I miei
venti metri quadrati
Capitolo
Ventesimo
Per
chi non sa
James
Augustine Aloysius Joyce era nato a Rathgar ,un elegante sobborgo di Dublino,
il 2 febbraio 1882 e divenne poeta e scrittore. L’avevo letto su
Wikipedia.
Joyce
Judd Cumoli era nato a Gallway, in Irlanda, il 13 marzo 1990, e non era
né un poeta , né uno scrittore. Sicuramente.
Joyce
era sempre stato un tipo allegro. Forse era per quello che riusciva a trovarsi
delle ragazze, nonostante il suo abbigliamento improbabile.
Forse
era per quello che quella mattina era nel bagno delle ragazze a scambiarsi
effusioni con una tizia del terzo anno. Io non avrei saputo nemmeno dire come
si chiamasse, Joyce non l’aveva scoperto, quel nome, certo più di
due giorni prima. E in quel momento la stava baciando a occhi chiusi. Forse per
far finta che si trattasse di qualcun altro.
Appoggiati
al termosifone, ad arrostirsi il sedere.
Nikka fece un ingresso plateale, del tutto
ignorato dai due, troppo impegnati a baciarsi per badare a una persona
qualunque che entrasse nel bagno per rifarsi il trucco. Ma Nikka non era famosa
per essere una persona alla quale piacesse l’epiteto qualunque.
“Ma allora non sei gay!”
esclamò indicandolo. A quel punto entrambi i ragazzi furono costretti,
loro malgrado, a dare attenzione alla nuova venuta.
Joyce alzò le sopracciglia
“E’ una cosa che hai detto tu, mica io” commentò senza
togliere le mani dai fianchi della ragazza castana che stava baciando fino a un
secondo prima.
“Sai che cercavo proprio te, volevo
parlarti” disse poi la ragazza piantando gli occhi color nocciola, in
quelli scuri di lui.
La ragazza avvinghiata a Joyce si
indicò col pollice. “No, cara, cercavo Joyce” spiegò
Nikka con fare fintamente mieloso. Joyce schioccò la lingua scocciato
con aria di attesa.
“In privato” puntualizzò,
poi si voltò verso la ragazza castana “niente di personale, te lo
rubo solo un minuto” continuò sorridente. La ragazza annuì
poco convinta ed entrambi la guardarono uscire in silenzio. Appena la porta si
chiuse Joyce si sedette sul termosifone facendo forza sulle braccia.
“Te le scegli sempre tonte? Così
le puoi lasciare in fretta?” domandò.
Joyce alzò le spalle “Mi annoio
velocemente… e comunque non mi sembrava tonta” commentò lui.
“Sicuramente dopo quel discorso così approfondito lo saprai
meglio di me” lo canzonò Nikka. Joyce non parve turbato e
piegò la testa da una parte arrivando subito al dunque “Di che
volevi parlarmi?”
Nikka rimase zitta un secondo masticandosi
l’interno delle guance. Sembrava indecisa. Joyce attese in religioso silenzio.
Sapeva che se avesse parlato per farle fretta il suo discorso sarebbe stato
distorto, e Nikka non avrebbe detto quello che realmente avrebbe voluto dire.
Quindi aspettò.
“Mi sento un’idiota a chiederlo a
te” sbottò infine guardandolo come se fosse colpa sua. Di Joyce.
“Allora non chiedermelo” rispose
lui alzando le spalle. “Grazie” ribatté lei scocciata
accennando ad andarsene.
“Aspetta” disse afferrandola per
il maglioncino “stavo scherzando”. Nikka si voltò nuovamente
a guardarlo con aria imbronciata e le braccia incrociate sul seno.
“E’ che non so a chi altro
chiederlo… se no non lo chiederei certo a te” ricominciò.
“Sono lusingato” ribatté lui.
“Mei parla mai di me?” chiese
infine con lo sguardo lucido e supplichevole. Si stava vergognando come una
ladra, e Joyce sembrava sul punto di mettersi a ridere così tanto da
cadere dal termosifone.
“Boh…” Joyce alzò le
spalle “Ogni tanto… ma non so Mei, non è un
chiacchierone” continuò con aria un po’ maliziosa, sapeva
che Nikka si sarebbe indispettita.
“Sai credo di star diventando
pazza…” sospirò appoggiandosi ad un lavandino.
