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Autore: Scribak    31/12/2009    5 recensioni
"Ehi, Italia- gli fece – Chi è questo bambino?- disse indicandoglielo. Il ragazzo sorrise – se possibile – più del solito: -Era un mio grande amico, gli volevo molto bene…- -Era?- Ludwig lo guardò con curiosità. L’altro annuì, negli occhi una strana malinconia. -Sì…un giorno è andato via, e non è più tornato…- sollevò i suoi occhi dorati su di lui, aprendoli poco a poco –Sai, era piuttosto famoso e potente, una volta…si chiamava Sacro Romano Impero" Un viaggio tra i ricordi di Germania.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Germania/Ludwig
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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I’LL LOVE YOU BEYOND THE DEATH

 

Nota dell’autrice

Salve a tutti! Scusate l’inizio monco, innanzitutto: questo è un estratto di una fanfic che avrei dovuto pubblicare questo natale, ma che non sono riuscita a finire…

Questa parte, però, mi piaceva troppo per non farla leggere a qualcuno…molto probabilmente non è nulla di speciale, ma qui su EFPfanfic ho trovato solo uno scritto su Italia e HRE.

Buona Lettura in ogni caso J

P.S. il titolo significa : ti vorrò bene oltre la morte

 

Situazione: Siamo a casa di America, Natale. Le nazioni e i loro presidenti sono tutti riuniti.

Germania e Italia stanno parlando del loro passato quando…

 

-Guarda!-

Ludwig prese il foglietto che gli porgeva Italia. Solo ora si accorgeva che era in realtà un pezzetto di tela, un piccolo dipinto ad olio.

Seppur fosse minuscolo, era stato fatto con gran maestria, ed era probabilmente opera dello stesso Feliciano.

Sullo sfondo stavano un ragazzo e una ragazza: lui con un paio di occhialini pinc-nez sul naso appuntito e un’espressione computa in volto, lei lo abbracciava, i capelli castani cosparsi di fiori e tirati indietro da una cuffietta bianca.

Davanti, c’erano due bambini. Uno sembrava un maschio, eppure indossava un vestitone con un’ampia gonna e un fazzoletto in testa, da cui spuntavano ciuffetti ramati.

Il tedesco sorrise, riconoscendo il ragazzo che ora gli stava vicino in quel fagotto sorridente, dal viso a luna piena.

I suoi occhi si spostarono sull’ultima figura, che gli rispose con uno sguardo identico, dello stesso azzurro.

Questo era evidentemente un bambino, dalla pelle lattea e i capelli corti e biondi, che contrastavano stranamente con il vestito e il tricorno con cui l’aveva ritratto Italia, entrambi neri.

Lo fissò, sentendosi tuttavia a disagio.

Quel viso gli era in qualche modo famigliare…

-Ehi, Italia- gli fece – Chi è questo bambino?- disse indicandoglielo.

Il ragazzo sorrise – se possibile – più del solito:

-Era un mio grande amico, gli volevo molto bene…-

-Era?- Ludwig lo guardò con curiosità.

L’altro annuì, negli occhi una strana malinconia.

-Sì…un giorno è andato via, e non è più tornato…- sollevò i suoi occhi dorati su di lui, aprendoli poco a poco –Sai, era piuttosto famoso e potente, una volta…si chiamava Sacro Romano Impero-

 

Ludwig alzò di scatto la testa.

-E..ehi, dotsu…tutto a posto?- Italia lo guardò preoccupato, notando l’espressione sconvolta che si era dipinta sul viso dell’amico.

Il tedesco avrebbe voluto rispondergli, ma una fitta gli spaccò in due la testa. Di nuovo. Esattamente come al suono di quel nome, che, pure, aveva già sentito molte volte e letto nei libri di storia.

Il dolore ritornò ancora e ancora, facendogli chiudere gli occhi in una smorfia di dolore.

Feliciano lo guardava preoccupato, gli occhi ormai completamente spalancati e spaventati.

Un gemito uscì dalle labbra del tedesco, e Italia gli si fece vicino, sorreggendolo.

Tuttavia, il tedesco lo scostò e si allontanò traballante, dirigendosi verso gli scaloni che portavano al piano superiore.

