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Autore: Noony    29/12/2009    0 recensioni
Hannah e Jace non hanno nulla in comune. Vengono da mondi differenti, sono la principessa e il povero dei giorni nostri. Sono due persone che nonostante tutto, si trovano e si innamorano delle proprie differenze.
Lei ha solo sedici anni quando si trasferisce a New York con suo padre. Lascia alle sue spalle un'esistenza vuota, e nessun amico a cui dire addio. Non ha nulla da portare con se nella sua nuova vita. Una vita che non vuole, perché identica alla precedente. É ricca, ma povera di affetti. É una ragazza sola, taciturna,malinconica.
Lui vive con la madre in un appartamento malconcio ad Harlem, frequenta un'esclusiva scuola privata solo perchè ha ottenuto una borsa di studio. Ma è una vita piena la sua, di affetti, di amici, di ricordi felici. Ha solo diciassette anni ma ha già in se un forte desiderio di rivalsa. Ha già progettato tutto il suo futuro, e sa come riuscire a raggiungere i propri obbiettivi: lavorando duramente. É ottimista, intraprendente, bello e carismatico.
Sullo sfondo della loro storia d'amore si intrecciano le vicende di amici e genitori, ognuno con i propri drammi e amori. Questa è una storia banale, una storia come tante altre già scritte e già raccontate.
Dal capitolo 8. Il cambiamento: E sapeva che non pensava di perdere un'amica, pensava di
perdere Hannah. Hannah era Hannah, un mondo a se stante nel suo
universo. Non era un'amica, forse non lo era mai stata.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo 2. Good morning New York.

Lei.

Avevano alloggiato in un lussuoso hotel sulla Park Avenue nell'ultima settimana, mentre attendevano che arrivassero dall'Inghilterra gli ultimi effetti personali. Le camere degli hotel la stranivano, le trasmettevano un senso di instabilità. Ad Hannah piaceva avere nuovamente uno spazio da poter chiamare “casa”, se casa poteva definirsi.
A Manhattan non si trovano delle unifamiliari con giardino annesso come a Londra, quindi suo padre si era dovuto accontentare di un lussuosissimo ed enorme appartamento all'ultimo piano di un imponente palazzo di nuova costruzione. Il che le piaceva tutto sommato, e poteva essere considerato a tutti gli effetti un successo. Non era tipo da entusiasmarsi e lasciarsi andare in eclatanti dimostrazioni di felicità. Tutt'altro.
La zona in cui sorgeva l'edificio era una delle più rinomate della città, l'Upper East Side. La cosa non impressionava per nulla Hannah, semmai l'impensieriva. La scuola che avrebbe frequentato si trovava a breve distanza da casa, poteva quindi facilmente immaginare quali individui vi avrebbe incontrato. Sarebbe stata a stretto contatto con i pupilli dell'alta società newyorchese, ragazzi ricchi e viziati, per nulla diversi dai coetanei inglesi che durante tutta la sua vita, privata e scolastica, aveva sempre evitato.
Fin da piccola era stata timida, piuttosto introversa, un misto tra diffidenza e quell'ingenua bontà tipica di chi il mondo non lo conosce affatto. Avendo sempre vissuto in una bolla, evitando ogni contatto con il resto della popolazione mondiale, non aveva il desiderio di farsi degli amici ne l'attitudine a socializzare. Gli unici amici che lasciava in patria erano i cavalli e i cani da caccia dei nonni.
Era una ragazza sola, e così stava bene. Non si era mia chiesta se ci fosse qualcosa di meglio, al di là del confine del suo piccolo mondo. Non voleva chiederselo. Avrebbe significato fare dei cambiamenti. E lei non li voleva. Così andava avanti, dicendosi che in fondo non si può desiderare qualcosa che non si conosce.
Trovava normale e scontato vivere come aveva sempre vissuto, con la consapevolezza che il suo nome avrebbe potuto aprirle qualsiasi porta, ma non vi trovava nulla di cui vantarsi non avendone alcun merito se non una fortuna sfacciata. Non comprendeva il bisogno ossessivo mostrato dalla maggior parte dei figli della nobiltà inglese di far sfoggio di antenati illustri o delle grandi somme di denaro: io erediterò questo e quello, io prenderò tale cifra, io quella famosa società, io tale titolo nobiliare.
Non sentiva dire altro. Una simile cultura era tanto radicata in alcuni suoi coetanei che, mentre lei si preoccupava solo di giocare con le bambole, loro già calcolavano la loro futura fortuna, consapevoli senza sapere bene il perché, che un titolo e una grossa somma di denaro chiusa nel caveau di una banca li avrebbero resi migliori degli altri.
Hannah trovava noiose quelle chiacchiere profonde quanto una pozzanghera, ed era refrattaria alle attenzioni di chi era interessato solo ai soldi di suo padre, o a quanto sangue blu ci fosse nelle sue vene.
Non voleva essere inglobata da quel mondo di falsità, fatto di sorrisi vuoti e vanità. Se proprio fosse stata costretta a socializzare, avrebbe dovuto piacere per quel che era, non per chi sarebbe stata un giorno.
Il suo essere schiva, l'aveva sempre protetta da tutto questo, ma pian piano l'aveva anche irrimediabilmente allontanata da tutti. Non aveva amici della sua età, ed era sicura di non desiderarne. Non si illudeva che cambiare stato potesse cambiare la situazione.
L'unica persona di cui si fidava, era la sua tata. L'aveva cresciuta da quando aveva cinque anni, ed era ciò di più vicino ad una madre che conoscesse. A lei e solo a lei, confidava le preoccupazioni e gli affanni di quell'età così difficile, e poteva ben dire che la corpulenta cinquantenne scozzese, con i capelli rossi e il volto lentigginoso segnato da qualche ruga fosse la sua unica amica.

