Anime & Manga > Digimon > Digimon Adventure
Segui la storia  |       
Autore: Padme Undomiel    26/12/2009    4 recensioni
Strinse più forte al petto il fagotto immobile, coperto perché non dovesse essere scoperto. Pregava con tutta se stessa che le sue aspettative riuscissero ad essere appagate: almeno lui doveva sorridere.
Anche senza di lei. Probabilmente per sempre.
Perché il suo cuore era ancora intatto, mentre si aspettava che scoppiasse da un momento all’altro?
Sempre più vicina, sempre più vicina.
Non riusciva a fermarsi. La sua parte razionale stava vincendo su quella dei sentimenti. Non riusciva a smettere di correre a perdifiato, con il respiro corto, l’ansia visibile in ogni tratto del suo viso bianco come un cadavere, il dolore straziante nei suoi occhi scuri.
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hikari Yagami/Kari Kamiya, Ken Ichijoji, Miyako Inoue/Yolei, Takeru Takaishi/TK
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Purity cap 7

7.

 

Takaishi Takeru

 

 

“Sei sempre la solita stupida, Naoko. Perché non stai attenta?”

“Non sono stupida! Sei tu che non mi hai aspettato: perché non vuoi mai stare con me?”

“Perché sei una femmina, no?”

Stavano ancora bisticciando tra loro. Appena aveva riportato Naoko al parco, tutti i suoi compagni di giochi le si erano avvicinati preoccupati. Ma Shinji non avrebbe mai ammesso di essersi spaventato per l’improvvisa sparizione della piccola: arrabbiarsi con lei era l’unico modo di nascondere l’apprensione che lo aveva sopraffatto in sua assenza.

Il problema era che Naoko questo non riusciva a capirlo: i suoi occhi cominciavano a riempirsi di nuove lacrime. Era meglio intervenire subito.

“Dai, adesso basta, Shinji-chan” disse Yagami Hikari al bambino dai capelli castano chiaro, mettendogli una mano sulla spalla per zittirlo. “L’importante è che non è successo nulla di male a Naoko-chan. Possiamo evitare di litigare, adesso? Perché non giocate insieme?”

Gli sorrise, incoraggiante. Era davvero difficile far sparire quel broncio dal viso del bambino: spesso nessuno ci riusciva, nemmeno Taichi, che era la persona con cui andava più d’accordo. Eppure, sperava davvero che la sua mancanza di attenzione rivolta a Naoko qualche tempo prima non scatenasse altre lacrime o altra voglia di farsi i dispetti.

Il volto di Shinji si fece ancora più scuro. “Ha fatto preoccupare tutti! E’ colpa sua!” si difese, imbronciato più che mai. “Non ho fatto niente, io!”

“Io non mi sono preoccupata!”

L’improvviso intervento di Asami fece zittire tutti quanti: Hikari osservò, divertita, l’aria di rimprovero, di sorpresa e di sgomento che ogni bambino aveva assunto. Persino Shinji era a corto di parole.

Eppure, la piccola con i capelli neri corti fino al mento appariva tranquilla, come se avesse detto qualcosa di scontato. E la giovane sapeva che il suo intento non era malvagio: ci doveva essere una spiegazione logica a un comportamento all’apparenza tanto scorretto.

“Sei cattiva a dire così, Asami-chan!” la riprese Junichi, che quando non si scatenava negli sport adorava mettere fine alle discordie del gruppo usando il suo ruolo da maggiore: per lui, otto anni erano abbastanza per essere grande. “Si è spaventata tanto, non vedi?”

Asami sgranò i suoi grandi occhi scuri, sorpresa. “Lo so! Ma perché sono cattiva?” domandò. “Pensavo che Sora l’avesse portata a comprare quel gelato che voleva, quindi non mi sono preoccupata!”

Hikari rise. Non sarebbe mai cambiata, di questo era sicura. “E non hai visto che Sora era con noi?” le chiese, cercando di non dare l’impressione che stesse ridendo per prenderla in giro: non voleva ferire i suoi sentimenti.

Asami scosse la testa. “No… quando è sparita eravamo vicino alla pasticceria, e stavo guardando i dolci dalla vetrina!” rispose tranquillamente.

“Tu pensi sempre solo ai dolci!”

I piccoli ascoltatori avevano cominciato a sbuffare e a scuotere la testa, commentando la grande passione di Asami con aria scettica. Quando cominciavano a discutere tra loro in quella maniera, l’unica cosa che andava fatta era lasciarli divertire da soli.