Joyce alzò le sopracciglia in cerca di
spiegazioni. “Insomma, è stupido che passi il mio tempo a pensare
a uno come Mei… dato che potrei avere chiunque…” disse a
testa bassa. Joyce stava per complimentarsi per la modestia, ma Nikka
continuò a parlare imperterrita, come se avesse avuto un’idea
geniale.
“Forse dovrei ricominciare a uscire con
dei ragazzi…ultimamente non esco con nessuno!” esclamò.
“E Cesar?” domandò Joyce.
“E che c’entra Cesar adesso
scusa?” sbottò infastidita, come se Joyce avesse interrotto lo
scorrere delle idee geniali parlando di Cesar.
“Oppure potrei baciare qualcuno…
potrei baciare te, ad esempio”
disse come se la risposta fosse stata sotto il suo naso fino a quel
momento. Joyce s’incupì, non aveva alcuna intenzione di farsi
malamente coinvolgere in quella storia.
“Ma potresti anche non farlo!”
ribatté lui. Nikka alzò le spalle “Ma tanto sei gay, cosa
te ne frega?”chiese.
“Non avevi appena decretato di no?” ribadì Joyce.
Nikka sbuffò “Basta
lamentarsi!” sbottò dimostrando che la decisione era stata presa.
“Questi cavolo di esperimenti li vai a
fare a casa tu…”, ma Nikka fu più veloce di lui e gli
piantò le labbra addosso.
Per un secondo si guardarono negli occhi, da
vicino. Entrambi con le sopracciglia aggrottate, un po’ scocciati da
quella situazione. Fu durante quel nano secondo, che la porta si aprì
nuovamente rivelando una alquanto stupita Rachele, che li guardava a braccia
incrociate, e con la testa piegata un poco da una parte.
“Oh, Rachele …” disse Joyce
fioco, con gli occhi sgranati. Nikka si riappoggiò al lavandino
pensierosa.
“Buon giorno” fece lei in tono
strano. Fece un sorrisetto e uscì dicendo “Scusate, non volevo
interrompere nulla”. Joyce non perse tempo a cacciare
un’occhiataccia a Nikka, e si mise a rincorrere Rachele che a passo
veloce si dirigeva verso il bar della scuola.
“Rachele?” sospirò senza
fiato. Rachele lo guardò con un sorriso “Sì, Joyce?”
fece lei.
“Senti, io…, lei…,
noi… ehm…” balbettò incerto, gesticolando.
Rachele gli appoggiò una mano sul petto
e sorrise “Scusami, devo andare dalle oche blu… ci si vede
ok?” e con discreta e pacata eleganza si avviò verso il tavolo
dove se ne stavano due ragazze dai capelli turchini e una castana. Joyce
neanche le guardò, non notò nemmeno Sofia che lo salutava.
Deglutì senza fiato, rimanendo a
guardare Rachele che gli dava la schiena.
Più tardi quel pomeriggio Nikka se ne
stava davanti allo schermo luminoso del computer che Mei aveva aggiustato
quando si erano visti la prima volta.
La schermata era aperta sulla chat, e lei
continuava a fissare insistentemente l’immobile account di Mei. Sperando
che decidesse di aprire quella finestrella arancione per parlare con lei. Ma
Mei non faceva nulla, rimaneva lì immobile. Fece una smorfia. Si era
truccata al meglio per stare lì a guardare il suo nome. Era stupido. Mei
non la poteva vedere attraverso il pc, ma si era sistemata lo stesso. Non
l’aveva fatto coscientemente.
Si fregò gli occhi con le mani, e poi
si ritrovò a studiare i tasti. La parola Invio, su uno di questi era quasi scomparsa. Ma si riconosceva lo
stesso, per la sua particolare forma a L
rovesciata. Si era sempre chiesta perché avesse quella forma.
Sospirò e si decise a cliccare due
volte sull’account di Mei. Poi trattenne il fiato.
Nikka scrive : Ciao
Deglutì
e chiuse gli occhi “Ti prego, ti prego ti prego” disse tra
sé intrecciando le dita.
Quando li
riaprì una finestrella si era illuminata di arancione. Trattenne il
respiro e guardò meglio.
Cesar scrive : Allora? Il tuo cervellone
si è fatto sentire?
Nikka
sbatté il pugno sul piano della scrivania “Cesar, che
cavolo!” sbottò.
Nikka scrive : Che cavolo Cesar! Fatti i
fatti tuoi! E vai a lavorare invece di rubare lo stipendio chattando con me! E
poi cosa direbbe mia madre se sapessi che passi le tue giornate in chat?