***
- Hannie, svegliati!- La tata la scosse appena, destandola dal suo sonno leggero. Si affrettò a scostare le tende dalla finestra ed aprire le imposte, così che il sole in tutto il suo splendore settembrino inondasse la stanza, spazzando via anche le ultime tracce di sonno. Hannah si alzò senza fare storie, stiracchiandosi appena. Sbadigliò, coprendosi educatamente la bocca con una mano, prima di biascicare un buongiorno con voce impastata.
Con un sorriso, la donna le porse una pila di vestiti ben piegati, e la spinse verso il bagno. - Avanti, cara. Siamo perfettamente in orario ma la colazione è già pronta, tuo padre ha già terminato. Ti aspetta di sotto. Pensa, ha deciso di guidare fino alla scuola! Lo conosco, arriverete sicuramente in ritardo! Buon Dio! Quell'uomo è incorreggibile!- Cinguettò, mentre canticchiando riordinava la stanza. Nonostante l'aspetto burbero, era una donna dolce e affabile, dalla voce morbida e vellutata, di quelle che ti cullano dolcemente ad ogni sillaba.
La ragazza annuì, e presi gli abiti che le venivano porti, si diresse verso il bagno. Non era solita indugiare davanti allo specchio, non amava truccarsi, ne acconciava i capelli in modo particolare, quindi fu pronta in breve tempo.
Quando scese di sotto, indossava la divisa della nuova scuola perfettamente stirata e in ordine, i lunghi capelli castani erano legati in una coda alta, che le dava un aria ordinata, da studentessa diligente quale era. Portava con se già la tracolla, colma dei libri da riporre nell'armadietto che le avrebbero destinato. La poggiò su una seggiola libera, prima di sedere ad un capo del tavolo e sbocconcellare la propria colazione.
La solita vecchia colazione, la solita brocca di spremuta a dividerli, il solito tram tram mattutino, il solito silenzio snervante.
Non appena ebbe finito, la tata le porse la borsa e si affrettò a portare via i resti del pasto dal tavolo.
George aspettava sua figlia alla porta, senza nascondere un moto d'impazienza che la sorprese. Neppure quando doveva tenere delle lezioni in un college mostrava segni così evidenti di nervosismo.
In macchina non parlarono. Hannah fissava edifici sconosciuti sfilare l'uno accanto all'altro, eleganti e lussuosi, tutti simili in qualche modo, tutti privi di anima. Bellissimi esempi di architettura contemporanea senza significato. La St. John non era da meno.
Quando vi arrivarono il cortile antistante all'entrata era già deserto. La prima lezione doveva essere già iniziata, e il preside Miller li attendeva all'ingresso, con un sorriso divertito sul volto.
- Sapevo che saresti arrivato in ritardo! Certe cose non cambiano mai, amico mio! Ti avevo detto di assumere un autista!- Scoppiò in una fragorosa risata, allegra e contagiosa.- Ne sono certo, tu hai sbagliato strada!-
Ed era proprio così.