Hikari si allontanò dal gruppetto, osservando suo fratello Taichi e Sora mentre spingevano sull’altalena alcuni bambini, che ridevano e strillavano divertiti. Sorrise tra sé, beandosi di quella scena di grande serenità. Quell’uscita pomeridiana era stata davvero un colpo di genio: c’era un sole splendido, e in quel parco verde pieno di bambini dell’orfanotrofio si respirava un clima di gioia e spensieratezza.

Proprio quello che ci voleva loro dopo l’ansia della ricerca di poco prima.

“Sei triste?”

Sobbalzò, presa alla sprovvista da quella voce così conosciuta e così sincera. Non si era accorta della presenza di qualcuno accanto a sé, tanto era stato silenzioso ad arrivare.

Keiji la osservava con i suoi occhi castani sempre attenti, i capelli viola –come sempre- scompigliati e una lattina di aranciata in mano. L’espressione di viva curiosità era ben visibile sul suo volto.

Gli sorrise. “Mi hai spaventata” ammise, e un sorrisetto birichino piegò le labbra del bambino.

“Ti spavento sempre” disse con semplicità. “Mi sembri triste: sei tutta sola.”

Aveva sempre una maniera tutta sua per interessarsi agli umori degli altri: alle volte, Hikari aveva quasi la sensazione che la limpidezza del suo animo non venisse mai intaccato dalla negatività della gente. Più tempo passava, più sentiva di voler bene a quel bambino.

Scosse la testa, aggiustandogli i capelli scompigliati. “No, non ti preoccupare, Keiji-chan: stavo solo riflettendo, tutto qui” gli rispose. “E tu dov’eri? Hai visto che abbiamo ritrovato Naoko-chan?”

Keiji annuì, osservando il gruppo di bambini che le si era radunato attorno con aria seria. Pareva che non ci fosse modo per sorprenderlo, si ritrovò a pensare la ragazza divertita.

“Sì, però non voglio andare lì.” Disse soltanto. “Litigano.”

“E allora resta un po’ con me, ti va?” gli chiese dolcemente. Solo lei era a conoscenza dell’odio di Keiji per le discussioni dei suoi amici: aveva un carattere molto tranquillo, e i pianti, gli spintoni e i dispetti lo infastidivano e lo portavano a isolarsi inconsapevolmente.

Lui le lanciò un’occhiata curiosa. “Cosa facciamo?”

“Vediamo: potremmo…”

“Aspetta! Ti prego, voglio parlarti!”

L’urlo inaspettato, proveniente dall’entrata al parco, la fece fermare, sorpresa. Malgrado il tono fosse totalmente nuovo, essendo pieno di una supplica quasi disperata e di affanno, Hikari era sicura di averlo già sentito in precedenza.

Si girò automaticamente, per scoprire se aveva avuto ragione.

E sgranò gli occhi, totalmente presa alla sprovvista.

Correva verso di lei, con il fiato corto, un cappello bianco sui capelli biondi e un’aria determinata a raggiungere il suo obiettivo ben visibile nei suoi occhi azzurro chiaro.

Era il ragazzo che aveva cercato di aiutare Naoko in sua assenza.

E non aveva dubbi sul fatto che stesse cercando lei: il suo sguardo era fermo sulla sua figura da quando si era voltata verso di lui.

“Ci ha seguiti fin qui?” disse tra sé, non riuscendo a capire. “Deve aver dimenticato di dirmi qualcosa…”

“Cosa vuole da te?” chiese Keiji. La ragazza si stupì nel constatare che il bambino era rigido, e che il suo sguardo penetrante non perdeva un singolo movimento del ragazzo dai capelli biondi in avvicinamento.

“Keiji-chan, cosa c’è?” gli domandò, preoccupata.

Ma Keiji non ebbe il tempo di rispondere. Il giovane sembrava avere molta fretta di raggiungerla: in pochi istanti era accanto a loro, ansimante, mentre la osservava con uno sguardo che non le riuscì di interpretare. Le parve quasi che stesse cercando in lei qualcosa che gli serviva in quel preciso istante.

“Scusa… scusa se ti ho seguita… fin qui” riuscì a dire il ragazzo chiamato Takaishi Takeru, non appena ebbe recuperato un po’ di fiato. “Mi serviva solo un’informazione, se posso… E’ che vorrei tanto… conoscere la risposta alla mia domanda.”