Cesar scrive : Direi niente, dato che ci
siamo conosciuti così…
Nikka si
accigliò. Chattare con un trentenne dall’alto dei
cinquant’anni di sua madre la faceva sembrare tanto una vecchia
disperata. E lei nemmeno sapeva che sua madre sapesse accendere il computer.
Figurati destreggiarsi in una chat.
Cesar scrive : Devo andare, mi hanno
ordinato un cappuccino. Vai fuori a compare il latte che è finito!
Nikka
tamburellò le dita sul tavolo e sbuffando si alzò per andarsi a
preparare una camomilla, dato che con l’attuale umore ne aveva
decisamente bisogno.
Quando
tornò rimase sulla soglia con la tazza in mano a guardare circospetta lo
schermo. C’era una finestrella arancione. Rimase a fissarla da lontano.
Non voleva scoprire di nuovo Cesar dietro allo schermo. Si mordicchiò
l’interno delle guance per un po’ , poi finalmente si decise a
cliccare sulla finestrella dimenticando in un angolo la camomilla.
Mini_Mei
scrive : Ciao
Nikka
Nikka
sorrise tra sé. Almeno aveva risposto.
Cesar scrive : Mi raccomando il latte!
Nikka scrive : Basta Cesar!
Mini_Mei
scrive :
Sono Mei, non Cesar…
Nikka scrive : Oh, scusa, devo aver
sbagliato finestra!
Nikka
chiuse la conversazione con Cesar in un impeto di rabbia. Stupido cubano! Ci
mancava solo che Mei se la prendesse perché l’aveva chiamato
Cesar. Si tirò una sberla in fronte per la stizza.
Mei
dall’altra parte del video si morsicò il labbro.
E
così Joyce aveva capito bene… c’era un certo Cesar…
probabilmente il suo nuovo ragazzo. Sicuramente quello che aveva visto farla
salire in auto. Sospirò abbacchiato, lui neanche ce l’aveva la
patente. E poi con gli struzzi!
Come si
poteva essere così idioti da mettersi a parlare di struzzi?
Si domandò
cosa volesse a quel punto Nikka… forse aiuto per i compiti di matematica?
Come la prima volta con Pallotti.
Si era
illuso per qualche nano secondo che a Nikka potesse interessare qualche cosa di
lui. Ma sicuramente non era così, lo chiamava anche col nome
sbagliato…
Nikka scrive : Come stai?
Mini_Mei
scrive :
Bene, grazie… e tu?
Non sapeva
che altro scrivere, a parte un bene e
tu?... aveva paura di straparlare ancora di struzzi e hotel, e la sua
reputazione non poteva sopportare ancora oltre una cosa del genere.
Nikka scrive : Non c’è male
grazie…
Nikka
rimase a fissare lo schermo senza sapere cosa scrivere. Cosa poteva dirgli? Lei
che di solito sapeva sempre come intrattenere le persone, si trovava senza
parole. Le veniva solo in mente che quella mattina per amore della scienza
aveva dato un bacio a Joyce, ma non era la discussione migliore da
intraprendere in quel momento. Anche perché l’esperimento aveva
fallito miseramente.
Forse era
colpa di Joyce, che vestiva decisamente ambiguo e… no, non era colpa di
Joyce…
Sospirò.
Cesar scrive : Allora sei ancora
lì? Vai a prendere il latte, se no cosa
beviamo domani mattina per colazione?
Nikka
sbuffò.
Mini_Mei
scrive :
Allora tu e Cesar avete attaccato il quadro ieri sera?
Nikka scrive : Oh, sì, Cesar ci ha
rimesso un dito ma ce l’abbiamo fatta. Anche se ha dovuto intervenire mia
madre.
Mei fece un
sospiro. Questo Cesar lo conosceva anche sua madre. Fantastico! Allora era
proprio ufficiale. Neanche Alberto era stato presentato. Si domandò per
un secondo se Marianna lo approvasse.
Si
sicuramente lo approvava. L’aveva visto. Sembrava educato, pulito…
ed era decisamente di bell’aspetto, aveva dovuto ammettere.
Appoggiò la fronte sulla tastiera.
Mini_Mei
scrive :
tyyyyyyyyf
Nikka scrive: eh?
Mini_Mei
scrive :
Niente… ho appoggiato la testa sulla tastiera.