Lui.

Il primo giorno di scuola arrivò in un lampo. Jace ne era poco entusiasta. Detestava il solo pensiero di dover passare i prossimi mesi con una ragazzina perennemente alle costole.
Non poteva essere altrimenti. Aveva bisogno di quella borsa di studio: aveva presentato domanda in vari college, partecipato agli esami di ammissione, compresi quelli per la NYU e la Columbia, ed era a quest'ultima che lui ambiva. Non c'era neppure da discuterne, se era necessario fare anche questo, beh, lui l'avrebbe fatto.
La sveglia suonava chissà da quanto, quando si decise ad aprire gli occhi. Cercò di spegnerla buttandola a terra, con un grugnito di disapprovazione, perché quella invece di zittirsi, cominciò a trillare con ancor più foga.
-Va bene, va bene! Mi alzo! Stupido aggeggio!- Brontolò, puntando i gomiti contro il materasso, per tirarsi su. I capelli biondi erano un groviglio informe, più criniera che altro. Gli occhi grigi e profondi erano assonnati e stanchi, come se nove ore di sonno profondo e ininterrotto non fossero state abbastanza per loro. Jace faticava a tenerli aperti, ma quando si posarono su quelle lancette, si spalancarono.
- Le 7.30?! Oh santissima merda!- Sbottò, scaraventandosi giù dal letto. Afferrò la divisa, sparpagliata per la stanza e si infilò nell'unico bagno di tutta la casa. -Ma dai! Il tappeto è bagnato!- Urlò, quando vi mise sopra i piedi scalzi. -Zuppo! Ma dico io... Come diavolo fa quella donna a ridurre il bagno in un lago ogni maledetta mattina!-
Continuò a borbottare come una locomotiva, anche mentre si pettinava (il che equivaleva a passarsi una mano tra i capelli nel vano tentativo di renderli meno simili a qualcosa di animalesco) e si lavava i denti. Scalciò via il tappetino fradicio e si vestì. Corse in cucina saltellando su un piede solo, mentre cercava di infilarsi una scarpa. Attaccata alla macchina del caffè, sua prima e più grande passione, stava attaccato un post-it:
Scommetto che sei in ritardo!Ricordati lo zaino... E le chiavi di casa! Buona fortuna per il tuo primo giorno di scuola!Ci vediamo li! XXX Mamma <3”
Il ragazzo lesse il biglietto, e lo voltò
P.S. Non ti lamentare se il caffè è tiepido! Sei tu quello in ritardo!
Ridacchiò e lo infilò in tasca. Si versò una tazza di caffè -Bleah! É freddo! Altro che tiepido!- che venne subito abbandonata sul tavolo. Raccattò chiavi e uscì di corsa, chiudendosi la porta alle spalle. Scese le scale di fretta, come se ne andasse della sua stessa vita e quando finalmente raggiunse la porta d'ingresso della palazzina...
-Oh santissima merda! Lo zaino!-










  
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