Un’informazione da lei? Hikari era davvero perplessa. Avrebbe potuto chiedere a chiunque: perché mai si era scomodato di correre sulle sue tracce?

In ogni caso, gli sorrise, stupita. “Certo. Come posso aiutarti?”

Takeru esitò, probabilmente cercando la maniera più giusta per esprimersi. “Hai detto di chiamarti… Yagami, vero? Come il nome della famiglia che gestisce l’orfanotrofio. Io… mi chiedevo se tu fossi un componente di quella famiglia.”

Ora era sorpresa. Era curioso che avesse fatto subito il collegamento: non si sarebbe mai aspettata che la domanda del giovane avrebbe riguardato l’orfanotrofio e la sua famiglia.

“Sono una delle figlie di Yagami Yuuko, la fondatrice” rispose al ragazzo biondo, osservandolo con curiosità. “Posso chiederti come fai a conoscere il nome della mia famiglia? Conosci per caso mio padre, o… hai conosciuto mia madre?”

Il pensiero la riempì improvvisamente di uno strano sentimento. Si scoprì a desiderare che fosse vero: mai come in quelle circostanze aveva bisogno di sentire che sua madre le era vicina, e sapere che un suo conoscente aveva deciso di incontrarla era stranamente rassicurante. Sembrava quasi che il suo spirito avesse deciso di assisterli in quelle difficoltà, e dire loro che non dovevano arrendersi per nessun motivo.

Ma la risposta interdetta di Takeru fece morire rapidamente quella speranza.

“Che? No” si affrettò a dire, comprendendo che c’era stato un malinteso. “Non li ho mai conosciuti.”

Hikari si rimproverò per quel senso di delusione bruciante che aveva attanagliato il suo cuore. Non poteva dare la colpa al suo interlocutore, che se ne stava in totale silenzio in attesa di trovare le parole giuste per dare voce ai suoi pensieri: non poteva biasimare qualcun altro solo perché lei era così tanto alla ricerca di un aiuto indiretto da parte di sua madre defunta.

“E allora perché conoscevi il mio nome?” chiese infine, tentando di non far trasparire ulteriormente la sua tristezza dal suo tono di voce.

Il giovane sembrò imbarazzato per qualche motivo sconosciuto: lei lo osservò in attesa di una risposta, non capendo cosa gli stesse succedendo. “Io… io vivo accanto a voi, così mi sono informato. Ecco tutto” fu la sua risposta, dopo che ebbe abbassato improvvisamente lo sguardo sulle mani che si tormentava. “E… beh, so che vi fate in quattro per gli ospiti del vostro orfanotrofio.”

Hikari sorrise imbarazzata, non sapendo bene come rispondere. “Siamo felici di renderci utili” commentò con tono incerto.

Qualcosa cambiò in Takeru quando lei finì di parlare: le parve che all’improvviso i suoi occhi azzurri, sollevati nuovamente a guardarla, si fossero riempiti di pura angoscia e sofferenza. Non riusciva a capire cosa avesse detto per rendere il suo sguardo così tormentato, e fu quasi spaventata da quello che vide.

“Ho detto qualcosa che non… “provò a dire, ma lui la precedette.

“Come fate?”

Rimase così attonita dal tono dell’altro da zittirsi di colpo. “Eh?”

Non lesse alcuna traccia di esitazione sul volto del giovane, mentre rispondeva. Sembrava che avesse finalmente formulato la domanda che lo aveva spinto a seguirla.

“Non dev’essere certo facile quello che fate, eppure continuate a occuparvi di tutti quei bambini come se fosse un gioco da ragazzi. Ci vuole tanta, troppa attenzione per fare in modo che ogni ospite del vostro orfanotrofio non stia male, eppure non demordete. Siete solo dei ragazzi, ma sapete trovare la soluzione ad ogni problema senza alcuno sforzo. Dovete avere per forza una carica in più, e vorrei sapere qual è, per capire cosa vi spinge ad essere così sicuri di quello che fate.”

Il silenzio che seguì sembrò protrarsi per un tempo illimitato.

Hikari era immobile, con lo sguardo fisso su quello di Takeru, improvvisamente a corto di parole. Era pietrificata dal tormento che leggeva negli occhi del suo interlocutore, e sapeva che lui si aspettava da lei la risposta a questa spinosa questione. Non riusciva a capire cosa lo portasse a quasi supplicare una cosa del genere, ma sapeva che non sarebbe mai andato via senza aver ottenuto quello che voleva.

