“ Piovono petali di girasole
sulla ferocia dell’assenza.
La solitudine non ha odore
ed il coraggio è un’antica danza…”
Mannoia
Capitolo III – The eyes of death
Takagi aprì la porta del tetto, affacciandosi con
due bicchieri di caffè in mano.
Come immaginava, Sato era lì affacciata al
parapetto, con sguardo assente. La conosceva abbastanza bene da saper
riconoscere quando era arrabbiata per qualcosa: in quelle occasioni, cacciava
qualche sfuriata, poi si rifugiava sempre lì per starsene in pace, lontana da
tutti. Forse le piaceva, la vista della città dall’alto…
Il ragazzo le si avvicinò, cauto.
Era sicuramente irritata per la faccenda della
‘guardia del corpo’, ma… non riusciva proprio a capire perché! Non appena lei
si accorse della sua presenza, le porse uno dei bicchieri.
“Grazie…”
Bevvero i loro caffè insieme, pensando bene a cosa
dire: non avevano più parlato di ciò che era successo, o meglio, che stava per
succedere la sera di due giorni fa… e Takagi non era sicuro che fosse il
momento giusto, per affrontare l’argomento.
Sato lo sorprese a fissarla, con aria perplessa.
“Che c’è?”
“Ah… nulla. Solo… sei arrabbiata con me?”
Ecco, aveva acceso la miccia: restava solo da
vedere se la bomba sarebbe esplosa o meno!
Sato ci pensò un attimo, poi con un sospiro gli
sorrise,paziente.
“Affatto! Non è nulla, sono solo un po’ stanca di
tutta questa storia…”
Finì di bere il suo caffè e si diresse
tranquillamente verso le scale.
“Dove vai?”
“A fare un giro. Non posso fare niente… e sono
stufa di stare chiusa qui.”
Takagi ingoiò rapidamente ciò che restava del suo
caffè, e si mise la giacca.
“Ti accompagno.”
“Non devi…”
“E invece sì!”
Sato lo guardò incuriosita, mentre lui la
raggiungeva: le era quasi sembrato che… No,non era da lui, perdere la pazienza
così facilmente… non con lei!
Takagi, dal canto suo, era sempre stato
accondiscendente verso di lei. Ma questi suoi sbalzi d’umore , in una
situazione così incerta poi… non facevano altro che complicargli ulteriormente
le cose! Come se corteggiarla, non fosse già abbastanza difficile!
Ma c’era poco da fare: lui era buono e paziente di
indole, non era capace di arrabbiarsi sul serio. Pensandoci, Sato si rese conto
di non averlo mai visto veramente infuriato… al contrario di lei, che si
infiammava per un nonnulla, come in quel momento: forse stava davvero
esagerando… dopotutto, Takagi stava solo svolgendo il suo compito.
La ragazza lasciò che Takagi le si affiancasse, poi
gli prese la mano, senza dire una parola.
Lui, questa proprio non se l’aspettava!
Continuarono a camminare così per un po’, mano
nella mano, in balia del più completo imbarazzo. Mentre lento, il sole
tramontava… e le ombre nere si risvegliavano.
Non stavano camminando da molte, quando
all’improvviso una sagoma scura comparve loro davanti, nella folla. L’uomo era
interamente vestito di nero, e un cappello dello stesso colore gli copriva il
volto e la lunga chioma bionda.
Sato non fece caso a lui, fino a quando questo,
passandole accanto, non la guardò fisso.
La ragazza si sentì improvvisamente mancare: c’era
qualcosa di crudele in quegli occhi che scintillavano, all’ombra del cappello…
uno sguardo pesante, carico di un odio senza ragione, infestato da qualcosa di
affamato, che mostrava i denti alle sue prede prima di sbranarle senza pietà.
Come si poteva essere così pieni di pazzia?
Takagi sentì la presa di lei sulla sua mano, farsi
più stretta e tesa. Si era accorto anche lui dell’uomo che ormai, era passato
oltre e si era perso tra la folla.
Non gli era piaciuto per niente, il modo in cui
aveva guardato Sato… quel ghigno feroce e divertito…
Lei intanto pensava. Cercava nella sua testa, nei
suoi ultimi ricordi, la figura di quell’uomo: era sicura di averlo già visto…
ma dove?