Una serie di parole sconnesse giunsero alle orecchie di Feliciano, pronunciate a fatica:

-Sto bene…Italia…r-ritorna a cena…io va-vado in camera…-

 

Le scale si allargavano pericolosamente davanti agli occhi vacui del ragazzo, come se fossero di caramello fuso, mentre lui si aggrappava faticosamente al corrimano di marmo.

Il freddo della pietra gli si irradiò per il braccio, calmandolo un po’, ma senza cancellargli il dolore alla testa. Lentamente, alcune immagini sfocate stavano emergendo dai recessi del suo cervello, ballandogli impazzite davanti.

Quando sentì (o vide?) sotto i suoi piedi la soffice moquette rossa del corridoio superiore si lasciò scivolare lentamente a terra, rannicchiandosi contro il muro.

Sudori freddi gli inzuppavano la camicia, che ormai gli aderiva come una seconda pelle alla schiena, e gli facevano cadere i capelli biondi sulla fronte.

Rabbrividì: un paio di occhi di un cupo rosso rubino gli erano apparsi davanti, fissandolo insistentemente.

Poi un altro paio e un altro e un altro cominciarono a guardarlo, tetri, facendogli chiudere di nuovo gli occhi.

Germania, dalla posizione semi-seduta in cui era scivolato, si trovò d’incanto sdraiato sulla moquette, accasciato su un fianco.

E lì, inerme, le immagini lo sommersero, senza lasciargli via di scampo.

 

Feliciano corse impazzito su per le scale.

Da quando Ludwig era salito traballando come un pulcino ferito, aveva già avvisato America del malore del suo ospite e il primo ministro tedesco; così, mentre tutte le nazioni si guardavano preoccupate, Alfred stava preparando un’improbabile cassetta del pronto soccorso (cercando di vestire Arthur da crocerossina) e la M. controllava lo stato finanziario della Germania (vedendo nel crollo del ragazzo un possibile pericolo all’economia tedesca).

Italia sperava segretamente di trovare nella sua camera un Germania già completamente ristabilito, anche seccato del fatto che lo stesse già cercando e avesse messo in allarme tutti per lui.

Ma le sue speranze si spezzarono come il suo cuore quando vide il ragazzo disteso per terra, che respirava a fatica, ansimando.

Si gettò vicino a lui, scuotendolo per il colletto della camicia, chiamandolo per nome.

Alle sue urla, accorsero subito Lovino e Antonio, che trovarono Feliciano con il tedesco in grembo, le lacrime del suo volto che si mescolavano a quelle che, in sogno, versava anche Germania.

 

Ludwig si trovò a fluttuare in una strana dimensione dai colori soffusi: intorno a lui pareva esserci come un campo di battaglia, grigio come tanti corvi ammassati su un unico albero.

L’aria era satura dell’odore di polvere da sparo, che gli irritava la gola e gli occhi.

Senza sapere perché, iniziò a farsi strada tra le macerie, i cannoni e i corpi di soldati che giacevano qui e là, come giocattoli dimenticati, lo sguardo attirato da una figurina in lontananza.

Poco a poco, la figura divenne più nitida, emergendo dalla polvere scura, rivelandogli un bambino dagli occhi azzurri.

Germania aumentò la foga nel districarsi dal fango che gli serrava i piedi, correndo verso di lui.

Sentiva quasi un vago senso di minaccia nel cuore, sapeva che DOVEVA proteggere Sacro Romano Impero, quella potente nazione che ora stava piangendo rannicchiata a terra, come un bambino qualsiasi.

Improvvisamente, un’ombra si materializzò alle spalle del piccolo, che continuava a singhiozzare senza accorgersi di nulla.

Un ragazzo pallido dagli occhi rossi gli strinse rapido un fazzoletto sulla bocca, probabilmente imbevuto di sonnifero, facendolo addormentare velocemente e portandolo via con sé, come una bambola.

Ludwig si sentì svanire ancora, trasportato in un altro ricordo, appena dopo aver visto gli occhi del bambino rivoltarsi un attimo terrorizzati verso Prussia, e, l’attimo successivo, la sua testa ciondolare sulla sua spalla.

 

Lovino guardò sgomento il fratellino singhiozzare.

A fatica, Spagna lo separò da Germania, che si caricò sulle spalle gracili e trascinò verso la sua camera.

L’italiano maggiore aprì la porta facendo tintinnare la chiave argentata nella serratura, poi prese il tedesco per i piedi mentre l’amico lo teneva per le ascelle, e lo trasportò sul suo letto, dove lo fece ricadere pesantemente.

