi nocciola curiosi, notò che non vi era più nessuno. *** [Kankukiba][Yaoi][AU] *** L'unione del Sacro e del Profano.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kankuro, Kiba Inuzuka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Memorie di un Angelo

Memorie di un Angelo

Capitolo 3.

 

Una creatura alata, bianca, candida, che sotto di me, mi guarda con una mano sulla fronte, che scosta i capelli castano scuro. Le piume delle sue ali si staccano volando via come foglie secche e creano un’atmosfera sacra in quel momento così peccaminoso.

Come se mi invitasse a possederlo, a stringerlo, ad assaggiarlo in ogni dove del suo pallido corpo.

Lentamente cominciai a sudare, chinandomi su quella creatura così inverosimile.

E poi…buio.

 

Quella notte mi svegliai sudato. Scostai la mano per prendere la sveglia che segnava, col suo ticchettio, le tre e quarantasette del mattino.

Mi massaggiai lentamente le tempie con fare abbastanza scocciato.

-Che razza di sogno era…- mi buttai sul cuscino, dove la nuca sudata sprofondò nella frescura del tessuto, cominciando a guardare il soffitto.

Ricordai quel viso tanto innocente, dalle guance arrossate, il sudore che colava dalla pelle, e lo faceva brillare come un diamante sotto il sole.

Cos’era? Forse un sogno premonitore…no, assurdo.

Un magone mi si fermò in gola facendomi apparire flashback di scene di vita che fino ad allora non avevo mai avuto. Non erano parte del sogno. Come se il ricordo di un’altra esistenza, riaffiorasse in modo prepotente nella mia testa, per farmi ricordare qualcosa che non avrei mai dovuto dimenticare.

A quel punto non potevo più dormire, o anche pensare di potermi addormentare. Così decisi di movimentarmi, nonostante l’orario assurdo, e alzarmi dal letto.

Quella mattina avrei preparato io la colazione.

Scesi le scale trovandomi nel salotto ancora buio, dove la luce pallida dei lampioni rischiarava appena il pavimento di legno lucido. Passai intorno al divano buttandomici sopra e sentendo come la stoffa prendesse la forma del mio corpo stanco e scosso.

Quel buio era pesante come un blocco di marmo e caldo come un’afosa giornata di sole d’Agosto.

Per poco non venni schiacciato da quel atmosfera così carica di angoscia, quando i miei occhi furono catturati da un libro che si trovava sul tavolino di legno, davanti al divano con una pagina segnata da un pezzo di carta.

Lo presi con fare poco interessato, aprendo alla pagina contrassegnata.

 

“[…] Un amore indissolubile, reso tale da quel nastro legato nelle loro mani, unendo le loro anime oltre la morte, oltre l’oblio stesso. Rendendole anime gemelle fino alla fine dei tempi. […]”

 

Chiusi di colpo il libro, come se quella frase che avevo appena letto, cui neanche ci avevo ragionato sopra, mi avesse rivelato una realtà che andava ben oltre la mia immaginazione o la mia stessa fede, o credenza, religiosa e non.

Come se ora sapessi, in modo relativo, chi fosse quella figura così angelica nel mio sogno. Sapevo solo una cosa assolutamente certa. Quella persona era mia.

Mi sedetti sul divano poggiando il libro come l’avevo trovato sul tavolo, prevedendo una paternale di mia sorella.

Socchiusi gli occhi per tentare di ricordare, ma presi sonno, addormentandomi sul divano fino alle sette delle stessa mattina.

Fino a quel momento non ricordo granché di cosa successe. Ma i miei ricordi ritornano abbastanza chiari quella sera, quando uscii con la mia solita comitiva.

Mentre passeggiavamo, notai un ragazzo, castano chiaro, gli occhi dello stesso colore, identico a quello del sogno. Mi fermai per guardalo, lui fece lo stesso. I nostri sguardi erano identici. Entrambi esprimevano stupore. Ma no quel stupore che si prova per qualcosa di nuovo, ma quello stupore che si prova quando si ritrova qualcosa che non si vedeva da tempo.

