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Autore: Meli_mao    23/12/2009    3 recensioni
Settima classificata al contest: "A contest, a rose and a story!"
I sentimenti di Tessa per sottolineare il rapporto con il fratello anche dopo un' ipotetica morte di lui.
"Sorride lui, in modo cinico e distaccato, anche attraverso il vetro fine del porta immagine.
I suoi occhi sono gelidi, di quella limpidezza che mette paura.
I suoi capelli sembrano brillare al raggio di luce che colpisce l’immagine.
Il solito bastardo opportunista, penso.
E mi sfugge quel sorriso sincero che mi tenevo dentro.
Nonostante tutto… era mio fratello…"
Ho messo spoiler per alcuni particolari, ma di fatto è tutto inventato senza particolari riferimenti ai romanzi!
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Teletha Testarossa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Il mio bastardo opportunista

A volte mi chiedo come la vita mi abbia portato ad essere quello che sono ora.
Ripensandoci, da bambina ero viziata, egoista, paurosa e timida. Ora sono un’adulta, anche se ho solo 17 anni. Mi batto per il bene dei miei sottoposti, non temo di entrare nel mezzo di una battaglia se serve per salvare un mio mercenario e, anche se malamente, riesco ad esternare i miei sentimenti con maggiore facilità. Eppure lo sono ancora, viziata. Da ognuno di loro.
Però .. ho sempre sentito il bisogno di qualcos’altro. La mia famiglia, per quanto possa continuare ad illudermi, non riesco proprio a rimpiazzarla.
Sistemo meccanicamente la cravatta scura intorno al mio collo. Abbottono annoiata la camicia, sistemando il colletto. Raccolgo velocemente i miei lunghi capelli chiari nella solita pettinatura e, sedendomi sul bordo del letto, infilo le calze senza prestare troppa attenzione che siano dritte.
La gonna color cachi sale velocemente sulle mie gambe snelle, guidata dalle mie mani. Le scarpe le infilo mentre indosso la giacca.
Lo specchio mi riflette con regolarità, come ogni altra mattina. Tuttavia, non riesco a dire se ci sia qualcosa di strano in me.  Tutto mi sembra stonato.
La porta si apre silenziosamente e il corridoio è deserto, in silenzio. Davanti a me l’alternativa di voltare le spalle e scappare da tutt’altra parte. Ora nessuno mi noterebbe.
Ma credo che non ce la farei mai.
Un passo dopo l’altro mi incammino, lenta e mesta, come se il mio procedere fosse dettato da una forza maggiore. Sento la pressione del momento, gli sguardi rivolti a me di chi incontro, il rimbombo delle campane in lontananza. Deve essere strano incontrare per la strada di una città come Portsmouth una ragazzina vestita come in un film poliziesco.
Percepisco tutto, tranne quello che si dice intorno. La gente parla, ride o sorride, piange o si dispera, resta in silenzio e cammina veloce, va lenta e annoiata. Io non sento nulla più.
Nemmeno so perché abbia ordinato di non farmi venire a prendere. Forse qualcuno al mio fianco mi avrebbe fatto compagnia.
No
Sarebbe stato solo un peso aprire le labbra e salutare o fare conversazione.
Dopo poco tempo, o forse ne è passato di più, arrivo alla meta: una chiesetta stile occidentale, in un zona un po’ fuori mano, si staglia su una piccola strada di periferia. Il suo color avorio sporco è in armonia con le case giallastre attorno, e il vialetto di ciottoli grigiastri richiama il color nero sbiadito della strada.
Ci sono molte persone li fuori. Moltissime se calcoliamo il numero esiguo che immaginavo.
La signorina Kaname è l’unica che si limita ad osservarmi senza lasciar trasparire nessun sentimento.
La vedo indugiare appena su di me. Forse è la sola che ha notato quanto sia sbagliata la mia presenza lì. Ha osservato la mia cravatta mal allacciata così come la giacca, la gonna spiegazzata e le calza al contrario, le scarpe sporche e la coda cadente. Le occhiaie. Gli occhi stanchi e vuoti. La pelle pallida e il rimpianto riflesso sull’intero volto.
 Perché lo capisco così chiaramente?
Perché solo guardando lei vedo il mio riflesso.
È bianca e stanca, come me.
L’abito nero che indossa le ricade in modo rigido sui fianchi, innaturale.
Le mani le tremano, come le mie.
I capelli sciolti sono crespi e in disordine.
L’unica particolare, quello che fa la differenza, è che tra le sue lei tiene la mano di quel mercenario a cui deve la vita.
Io…. mi accontento del piccolo fiore bianco sporco che un tempo era una rosa profumata.
Provo invidia. Rabbia. Sentimenti che non mi appartengono.
So che in fondo lei sta meglio di me. La vedo felice, anche se recita la parte ora.
E poi vedo lui, nella sua serietà statuaria, più umano nel stringere la mano alla ragazza. È lui che devo incolpare per questo, no?
Vorrei chiedergli se sta meglio ora, se è felice di averla ritrovata. So che la risposta sarebbe affermativa.
Vorrei poterlo colpire per farlo sentire in colpa. Lui ha privato me di quell’unica persona che ancora mi rendeva normale.