Improvvisamente sentì Takagi tirarla verso di se’,
e guardarla serio.
Va tutto bene…
Sato si accorse di stare ancora stringendo la mano di lui, e velocemente allentò la presa: nemmeno lei sapeva spiegare quella strana paura fredda e pesante che l’aveva come attanagliata.
Sentì ancora a mano di Takagi stringere la sua.
Va tutto bene.
Ma non andava affatto tutto bene. E fu proprio
Takagi, il primo ad accorgersene. Sentì il suolo e l’aria vibrare di una scossa
che si avvicinava velocemente… e improvvisamente, apparve: un tir stava venendo
loro addosso a tutta velocità, da una strada in discesa alla loro destra.
Subito, il ragazzo tirò Sato a se’, buttandosi
all’indietro con lei tra le braccia, mentre la gigantesca massa di metallo si
schiantava contro il muro di un edificio.
Pezzi di vetro e cemento volarono dappertutto,
mentre entrambi cadevano a terra, un po’ graffiati ma tutti interi.
Non appena il frastuono dell’impatto finì, e la
gente cominciò ad avvicinarsi impaurita, Takagi cercò di alzarsi ma il corpo di
Sato, ancora immobile sopra di lui, glielo impedì.
La ragazza, appena si rese conto che la paura la
stava prendendo di nuovo, si alzò rapidamente, arrossendo.
“Stai bene?”
“Sì…”
“Non… non sei ferita, vero?”
“Sto bene, non ti preoccupare.”
Takagi la aiutò ad alzarsi. La Sato fragile di
qualche attimo prima però, era già sparita, nascosta chissà dove… Entrambi si
avvicinarono a ciò che rimaneva del camion, per controllarne l’abitacolo: come
avevano immaginato il conducente non c’era… non era difficile immaginare il
perché.
Takagi rimase un attimo in silenzio, per lasciarle
il tempo di riprendersi, prima di farle una domanda molto importante.
“Quell’uomo… che ti guardava prima: lo conosci?”
“No… però sono sicura di averlo visto da qualche
parte. Ma non riesco a ricordare dove…”
“Forse a quel ristorante?”
Sato e Takagi si voltarono di scatto, trovandosi di
fronte il piccolo Conan, che i quel momento sembrava tutto tranne un bambino
piccolo…
Il bambino ripetè la sua domanda.
“Potresti averlo visto la sera di due giorni fa, al
ristorante, quando il signor Takeda è stato ucciso? Pensaci bene…”
Sato si sforzò di ricordare. Sì, era stato quella
sera… ora ricordava!
“Sì, stavo tornando dalla toilette, quando l’ho
visto parlare con un altro uomo vestito di nero come lui… sembrava che stessero
fissando un punto preciso della sala, senza mai mollarlo.”
Improvvisamente Sato capì come stavano veramente le
cose. Conan continuò.
“Ti hanno vista, mentre li fissavi?”
Sato annuì. “Solo quello con i capelli biondi.
L’altro se ne era già andato per pagare il conto. Questo spiega perché tra i
clienti interrogati, loro non ci fossero…”
Il bambino sospirò, preoccupato.
“Allora il motivo di tanto accanimento, è semplice:
quell’uomo deve aver notato che eri un agente, visto che ti sei avvicinata alla
vittima che lui stesso aveva ucciso, e hai preso parte alle indagini. E dal
momento che ti aveva sorpreso a fissarlo… ha pensato di dover togliere di mezzo
una testimone scomoda…”
Takagi non sembrava del tutto convinto.
“Come fai ad esserne così sicuro? Se quell’uomo non
appare nei registri dei presenti al ristorante di quella sera, non abbiamo
prove per affermare che sia implicato in questa storia.”
“E’ semplice: perché il signor Takeda aveva già
avuto a che fare con organizzazioni mafiose, per degli affari in precedenza e
…”
Improvvisamente Conan si rese conto di aver detto
più del necessario.
“C-comunque, questo è quello che si dice in giro…”
Takagi sospirò perplesso: davvero strano, quel
bambino…
“Comunque sia, è maglio tornare alla centrale.