Schiarì la voce, non notando che avevo perso completamente il gruppo. Vidi quel ragazzino schiudere la bocca, ma subito ingoiò la frase mordendosi le labbra.

-Ciao…- dissi appena alzando una mano. Lui sorrise arrossendo, chiudendosi nella sciarpa bianca.

Mi massaggiai la nuca con fare imbarazzato. Oh andiamo! Non era da me fare una figuraccia del genere.

-Kiba…- mi voltai guardandolo sorridere dolcemente. Non capì subito.

-Come scusa?-

-Mi chiamo Kiba…- ridacchiò, porgendo la mano gelida con le punte delle dita rosse. La strinsi notando che sospirò sollevato, probabilmente perché avevo la mano che sembrava una stufa.

Ancora uno sguardo. Ma il suo così dolce come il miele cercava di gridarmi. Cercava invano di dirmi “ti prego ricordati…non lasciarmi solo in questa vita…”.

Questo lo capii dopo.

-Non ti ricordi proprio di me?- disse appena. Io con un grande dispiacere scossi la testa. No. Non ricordavo.

-Mi spiace…- sospirai.

-Ma come…sono il figlio di Tsume Inuzuka…proprio non ricordi?-

Un ricordo vago si fece spazio dentro di me. Due bambini che giocano nella sabbia e fanno castelli di sabbia; un altro dove io, bambino, difendo un piccolo moro da dei ragazzini che lo stavano picchiando.

Ora ricordavo. Ma solo in parte.

-Kiba? Inuzuka! Ma si!- dalla stretta di mano, lo tirai a me, abbracciando il suo corpo freddo nonostante i vestiti invernali.

In quel momento, con quel contatto, ricordai anche il resto. Ricordai ciò che la mentre umana non può ricordare. Che elimina in quel sottile passaggio tra una vita e l’altra.

-Dove sei stato tutto questo tempo…?- dissi appena, stringendolo più forte. Lo sentì aggrapparsi al giubbotto di pelle nero, e a sospirare tranquillo.

-Sono sempre stato qui…aspettandoti…dall’altra volta…- sorrise mettendosi in punta di piedi, e aggrappandosi ancora di più.

-Ti ho sognato stanotte…- lo sentì ridacchiare dolcemente.

-Anche io…- scostai il viso sul suo nel tentativo di baciarlo, quando voci irritanti mi fermarono.

-Ohi! Kankuro! Muoviti! Altrimenti facciamo tardi!!- gridò uno de gruppo, ma la distanza che ci separava non capii bene chi fosse a chiamarmi.

Schiarì appena la voce, vedendolo lasciare l’abbraccio caldo e rintanare la testa nella calda sciarpa di lana bianchissima come la neve.

-Vai…ci rivedremo…- si girò correndo via tenendosi la sciarpa al collo per evitare che volasse via. Non riuscì a fermarlo ma quella stessa sciarpa mi capitò tra le mani, scoprendo il suo dolce viso rosso di freddo e non solo. Appena si voltò per controllare che fine avesse fatto la sciarpa, vidi che non era rosso per il freddo; era rosso per le lacrime. Come se sapesse che non si saremmo più rivisti.

Strinse gli occhi facendo scendere le lacrime caldissime, e ritornando a correre dalla parte opposta a me.

Sparì tra la folla che camminava indisturbata tra i negozi addobbati a festa.

Non stetti affatto tranquillo quella sera. Avvolsi quella calda sciarpa intorno a collo, beandomi di quel profumo delicato di fiori di ciliegio che emanava.

Ogni volta che chiudevo gli occhi ed annusavo lo vedevo che sorrideva contento, con il viso arrossato dall’imbarazzo.