Mei si mise
le mani nei capelli e arrossì nella solitudine della sua stanza. Come se
non sembrasse abbastanza strambo senza fare queste cavolate.
Nikka del
canto suo aggrottò le sopracciglia chiedendosi quando sarebbero finite
la stranezze di quel ragazzo.
Nikka scrive : Senti Mei… ti
sembrerò un po’ scontata
Mei lesse
aspettando che finisse la frase, sul fondo della finestrella troneggiava la
scritta Nikka sta scrivendo un messaggio.
Nikka scrive : Mi chiedevo se volessi
venire a una festa domani sera… ci andiamo io Vanessa e Millie... se vuoi
puoi portare qualcuno… non so… Joyce
Nikka prese
coraggio e aggiunse
Nikka scrive : se vuoi anche tua sorella,
se ti fa piacere…
Se per
avere Mei si sarebbe dovuta sorbire l’indisponente Rachele
l’avrebbe fatto.
In quel
momento le orecchie di Mei furono rapite dalla voce di sua madre che veniva
dalla cucina “Mei, tesoro? Hai visto tua sorella? Non è ancora
tornata da scuola… sai se è successo qualche cosa?”
“No,
non so niente… sarà con Joyce! Come al solito!” urlò
di rimando, tornando subito a dare attenzione allo schermo.
Mini_Mei
scrive : Va
bene… non credo che ci sarà bisogno di chiamare mia sorella
comunque… posso portare il mio portatile?
Nikka scrive : Come preferisci
Mini_Mei
scrive :
Allora a domani sera… ma dove devo andare?
Nikka scrive: Al giardino di
Venere… è una festa chic…
Mini_Mei
scrive : Va
bene… ci vediamo
Nikka
chiuse la conversazione con un sorriso che le andava da un orecchio
all’altro. Quando riabbassò lo sguardo sullo schermo c’era
di nuovo una finestrella arancione.
Cesar scrive : Sul serio! C’è
bisogno del latte Nicoletta! Come faccio io domani se no?
Nikka scrive : MA LAVORI IN UN BAR! La
colazione non dovrebbe essere un problema! Comunque adesso esco.
Fu
così che Nikka uscì, si comprò un vestito nuovo ,
scordandosi di acquistare il latte per il povero Cesar.
Più
o meno mentre Mei e Nikka scambiavano chiacchiere imbarazzate tramite il web,
Rachele se ne stava seduta per terra appoggiata agli armadietti della palestra,
con gli occhi fissi nel vuoto. Non si accorse neanche di un ragazzo coi capelli
per aria che le si avvicinava, strisciando di schiena contro gli scaffali.
Lo
notò solo quando il ginocchio si appoggiò alla sua spalla. Fu
allora che lei alzò la testa a guardarlo in faccia.
Era il
ragazzo che il giorno del suo compleanno stava chiacchierando con Joyce, e per
l’occasione indossava ancora l’indecente cravatta leopardata che
aveva quella volta. L’afferrò, allungando il braccio e
costringendolo a sedersi accanto a lei.
Lui
sbatté il deretano sul pavimento perplesso, poi si voltò a
guardarla sorridente.
Lei lo
teneva ancora stretto per la cravatta e lo guardava fisso negli occhi, con
un’espressione che avrebbe intimorito chiunque.
“Dici
che Joyce mi voglia bene?” chiese poi. Il ragazzo leopardato fece un
sorrisetto e allungò la mano per accarezzarle il viso.
“Joyce
non lo so, ma io te ne vorrei se…” non fece in tempo a finire la
frase perché lei lo stava guardando come si guarda un indemoniato, e
aveva lasciato andare la cravatta.
“Evapora”
decretò, il ragazzo incravattato non se lo fece ripetere due volte e
fuggì a gambe levate.
Rachele
sospirò e appoggiò rumorosamente la testa all’armadietto di
metallo.
“Uffa”
La mattina
dopo Joyce si svegliò infreddolito, per poi scoprire che era in mutande
sopra al materasso. Niente pigiama, niente lenzuola, niente trapunta, in
gennaio. Si mise a sedere e appoggiò i piedi per terra,
perplesso.
Era sicuro
che al momento di andare a letto ci fosse tutto. Aggrottò le
sopracciglia e decretò che prima di riflettere ancora era meglio andare
in bagno a lavarsi la faccia. Dopo essersi risciacquati si ragiona sempre molto
meglio.