Mentre Spagna si massaggiava le braccia doloranti, Lovino si voltò verso il fratello, che li aveva seguiti imbambolato.

Decise di mostrarsi gentile per una volta.

-Felì- disse dolcemente, chiamandolo con il soprannome –Rimani qui ad aspettare il dottore…cioè, Alfred, ok?-

Feliciano continuò a guardare il vuoto, ignorandolo.

-Vedrai…si…si tratta solo di un po’ di influenza…o di stanchezza al massimo-

Il ragazzo faceva del suo meglio per dimostrarsi ragionevole, ma un sussurro proruppe dalle labbra esangui del fratello, bloccando i suoi balbettii:

-È colpa mia se Doitsu sta male…-

-Cosa dici Felì?- gli chiese l’altro –Il mangia pa…Germania sta male, ok, ma non per colpa tua!-

-Sì invece…- Feliciano tirò su col naso. Sollevò gli occhi su di lui. Il suo sguardo inchiodò Lovino, che lo giudicò troppo vacuo, isterico per essere quello del suo fratellino.

-Ma io NON VOLEVO, DAVVERO, CAVOLO!!!- urlò il ragazzo –IO…VOLEVO SOLO FARGLI VEDERE SACRO ROMANO IMPERO…LA MIA VECCHIA CASA!-

Feliciano estrasse dal taschino della camicia una piccola tela sgualcita e prese a guardarla ossessivamente, senza nemmeno vederla sul serio.

Lovino gliela agguantò, ignorando le sue proteste. Non voleva che rimuginasse.

La guardò distrattamente. Poi ancora, con attenzione. E ancora.

C’era qualcosa che l’aveva colpito…una sorta di campanello gli trillava insistente nelle orecchie.

Il suo sguardo saettò sul viso contratto del tedesco, e poi si diede mentalmente dell’idiota.

Come aveva potuto non pensarci?

 

Un nuovo ricordo prese forma attorno Ludwig.

Si trovò in una camera buia e piccola, che ricordava forse una cella, attraverso la quale filtrava un solitario raggio di luce, che proveniva da una piccola finestrella.

Un lettino era addossato ad una delle quattro pareti grigie, vicino ad un comodino traballante; tra il groviglio di coperte che vi figurava, riposava placido il bambino dagli occhi azzurri, rannicchiato su un fianco.

Germania gli si avvicinò, ascoltandone il respiro fioco, poi si voltò. Delle voci in lontananza si stavano avvicinando.

Si guardò freneticamente in torno in cerca di un nascondiglio, ma, oltre il letto e il comodino non vi erano altri mobili.

Una chiave girò nella toppa della porta, e due figure si delinearono sulla soglia della camera.

La prima, era un vecchietto gracile e dalla pelle chiara, intessuta da un fitto reticolo di vene azzurrine, con una capigliatura scomposta e bianca in testa. La seconda, altri non era che Prussia.

Germania li fissò sgomento, ma i due non diedero segno di vederlo, anzi, gli passarono letteralmente attraverso, andando al capezzale del bambino.

Il vecchio posò sul comodino una borsa di pelle, da cui estrasse uno stetoscopio.

Prussia scostò le coperte da Sacro Romano Impero, e tese le mani verso di lui.

Germania lo guardò preoccupato, ma lo stato sollevò con dolcezza il bambino dal letto, prendendolo in braccio e sollevandogli delicatamente la camicia da notte dal petto.

Il dottore (e chi altri avrebbe potuto essere il vecchio?) gli posò lo stetoscopio sulla pelle diafana, da cui spuntavano delle costole sottili, come quelle di un uccellino.

Dopo aver posato lo strumento, procedette ad una rapida visita, controllandogli le orecchie e la gola; tutto si svolgeva con la rapidità e la sicurezza di un gesto svolto abitualmente, e il bambino dava segno di volersi svegliare.

Germania si riscosse quando Prussia rivestì il piccolo e lo rimise a letto, rimboccandogli goffamente le coperte. Gli accarezzò i capelli un momento, poi seguì il dottore fuori dalla camera, mentre quest’ultimo indossava una zimarra scura, preparandosi a lasciare la dimora.

Germania attraversò come un fantasma la porta della camera e li andò dietro, origliando il loro discorso.