Ma la giovane non sapeva cosa rispondere. Lei conduceva la sua vita nella maniera che riteneva più giusta, sempre alla ricerca della soluzione migliore per la salute dei suoi cari e cercando di non lamentarsi mai per le cose che andavano in maniera diversa da quella che aveva immaginato, ma sapeva di non essere infallibile, sovrannaturale, o speciale in alcuna maniera.

Pareva, invece, che Takaishi Takeru volesse parlare con un’eroina.

“Non abbiamo nessuna carica in più, te lo posso assicurare” cercò di spiegare, con voce insicura. Si vide costretta ad abbassare lo sguardo, non riuscendo a sostenere per troppo tempo l’insistenza disperata sul volto del giovane. “L’unica cosa che ci spinge è la nostra fede in quello che facciamo, e l’affetto per i bambini. Nient’altro…”

“Non posso crederci.”

Sembrava non volesse comprendere. Era fermamente convinto che ci fosse dell’altro.

Quando Hikari lo vide fare un involontario passo in avanti, sussultò, presa alla sprovvista. La sofferenza incisa sul volto di lui era così intensa da essere addirittura spaventosa.

“Davanti alle difficoltà pensate alla fede in quello che fate? Rimanete saldi ad affrontare di tutto senza scoraggiarvi? Io non riesco a capire come facciate a non demordere! Mi sembrate in grado di evitare ogni disgrazia, e credo ci sia dell’altro. Vorrei davvero saperlo.”

“Mi dispiace, ma non so davvero come rispondere…” disse piano Hikari, ritraendosi leggermente. Perché tutte quelle domande? E perché la verità sembrava essere così insita nelle sue azioni da non volersi rivelare nemmeno a lei stessa?

“Non avete problemi? Problemi di mantenimento, organizzazione, povertà, studio… Qualunque cosa? Come li risolvete?” insistette Takeru, testardo.

L’affermazione la colpì come un pugno in pieno stomaco.

Le parve più vivida che mai la paura di fallire, la paura di perdere ogni bene, di non poter continuare ad accudire i bambini dell’orfanotrofio. La mancanza di fondi che preoccupava tutti da qualche tempo le sembrò un ostacolo insormontabile, e rimase senza respiro.

Ne avevano eccome di problemi.

Ma non sapevano risolverli. Non sapeva risolverli.

Sentì i suoi occhi farsi lucidi, ma si sforzò di non versare nemmeno una lacrima.

Affrontò, invece, lo sguardo di Takeru, accettando la verità.

“Non lo so. Certe volte non si riesce a trovare subito la risposta. Siamo esseri umani, come te: sbagliamo tante volte, ci abbattiamo, ma non demordiamo semplicemente per il motivo di cui ti parlavo prima. Mi dispiace di non poterti aiutare.”

Ci fu altro silenzio. Takeru apriva e chiudeva la bocca senza riuscire a dire nulla, ma Hikari lesse una delusione cocente sul suo viso. Lo vide abbassare la testa, e osservare i fili d’erba del parco, preso da chissà quale pensiero, e il suo cuore si riempì di pietà per lui.

Sembrava un’anima tormentata, che non riusciva a trovare pace.

“Mi dispiace davvero” gli disse poi in maniera più dolce. “Ma perché ti interessava tanto?”

“Io…” fece per rispondere Takeru, ma una voce lo interruppe.

“Qualche problema, Hikari?”

Si voltò, presa alla sprovvista, e solo in quel momento si rese conto che Keiji era sparito da qualche tempo. Al suo posto c’era Taichi, che fissava ora lei ora Takeru con le sopracciglia corrugate. Sembrava perplesso, e anche preoccupato.

Capì solo in quel momento di quanto la scena dovesse apparire strana.

Si sforzò di sorridere, un azione che le risultò quasi fuori luogo. “No, nessuno, tranquillo” rispose, allontanandosi di un passo da Takeru. “Lui è il ragazzo che ha trovato Naoko-chan prima: era qui per…”

Si fermò, imbarazzata, non sapendo come continuare.

Ma Taichi la tolse d’impaccio. Pur perplesso, gli sorrise cordiale. “Beh, ti ringrazio per quello che hai fatto, ma non ti sentire in debito, d’accordo? Va tutto bene.”