Andò
in bagno, e si lavò la faccia, per una volta non c’era ressa,
solitamente c’era da fare a botte, tra lui, Emily, Jane e loro padre.
Mentre si
asciugava sentì dei rumori provenire dalla serratura, si allungò
a cercare di aprire la porta, che rimase irrimediabilmente chiusa. La
sforzò un po’, strattonando il pomello in qua e in là.
Andò
avanti per un po’ a litigarci, per poi arrendersi all’evidenza, era
irrimediabilmente chiusa.
Sbuffò e occhieggiò di
malavoglia la finestra. Non era la prima volta che passava sui cornicioni o si
arrampicava su per le grondaie, ma di solito non era in mutande in pieno
gennaio.
Ma a quanto
pareva nessuno al di fuori della toilette gli stava dando udienza, per cui
rimaneva l’unica scelta possibile quella di uscire dalla finestra.
Salì sul davanzale e passò sul cornicione, faceva un freddo
bestiale, e in qua e in là c’era ancora un po’ di neve.
Arrivato
davanti alla finestra della cucina, qualche metro più in là,
bussò e una Jane perplessa venne ad aprirgli.
“Che
ci fai sul cornicione?” domandò con una padella in mano.
“Sono
rimasto chiuso in bagno, e mi sono sparite le lenzuola… sta mattina
c’è qualche cosa di strano…” disse guardingo entrando
in casa.
Jane
alzò le spalle “E’ passata Rachele prima, l’hai vista?
Ti stava stirando una maglietta…” Joyce la guardò perplessa,
per poi passare lo sguardo al piano da stiro, dove c’era una sua
maglietta arancione, una delle sue preferite tra l’altro, con il ferro
appoggiato sopra.
Rimase a
fissarlo per qualche secondo con un terribile presentimento. Lo alzò
rivelando un buco a forma di ferro. Sbatté le palpebre e lo spense
mettendolo al suo posto.
Andò
in dispensa, per poi scoprire che i suoi biscotti preferiti erano spariti.
Guardò Jane sapendo già la risposta alla domanda che le stava per
porle “Li hai mangiati tu?”
Lei scosse
la testa “No, Rachele ha detto che aveva fame…”
Poi
aggiunse “Hai visto il mio pellicciotto arancione?”
Jane scosse
la testa. E lui si catapultò fuori correndo all’impazzata verso la
scuola. E infatti, come aveva supposto quando non aveva trovato il
pellicciotto, la trovò nel giardino della scuola, a chinino con il
suddetto pellicciotto in mano, intenta a cercare di far funzionare un accendino
mezzo scarico.
“Rachele!”
strillò rischiando di non riuscire a frenare in tempo e finirle addosso.
Lei
alzò la testa contrariata.
“Vuoi
dare fuoco al mio pellicciotto?” sbraitò. Rachele glielo
lanciò addosso con disprezzo. “No, l’accendino non
funziona…”
Joyce in
maglietta e jeans lo afferrò con lo sguardo lucido.
“Rachele”
piagnucolò.
“Lasciami
stare!” sbottò lei andandosene. Joyce la rincorse prendendola per
il polso.
“Rachele
per piacere…” cercò di dire.
“Mollami
o ti mordo, e sai che lo faccio!” proruppe perentoria. Joyce la
lasciò andare.
Si
ritrovò a pestare i piedi “Cavolo!” sbraitò senza
sapere cosa fare.
Era tutta
colpa di Nikka. Tutta colpa di quella stupida esaltata che si divertiva a
giocare con Mei e D’annunzio, e probabilmente non gliene fregava nulla di
rovinare la vita anche a lui!
Quel
pomeriggio Joyce era a casa Pavesi. In realtà non sapeva che fare con
Rachele, ma era tanta l’abitudine a stare in quell’appartamento,
che gli sarebbe sembrato strano non andarci. Così si era ritrovato in
camera, con Mei, che trafficava con il PC.
Joyce
sospirò. “E così Nikka ti ha baciato…”disse il
ragazzo, che sembrava non dargli udienza, ma in realtà era attentissimo.
“Sì,
ma senti, non è colpa mia, io non la volevo baciare e…”
continuò imbarazzato. Mei alzò le spalle.
“Immagino,
credo che Nikka si diverta a dispensare baci. Non ce l’ho con
te…”.
Joyce si morse
il labbro, forse Mei non era la persona più giusta per parlare di quella
faccenda, ma ormai che era lì …
“Il
problema a questo punto, mi pare di capire che sia mia sorella…”
continuò cliccando qualche cosa sullo schermo, mentre le sue dita
passavano veloci sulla tastiera.