Sono una bugiarda.

Mento a me stessa anche adesso.
Non sono mai stata normale. Non ho mai avuto una famiglia normale, né amici normali.
Mio fratello era un terrorista, io ero una Wisphered, quelli che mi circondavano nel tempo libero erano militari o, come la signorina Kaname, persone speciali quanto me.
In verità… non riesco a provare rancore verso di loro.
Mi limito ad annuire, per mostrargli che sono ancora lucida, solo questo.
Non avrei poi molto da dire. Di certo “grazie” sembrerebbe assurdo.
“Capitano! Le porgo le mie condoglianze!” solo la voce cupa e sincera del mio vice mi distoglie per un attimo dal mio nervosismo rabbioso.
“Signor Mardukas..” sussurro lentamente, sforzandomi di guardarlo negli occhi. Ha il solito berretto, la solita posizione rigida, il saluto militare perfetto.
Annuisco anche a lui, in silenzio.
“Tessa..” Melissa si avvicina rilassata. Stringe tra le mani un mezzo di rose rosse fresche. Weber-san la segue docilmente.
“Stai bene?”
Mi da fastidio sentire  quella domanda ora.
Si, sto bene…dovrei rispondere.
No, sto male…vorrei urlare.
Ma solo annuisco, per l’ennesima volta, e so che a lei basterà quello.

La chiesa è piena, anche se so perfettamente che sono qui solo per me.
Nonostante le pareti fredde, il venticello leggero che preannuncia l’inverno e gli abiti leggeri, percepisco il calore di chi mi sta attorno.
La bara scura si staglia rigida e perfetta sull’altare, davanti a un sacerdote.
Sento qualcuno chiedere: “Perché una chiesa cristiana?” e chi risponde prontamente: “Erano italiani..” con ovvietà. Non mi preoccupo di pensare che non è del tutto corretto.
Il fatto è che quella chiesetta è vicina al cimitero dei nostri genitori. Io vorrei essere seppellita li un giorno…ma forse, mio fratello avrebbe voluto il mio opposto, come è sempre stato nella nostra vita.
Sposto lo sguardo attorno… è tutto così bello…
C’è più amore fra i miei compagni di sempre. Melissa stringe la mano a Weber-san. La signorina Kaname si rilassa sulla spalla di Sagara-kun. Il mio addetto al timone sorride bonariamente a una donna che so essere sua moglie. Mardukas seduto al mio fianco andrà a trovare le sue nipotine dopo la cerimonia. Potrei continuare all’infinito..
Ma vedo, in un angolo remoto e scuro della struttura,  una serie di volti pallidi.
Hanno tutti un nome nella mia testa, hanno tutti un loro modo di parlare e sorridere, hanno tutti una famiglia che io ricordo. Sono quei volti bianchi e trasparenti che mi ricordano quel sentimento di rancore e disapprovazione che ho provato fino a pochi giorni fa verso quel mio unico fratello.
E sono ancora li, quei visi, che mi fissano, mi scrutano, sembrano chiedermi il perché del mio sentimento di pentimento per la morte di Leonard. E io….non so rispondere.
Era mio fratello…
Mio gemello…
Il famigliare a me più prossimo..
L’unico verso cui  io abbia mai provato un sento di ammirazione mista a inferiorità.
Come posso stare lì, seduta tranquilla, ed odiarlo?
Non posso farlo…
Sento l’eco della voce del padre in lontananza.
Vedo su quell’altare una serie di ghirlande, di fiori, di vasi… le rose rosse spiccano su tutto.
Sopra la bara, proprio sopra il telo che la ricopre, riconosco lo stesso mazzo che Melissa portava poco prima.
Gli occhi mi si inumidiscono, tanto che vedo tutto sfuocato…e mi pare fuoco ora, quel colore.
Sembra avvolgere l’intero corpo di mio fratello, sembra stringerlo in una morsa invincibile.
Tremo e sento brividi lungo la schiena.
Sbatto le palpebre ripetutamente per levarmi dagli occhi quella visione.
Mi spaventa…
Dico no… ma nessuno se ne accorge.