Hikari notò che Takeru si torceva le mani, alzando lo sguardo solo raramente. Avrebbe tanto voluto sapere a cosa stesse pensando.

“Felice… di essere stato utile.” Disse, con uno strano sorriso amaro. Poi lo guardò, facendogli un cenno di saluto. “Ora devo andare.”

Prima di voltarsi e dirigersi verso destinazioni ignote, però, il ragazzo si voltò a fissarla. Quel sorriso non era ancora scomparso dal suo viso.

“Scusa per il disturbo.”

Hikari avrebbe voluto rispondergli che non ce n’era stato alcuno, che anzi avrebbe voluto essergli d’aiuto, ma lui non le diede il tempo di fare nulla: un istante dopo era già andato via, perso nei suoi pensieri.

Rimase in silenzio, non sapendo come reagire a quello che aveva visto. Cosa avrebbe voluto sapere da lei? E quanto era rimasto deluso dalle risposte che lei gli aveva fornito?

Era inutile pensarci, dopotutto: non lo avrebbe scoperto mai. Ma non riusciva a togliersi dalla mente quegli occhi azzurri così pieni di dolore che non le riusciva di comprendere.

“Ma cosa voleva da te quel ragazzo?” fece ad un tratto Taichi, osservandola con curiosità mista a uno strano sospetto. “E’ venuto a chiamarmi Keiji prima, e credo di non averlo mai visto con un’aria così allarmata. E’ successo qualcosa, sorellina?”

Hikari sorrise tra sé. Ecco spiegato il motivo della presenza di suo fratello accanto a lei: non avrebbe potuto accorgersi da solo di quello che le stava accadendo, dato che era impegnato con i bambini insieme a Sora. Per qualche strano motivo, Keiji doveva essere più teso del solito: se ne chiese la ragione per un istante, non trovando risposta.

Guardò ancora verso la direzione dove Takaishi Takeru era sparito, sospirando.

“Non voleva nulla di importante: voleva sapere se ero una dei ragazzi che lavorano all’orfanotrofio, dato che ha fatto il collegamento col mio nome.” Rispose.

Per qualche motivo, non riuscì a dirgli tutto: sentiva che ciò che era successo era ancora troppo personale per essere rivelato agli altri, persino a suo fratello. Glielo avrebbe detto in un altro momento, decise.

Taichi scrollò le spalle. “Allora mi sono preoccupato per niente? Meglio così” le disse, sorridendo e cingendole le spalle con un braccio. “Dai, andiamo di là, o Sora minaccerà di prendermi a calci: sta lavorando da sola…”

Hikari ridacchiò. “Allora facciamo in fretta.”

Si sentiva protetta nell’abbraccio di suo fratello maggiore. Il calore che sentiva fisicamente riusciva a allontanare momentaneamente il ricordo di Takeru dalla sua mente, e sapeva di averne bisogno per non rattristare i bambini.

Era importante che il suo stato d’animo non fosse mai turbato, quando era con loro.

 

***

 

“Occorre fare il punto della situazione, ragazzi.”

Izumi Koushiro era un ragazzo che raramente appariva preoccupato per qualcosa: chi lo conosceva sapeva bene che il suo carattere sempre alla ricerca di qualsiasi soluzione gli impediva di scoraggiarsi facilmente, o di cedere alla sua preoccupazione.

Ma quella sera, gli occhi castani del ragazzo dai capelli rossi esprimevano tutta l’enormità del problema che voleva esporre.

Hikari non riusciva a sopportare il clima di quella riunione. Erano tutti tesi: persino suo fratello Taichi aveva la fronte corrugata, segno che non era assolutamente tempo di scherzare. L’aria di Mimi esprimeva tutta l’angoscia per il discorso che stavano per affrontare, e la giovane non poteva assolutamente biasimarla; Sora aveva lo sguardo basso, fisso sul pavimento, probabilmente preparandosi psicologicamente a qualsiasi cosa avesse detto Koushiro; e non aveva mai visto Jyou così allarmato, sebbene fosse il suo atteggiamento naturale verso chiunque a cui teneva.

Hikari sentiva le sue mani tremarle, ma non poteva sottrarsi a quella riunione. Era suo dovere essere informata sulla reale portata dei problemi che si erano presentati tutt’a un tratto: era giusto prendere in mano la situazione.