“Già”
ammise Joyce abbattuto appoggiando la testa allo stipite della porta.
“E se
permetti, io non ho ancora capito che razza di rapporto avete tu e Rachele, che
cavolo! Come se non sapesse che hai avuto anche delle altre ragazze!” disse.
Joyce
alzò le spalle. “Tua sorella non è così sicura come
sembra… e Nikka la manda in crisi. La odia credo… non saprei dirti
perché…comunque non gli interessa cosa faccio con le altre
ragazze. Il problema è che se avessi una storia con Nikka passerei dall’altra
parte…”
A quel
punto Mei si voltò a guardarlo “Permettimi di chiederti una cosa:
cosa cavolo siete tu e Rachele?” disse accigliato.
“Amici?”
azzardò Joyce con poca convinzione.
“Gli
amici NON si sbaciucchiano!” decretò Mei senza dare alito a eventuali
repliche. Joyce alzò le spalle.
Nikka
rimase un poco a guardare il display del cellulare. Poi prese coraggio,
digitò il numero e avvicinò il cellulare all’orecchio.
Dopo due
squilli mise giù senza aspettare che qualcuno rispondesse. E nascose il
cellulare in tasca. Respirò profondamente con le labbra serrate e lo
sguardo fisso sulla porta chiusa della sua camera.
Si
appoggiò stancamente al muro dietro di lei. E sbuffò.
Insomma,
probabilmente aveva detto un sacco di cose più imbarazzanti, nella sua vita,
quale doveva essere il problema di dire a Mei, che, le piaciucchiava?
Sì,
doveva vederlo quella sera, ma aveva pensato che dirlo al telefono sarebbe
stato meno imbarazzante, poteva anche aspettare che lui capisse, ma temeva che
di quel passo, aspettando che Mei intuisse e che addirittura prendesse
l’iniziativa si sarebbero arrivati tranquillamente alla prossima era
glaciale.
Fece
l’ennesimo sospiro ed estrasse il cellulare dalla tasca dove
l’aveva riposto, digitò il numero e lo appoggiò
all’orecchio.
Uno, due,
tre squilli a vuoto, Nikka dovette fare violenza su sé stessa per non
riattaccare, quando dall’altra parte venne un Pronto un po’ distorto dalla linea.
“Pronto?
Ciao Mei… no, non dire niente, sono Nikka…senti, volevo dirti che
mi dispiace tanto per tutto quello che è successo. Per Pallotti, per il
bagno nei ghiaccioli, e tutto il resto. Mi spiace averti spinto a provarci con
una e poi essermi arrabbiata quando ti ho visto con Alsazia, che razza di nome
poi, ti prego non dire che è geografico, perché è solo
ridicolo! E mi dispiace per essere così fissata con i vestiti, e aver
cercato di trasformarti nella mia opera d’arte, dato che di certo mio non
puoi essere, tu sei tu, e i vestiti li fa tua madre… e l’altro
giorno, quando sei venuto a parlarmi di struzzi e hotel nello spazio forse
avrei dovuto ascoltarti, probabilmente preferivo ascoltarti piuttosto che
attaccare il quadro con Cesar… sicuramente preferivo ascoltarti… e
lo so che sono strana, ma tutto questo casino credo di averlo fatto
perché mi piaci…” poi ripeté in un sussurro come per
essere sicura di averlo detto “mi piaci Mei…”
Deglutì
senza fiato, un po’ per quello che aveva detto, un po’
perché non aveva respirato neanche un attimo. Per un secondo
pensò che Mei avesse riattaccato, ma poi parlò, a bassa voce.
“Ehm,
Nikka… sono Joyce, Mei è andato in bagno…” disse
guardingo.
Nikka
rimase per qualche secondo con la bocca spalancata e il desiderio di urlare che
andava su e giù per la gola.
“JOYCE!”
riuscì infine.
“Devo
dire a Mei che hai detto che gli piaci?” domandò lui un po’
spaesato.
“N-no!
diamine Joyce! Non ti azzardare a dirgli nulla!” urlò in preda
alla collera e interrompendo la conversazione buttò il cellulare per
terra, e poi si fece cadere sul letto.
Fatta
sfortuna. Si era dichiarata a Joyce…
In quel
momento in un’altra casa Mei uscì dal bagno.