Le fiamme…penso…lo stanno divorando.
-Lo meritava- dice qualcuno che solo io posso sentire.
Forse hai ragione
-Ho sempre ragione-
Non sempre!
-Ora si..-
Era mio fratello..
-Questo non gli ha impedito di tentare di ucciderti-
Si è sempre ricordato di me…solo non sapeva come dimostrarlo..
-Dovresti provare più rispetto per i morti-
Lui è morto.
-…per i tuoi morti..-
Sono stati vendicati… penso debolmente, malinconica.
-Dovresti essere contenta allora- mi rimprovera quella presenza.
Era mio fratello…ribatto, e non ho più nulla da aggiungere.

Stringo convulsamente le mani attorno a quell’unico oggetto che tengo ora appoggiato sulle ginocchia.
E poi.. mentre ormai fermare le mie lacrime sembra impossibile, mentre sento il mio contegno sgretolarsi, mentre un petalo cade a terra, secco, io mi alzo.
I miei passi riecheggiano nell’aria, con un rumore per me assordante.
Mi avvicino a quell’involucro che so essere vuoto…il suo corpo è stato distrutto…
Il colore del legno visto da vicino mi sembra falso, fastidioso.
Quel rosso terribile che lo circonda… quel rosso, lui
Mi inginocchio, stanca. Mi lascio andare ai piedi di quel macabro contenitore.
Tocco con una mano il bordo della cassa. È fredda…
La mia mano sudata crea in me una strana sensazione a contatto con quella superficie.
L’altra la tengo appoggiata contro il mio petto, meccanicamente stretta attorno alle piccole spine della rosa.
Non sento se mi pungono.
Non sento le gocce di sangue cadere.
Non sento il dolore…
Ma riconosco una mano, una stretta gentile e quell’abito nero.
“Lui odiava le rose rosse..” balbetto, singhiozzando rumorosamente.
Non mi importa della sala lugubre che mi fissa, né del sacerdote fermo a pochi metri, né dei sentimenti contrastanti che provo.
Sento solo una voce e, per un attimo, non capisco se quelle parole vengono dette davvero o no.
“Lo so..” mormora cauta quella persona al mio fianco. “Lo so..” ripete sicura, prendendo con delicatezza il mazzo rosso sopra il legno e spostandolo a terra.
Poi mi tende le mani e mi fa alzare, come fossi una bambola incapace di muoversi.
Istintivamente apro le dita e lascio che quel mio fiore appassito si posi dove avrebbe dovuto sempre stare.
Il bianco risalta intensamente sopra il tessuto scuro.
E mi sembra un particolare puro in mezzo a tutte quelle fiamme che lo avvolgono ancora.
Mi sembra che proprio quei pochi petali possano purificare l’intero altare.
Mi sembra che solo quella piccola rosa bianca, che non durerà un altro giorno, sia realmente quello che lui avrebbe voluto.
“Come lo sapeva, signorina Kaname?!” chiedo con quella lucidità che ho riconquistato.
“Non lo sapevo… l’ho solo percepito!” la sento appena spaventata dalle sue stesse parole. La risonanza non c’è più…i nostri sussurri, l’intelligenza, le capacità mostruose che avevamo…andati, per sempre.
“Credo sia un effetto collaterale..” si sforza di commentare.
Faccio per annuire, ma trovo più appropriato parlare con quella ragazza, incurante degli occhi fissi su di noi.
“Ogni anno portava sulla tomba dei nostri genitori un mazzo di rose bianche… in qualche modo, riusciva a farmelo sapere attraverso la risonanza e io…portavo le mie rosse!” spiego a bassa voce, in modo pacato e abbassando gli occhi tristemente.
Mi fa male quel ricordo. Terribilmente. Erano i nostri unici momenti. Non avevo il suo numero, il suo indirizzo.. nulla.
Nemmeno sapevo cosa avesse fatto in quegli anni, come fosse la sua casa, se avesse mai provato affetto per qualcuno.. niente.
“Ti voleva bene..” parole vuote, insensate. Così false.
Le mie labbra tremano. Vorrei dire che non era così, che il suo affetto per me era vuoto, infantile, essenzialmente legato al mio potenziale. Ma non ne ho voglia… sono davvero stanca di parlare.
“I morti non hanno onore né dignità!” ripeto la frase che lui un tempo mi disse con un tono ironico.
Tutto questo basta per smentirla, no?
Prima di voltarmi lancio un ultimo sguardo a una piccola foto che spicca su un leggio.
Sorride lui, in modo cinico e distaccato, anche attraverso il vetro fine del porta immagine.
I suoi occhi sono gelidi, di quella limpidezza che mette paura.
I suoi capelli sembrano brillare al raggio di luce che colpisce l’immagine.
Il solito bastardo opportunista, penso.
E mi sfugge quel sorriso sincero che mi tenevo dentro.
Nonostante tutto… era mio fratello…