Eppure, si sentiva stranamente distrutta, quasi distante dal resto del gruppo. Era come se fosse presente ma assente allo stesso tempo, e non sapeva spiegarsi questo miscuglio di emozioni.

“Quest’orfanotrofio rischia davvero di non avere più fondi per continuare ad essere mantenuto, nonostante il lavoro provvisorio di cui mi sto occupando” continuò Koushiro, osservandoli uno ad uno con aria insolitamente seria. “Le donazioni giornaliere che riceviamo non sono sufficienti a raggiungere quell’agiatezza che ci serve. Di questo passo, metteremo a rischio la vita di tutti i bambini.”

“Non possiamo!” esclamò Mimi, con aria piena di orrore. “Che fine farebbero tutti quanti? E abbiamo anche ospiti di pochi mesi! Non possiamo metterli sulla strada di nuovo, Koushiro-kun!”

“Purtroppo non dipende da me” rispose lui, con tono grave. “Non so davvero come potremmo portare avanti il progetto.”

Hikari pensò al volto di ogni bambino, ai loro giochi e all’affetto che provava per loro e che sapeva essere corrisposto, e con una fitta al cuore si rese conto di non sapere cosa fare per evitare la disgrazia. Li avrebbe lasciati a morire di fame, senza trovare rimedio?

Se solo fossi ancora viva, mamma, sapresti cosa fare, pensò, disperata, senza riuscire ad aprire bocca.

“Calmiamoci, adesso” disse all’improvviso Taichi, con la solita fermezza e determinazione che sempre lo aveva contraddistinto. Seppe di non essere l’unica a volgersi verso di lui come all’unica persona che poteva trovare una via d’uscita: da sempre, suo fratello aveva dimostrato di avere lo spirito del capo, e tutti sapevano che avrebbe cercato una soluzione fino all’ultimo, senza arrendersi mai. “Non siamo sul lastrico: stiamo solo attraversando un brutto periodo, tutto qui. Ma nessuno di noi ha intenzione di rinunciare, vero? E allora ragioniamo, senza perdere altro tempo.”

Hikari sorrise leggermente. Caro, vecchio Taichi: era grazie a lui che lo spirito del gruppo era sempre alto. Senza di lui non sarebbero stati nulla, e sapeva di non essere l’unica a pensarlo.

“Taichi-kun ha ragione” intervenne Sora, sollevando, infine, lo sguardo. “Se non riusciamo a farci bastare quello che guadagna Koushiro-kun con il suo lavoro informatico, allora anche alcuni di noi dovrebbero trovarsi un piccolo lavoretto: forse, racimolando il tutto, potremo ottenere risultati migliori.”

“Sì, ma c’è un problema” rispose Jyou, preoccupato. “Abbiamo tanti bambini da accudire, e noi siamo già in pochi per tutti quanti. Chi baderà a loro, se alcuni di noi saranno impegnati?”

“Era proprio per questo che non l’ho proposto” aggiunse Koushiro, con tono abbattuto. “Non abbiamo nessuno che ci aiuti in questa situazione.”

Come sembrava vivido, in quel momento.

Il volto di Takaishi Takeru, incredulo, davanti a lei. Gli occhi penetranti, fissi sui suoi.

Le sue parole.

“Non avete problemi? Come li risolvete?”

Era scioccato, determinato a credere che lei volesse nasconderglielo.

Si sbagliava.

Erano solo un gruppo di ragazzi che sognavano un futuro migliore, ma senza i mezzi per farlo. Stavano mettendo in pericolo la vita di tanti bambini, senza colpa, senza nessun diritto di essere allontanati dopo aver trovato, infine, un rifugio per loro.

Era tremendo. Avevano deciso loro di prendersi cura di loro fin da quando Yagami Yuuko era ancora viva, e adesso, per il disinteresse generale, stavano per fallire.

Era logico che Takeru fosse incredulo. Solo dopo aver parlato con lui aveva scoperto che la situazione in cui si trovavano era davvero abominevole.

Era loro dovere prendersi cura dei loro piccoli. E non riuscivano a farlo.

Avrebbe pianto, se non si fosse sentita così distrutta.

“Potremmo cercare lavori che non occupino tutta la settimana, in modo tale da renderci più disponibili possibile” intervenne Taichi, sospirando. “E’ tutto quello che posso proporre.”