“Chi
ha chiamato?” chiese tranquillo chiudendo la porta e occhieggiando Joyce
che col suo telefono in mano aveva l’aria di uno che è appena
uscito dalla lavatrice.
Per un
secondo Joyce pensò a dirgli di Nikka, ma alla fine giunse alla
conclusione che meno si metteva in mezzo, meglio era… già
c’erano dei problemi con Rachele , non voleva averne anche con Mei e
Nikka.
“Un
tizio che vendeva aspirapolvere” mentì alla fine. Mei annuì
un po’ perplesso, ma non fece domande ulteriori sulla faccenda, invece
continuò su un altro binario “Allora con Rachele? Come hai
intenzione di fare? Sta sera c’è una festa… probabilmente ci
andrà…”
Joyce
alzò le spalle.
“Sinceramente
non ne ho idea…”
“Io
ci andrò, secondo me dovresti venirci anche tu…”
sussurrò con un sorriso.
Più
tardi, quando Joyce era tornato a casa sua e Rachele era tornata
all’ovile, Mei si preparava per uscire, andando in giro per casa
allacciandosi la camicia bianca.
“Tesoro,
mettiti questo!” trillò allegra lanciandogli un foulard.
Rachele
guardava la scena seduta sul ciglio del divano intenta a fumare con aria
scocciata e vagamente depressa.
“Ma
tu guarda, io sto in casa e il mio fratellino nerd va a una festa
chic…”biascicò triste. La signora Pavesi che stava
preparando la torta di riso non le badò , e Mei era già sulla
porta che si infilava la giacca, con la custodia del PC trattenuta tra le
ginocchia, il cellulare in bocca, mentre raddrizzava il coletto.
“Ci
vai col portatile alla festa?” chiese con voce strascicata prendendo una
boccata di fumo.
Mei
annuì e si mise il cellulare in tasca uscendo.
Rachele
sospirò tenendo la sigaretta ferma tra le dita, e guardando sua madre
che col grembiule addosso canticchiava serena una canzone idiota su una lavandaia.
Sbuffò,
e prese il telefonino, non poteva stare a casa il sabato sera.
Il telefono
suonò a vuoto per qualche secondo, poi dall’altra parte risposero.
“Ciao
Pallotti… sono Rachele, no, non mettere giù…” si
accigliò “no, non voglio farti attaccare al cancello da Joyce sta
volta…no… ho solo bisogno di qualcuno con cui andare alla festa che
c’è a Il Giardino di venere… no, non ti bacio, scordatelo,
al massimo posso decidere di darti la mano” poi precisò “se
mi ubriaco…”
Il sole
stava tramontando quando Mei e Joyce arrivarono al giardino di Venere, Joyce
non era neanche messo la giacca, era ovvio che non gli interessasse entrare. Se
ne stava fermo a guardare la fila di chi aspettava che fosse il suo turno per accedere
alla festa, con le mani in tasca, e gli occhi alla ricerca di Rachele. Mei
sorrideva amabile con le dita strette alla tracolla del porta PC.
“E’
lì… con Pallotti” disse in un sussurro Joyce mordendosi il
labbro inferiore. Mei annuì “Già…allora cosa aspetti
ad andarci?”
Lui
alzò le spalle incerto “Non so…tu cosa stai
aspettando?”
“Che
ti decidi a fare qualche cosa, così posso cercare Nikka…”
spiegò Mei tranquillo.
“Quindi
ti sto rovinando la serata?” concluse.
“Non
ancora, è presto…” poi gli diede una spintarella
“Sbrigati, tra poco cominceranno a entrare e ti assicuro che con quella
pelliccia addosso non ci penseranno due volte a lasciarti fuori” disse allegro.
“Mi
sembri Nikka, lo sai?” Mei rise, mentre Joyce si avviava verso la ragazza
blu.
Pallotti
gli dava le spalle, e Rachele lo stava guardando con l’espressione
più annoiata del suo repertorio, espressione che cambiò un poco
quando vide Joyce avvicinarsi a loro. Pallotti non capì subito il
cambiamento di Rachele, finché non si decise a girarsi scorgendo
l’irlandese.
Joyce gli
lanciò un’occhiataccia e minacciò “Se non sparisci
immediatamente ti crocifiggo al cancello!”. Il ragazzo biondo se la diede
a gambe.
Joyce in un
altro momento si sarebbe complimentato per il terrore che riusciva a incutere
in una mente semplice come quella di Pallotti, ma in quel momento era
più il terrore che Rachele incuteva in lui.