“Qualche problema?” la voce serena di Sousuke arriva cristallina alle orecchie di una Kaname raggiante.
“Nessun problema!” ribatte tranquillamente lei, come d’ abitudine.
Poi distoglie lo sguardo da lui e lo punta sulla schiena della giovane Teletha Testarossa, ferma davanti a tre lapidi grigie.
“Bastardo opportunista eh?” sussurra e, sorridendo rilassata, si allontana con i capelli lisci al vento e la mano stretta attorno a quella rosa bianca che anche lei aveva portato.



Piccola nota: la frase “I morti non hanno onore né dignità” è stata direttamente presa dal prologo del romanzo “Tsudou on my on”, pronunciata dallo stesso Leonard.
I nomi li ho tenuti originale dalla prima serie, altrimenti, forse più giusti, sarebbero stati Teresa e Leonardo.
La città nominata, Portsmouth, è davvero quello dove, stando ai romanzi, si trovano le tombe dei genitori dei due fratelli.
Ovviamente l’avvenimento è frutto della mia fantasia. La storia reale non è ancora finito quindi non si sa se davvero Leonard  muoia o no, né tanto meno se gli altri abbiano il lieto fine.
 

Ora passo a ringraziare la giudice del contest per il suo giudizio…ne sono immensamente onorata visto che questa storia è stata scritta e poi inviata in un pomeriggio per una mia illuminazione…fa incredibilmente piacere essere arrivata 7° e che i punteggi siano stati alti.
Ti ringrazio…e ringrazio in anticipo anche chi la commenterà!
Ecco però il commento e le valutazioni ottenute:


Una storia davvero ben scritta. Ho apprezzato moltissimo le tue capacità descrittive, grazie alle quali sei riuscita a far entrare il lettore - perlomeno me! - all'interno della storia. Mi sono quasi vista passare davanti il volto sfatto, smunto, spento e stanco di Tessa. Devo dire che, per davvero, è stata tra le storie le cui descrizioni più ho adorato. E devo dire che, per il resto, sono tutti punteggi estremamente alti. Nessun errore sintattico od ortografico, se non per qualche sì senza l'accento. Per il resto, non c'è altro. L'elemento roseoso è molto buono ed è abbastanza chiaro come la storia ruoti tutta intorno a questi fiori. Poi mi è piaciuto anche il modo in cui hai sottolineato la differenza che c'è fra Leonard e Tessa con il loro amare due colori diversi di rose. Molto brava, devo dire! Ancora complimenti per le descrizioni, sono rimasta veramente a bocca aperta. ^^ Spero tanto parteciperai a un altro mio contest!
- 9 punti alla grammatica;
- 8 punti all'originalità;
- 9,5 punti per lo stile;
- 8 punti per l'utilizzo dell'elemento roseoso;
- 4 punti al giudizio personale
   
 
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