“Ma basterà?” chiese ansiosa Mimi, afferrandogli il braccio con aria supplichevole.

“Dovrà bastare. Non c’è altra soluzione.” Fu la risposta.

“In ogni caso, la situazione non può che migliorare, seppur di poco” aggiunse Koushiro, leggermente più rinfrancato. “Qualsiasi aiuto ci porterà sulla buona strada. Senza contare che non ho intenzione di smettere di lavorare.”

Sora annuì, Jyou esclamò un “Sono d’accordo”, Mimi lasciò il braccio di Taichi con un sospiro. Hikari non riuscì ancora a dire una sola parola. Nonostante il piccolo conforto dato dalla soluzione momentanea di Taichi, sapeva che il problema non era stato risolto.

Sapeva che si sarebbero nuovamente riuniti nello studio di Koushiro tra qualche tempo, alla ricerca di un sistema più duraturo e soddisfacente.

“Bene, direi che la seduta è sciolta” affermò suo fratello maggiore, alzandosi in piedi. “Quando qualcuno di noi avrà trovato un lavoro che possa fare al caso nostro, lo dirà, siamo intesi?”

“Intesi, capo!” rispose Jyou, con una strana irruenza che solitamente non aveva.

“Hikari-chan, tutto bene?”

Hikari si riscosse dai suoi pensieri, sorpresa. Si volse verso Sora, al suo fianco, e la vide preoccupata, come se temesse per la sua salute. Erano tutti molto buoni con lei, come al solito.

“Sì…” disse esitante. “Sono solo… preoccupata. Stiamo facendo la cosa giusta? Se mia madre fosse qui… farebbe le stesse scelte?”

Si accorse solo dopo aver finito di parlare che la voce le tremava.

Sora le sorrise, un sorriso triste e comprensivo, prima di abbracciarla stretta.

“Siamo tutti preoccupati” le disse piano. “Non possiamo sapere cosa avrebbe fatto tua madre se fosse stata qui adesso, ma possiamo cercare di immaginarlo, e tirare avanti. Sta’ solo tranquilla, capito? Non lasceremo che le ultime volontà della signora Yagami cadano nell’oblio. Resteremo saldi tutti insieme, perché so quanto tu e tuo fratello ci teniate.”

Hikari, sorpresa, commossa e grata per le parole che la sua amica le stava rivolgendo, ricambiò l’abbraccio. Sapeva di avere un disperato bisogno di tutti loro per andare avanti, e non solo per dirigere l’orfanotrofio.

Suo fratello, i suoi amici e i bambini che accudiva erano il dono più prezioso che le era stato fatto nella vita, e non ne sarebbe mai stata grata abbastanza.

“Grazie, Sora-san” rispose, staccandosi da lei e sorridendole. “Sono così felice che tu e gli altri abbiate deciso di starci accanto.”

“Figurati.” Rispose la maggiore, con un sorriso altrettanto largo.

“Sora-chan, non vieni?” giunse la voce di Mimi, che si sbracciava sulla porta per attirare l’attenzione della ragazza dai capelli ramati. “Ho promesso a Ryoko che questa volta anche tu avresti vestito le sue bambole insieme a noi! Sei attesa, lo sai?”

Hikari ridacchiò, osservando l’espressione esasperata sul viso di Sora. “Te l’avrò detto mille volte, Mimi-chan: io non me ne intendo di moda!” disse in risposta.

Mimi non si scoraggiò: le sue labbra si incurvarono in un sorriso malizioso. “Molto, molto male: bisogna rimediare, sai? E’ la tua occasione, non puoi perderla!”

Quando la giovane dai lunghi capelli castani si intestardiva su qualcosa, era quasi impossibile farle cambiare idea. Ed era una vita che cercava di convincere Sora a rinunciare al suo abbigliamento semplice e decidersi ad essere più femminile.

E nemmeno lei poteva spegnere questo spirito intraprendente.

“Arrivo” si arrese alla fine, raggiungendo Mimi e sorridendo sconfitta.

“Vedrai che te lo farò piacere!”

Era bello sapere che l’angoscia di poco tempo prima sembrava essere momentaneamente messa da parte: forse era questa l’unica cosa che li faceva essere così determinati.

Sospirò, affacciandosi alla finestra. Vide i bambini riuniti in cerchio, intenti ad ascoltare, con vivo interesse, le piccole recite abitudinarie che Taro amava mettere in scena.