Ma riaprivo le palpebre, accorgendomi che il mio angelo non fosse lì con me, trovandomi tra una massa di balordi idioti. Non ne potevo certo parlare con uno di loro.

Stretto a quel unico indumento che gli apparteneva, tornai a casa, notando che mia sorella mi stava aspettando seduta al divano mentre sfogliava ancora quel libro misterioso.

Lei sapeva qualcosa che io non sapevo, o forse non ricordavo.

-Scommetto…che lo hai incontrato?- chiuse con un colpo secco il libro, riponendolo sul tavolino lucidissimo. Scossi la testa.

-Chi?- mi tolsi il giubbotto lasciandomi la sciarpa sul collo.

-Kiba ovvio…- ridacchiò – Odi il bianco…- disse indicando l’indumento che sfiorava il candido.

Lo guardai. Effettivamente aveva ragione. Non avevo mai sopportato il bianco, mi bruciava alla pelle.

Ma con quella no . Strano.

-Mh…si…che ti importa…?- mi raggiunse aggiustandomi la sciarpa addosso, sorridendo contenta.

-Tienila e vedrai che tornerà…domani…- disse pensandoci un attimo su.

Lo guardai andare via sorridendo contenta.

 

Non so come fece. Non so neanche ora se mia sorella avesse dei poteri premonitori.

Il giorno dopo si presentò a casa.

Scesi non appena la porta suonò, notando che fuori pioveva a dirotto. Le gocce d’acqua ticchettavano sul viso pallidissimo di Kiba che mi guardava innocente, sotto la pioggia scrosciante che lo aveva inzuppato da capo a piedi.

-Cavolo entra! Ti buscherai qualcosa!- lo tirai dentro stringendolo. Tremava. Alzò il viso sorridendomi con le guance e la punta del naso tutte rosse.

-Tranquillo…sto bene…- chiuse gli occhi lasciandosi andare. Per sicurezza accostai le labbra alla fronte notando che scottava molto.

-Dannazione…- lo presi in braccio di peso, portandolo nella mia stanza, e mettendolo sotto le coperte che presto assorbirono l’acqua sul corpo.

Corsi giù dalle scale, andando in cucina.

-Temari! Temari!- si affacciò dalla porta con fare tranquillo. Come se sapesse.

-Dimmi.- nascose la mano dietro la schiena mentre con l’altra girava qualcosa in un pentolino sul fuoco.

-Kiba è qui…ha la febbre…aiuto!- diedi un pugno allo stipite della porta, dove lasciai un solco, e il sangue cominciava a uscire dalla mano. Non avevo mai avuto quella forza in corpo.

-Tieni…- mi porse una boccetta che conteneva un liquido giallognolo come il grano. Lo squadrai un attimo, guardando poi mia sorella che continuava a mescolare nel pentolino.

-Cos’è?- mi rigirai la boccetta tra le mani

-Miele…- alzai lo sguardo, assumendo una smorfia schifata.

-Lo sai che il miele mi fa schifo…- m’interruppe

-Non è per te, è per Kiba…- Si girò verso di me, sorridendo divertita. Possibile che fosse così meschina da non rivelarmi ciò che sapeva?

Prese una tazza bianca, lucida e profumata, versandoci dentro quello che sembrava latte caldo; prese dalle mie mani il miele versandone un po’ dentro, poi porgendomi la tazza bollente con dentro un cucchiaio.

-Gira, e lascia che il miele si amalgami con il latte…- girai appena guardandola –Cosa c’è? Dovresti sapere meglio di me che gli angeli devono bere solo latte e miele…-

La guardai sorpreso. In quel momento non ero in vena di domande, così andai in fretta sopra continuando a girare il latte nella tazza, mentre cominciava a colorarsi di un leggero strato dorato.

Aprii la porta, notando che dormiva beatamente. Era più tranquillo rispetto a prima, poggiai la tazza sul comodino prendendo ad accarezzargli la fronte sudata. Respirava lentamente ma con respiri profondi.