-Come sta dottore?- chiese Prussia pacatamente

L’uomo si strinse nelle spalle –Sta bene. È una fortuna che voi nazioni non abbiate la necessità di mangiare regolarmente come noi umani. Altrimenti sarebbe già passato a miglior vita-

Prussia sospirò: -È l’unico modo per impedirgli di sparire. Ufficialmente, non esiste più dal 1806, ossia l’anno scorso- Raddrizzò le spalle –Un giorno crescerà, dottore, sarà libero, forse ritornerà una nazione forte…ma per ora, solo il sonno lo può salvare-

-È un suo parente? È per questo che tiene così tanto a lui?- chiese il dottore incuriosito

-Più o meno- Prussia sorrise amaramente –Alla lontana, forse. Ma no. Non è per questo…potrebbe farmi comodo salvare una nazione…potrebbe proteggermi quando e se diventerò debole, capisce?-

Il vecchio annuì: -Una sorta di…figlio adottivo, giusto?-

-Una specie- Prussica lo guidò verso una porta di quercia, che aprì, rivelando all’esterno un cupo cielo invernale, in cui turbinavano sparuti fiocchi di neve –Quanto le devo per la visita?-

Il vecchio sorrise, accentuando le rughe del viso –Ora che so il motivo del suo…diciamo, “salvataggio”, non le chiederò più niente…mi basterà vedere, un giorno, il bambino diventare un uomo…diventare come lei-

Germania ebbe un moto di affetto verso l’uomo.

E non sapeva nemmeno perché…

 

-Felì- Lovino sollevò gli occhi dalla tela –Vieni un attimo qui-

Feliciano gli si avvicinò, stravolto dallo sfogo di pochi attimi prima.

-Guarda bene Sacro Romano Impero. Non ti ricorda qualcuno?- disse, piazzandogli davanti il dipinto.

Il ragazzo si asciugò gli occhi, ormai rossi, con la manica della camicia, poi lo osservò.

-Chi mi dovrebbe ricordare?- chiese, incuriosito suo malgrado.

Lovino levò gli occhi al cielo. Feliciano era sempre Feliciano.

-Ti do un aiuto…occhi azzurri…capelli biondi…muso lungo…chi mai potrebbe essere?- fece ironicamente.

Felì ci pensò un attimo, poi esclamò esultante: -Doitsu!- e prese a guardare adorante il suo vecchio amico d’infanzia, con le lacrime che ricominciarono a rigargli le guance.

-Ti prego non piangere di nuovo!- esclamò esasperato il fratello –Non capisci? Potrebbero essere parenti! Forse, addirittura, fratelli!!!-

Il ragazzo aspettò che le sue parole facessero l’effetto sperato.

-Doitsu me l’avrebbe detto- disse cocciutamente Feliciano.

-E se non lo ricordasse? Se qualcosa, come il ritratto di Impero, glielo avesse fatto tornare alla memoria solo ora? Pensaci, Felì!!!-

Feliciano lo guardò –Sarebbe figo…-

-Già, anche perché potrebbe dirti che fine ha fatto il tuo caro, vecchio amico- disse Lovino, con un sorrisetto furbo.

 

Prussia salutò l’uomo con un cenno della mano, mentre l’altro si allontanava per un vialetto alberato, poi si ritirò in casa, chiudendosi la porta alle spalle.

Germania lo seguì attraverso i corridoi bui di casa sua, fino a ritornare nella cameretta di Sacro Romano Impero.

Il ragazzo prese da un angolino uno sgabello, che trascinò vicino al letto del bimbo, e lì si sedette, con la testa tra le mani e i gomiti puntati sulle ginocchia.

Improvvisamente, il tempo parve come accelerare: Prussia si levò di scattò dalla sedia e uscì velocemente dalla stanza, come in un film mandato in onda al doppio della velocità.

La camera divenne più luminosa, poi più buia, poi ritornò inondata dalla luce del sole, che, dalla finestrella, riusciva a vederlo mentre sorgeva e tramontava impazzito.

In pochi secondi, passarono quelli che dovevano essere anni.

Il bambino perse le sue sembianze paffute, e si allungò, smagrendo, diventando prima un pallido e allampanato adolescente, e poi un giovane dai muscoli asciutti.

I suoi tratti assunsero un aspetto un po’ spigoloso e severo, mentre i capelli rimasero di un biondo chiaro.