Erano sempre così spensierati, così semplici: sembrava che i problemi non appartenessero loro, in nessun momento della giornata.

Non potevano sapere che il loro destino era così precario. Non lo avrebbero saputo.

Hikari sapeva che avrebbe dovuto essere forte: avrebbe lavorato fino allo stremo delle sue forze, si sarebbe impegnata affinché i sogni di sua madre non andassero perduti, non si sarebbe arresa, come le aveva spesso sconsigliato suo fratello Taichi nei momenti di sconforto.

Solo…

Sorrise tra sé, scuotendo la testa.

Era davvero un pensiero sciocco, ma sapeva quanto desiderasse che fosse vero.

Avrebbe voluto essere davvero infallibile come Takeru aveva creduto, quel pomeriggio.

Sarebbe stato di grande conforto, sapere che la possibilità di mettere sulla strada tutti quei bambini per cui avrebbe dato tutto non fosse lontanamente immaginabile.

Doveva essere rassicurante essere un’eroina: non pensare mai di essere una limitata umana, il cui destino dipendeva dalla quantità di fondi guadagnata…

Avere il potere di non far piangere o soffrire i suoi piccoli…

Proteggerli come solo una vera mamma poteva fare…

Salve a tutti! A Natale trascorso, sono davvero felice di proporvi l'aggiornamento di questa storia, che va avanti grazie anche agli incoraggiamenti a continuare che ricevo dai miei lettori! ** Ora stiamo entrando nel pieno dell'azione: riprendendo il punto lasciato dal capitolo 5, ecco l'incontro bloccato precedentemente tra Takeru e Hikari! Che spero vi sia piaciuto, naturalmente.
Ringrazio Shine, sempre la prima a recensire quando si tratta di un certo personaggio xD! Allora, che posso dirti? Ricordo perfettamente ogni annesso e connesso, ma allora non sapevo che il capitolo ti fosse piaciuto tanto: per questo è stata una bella sorpresa leggere i tuoi commenti. :) La scena in libreria aveva proprio l'intento di creare quella situazione paradossale: persino io mi sono divertita a scriverla! Per quanto riguarda la scena a casa Inoue, sono felice che ti abbia colpito tanto -così come la richiesta finale! Ricordi? ^^ Ma la cosa che mi ha fatto più piacere è sapere che sei stata attenta ad osservare anche Osamu, che in questo capitolo ha un ruolo marginale... Grazie per l'attenzione! ** E per i complimenti, e per la costanza! Aspetto tuoi commenti appena potrai, intanto ti saluto con un bacione! Ti voglio bene!
Per Mystery Anakin io spero che l'attesa non sia stata troppo lunga! Mi dispiace di metterci tanto ad aggiornare questa storia... ^//^ Mi fa piacere che tu abbia trovato lo scorso capitolo avvincente: credimi, è una grande soddisfazione, considerando tutto il tempo che ci ho messo per rendere quelle scene al meglio! ** E sì, mi piace molto troncare i capitoli in stile film a puntate: fa più effetto! :) Se continuerai a seguirmi, forse avrai le risposte che cerchi! Per intanto non posso che ringraziarti per quello che fai per me - e credimi, è tanto! Aspetto di sentirti, ti voglio bene!
Da quello che ho potuto capire dalla recensione, Roe, ho notato che tu sia  dubbiosa su alcune questioni! Sbaglio? ;) Proverò a dirti qualcosa con discrezione. Non penso che il nascondiglio di Miyako sia così incomprensibile, perciò non credo sia uno spoiler rivelarlo ai lettori u.u davvero eri così sorpresa nel vederla lì? E per quanto riguarda la signora Inoue, data la sua instabilità è normale che tu non abbia ancora capito che fine hanno fatto i fratelli di Miyako. Lo vedrai più in là :) Per il diario strappato non posso dirti nulla, mi dispiace! Infine, per l'incidente... Beh, ti basti sapere che personalmente non mi piace scrivere di particolari privi di senso -quindi non lo è-, che in realtà è un bambino e non una bambina, e che sì, era Miyako la salvatrice! In ogni caso, ti ringrazio per aver letto e gradito il cap! ^^ Spero di trovare altre tue recensioni, a presto! Tvb :)
Vi aspetto al prossimo capitolo, a presto!
Padme Undomiel 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Digimon > Digimon Adventure / Vai alla pagina dell'autore: Padme Undomiel