Dobbiamo informare l’ispettore Megure
di tutta la faccenda, inoltre…”
Si rivolse a Sato, con un tono che non ammetteva
repliche.
“… è troppo rischioso per te, rimanere ancora qui.”
La ragazza annuì, preoccupata. Suo malgrado, doveva
dargli ragione.
L’aveva scampata per un soffio, un’altra volta…
Gin si accese una sigaretta, aspirando a fondo il
fumo grigio e denso. Poi entrò nell’auto nera, parcheggiata di fianco a lui.
“Hai fatto ancora fiasco?”
Vodka si sentì inchiodare da uno sguardo carico di
rabbia, e si rese conto che avrebbe fatto meglio a tenere la bocca chiusa.
Gin rise. Una risata amara come le sue parole…
“Quella donna ha la fortuna dalla sua…”
“Sei sicuro che ne valga la pena?”
L’uomo buttò fuori dal finestrino il rimanente
della sua sigaretta, e mise i moto.
“Quella ragazza è un’agente… era presente e ci ha
visto, la sera in cui abbiamo fatto fuori il vecchio: non possiamo concederci
il lusso del dubbio. Dobbiamo assicurarci che non parli.”
“Ma ormai si sarà già ricordata di noi… e avrà già
riferito tutto alla polizia!”
“Non è detto. E comunque la loro unica prova è la
testimonianza di quella ragazza… se la eliminiamo, non avranno più nulla a cui
attaccarsi, e il caso verrà archiviato…”
“Sì, ma come pensi di fare? E’ già la terza volta
che riesce a scamparla…”
Gin premette ancora l’acceleratore, fissando la
strada con i suoi occhi di ghiaccio.
“Questa volta non ce la farà. Sai come si dice:
quando la Morte viene di persona, non c’è più alcuna speranza…”
Quando Conan entrò nell’appartamento di Kogoro
Mouri, era già buio.
Si era attardato a parlare con Ai delle ultime
novità: anche se non era riuscito a trovare Gin, ormai era certo che fosse lui
il responsabile di tutti quei casini. Aveva avuto la conferma che gli serviva,
quando si era accorto che Takeda era lo stesso uomo che stava concludendo un
affare con Gin e Vodka al parco di divertimenti, il giorno in cui lo avevano
fatto rimpicciolire.
“Stanne fuori, Shinichi.”
Gli aveva detto però alla fine, Ai. “Per noi è troppo rischioso intervenire.
L’agente Sato dovrà cavarsela da sola… come stiamo facendo noi.”
Starne fuori? Come faceva a starne fuori mentre gli Uomini In Nero mettevano a repentaglio la vita di chi gli stava vicino? Non aveva confessato il suo segreto a nessuno, proprio per evitare questo genere di situazioni… e adesso doveva starne fuori?!
Conan aprì la porta dell’appartamento, immerso nel
buio.
Ran lo aspettava, seduta sul divano, e appena il
bambino richiuse la porta dietro di se’, si alzò e gli mollò un sonoro schiaffo
sulla guancia.
Conan rimase quieto, non un gemito, non un lamento.
Davvero uno strano bambino…
Ran era sull’orlo delle lacrime.
“Dove sei stato fin’ora?!Non… non farlo mai più!
Non ti azzardare mai più a sparire senza dire nulla, come quello stupido di
Shinichi… Hai capito?! Mai più!!”
Quando non ebbe più fiato, si lasciò cadere sul
divano, con il viso tra le mani.
“MA LUI RITORNERA’ PRESTO! QUINDI NON PIANGERE, E
FIDATI DI LUI!!”
Conan aveva urlato. Non lo aveva mai fatto…
Ran smise all’istante di piangere, sorpresa, e si
chinò abbracciando il bambino.
“Io mi fido di lui… è solo che…”
Conan la abbracciò a sua volta, con le sue braccia
troppo piccole, per dare quel conforto di cui lei aveva bisogno.
…è solo che non sopporto più la sua assenza, la sua
lontananza…
Come poteva fare? Cosa poteva fare davanti a quel
dolore, di cui lui stesso era la causa?
Conan era furioso: non avrebbe permesso che
l’Organizzazione portasse ancora una volta dolore, nella vita di chi gli stava
intorno, delle persone più importanti per lui.
Mai più.