Sorrisi appena, ricordando una canzone che cantava mia madre.

-Cosa ho fatto per meritare il tuo perdono…pulendo l’anima mia…con ogni tuo bacio, il dolore volava via…- schiuse gli occhi castani, sorprendendomi della ripresa veloce che aveva avuto.

-Come ti senti?- chiesi subito porgendosi il latte, notando che con le sole poche forze, si mise seduto sorridendomi e baciandomi la fronte.

-Meglio ora che ci sei tu…- fece qualche sorso, e dopo sembrava quasi rinsavito. Poggiò di nuovo la tazza sul comodino di legno prendendomi la mano e appoggiandola sulle sue labbra ora così calde. Mi baciava la pelle delle mani fredde, e tozze, piede di tagli e graffi. Ritirai appena la mano, avvicinandomi a lui e baciandolo dolcemente. Il sapore di miele non era mai stato così buono come sulle sue labbra. Le leccai lentamente, sentendolo sospirare appena, mentre stringeva la mia maglietta, come se cercasse un appiglio per non perdere il controllo.

-La…la sciarpa…- sibilò appena guardandomi con occhi sciolti di desiderio. Annuii appena passandogliela. L’avvolse attorno al mio collo tirandomi a se e baciandomi ancora, dolcemente, mentre esploravo il palato caldo e dolce con la lingua.

Avvolse le magre braccia intorno al mio collo, tirandomi di più a se, per poi prendere un po’ di fiato. Mi guardò languido e sudato, ormai stava decisamente perdendo il controllo.

-Facciamo l’amore…?- baciò la punta del naso, intricando le dita nei miei capelli castani, pieni di gel.

-Dannato angelo maniaco…- ghignai facendolo stendere sul letto, aprendogli bene le gambe, dopo aver tolto i pantaloni che ingombravano il mio paradiso nell’inferno del mondo stesso.

Gli morsi appena il collo facendolo sanguinare, leccando poi il sangue che colava lentamente sul collo.

Lentamente cominciai a possederlo, mentre nella stanza le sue urla e i suoi gemiti mi nutrivano e mi facevano sentire vivo.

Stringevo la sua pelle che pareva lattice, o una sostanza tanto soffice quanto irreale.

Mentre ero dentro di lui mi stringeva forte, impiantandomi le unghie nella schiena con prepotenza, pregandomi di continuare a prenderlo ma mantenendo una certa delicatezza nei movimenti.

Purtroppo non mi era possibile.

O le facevo veloci e bene le cose, o non le facevo proprio.

Che filosofia egoistica, lo so.

Il forte amplesso di concluse poco dopo. Io ero appagato, felice, e che ne possiate dire, mi sentivo completo e con quei gesti anche amato.

Una gioia che non aveva saputo dar nessuno, solo lui.

Sembrava dormire, così lo strinse a me forte, e mentre lo coprivo con le mie braccia, che gli avrebbero sempre dato conforto, lo sentii sospirare, e il viso già angelico, rilassarsi di più, diventando irreale.

In quel inferno di mondo, potei trovare il mio eterno paradiso.

 

Anche in questa vita

La nostra stessa ragione,

Stare l’uno accanto all’altro,

Ci ha portato a fare le nostre scelte

Che sicuramente molti non hanno accettato.

Ma l’unica cosa che conta

Siamo noi due

.

Angelo mio puliscimi da questo peccato.

Perché amando te

Ho peccato di egoismo.

 

­­­­­­­­­­­­­_____________________________________________________

Grazie delle letture e dei preferiti…a quanto pare non ha avuto proprio tanto successo la mia bella storia!

Peccato!
Ringrazio vally kiss: si mora lo so! So che vorresti una storia così…tu conosci il nostro rappresentante d’istituto…bene…e sai cosa penso di lui…ottimo!^^

Grazie del commento!^^

Commentate anche voi se volete portare avanti una mediocre scrittrice come me.

  
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