Ludwig si avvicinò lentamente al letto, mentre il tempo si stabilizzava.

Tra i cuscini e le coperte giaceva una sua copia, che dormiva un sonno ora agitato.

Germania lo fissò impietrito, mentre il suo alter ego apriva lentamente gli occhi, d’un azzurro intenso.

Si sollevò faticosamente a sedere, stiracchiando le membra indolenzite.

La porta si aprì e il ragazzo socchiuse gli occhi, disabituati ormai alla luce.

Sul viso di Prussia si dipinse un’espressione sorpresa e poi di pura gioia, come un bambino davanti ad un regalo gradito ed inatteso il mattino di Natale.

-Buongiorno Germania- disse, con voce rotta dall’emozione.

 

Ludwig spalancò gli occhi, trovandosi disteso su un soffice lettone  in una camera enorme, arredata con dubbio gusto (quello di Alfred).

Si sentiva molto spossato, ed ebbe quasi la tentazione di rimettersi a dormire.

Chiuse un attimo gli occhi, e le ultime immagini gli scorsero davanti: il suo addestramento con Prussia, i giochi con il piccolo Feliciano (vestito da cameriera), e poi la guerra che aveva combattuto insieme a lui, da grandi.

Come aveva fatto pochi secondi prima (o secoli?) lui stesso in un’altra vita, si alzò, sbadigliando sonoramente.

 

Lovino e Feliciano sentirono il sangue gelarsi nelle vene. Avevano sentito qualcuno sbadigliare alle loro spalle. E Antonio era uscito dalla stanza una manciata di secondi prima.

Felì si voltò per primo, e urlò di gioia, saltando addosso a un Germania piuttosto intontito.

Lovino sorrise, poi uscì silenziosamente dalla camera, decidendo di lasciare il fratello solo con le risposte che, forse, avrebbe trovato.

 

Feliciano strinse Ludwig, abbracciandolo con foga, piangendo e ridendo allo stesso tempo.

-Mi hai fatto prendere uno spavento colossale, Doitsu!!!- esclamò.

Germania fissò quel ragazzo più basso di lui di otto centimetri che lo teneva stretto con sorpresa.

Quante ore erano passate dal suo svenimento?

-Ehi, Italia, calmati…sto bene, ora-

Feliciano sollevò il viso su di lui:

-Ma che ti è successo? Sei crollato davanti a camera tua e io…io…mi sono preoccupato…-

Germania squadrò quel viso dall’aria distrutta, di un pallore inusuale, troppo vicino al suo. Si districò dall’abbraccio con gentilezza, facendo sedere Italia vicino a lui.

-Stai tranquillo Ita…Feliciano. Ora sto davvero bene- Germania sorrise.

Italia lo guardò sorpreso.

-Io…ho ricordato cose che…avrei perso per sempre, se non fosse stato per te- il ragazzo arrossì, guardando da un’altra parte.

Feliciano pensò al fratello e le sue ipotesi. Possibile che potesse avere ragione?

-Cosa hai ricordato, Doitsu?-

Ludwig sorrise allegro, rivolgendo su di lui lo sguardo.

-Che una volta pensavo fossi una bambina…e quanto dipingevi bene-

Italia sentì una sorta di affanno al cuore, ma piacevole, diverso da quello che aveva provato di fronte al ragazzo svenuto.

-Noi ci conoscevamo già quando scoppiò la Prima Guerra Mondiale…ma forse, allora mi chiamavi Sacro Romano Impero-

Feliciano gli si gettò addosso di nuovo, ma questa volta Germania rispose all’abbraccio.

Un ultimo ricordò gli balenò nella mente, e lo fece sorridere, mentre una lacrima, ma piccola, faceva capolino nei suoi occhi di solito così gelidi.

 

Sacro Romano Impero si voltò verso Italia, sventolando la mano.

Non lo preoccupava più partire per la guerra, o stare separato da lui. Il cielo risplendeva quella mattina, e, un giorno, sarebbe tornato.

-Non importa quanti secoli passeranno. Ti amerò sempre più di chiunque altro al mondo-.

E per una volta, l’affetto tra due amici aveva davvero superato ogni tempo, ogni spazio.

Aveva sconfitto la morte di una nazione.

 

 

 

 

 

 

    

 

 

  

 

 

  
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