“Rachele”
azzardò.
“Che
cavolo vuoi?” sbottò arrabbiata. Joyce sentì la rabbia
schiantarglisi in faccia. Chiuse gli occhi per un secondo, e quando li
riaprì lei era ancora lì che mostrava i denti guardandolo dal
basso.
“Che
cosa devo fare..?” chiese.
Rachele
aveva l’aria di uno che stava per esplodere “Che cosa devi fare?
Che cosa devi fare?” ripeté con la voce che saliva al cielo sempre
più acuta.
Lui non
ebbe realmente il tempo di registrare cosa stava facendo, perché non si
accorse di star avvicinando vertiginosamente Rachele a sé e di
stampargli un bacio sulle labbra.
Si accorse
invece subito del dolore che gli procurò il cozzare del suo zigomo con
il palmo della mano di lei.
“IDIOTA!”
sputò lei , per poi girare i tacchi e correre via. Joyce si
lanciò immediatamente al suo inseguimento.
Fu allora
che Mei decise di aver guardato abbastanza e che forse era già in
ritardo per la festa.
Quando
entrò si stupì. Era abituato al Luxury e a tutti gli inutili
fronzoli pacchiani che riservava alle sue feste.
Il posto
dove Nikka l’aveva portato quella sera era davvero chic. Era tutto di un
rosa chiaro, con tanti tavolini tondi, posate brillanti, lampadari che
traboccavano gocce di cristallo. Sbatté le palpebre compiacendosi che
non ci fosse ressa, e che nessuno stesse ballando in modo sguaiato.
Intercettò in fretta Nikka, con le sue inseparabili amiche.
Fissò
per un secondo il vestito di seta grigia che avvolgeva Nikka. E il contrasto
coi lustrini di Millie e della loro amica equina. Si disse che probabilmente
lei aveva avuto qualche cosa da dire. Gli venne quasi da ridere.
Nikka
sorrise nel vederlo e non disse nulla. Ovviamente la pace ovattata non
durò molto, perché le due pailettate gli piombarono addosso
immediatamente abbracciandolo civettuole.
Nikka
sorrise anche allora.
Mei si
disse che era strano, le ragazze ballarono un poco lasciandolo al tavolo col
suo rassicurante pc. Lo strascinarono il pista dopo un po’, e lui
riuscì a scappare. E Nikka commentò il vestito della Gandolfi che
così stellato, la faceva sembrare un cioccolatino.
Non era
esattamente come stare con Joyce, o con Rachele o con sua madre, ma si disse
che non era male, che non gliene fregava nulla del vestito della Gandolfi, che
non era obbligato a baciare nessuno, che poteva rifiutare lo spumante se non
voleva. Era una specie di calma chic. Gli veniva da sorridere. Forse aveva
sbagliato a prendere Nikka. Forse avrebbero potuto essere amici. Si disse che
si, così poteva andare, e probabilmente ora che si era messa con Cesar
le cose sarebbero migliorate anche per lui.
Quando Mei tornò a casa sorrideva
come un idiota. Sul momento non vi badai. Anche io sorridevo come
un’idiota.
Anche se ero stravaccata sul divano, con
Joyce che mi dormiva sulla pancia non mi ero nemmeno tolta le scarpe.
“Che hai da ridacchiare tu?”
dissi a bassa voce per non svegliare Joyce. Mei mi lanciò un altro
sorriso e se ne andò in camera sua.
Sospirai e appoggiai la testa al bracciolo
del divano. “Buona notte Rachele” dissi tra me.
E così siamo arrivati al ventesimo e penultimo capitolo.
Lo dico adesso così nel prossimo non ci sarà la sorpresina!
Come al solito il capitolo non mi convince granché, ma da
un po’ a questa parte mi succede sempre, e non so come sistemarlo, quindi
ho deciso di postarlo così…ç__ç
Ovviamente ringrazio moltissimo tutti quelli che leggono, in
particolare TheDuck,(Grazie!!^.^) Lucy Light (quella è la candela che
c’è di solito sulle mie torte di compleanno!!XD comunque Joyce va
in giro conciato così per dare modo agli altri personaggi di insultarlo
malamente!!)e DarkViolet92 (Ma più che gli auguri Rachele non sopporta
la maggior parte dei rapporti umani soprattutto se sono “di
massa”…XD )
Ancora grazie a tutti e Buon 2010!